ANNO 1796 - 1797

DALLA MORTE DI AMEDEO III ALLA PACE DI TOLENTINO
LA BATTAGLIA DI ARCOLE 

TRATTATO DI PACE CON LA FRANCIA - MORTE DI VITTORIO AMEDEO III ED ELEZIONE DI CARLO EMANUELE IV - CALATA DELL'ALLVINTZY IN ITALIA - SUCCESSI DELLE ARMI IMPERIALI - BATTAGLIA DI ARCOLE - IL CONGRESSO CISPADANO DI REGGIO - SECONDA CALATA DELL'ALLVINTZY - BATTAGLIE DI RIVOLI, DELLA FAVORITA E DELLA CORONA - CADUTA DI MANTOVA - SPEDIZIONE FRANCESE NELLO STATO PONTIFICIO: FAZIONE DI CASTELBOLOGNESE; I REPUBBLICANI A FAENZA, A PESARO, AD ANCONA, A MACERATA, A TOLENTINO E A PERUGIA - IL BONAPARTE E LA REPUBBLICA DI S. MARINO - PACE DI TOLENTINO TRA IL PAPA E LA FRANCIA - TRATTATO TRA IL BONAPARTE E CARLO EMANUELE IV

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TRATTATI DI PACE CON LA FRANCIA 
 MORTE  VITTORIO AMEDEO III - ELEZIONE DI CARLO EMANUELE IV
CALATA DELL'ALLVINTZ IN ITALIA -
SUCCESSI DELLE ARMI IMPERIALI - BATTAGLIA DI ARCOLE


Il 9 ottobre Genova firmava a Parigi una convenzione con la Francia e l'11 di quello stesso mese fu stipulato un trattato di pace tra la repubblica francese e il re di Napoli. Quattro giorni dopo cessava di vivere AMEDEO III di SAVOIA, settuagenario, e gli succedeva sul trono CARLO EMANUELE IV. Nato a Torino nel 1751, aveva quindi 45 anni. I suoi mesi di regno come vedremo saranno pochissimi.
Il 5 di novembre del 1796 un'altra pace, quella tra Parigi e il duca di Parma, era conclusa. A quel punto un solo stato italiano, il Pontificio, rimaneva nemico alla repubblica transalpina.
Contemporaneamente la Francia avanzava proposte di alleanza al nuovo re di Sardegna e alla repubblica veneta e negoziava con l'Inghilterra e con l'Austria; ma Carlo Emanuele IV non si accontentava dei compensi offertigli e Venezia non voleva per nessun motivo uscire dalla neutralità; quanto ai negoziati con Londra e Vienna, non davano risultati migliori.

Mentre i diplomatici trattavano, i vari governi non sospendevano le ostilità, anzi preparavano nuovi sforzi. La Francia, infatti, allestiva una poderosa flotta per tentare uno sbarco nell'Irlanda, e l'Austria a sua volta mirava a liberar Mantova, mandando in Italia due eserciti, uno di diciottomila uomini già concentrati nel Tirolo sotto il DAVIDOWICH, l'altro di quarantottomila, raccolti nel Friuli e comandati DALL'ALLVINTZY ch'era stato nominato generalissimo.
Questi, partito da Gorizia il 23 ottobre, in meno d'una settimana si spinse fino alla Brenta e si impadronì di Bassano, battendo a Carmignano il Bonaparte, il Massena e l'Augereau. Il Davidowich, sceso nello stesso tempo da Neumark, sconfisse a Segonzano il Vaubois e, occupata Trento, avanzò fino ai passi della Corona e di Rivoli.
Minacciato alle spalle dal secondo esercito austriaco, il Bonaparte, incalzato dall'Allvintzy, il quale riuscì a impadronirsi delle alture di Caldiero, si ritirò verso Vicenza e Verona; quindi, collocati lo Joubert alla Corona e il Vaubois a Rivoli assalì l'Allvintzy ma non avendo potuto sconfiggerlo, fu costretto a ritirarsi a Verona (11 novembre).

Piuttosto critica era la situazione dei Francesi, stretti com'erano da vicino da due eserciti schiaccianti come forze a disposizione e già si parlava di una loro ritirata fino all'Adda, quando il Bonaparte con un'abilissima mossa rivolse in suo favore le sorti della campagna.

La sera del 14 novembre, lasciati duemila uomini a presidiare Verona, con il grosso dell'esercito seguì dalla destra il corso dell'Adige. Sua intenzione era di passare a Ronco il fiume e di assalire il nemico alle spalle. Terreno più propizio di quello non poteva essere scelto perché le ampie paludi alla sinistra dell'Adige - attraversate da due argini che da Ronco conducono, il primo a Porcile e Caldiero, il secondo ad Arcole e Villanova impedivano agli Austriaci di spiegar tutte le loro forze e rendevano, possibile ai Francesi, inferiori di numero, un'audace sorpresa.
Passato il fiume su un ponte di barche, il Bonaparte fece avanzare il Massena sull'argine sinistro; mentre lui e l'Augereau procedettero sul destro. I Francesi contavano sulla sorpresa; questa però mancò, perché trovarono il ponte d'Arcole, che unisce le due sponde del torrente Alpone, difeso da un grosso nerbo di truppe nemiche comandate dal colonnello Brigido.

La difesa degli imperiali fu decisamente eroica: e gli assalti francesi altrettanto coraggiosi s'infransero contro l'inesorabile resistenza di quei prodi; ritornati i francesi con una nuova offensiva con ancora maggior impeto, furono respinti.
Invano i migliori generali, alla testa delle truppe, cercarono di forzare il passo: il Lannes, il Verdier, il Bon, il Verne caddero feriti; invano l'Augereau lanciò i suoi invincibili granatieri contro i difensori del ponte, dovettero ritirarsi decimati.
Tentò allora il Bonaparte un supremo sforzo, urlando ai suoi: "Non siete più i soldati di Lodi ! Dov' è il vostro coraggio?" poi con estremo sprezzo del pericolo, smontò da cavallo, afferrò una bandiera e si scagliò addosso al nemico, imitato a quel punto da un gran numero di ufficiali e di soldati. Terribile fu il cozzo, ma neppure questa volta la difesa riuscì ad esser vinta e gli assalitori furono sanguinosamente ributtati. Il Bonaparte, rovesciato nel fango della palude, sarebbe caduto in potere del nemico incalzante se non fosse stato salvato da un disperato assalto dei granatieri del generale Belliard.

Sopravvenuta la notte, il Bonaparte, temendo che il Davidowich travolgesse il Vaubois a Rivoli e gli tagliasse la ritirata, ripassò l'Adige; ma il giorno dopo (16 novembre) ritornò all'assalto della posizione nemica con maggior furore di prima. Sebbene raddoppiati, i suoi sforzi non riuscirono ad aver ragione degli Austriaci: ma quei due giorni di furiosa battaglia non furono inutili per i Francesi, perché costrinsero l'Allvintzy a rinunciare all'attacco di Verona e a condurre tutto il suo esercito ad Arcole.

La battaglia famosa, che prese il nome da quel piccolo villaggio, fu decisa il 17 novembre. L'Augereau, per ordine del generalissimo, gettato con grande fatica un ponte sull'Alpone, girò a sinistra con lo scopo di assalire alle spalle i difensori di Arcole; inoltre il Massena, battuto il generale Provera a Porcile, investì impetuosamente sul fianco mancino l'Allvintzy, il quale, dopo un aspro combattimento si ritirò a Montebello, lasciando sul campo, in tre giorni di lotta, ventimila morti e nelle mani dei Francesi seimila prigionieri. Una disfatta!
Fortuna migliore, dopo la ritirata dell'Allvintzy, non arrise all'esercito del Davidowich. Questi era riuscito a cacciare il Vaubois oltre il Mincio, ma più tardi, aiutato dal Massena, rioccupò i passi di Rivoli e della Corona, e il generale austriaco dovette indietreggiare fino a Rovereto, sfuggendo all'inseguimento dell'Augereau che invano il Bonaparte aveva mandato da Verona per tagliargli la ritirata (20 novembre).

IL CONGRESSO CISPADANO DI REGGIO EMILIA

Nel congresso cispadano di Modena si era stabilito di riunire una nuova assemblea a Reggio nel mese di novembre; questa invece si adunò il 27 dicembre e vi parteciparono 102 deputati, di cui 36 di Bologna, 24 di Ferrara, 22 di Modena e 20 di Reggio.
Il nuovo congresso, che acquistò maggior solennità per l'intervento di una deputazione lombarda guidata dal PORRO e dal SOMMARIVA, espresse fin dal primo giorno il proposito di costituire un'unica repubblica dei liberi popoli cispadani, e il 30 dicembre, per mezzo del generale Marmont, scrisse al Bonaparte, chiamandolo "padre" e invocandolo come protettore dei quattro popoli riuniti in una sola ed indissolubile famiglia.

Degna di essere riportata è la risposta del generalissimo sotto la data del 1° gennaio del 1797: "… Ho appreso con il più vivo interesse che le repubbliche cispadane si erano riunite in una sola e che, prendendo per emblema un turcasso (faretra) si erano convinte che la loro forza sta nell'unione e nell'indivisibilità. La miseranda Italia è da molto tempo cancellata dal novero delle potenze europee. Se gli Italiani di oggi sono degni di recuperare i loro diritti e di darsi un governo libero, si vedrà un giorno le loro patria figurare gloriosamente fra gli stati del mondo; ma non dimenticate che le leggi a nulla valgono senza la forza. La vostra prima cura deve essere rivolta all'organizzazione militare. Tutto la natura vi ha dato e, dopo l'unità e la saggezza che si riscontra nelle vostre diverse deliberazioni, non vi mancano, per conseguire la mèta, che dei battaglioni agguerriti e animati dal sacro fuoco della patria. Voi siete in una posizione più felice del popolo francese; potete raggiungere la libertà senza la rivoluzione e i suoi delitti. Le disgrazie che hanno afflitto la Francia prima della costituzione non piomberanno mai in mezzo a voi. L'unione delle varie parti della repubblica cispadana sarà il modello costante della concordia che regnerà fra tutte le classi dei suoi cittadini; e il frutto della corrispondenza dei vostri principi e dei vostri sentimenti, sostenuto dal coraggio, sarà la libertà, la repubblica e la prosperità….".

Però, in pari data, il Bonaparte scriveva al Marmont:
"…Io non vedo malvolentieri che il congresso stabilisca un governo provvisorio, ma allora bisognerebbe che esso ne gettasse fin da oggi le basi e formasse un organismo che gli permettesse di aspettare la costituzione. Questo dovrebbe esser costituito da uomini scevri da pregiudizi locali e forniti di operosità, di carattere e di idee politiche. Ma forse sarebbe meglio lasciare i quattro governi fino a che non abbiano maturata una nuova costituzione e non abbiano convocato un'assemblea nazionale. Tutt'al più potrebbero formare un comitato per la convocazione di tale assemblea…"

Da quest'ultima lettera appare chiaro che il Bonaparte non aveva molta fiducia negli uomini politici della Cispadana; e in verità perduravano le antiche diffidenze tra le varie città, ma queste non erano tali da compromettere l'unità e da far dimenticare il voto di massima acclamato nella prima seduta.
Difatti, "…pur tra le incertezze e le diffidenze - "scrive il Franchetti" - il congresso dopo aver decretato la propria permanenza e concentrato in sé il potere sovrano, era riuscito a concordare il 9 gennaio 1797, la creazione d'un governo generale provvisorio, incaricato di conservare il nuovo stato, di provvedere alla sicurezza interna ed esterna e di vigilare sulle amministrazioni provvisorie, dipartimentali, sotto il qual nome si erano mantenuti in vita i quattro governi provvisori, insieme colle altre magistrature, secondo un disegno (in 33 articoli) compilato dai cittadini PASETTI, ALDINI, BERTOLINI e PARADISI, e in conformità degli avvisi ufficiosi del Marmont.

La giunta di difesa fu poi considerata come il Ministero e per lettera del Potere Centrale già si erano annunziate alle Autorità spodestate le norme cui dovevano quindi d'ora innanzi assoggettarsi; dettata la formula del giuramento; "reso universale" su proposta del COMPAGNONI, "lo stendardo o bandiera cispadana di tre colori, verde, bianco e rosso", e "la coccarda cispadana, la quale debba portarsi da tutti"; dato per emblema alla Repubblica il turcasso, stemma da innalzarsi in ogni luogo; e stabilito infine che "l'èra" da segnarsi in ogni atto incominciasse col 1° del 1797, "Anno I della Repubblica cispadana", indizio notevole pur questo di spirito indipendente .... Mancava una sola adunanza, nella quale il congresso avrebbe affidato ai propri eletti il governo della Cispadana e si sarebbe prorogato, aspettando la costituzione definitiva che apposita commissione doveva apprestargli, quando una "parola del Bonaparte bastò a produrre un radicale mutamento di scena". Giunto improvvisamente il 9 gennaio, fece subito partire per Bologna i membri della giunta di difesa generale e chiamò a sé due delegati del Congresso. Quello che prescrissero non vi è traccia, mancando la relazione negli "Atti segreti" del Congresso. Ma essendosi questo adunato, nel mattino stesso, pure in Comitato segreto, l'Aldini, prendendo argomento del consiglio dato dal "generale" in capo di "accelerare la costituzione" quanto più si potesse, propose di assegnare al Comitato incaricato un termine di dieci giorni, durante il quale si sospendessero le adunanze, per riassumerle quindi a Ferrara; e allo stesso tempo si "sospendesse di mettere in attività il governo generale" mantenendosi in vita, nel frattempo, "i governi provvisori con tutte le facoltà fino allora esercitate".

Queste mozioni furono approvate quasi senza osservazioni né discussioni; solo il PEDERZINI "protestò" perchè la sospensione fosse non di dieci, ma di cinque giorni, "come che aveva espresso il generale in capo". Così fu annullato quasi tutto il faticoso lavoro di sedici sessioni, e rimase in piedi unicamente il voto di massima che approvava il principio…",
di formare cioè una "Repubblica una e indivisibile".

SECONDA CALATA DELL'ALLVINTZY: BATTAGLIE DI RIVOLI, DELLA FAVORITA, DELLA CORONA; CADUTA DI MANTOVA SPEDIZIONE FRANCESE NELLO STATO PONTIFICIO IL BONAPARTE E LA REPUBBLICA DI S. MARINO PACE DI TOLENTINO

La ripresa della guerra con l'Austria aveva certamente ispirato la condotta del Bonaparte riguardo alla repubblica cispadana. L'ALLVINTZY difatti tornava alla carica con un nuovo esercito di quarantamila uomini, scendendo dal Trentino con il grosso delle sue truppe, mentre il vecchio generale PROVERA con un'azione dimostrativa dalla parte di Legnago doveva disorientare i Francesi e già la sua avanguardia, comandata dal principe di HOHENZOLLERN, l'8 gennaio del 1797 aveva occupato Bevilacqua sull'Adige.
L'esercito del Bonaparte, forte di quarantacinquemila uomini, era diviso in cinque corpi: il SERRURIER stava davanti a Mantova, l'AUGEREAU a Legnago, il MASSENA a Verona, lo JOUBERT alla Corona e il REY, di riserva, tra Desenzano a Lonato.
Per sconcertare i Francesi, gli imperiali assalirono contemporaneamente da tre parti: l'Allvintzy attaccò lo Joubert alla Corona e, sfrattato, lo costrinse a ritirarsi sull'altipiano di Rivoli; il Bayalitsch e il Provera attaccarono dalla parte di Verona a Legnago, mentre il Wurmser faceva una sortita da Mantova in cui si trovava assediato (12 gennaio)

Ma l'accorto Bonaparte non si lasciò ingannare dalle mosse avversarie e, compreso che lo sforzo maggiore degli Austriaci era diretto contro Rivoli, ordinò al Massena - che il giorno 13 aveva combattuto davanti a Verona con il Provera - di correre in soccorso del Joubert ed egli stesso durante la notte del 14 si portò sul luogo dove doveva esser combattuta la battaglia decisiva.

II generale Joubert era minacciato da quattro parti dall'esercito austriaco: di fronte dal principe di Reuss che avanzava per la via d'Incanale, a destra dal Wukassewich che occupava la sponda dell'Adige, a sinistra dall'Allwintzy che muoveva su per le balze del Monte Baldo, e alle spalle da seimila uomini comandati dal fuoruscito francese Lusignan.
Con l'arrivo del Bonaparte e del Massena una sanguinosa battaglia iniziò all'alba del 14. Prima venne dall'esercito repubblicano riconquistato il passo di S. Marco, quindi il Bonaparte, con il grosso delle sue truppe sotto il fuoco micidiale delle artiglierie del Wukassewich, si scagliò contro le colonne dell'Allvintzy, che erano giunte sul piano di Rivoli e, ne fece una strage, e ricacciò i superstiti sul Monte Baldo e giù per la via d'Incanale.

Fatta a pezzi l'armata del generalissimo austriaco, il Bonaparte, coadiuvato dal Massena, dal Mounier giunto da Garda con la sua brigata, e dal Rey accorso da Desenzano con la sua divisione, si rivolse contro il Lusignan, il quale, accerchiato dal nemico, lasciò tutti i suoi soldati prigionieri e a stento riuscì a fuggire sul lago di Garda con una barca.
Lanciato lo Joubert all'inseguimento dell'Allvintzy, Napoleone marciò rapidamente verso Mantova per impedire che fosse soccorsa dal Provera, il quale, passato l'Adige ad Angiari, aveva il giorno 15 assalito il sobborgo mantovano di S. Giorgio valorosamente difeso dal Miollis e il giorno dopo assaliva la Favorita, mentre il Wurmser faceva una sortita dalla città assediata. Sopraggiunto il Bonaparte, il Provera, dopo breve resistenza, essendo ormai circondato da tre lati, cedette le armi e con tutta la sua gente fu fatto prigioniero.

Lo stesso giorno lo Joubert, dopo aver chiuso dentro in una gola della Corona un reparto di truppe dell'Allvintzy, lo sbaragliava definitivamente, e nell'ultima settimana del gennaio il Masseria, uscito da Vicenza, forzava i passi del Trentino al ponte di Cateneto e a Primolano. In una ventina di giorni il terzo esercito austriaco era stato sconfitto in tre importanti battaglie, e Rivoli, alla Favorita e alla Corona, ed aveva perso ventimila prigionieri, quarantacinque cannoni e ventiquattro bandiere.

Il 2 febbraio del 1797 il WURMSER, avendo perso con le tre sconfitte ogni speranza di soccorso e non essendo più in grado di prolungare la resistenza per la fame e le malattie che affliggevano Mantova, pattuì la resa, e il Bonaparte, ammirando la tenacia del prode ma sfortunato generale, gli concesse di uscir libero dalla fortezza con tutto lo Stato maggiore, gli ufficiali, cinquanta fanti e duecento cavalli.

Caduto in potere dei Francesi l'ultimo dominio imperiale in Italia, il Bonaparte rivolse le sue armi contro lo Stato pontificio. La Santa Sede, nel settembre del 1796, aveva rifiutato le proposte di pace della Francia, si era accordata con l'Austria da cui aveva ricevuto come generalissimo il Colli, e si era preparata e illusa di sostenere la guerra contro i francesi.

Bonaparte sapeva che l'impresa contro Roma non presentava grandi difficoltà e perciò non ritenne opportuno impiegare molte forze. Cinquemila uomini della divisione del VICTOR, la legione lombarda comandata dal LAHOZ ed alcune compagnie della legione cispadana costituirono il corpo di spedizione. Questo, vinta a Castelbolognese la debole resistenza delle milizie pontificie poste a guardia del passo del Senio, entrò il 2 febbraio a Faenza, quindi occupò Forlì, Ravenna, Rimini e Sinigaglia.

Il 5 febbraio i Francesi entrarono a Pesaro, dove il giorno dopo giunse il Bonaparte; il 9 il Victor, dopo una breve scaramuccia con pontifici, si impadronì della città e della fortezza di Ancona; il 12 cadde Macerata e il Bonaparte, risalita la valle del Chienti, puntò su Tolentino, mentre un'altra colonna francese partita da Livorno penetrava a Perugia e di là avanzava per congiungersi con la prima a Foligno, dove si era trincerato il generale Colli.

Il Bonaparte poteva, durante questa spedizione, occupare S. Marino, ma volle rispettare la libertà dell'antica repubblichetta e per mezzo del MOUGE le offerse l'amicizia della Francia e un aumento di territorio. Il Gran Consiglio di S. Marino si mostrò lieto del grande onore che era fatto alla piccola repubblica; gradì l'amicizia, ma rifiutò la proposta d'ingrandirsi, rispondendo al MOUGE nel seguente tenore:
"… Ritornate a questo Eroe. Recategli l'omaggio libero non della nostra ammirazione che dividiamo con l'universo, ma della nostra gratitudine. Assicurategli che la Repubblica di S. Marino, contenta della sua piccolezza, non ardisce di accettare l'offerta generosa che le viene fatta, né di avere desiderio di ambiziosi ingrandimenti che potrebbero con il tempo compromettere la sua libertà, ma che dovremo tutto alla generosità della Repubblica francese e dell'invito suo Duce se otterremo di avere assicurato le pubbliche felicità con l'estendere i rapporti del nostro commercio cui essa è strettamente unita, con quelle convenzioni che assicurino la nostra sussistenza.."".

Se il modo con cui fu considerata e trattata S. Marino onora il Bonaparte, il trattamento usato alla Santa Casa di Loreto costituisce invece per lui un'azione immeritevole della sua generosità.
Tutto il tesoro sarebbe caduto nelle rapaci mani dei Francesi se le cose più preziose non fossero state in tempo trasportate a Roma, ma il milione che il generale Marmont vi trovò non venne risparmiato e fu mandata a Parigi anche la venerata statua della Madonna.

Il Pontefice convinto dell'impossibilità di opporsi con la forza al Bonaparte, aprì trattative con Napoleone, ottenne il 13 una tregua di cinque giorni e il 19 febbraio fu firmata a Tolentino la pace.
Le condizioni erano le seguenti: la S. Sede doveva licenziare i nuovi soldati che si era procurati; rinunciare a qualsiasi amicizia rivolta contro la Francia; cedere Avignone, il contado Venesino e le legazioni di Bologna, di Ferrara e della Romagna; consentire che i Francesi tenessero ad Ancona un presidio fino alla pace generale; dare esecuzione ai patti della tregua di Bologna aggravati per la parte finanziaria dal pagamento di altri quindici milioni; disapprovare l'assassinio del Bassville e dare alla famiglia un indennizzo di trecentomila lire.

Sottoscritta la pace, il Bonaparte inviò a Roma il generale MARMONT, che fu ricevuto con onore e vi rimase quindici giorni, ripartendone il 3 marzo in compagnia del poeta VINCENZO MONTI.
Una settimana prima (25 febbraio), plenipotenziari il marchese di S. Marzano e il generale Clarke, era stato già sottoscritto tra CARLO EMANUELE IV e NAPOLEONE un trattato: il primo s'impegnava a fornire al secondo seimila fanti, mille cavalli e quaranta cannoni per costringere alla pace l'Austria e riceveva l'assicurazione che la Francia avrebbe garantito l'integrità dei suoi stati e gli avrebbe inoltre procurato uno sbocco verso il mare.

Era questa una lega offensiva e difensiva che Napoleone dopo averla a lungo desiderata, era riuscito finalmente a concludere con il Regno di Sardegna, ma il Direttorio repubblicano, in vista di una pace generale non voleva contrarre impegni precisi, e si rifiutò di ratificare il trattato.

Torniamo sullo scenario di guerra, e all'offensiva Francese rivolta a Est
con Napoleone a fronteggiare la controffensiva imperiale fallimentare
che porterà poi alla caduta di Venezia

ed è il periodo degli ultimi mesi del 1797 > > >  

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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