ANNO 1799

LA BATTAGLIA DELLA TREBBIA, DI NOVI, DI AREZZO
I RUSSI ABBANDONANO


Come leoni gli Aretini affrontano i Francesi nella battaglia di Rigutino, il 14 maggio 1799


PARTENZA DEL MACDONALD DA ROMA - RIVOLTA DI AREZZO E CORTONA - COMBATTIMENTO DI TERONTOLA - IL PROCLAMA DI SIENA - SCHIERAMENTO DELL'ESERCITO DEL MACDONALD E SUO PIANO - IL MACDONALD SCENDE DALL'APPENNINO SULL'EMILIA - BATTAGLIA DI MODENA - IL SUWAROFF MUOVE INCONTRO AL MACDONALD - LE TRE GIORNATE DELLA BATTAGLIA DELLA TREBBIA - RITIRATA DEI FRANCESI ED INSEGUIMENTO DEGLI AUSTRO-RUSSI - COMBATTIMENTO DI S. GIULIANO - MOVIMENTI DEL MOREAU - RESA DELLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA E DI MANTOVA - IL JOUBERT AL COMANDO DELL'ESERCITO D' ITALIA - OFFENSIVA FRANCESE - COMBATTIMENTO DI ARQUATA - BATTAGLIA DI NOVI E MORTE DEL JOUBERT - LO CHAMPIONNET E L'ESERCITO DELLE ALPI - IL SUWAROFF LASCIA l'ITALIA - BATTAGLIA DI GENOLA - RESA DI CUNEO

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PARTENZA DI MACDONALD DA ROMA
RIVOLTA DI AREZZO E CORTONA
COMBATTIMENTO DI TERONTOLA
MACDONALD SCENDE DALL'APPENNINO IN EMILIA
BATTAGLIA DI MODENA

Partito il 1° maggio da Napoli per Roma, con l'ordine del Direttorio di proseguire poi per il nord per rinforzare le truppe francesi sbaragliate in Piemonte dagli eserciti Astro-Russi, MACDONALD, prese con sé le truppe del generale GARNIER assottigliate per i presidi che aveva dovuto lasciare ad Ancona, a Civitavecchia, a Roma, lasciò quest'ultima città il 20 maggio, dirigendosi prima a Viterbo poi a Bolsena per poi proseguire verso la Toscana.
Sapeva che, fin dal 6 maggio, da Arezzo e da Cortona, dov'era scoppiato un minaccioso movimento di reazione si era propagato in molte terre della regione; e proprio per questo si era fatto precedere da una colonna mobile di quattromila polacchi; comandati dal DOMBROWSKY che partendo da Perugia doveva piombare nell'Aretino, domare le eventuali insurrezione, liberare le strade dalle "bande", insomma, assicurargli il passaggio attraverso la Toscana con il grosso dell'esercito.

Il Dombrowsky, giunto a Terontola il 13 maggio, dovette sostenere con numerose "bande" di Cortonesi ed Aretini un lungo e sanguinoso scontro che gli costò gravi perdite; alla fine riuscì sopraffare gli insorti e a respingerli fin sotto le mura di Cortona; ma invano tentò di espugnare la città e dovette accontentarsi di devastarne il territorio; quindi proseguì per Firenze, dove doveva attendere l'arrivo del Macdonald.
Questi, per Radicofani e Buonconvento, giunse il 23 maggio a Siena e lanciò un proclama in cui dichiarava che avrebbe distrutto Arezzo e Cortona e sul luogo dove esse sorgevano avrebbe fatto innalzare una piramide con l'epigrafe: "Le città di Arezzo e di Cortona così furono punite per la loro ribellione !" Cortona, atterrita, si sottomise, e ristabilì il governo repubblicano; invece Arezzo si preparò alla resistenza e il Macdonald, non potendo sciupare tempo in un assedio, se n'andò a Firenze dove giunse il 25.

Con le truppe del COUTARD giunte dagli Abruzzi e con quelle del MONTRICHARD che si era ritirato verso l'Appennino tosco-emiliano lasciando a difesa di Bologna la brigata Clausel, il Macdonald disponeva di circa trentamila uomini. Il 29 maggio pose il suo quartier generale a Lucca e completò lo schieramento del suo esercito, che aveva il centro tra Firenze e Pistoia, con l'ala sinistra costituita dalla divisione Dombrowsky giungeva fino a Sarzana e a Pontremoli, in contatto quasi con la divisione del Victor, e con l'ala destra, costituita dalle divisioni del Rusca e del Montrichard occupava tutti gli sbocchi del Modenese distendendosi da S. Marcello a Bologna.
Il Macdonald aveva ideato un piano ardito che, se fosse riuscito, avrebbe fatto guadagnare di un colpo solo ai Francesi quanto avevano perduto nell'Alta Italia. Egli si proponeva dì varcare con il suo esercito l'Appennino modenese, attaccare alla sinistra quello austro-russo che si trovava tra gli Appennini e il Po, sgominarlo e obbligarlo a ripassare il gran fiume, congiungersi quindi a Parma o a Piacenza con il MOREAU, che sarebbe giunto dalla Liguria spazzando gli Austro-Russi che bloccavano Alessandria, Tortona e per ultimo con lui dare battaglia a SUWAROFF.

Il Moreau accettò il piano del Macdonald e mise sotto i suoi ordini le divisioni del Victor e del Montrichard.
A proposito del suo piano scrisse poi il MACDONALD nelle sue "Memorie":
"… La mia mossa, se tutto andava bene, avrebbe avuto l'effetto di paralizzare l'ala sinistra del nemico, e anche se non fossi riuscito a distruggerla del tutto -come speravo- l'avrei, dopo averla respinta al di là del Po, separata dall'armata principale, e da ogni comunicazione con il resto dell'esercito. Risalendo poi la riva destra del Po e minacciando di passargli davanti per rompere il blocco di Mantova, io mi lusingavo di costringere il nemico che inseguiva l'armata d'Italia, a retrocedere ed a lasciarla libera per accorrere sulla sinistra del Po; dopo di che, avrei eseguito il mio congiungimento con il Moreau a Parma o a Piacenza. Congiungerci sulla Riviera sarebbe stato forse meglio o almeno - come, di fatto, poi avvenne - non avrebbe incontrato ostacoli; ma a Lerici non vi erano imbarcazioni sufficienti per trasportare a Genova le artiglierie e gli altri materiali di guerra, e la Riviera non presentava che vie mulattiere. Tuttavia non trascurai, anche allora, di disporre perché si radunassero nei porti imbarcazioni in buon numero per il caso di un insuccesso: ed, infatti, giovò più tardi a salvare il nostro prezioso materiale. Se d'altra parte il mio piano fosse riuscito, i risultati sarebbero stati decisivi: una sola battaglia ci avrebbe fatto riconquistare non solo tutto quello che avevamo perduto, ma anche le insurrezioni non più protette o incoraggiate dal nemico, sarebbero finite ..".

Il Macdonald iniziò il suo movimento il 9 giugno, con l'esercito diviso in quattro colonne procedenti per le valli del Reno, del Panaro, della Secchia e del Taro. La destra, costituita dalle divisioni del Rusca e del Montrichard, puntava su Bologna; il centro, formato dalle divisioni dell'Ollivier e del Watrin, per Pievepelago e Pavullo, marciava in direzione di Modena; a sinistra, la divisione del Dombrowsky muoveva per Castelnuovo dei Monti alla volta di Reggio e quella del Victor da Pontremoli si dirigeva per Fornovo verso Parma.
Il collegamento tra l'esercito di Napoli e quello d'Italia doveva esser tenuto dal generale Lapoype che con duemila e trecento uomini aveva avuto ordine di spingersi per la valle della Trebbia fino a Bobbio.
A queste forze francesi si opponevano gli avversari con la divisione del generale OTT che, respinto da Pontremoli, aveva preso posizione tra Parma e lo sbocco della valle del Taro; la divisione dell'Hohenzollern che copriva Modena; infine quella del Klenau, che, costretta da Clausel a togliere il blocco da Forte Urbano, si era posta tra il Reno e il Panaro.
Il 10 e l'11 giugno le avanguardie del centro francese attaccarono la divisione dell'Hohenzollern e la costrinsero a ripiegare su Modena; il 12 l'Ollivier e il Watrin gli diedero battaglia mentre il Macdonald ordinava al Rusca e al Montrichard di convergere su Modena e sul Panaro per accerchiare il Klenau e l'Hohenzollern.

La battaglia durò tutto il giorno furiosa e i Francesi vi persero il generale brigata Forest e stavano per perdervi lo stesso Macdonald che verso sera fu colpito da due sciabolate; ma alla fine il numero dei Francesi prevalse e gli Austriaci dovettero ritirarsi su Mirandola e abbandonare Modena al nemico che dopo averla occupata la saccheggiò orribilmente.
Quantunque vittoriosi, i Francesi non raggiunsero gli scopi che si erano prefissi. Difatti l'avvolgimento non fu possibile sia perché il MONTICHARD non giunse a tempo per prendere parte al combattimento, sia perché il RUSCA fu impegnato e trattenuto a lungo dal KLENAU sul Panaro. Così questi riuscì a ritirarsi verso Ferrara e altrettanto l'Hohenzollern, che con i resti della sua valorosa divisione, riuscì pure lui a passare alla sinistra del Po dove il generale KRAY lo rinforzò con i suoi diecimila uomini mettendolo in grado - se il nemico attaccava a impedirgli il passaggio.
Il Macdonald, vinti gli Austriaci a Modena, lasciò in questa città l'Ollivier e nel territorio di Guastalla e Mirandola il Montrichard, quindi con il Rusca e il Watrin cominciò a risalire il Po sulla destra nella speranza di ricongiungersi con il Moreau. II generale Ott, che era allo sbocco della Valle del Taro, temendo di essere accerchiato, ripiegò su Piacenza, poi, lasciata una guarnigione a guardia della cittadella, si ritirò prima oltre la Trebbia e infine si mise al sicuro al di là del torrente Tidone; ma così facendo permise anche al Dombrowsky e al Victor di riunirsi al Macdonald. Insieme questi dal 14 al 16 si impadronì di Reggio, Parma, Borgo S. Donnino e Piacenza e spinse la sua avanguardia fin verso la Trebbia.

IL SUWARONF MUOVE INCONTRO AL MACDONALD
LE TRE GIORNATE DELLA BATTAGLIA DELLA TREBBIA
RITIRATA DEI FRANCESI - IL COMBATTIMENTO DI S. GIULIANO

Il SUWAROFF, quando seppe che il MACDONALD, invece di congiungersi in Liguria con il MOREAU per tentare di riconquistare il Piemonte, si era mosso verso l'Emilia, si trovava a Torino. Avute notizie delle intenzioni del nemico, diede ordine a tutte le truppe austro russe distaccate nel Piemonte di concentrarsi rapidamente ad Alessandria, dove il giorno 8 era giunto dai Grigioni il BELLAGARDE, e, lasciato a Torino il KAIM con ottomila uomini per continuare l'assedio della cittadella, il giorno 10 si mosse con il grosso del suo esercito per correre in aiuto della sua sinistra minacciata dal Macdonald.

Il 13 il Suwaroff venne a sapere mentre era ad Alessandria la sconfitta dell'Hohenzollern a Modena. Senza perder tempo, inviò il Bellagarde con quindicimila uomini verso Novi per chiudere il passo al Moreau, lasciò a bloccare le cittadelle di Tortona e di Alessandria la brigata dell'Alcaini e la sera del 15, preceduto dalla divisione del Bragation, passò con i suoi ventinovemila uomini sopra un ponte di barche la Bormida e si mise sulla via di Voghera.
La marcia forzata durò ininterrottamente per tutta la notte del 15; la mattino del 16, dopo qualche ora di riposo, fu ripresa; alla sera l'esercito era a Carteggio e la mattina del 17 l'avanguardia entrava a Stradella e si metteva in collegamento con la divisione del generale Ott che si trovava a Cartel S. Giovanni.

La notizia, che il Chasteler, comandante l'avanguardia austro russa, ebbe subito dopo l'arrivo a Strabella, fu che il Victor, sostenuto dalle divisioni del Rusca e del Dombrowsky, assaliva i posti austriaci a Ponte Tidone, a Veratto di Sopra e ad Agozzina e, dopo accanito combattimento li aveva costretti a ripiegare su Cartel S. Giovanni. Saputo questo, il Chasteler si mise in marcia con l'avanguardia per soccorrere l'Ott. Erano circa le undici. Proprio allora i Francesi attaccavano Castel S. Giovanni, sicuri di trovarvi soltanto la divisione del generale Ott non sospettando che l'esercito del Chasteler era in marcia così vicino.
Violentissima fu la battaglia. Gli Austriaci, sebbene tanto inferiori per numero, combatterono valorosamente per circa tre ore nelle loro posizioni di Castel S. Giovanni, ma verso le due pomeridiane, stanchi e minacciati di un avvolgimento, cominciarono a ripiegare in disordine verso Stradella.
Fu allora che giunse con i primi battaglioni dell'avanguardia il Chasteler. II suo arrivo fermò e rianimò i fuggiaschi, i quali, riorganizzati, ritornarono alla battaglia, sempre, meglio sostenuti da nuovi rinforzi che, al comando del Melas e del Bragation, giungevano ininterrottamente rinfrescando il combattimento.

Sul far della sera giunse a spron battuto il Suwaroff alla testa di alcuni reggimenti cosacchi. Nove cariche di cavalleria furono lanciate contro i Francesî, che pur continuarono a resistere, ma quando sopraggiunsero e si gettarono nella mischia le fanterie del Rosenberg, la resistenza non fu più possibile e le divisioni del Victor, del Rusca e del Dombrowsky, respinte oltre il Tidone, si ritirarono sulla riva sinistra della Trebbia lasciando sul campo di battaglia un migliaio di morti e milleduecento prigionieri.

Tutta la notte del 17 e metà del giorno seguente 18 ci fu un riposo, ma tutti presentivano che presto la lotta sarebbe stata ripresa con una violenza maggiore, e già il Suwaroff aveva stabilito di attaccare con le sue divisioni di destra (quelle del Bragation e dello Schweikowsky) comandate dal Rosenberg la sinistra francese del Dombrowsky, di forzare il passo della Trebbia in quel punto e, avvolgendo il nemico; chiuderlo tra Piacenza e il Po, mentre contro la destra francese l'Ott doveva eseguire un attacco dimostrativo e contro il centro del Victor doveva operare il Melas con la divisione Forster.

La battaglia ricominciò al tocco del mezzogiorno. Attaccata improvvisamente dalla cavalleria cosacca, la divisione polacca del Dombrowsky, dopo una disordinata ma accanita resistenza, stava per essere sopraffatta e già alcune schiere volgevano in fuga, quando a sostenerla giunse un reggimento del Watrin e a coprirle il fianco destro minacciato vennero le divisioni del Rusca e del Victor, entrate prontamente in linea al centro.

Contro il Rusca il generale Suwaroff lanciò la divisione dello Schweikowsky e poiché la lotta qui divenne talmente furiosa da minacciare, per l'accanimento francese, di compromettere il piano del generalissimo russo, questi chiamò la divisione del Fróhlich che doveva costituire la riserva. Ma le truppe del Fróhlich non erano più disponibili: il Melas, respinto il Victor oltre la Trebbia, le aveva mandate a sostenere l'Ott, che veramente non n'aveva bisogno, e così la destra russa non riuscì a sbaragliare, come si proponeva, la sinistra nemica. Tuttavia la giornata terminò con il vantaggio degli Austro-Russi, che riuscirono a cacciare sulla destra della Trebbia i Francesi; ma questi, sebbene decimati dalle forti perdite, protetti dalle loro batterie e sostenuti dall'Ollivier e dal Montrichard che erano sopraggiunti sul far della sera, mantennero le nuove posizioni e impedirono ai Russi di passare il torrente.

Avendo sotto mano tutte le proprie forze, il Macdonald pensò di passare audacemente all'offensiva nella speranza di congiungersi con l'esercito del Moreau e ordinò al Victor e al Rusca di assalire di fronte, da Gossolengo e Valera, il corpo del Rosenberg, e al Dombrowsky di aggirare la destra russa per Carmelo, Rivalta e Tuna; contemporaneamente la brigata del Salms e la divisione del Watrin dovevano, risalendo il Po, avvolgere la sinistra nemica comandata dal Melas, e l'Ollivier e il Montrichard dovevano al centro forzare il passo della Trebbia.
Fin dall'alba del 19 giugno presero a tuonare le opposte artiglierie, ma per la stanchezza delle truppe l'attacco non cominciò che verso le dieci. Il Dombrowsky, passata la Trebbia sotto l'incessante fuoco dei cannoni nemici, avanzò energicamente sulla sinistra del torrente e alle undici si era impadronito di Rivalta e muoveva verso Tura e Gazzola.
Ad opporsi alla divisione polacca si precipitò il Bragation; un'animata battaglia iniziò all'estrema destra dei Russi; forti perdite subirono tanto gli uni quanto gli altri; ferito fu il Dombrowsky, che alla testa dei suoi, faceva grandi prove di valore; ma alla fine fu il Bragation a sfondare le linee dei Polacchi; questi si diedero alla fuga e lui li inseguì disperdendoli fin oltre la Trebbia.

Nel frattempo anche il Rusca aveva passato il torrente e, incuneatosi audacemente tra le divisioni del Bragation e dello Schweikowsky, aveva assalito la destra di quest'ultimo costringendolo a ripiegare disordinatamente su Casaleggio. Se il Rusca fosse stato sostenuto dal Dombrowsky e dal Victor la giornata sarebbe stata, senza dubbio dei Francesi; ma il Dombrowsky (come abbiamo visto sopra) con gli uomini dispersi e inseguiti dal Bragation, non era più in grado di dare alcun aiuto e il Victor, dal canto suo, non si trovava in migliori condizioni. Aveva, è vero, passata la Trebbia, ma aveva incontrata tanta resistenza prima ed era stato contrattaccato così vigorosamente poi che, dopo una giornata di combattimento, era stato costretto a ritornare sulle posizioni di partenza.
Così il Rusca si trovò da solo a lottare contro forze che presto divennero soverchianti perché in soccorso dello Schweikowskv il Suwaroff mandò il Chasteler e richiamò dall'inseguimento del Dombrowsky il Bragation. Il Rusca, assalito di fronte e dai fianchi, resistette eroicamente tutto il resto del giorno, poi ordinò la ritirata. Pur incalzato, durante il ripiegamento, dal nemico, tre volte ritornò a fargli fronte; infine verso il tramonto riuscì a ripassare la Trebbia.

Miglior successo della sinistra non ottenne la destra francese, e la colpa va data alla divisione del Montrichard, la quale, adducendo come pretesto la stanchezza causata dalle marce precedenti, rifiutò di muoversi da Sant'Antonio e solo verso mezzogiorno, per gli insistenti ordini del Macdonald, si decise a ubbidire. Sebbene iniziata tardi, l'avanzata del centro e della destra conseguì all'inizio alcuni successi: l'Ollivier, passato il torrente presso Rocco, ricacciò il nemico da Castel S. Giovanni e si spinse a S. Niccolò; anche il Montrichard riuscì a mettere il piede sulla destra della Trebbia, e il Salms e il Watrin, sorprese le truppe dell'Ott, le misero in rotta e si spinsero fino a Ponte Tidone. Ma qui si arrestarono i successi francesi.
Il principe di Liechtenstein, a capo della riserva del Fròhlich, precipitatosi in soccorso del Forster rovinò addosso alla divisione del Montrichard, la ruppe e mise in fuga e, ferendo lo stesso generale gravemente, la ributtò oltre la Trebbia. L'Ollivier, contrattaccato vigorosamente dal Melas, si mantenne per parecchio tempo sulle posizioni conquistate, ma, ferito da un colpo di mitraglia che gli troncò una gamba, anche lui dovette cedere, imitato dal Salms e dal Watrin e così, di sera del 19, tutto l'esercito francese si trovò di nuovo sulla sinistra della Trebbia, avendo perduto dopo tre giorni di lotta circa diecimila uomini.

Quella sera stessa, il Macdonald, non sperando più di essere soccorso dal Moreau e trovandosi minacciato di fronte dal Suwaroff e ai fianchi dal Klenau e dall'Hohenzollern che ripassato nuovamente il Po puntavano su Modena, Reggio e Parma, scriveva un biglietto al Pérignon, destinato a non giungere a destinazione. Scriveva: "…Tutti i generali di divisione dell'armata di Napoli sono feriti eccettuati due; e pure feriti sono quaranta e più tra aiutanti generali, comandanti di brigata e capi di battaglione. Parecchie mezzebrigate hanno perduto dai trenta ai quaranta ufficiali. Più di dodicimila uomini sono fuori di combattimento; i soldati non hanno più cartucce; l'artiglieria senza munizioni è inservibile. Non ho notizie né del generale in capo Moreau né del generale Lapoype. Mi ritiro…".

La ritirata cominciò la notte stessa. Lasciati accesi i fuochi dei bivacchi per ingannare il nemico e incaricando di alimentarli alcuni squadroni di cavalleria, il Macdonald si pose in marcia con il favore delle tenebre, diretto verso i valichi dell'Appennino.

Il Suwaroff, accortosi all'alba del movimento dei Francesi, si pose subito all'inseguimento e quello stesso giorno raggiunse a San Giorgio sul Nure la retroguardia nemica. Chi salvò l'esercito di Napoli fu il 170° reggimento di Fanteria, che resistette coraggiosamente per tutta quella giornata alle forze soverchianti del Bragation e del Suwaroff. Circondato da ogni parte, fu alla fine costretto ad arrendersi; ma il Macdonald era potuto sfuggire all'inseguimento. Tormentato nella ritirata dal Klenau e dall'Hohenzollern dopo aver sostenuto un accanito combattimento a Sassuolo, riuscì a varcare l'Appennino e per la Spezia ricondusse in salvo nella Liguria gli avanzi stanchi, male armati e mal vestiti del suo esercito, che poco dopo lasciò per andare in Francia a curare le sue ferite.
Il Suwaroff avrebbe potuto certamente continuare l'inseguimento: le notizie che ricevette delle mosse del Moreau non lo fecero andare oltre Fiorenzuola e lo convinsero a ritornare su Piacenza - che fu barbaramente saccheggiata - e di là poi muovere verso Tortona ed Alessandria per affrontare l'altro esercito francese.

Il MOREAU aveva lasciato Genova il 17 giugno e con l'esercito diviso in due colonne, una sotto il GROUCHY, l'altra sotto il GRENIER, si era messo in marcia per attaccare il SUWAROFF prima ancora che questi s'impegnasse con il Macdonald. Ma quello stesso giorno, avendo saputo che gli Austro-Russi erano giunti sul Tidone, si era diretto su Tortona, dove doveva esserci il Bellagarde che si era ritirato da Novi. Neppure a Tortona, dove era giunto il 19, il Moreau aveva trovato il Bellagarde, il quale si era ritirato ad Alessandria, rafforzandosi nei villaggi di S. Giuliano e di Cascina Grossa. E qui era poi andato, il 20, ad assalirlo il Moreau; dopo un giorno di accanito combattimento, lo aveva sloggiato dalle posizioni e costretto a ritirarsi oltre la Bormida e a chiudersi a Valenza, quindi si era spinto sulla via di Casteggio e di Voghera, ma, avendo avuta notizia che il Macdonald sconfitto si ritirava verso l'Appennino e la cittadella di Torino si era arresa al Kaim, si era affrettato a ritornare a Genova.
Quando il Suwaroff giunse ad Alessandria il Moreau era già partito alla volta della Liguria e il generalissimo russo dovette fermarsi lì e rimanervi inoperoso, ma per obbedire ad un ordine dell'imperatore Francesco II il quale (i motivi non li sappiamo, tanto meno li conosceva Suwaroff) gli proibiva di muovere contro il nemico prima che le fortezze di Mantova, Alessandria e Tortona fossero occupate.

BATTAGLIA DI NOVI
LO CHAMPIONNET E L'ESERCITO DELL'ALPI
IL SUWAROFF LASCIA L'ITALIA - BATTAGLIA DI GENOLA
LA RESA DI CUNEO

Gli eserciti del Moreau e del Suwaroff rimasero inoperosi circa un mese o mezzo; durante questo tempo però avvenimenti degni di nota avvennero. Il 13 luglio la cittadella di Alessandria si arrese al Bellagarde, il 29 anche quella di Mantova apri le porte al Kray; pertanto il Suwaroff poteva riunire sotto di sé quasi tutte le forze austro-russe che erano nell'Alta Italia e preparare un'azione decisiva nella Liguria, che, secondo il suo piano, doveva essere invasa da tre punti: dalla Toscana il Klenau doveva risalire verso la Riviera; un grosso corpo dalla Bormida doveva marciare su Genova; un terzo infine sarebbe entrato dal colle di Tenda per tagliare al nemico le comunicazioni con la Francia.
Anche dalla parte dei Francesi c'era il proposito di passare all'offensiva. Il colpo di Stato del 30 "pratile" (18 giugno) aveva rovesciato il Direttorio, e il BERNADOTTE, chiamato alla direzione del ministero della guerra, aveva inviato rinforzi agli eserciti d'Italia e di Svizzera, aveva deliberato di formare due nuovi eserciti, uno di 50.000 uomini da mandare sul Reno, l'altro di 30.000, "detto delle Alpi", da inviare attraverso il Moncenisio in Piemonte sotto il comando dello CHAMPIONNET, e infine aveva sostituito MOREAU con il generale JOUBERT, ordinando a questo di muover contro al SUWAROFF.
Lo Joubert giunse in Italia il 6 agosto, e, sebbene lo Championnet non fosse ancora pronto e l'esercito che il Moreau gli consegnava fosse carente di viveri, di munizioni e di artiglierie e avesse gli effettivi ridotti per le malattie, ordinò subito che tutte le sue truppe - 34.000 uomini - divise in due corpi iniziassero il movimento in avanti, quello del PERIGNON per la valle della Bormida; quello del SANT-CYR per la valle della Scrivia.

Il 12 agosto, la divisione Watrin, che costituiva l'avanguardia del Saint-Cyr, assalì presidio russo di Arquata, lo sbaragliò e lo pose in fuga annunziando con questo primo fatto d'arme la presenza dell'esercito francese al Suwaroff, il quale rinunciando per momento al proposito di passare in Liguria e credendo che il nemico puntasse su Tortona, richiamò in fretta tutte le truppe che aveva inviato verso gli Appennini e dispose il suo esercito, forte di oltre 70.000 uomini, sulla pianura che si stende davanti ad Alessandria e a Tortona. Sicuro che su questa città fu diretto il maggiore sforzo del nemico, il Suwaroff appostò presso Rivalta sulla Scrivia il Melas con 15.000 uomini e, dietro di lui con altrettanti, il Rosenberg. Questi due corpi formavano la sinistra austro-sarda, che avrebbe dovuto, secondo i calcoli del generalissimo, sostenere l'urto del grosso francese; il centro era costituito dal corpo russo del Bragation, posto di fronte a Novi; l'ala destra formata dalle divisioni del Bellagarde e dell'Ott sotto il comando del Kray si dispose presso l'Orba.

Il 13 agosto, i corpi francesi del Pérignon e del Saint-Cyr, riunitisi, presero posizione sulle alture di Novi e di Pasturava e solo allora lo Joubert si accorse di avere di fronte a sé tutto l'esercito austro-russo e non il corpo soltanto del Bellagarde, che prima di muoversi, aveva creduto di dover incontrare. I generali, facendogli notare la schiacciante superiorità numerica del nemico, gli consigliarono di retrocedere, ma lo Joubert preferì rimanere nella attesa sulle posizioni occupate, che secondo lui si prestavano benissimo alla difesa.
Il Suwaroff, credendo che quei Francesi che gli stavano di fronte era l'avanguardia dell'esercito nemico, decise di attaccarli con le truppe dell'ala destra; se avesse invece saputo che costituivano solo le forze dello Joubert, gli avrebbe lanciato contro tutti i suoi settantamila uomini e avrebbe deciso in pochi attimi le sorti della battaglia, che, per il suo errore, durò invece quasi quattordici ore e per molto tempo rimase incerto l'esito.

All'alba del 15 agosto le divisioni del Pérignon che occupavano le alture di Pasturane, furono improvvisamente e con grande impeto, assalite dal Kray, che, approfittando della confusione in cui l'attacco aveva sorpreso i Francesi, li avrebbe senza dubbio sbaragliati se lo Joubert, accorso prontamente, non avesse rianimato e riordinato gli uomini e, poi messosi alla loro testa, non li avesse guidati al contrattacco.
L'eroica audacia, spiegata solo nel momento del pericolo, fu fatale allo Joubert. Mentre a cavallo si lanciava contro un battaglione austriaco, colpito mortalmente da una palla nel fianco, precipitò al suolo e, prima di spirare, ebbe tempo di dire a chi gli stava, vicino: "Copritemi con un mantello .... che i soldati non sappiano nulla". I soldati, infatti, ebbero notizia della morte del generalissimo solo verso sera, ma sapevano i generali e, fra i primi, il Moreau, il quale, preso il comando supremo dell'esercito, impiegò tutta l'energia di cui era capace nell'organizzare una vigorosa resistenza.

E davvero superba fu la resistenza dei Francesi a Pasturava. Sei volte il Kray con tenacia rinnovò l'attacco alle posizioni avversarie e tutte le volte fu respinto con gravissime perdite. Uguale fermezza e lo stesso valore di quelle del Pérignon mostrarono le truppe del Saint-Cyr, che occupavano Novi, quando finalmente il Sawaroff decise di mandare contro di loro il corpo del Bragation.
La battaglia già durava da molte ore e tutti erano stremati, ma decisi gli uni a ritentare, gli altri a ripetere gli assalti, quando il generalissimo russo, sempre convinto che nessuna minaccia fosse da temersi dalla parte di Tortona e che tutto quello che gli stava di fronte fosse l'esercito nemico, inviò con un messo l'ordine al Melas di assalire le alture di Novi. Il Melas ricevette l'ordine mentre si trovava già in marcia, perché impaziente di partecipare alla battaglia, di sua iniziativa si era mosso dalle posizioni che occupava.
L'intervento delle truppe fresche del generale austriaco fu decisivo. Invano il Saint-Cyr tentò di tener testa al nuovo nemico, invano il Moreau si sforzò di prolungare la resistenza; i soldati, stanchi e sfiduciati, assaliti di fronte e dai fianchi, vacillarono e si sbandarono, lasciando nella fuga precipitosa, armi, cannoni e bagagli. Solo alcune schiere, guidate dal Saint-Cyr, riuscirono in ordine a ripiegare su Gavi. Ottomila uomini persero gli Austro-russi; dodicimila i Francesi e nessuno di loro forse sarebbero scampati all'inseguimento se questo non fosse stato interrotto dalla notte. Fra i prigionieri francesi ci furono i generali Colli, Pérignon e Grouchy.

Il Suwaroff non trasse alcun profitto dalla vittoria di Novi. Mentre se avanzava in Liguria avrebbe indubbiamente cacciato senza nessuna difficoltà i Francesi e, impadronitosi della regione, avrebbe paralizzato le mosse dell'esercito dello Championnet, minacciando il Nizzardo. Invece, prima indugiò a Novi, poi se ne andò ad Asti e diede tempo al Moreau di provvedere alla difesa di Genova e di riordinare le sue truppe da respingere, il 31, con le divisioni Watrin e Miollis gli Austriaci del Klenau, i quali dalla Toscana si erano portati a Chiavari, a Rapallo e a Recco.
Come motivo della sua inattività il Suwaroff - che già era in dissidio con i generali austriaci ed avversava le mire di Vienna sull'Italia - lo giustificò affermando che c'era la minaccia dello Championnet; ma questa, in verità, non era tale da preoccupare un uomo geniale (con la nomina di uomo dalle decisioni immediate e audaci) come il Suwaroff. Lo Championnet difatti non aveva che sedicimila uomini, male armati e non mirava che a proteggere le comunicazioni del Moreau con la Francia e a consolidarsi sugli sbocchi dei valichi alpini. Infatti, proprio con questa finalità, nell'ultima decade di agosto fece avanzare alla destra il generale Compans per le valli della Stura e della Maira fin sotto le mura di Cuneo; al centro fece liberare dal Lescrire il forte di Fenestrelle dal blocco per poi occupare Pinerolo; al Molard affidò l'incarico di espugnare Susa, e infine spinse alla sinistra il Mallet che s'impadronì della città di Aosta e del forte di Bard.

Più pericoloso, se mai, poteva considerarsi il Moreau, che mirava a soccorrere la cittadella di Tortona; ma questa, dopo un inutile tentativo fatto dal Watrin di portarle aiuto, capitolò l'11 di settembre.
Il vero motivo dell'inattività del Suwaroff si deve invece ricercare altrove.
L'Austria e l'Inghilterra, temendo, la prima che lo Zar voleva prendere per sé la Liguria e mischiarsi un po' troppo nelle cose d'Italia, la seconda che la Russia volesse contrastarle l'egemonia nel Mediterraneo orientale, avevano proposto a PAOLO I di portare lo sforzo maggiore della guerra sulla Svizzera e sul Reno, mandando nella prima contro il Massena gli eserciti russi del Suwaroff e del Rimski Korssakoff, e in Germania l'Arciduca CARLO.
Lo Zar aveva accettato la proposta e il Suwaroff il 27 agosto aveva ricevuto l'ordine di lasciar l'Italia alle truppe austriache e di trasferirsi sul fronte svizzero. Sapendo di dover partire dal Piemonte, il generalissimo russo non aveva alcuna voglia di fare uno sforzo supremo contro i Francesi, che avrebbe giovato esclusivamente solo alla politica espansionistica dell'Austria.

Il Suwaroff partì verso la metà di settembre ed allora l'Italia divenne un teatro secondario della guerra. L'esercito austriaco e quello francese si equivalevano per numero e tanto l'uno quanto l'altro si trovava in grado di riprendere l'offensiva con successo; ma né il Melas né lo Championnet erano generali dalle grandi iniziative ed entrambi sciuparono molto tempo intorno a Cuneo, il primo per conquistarla, l'altro per difenderla.
Finalmente il 4 novembre, i due eserciti vennero a battaglia presso Genola. I Francesi, battuti con gravissime perdite, si ritirarono su Genova e nel Nizzardo, lasciando a Cuneo il generale Clement. Questo resistette per un mese, ma il 4 dicembre, disperando di ricevere soccorsi, capitolò.

Con la resa di Cuneo si chiudeva in Italia la campagna del 1799. Gli Austriaci erano padroni, dopo otto mesi di lotta, della Lombardia, del Piemonte, dell'Emilia, delle Romagne e della Toscana; ma i Francesi, ridotti nella sola Liguria in Italia, in Svizzera, avevano, per merito del MASSENA, riportate decisive vittorie e, aiutati involontariamente dalla politica egoistica dell'Inghilterra e dell'Austria, si erano liberati di un potente nemico, lo ZAR, il quale, non volendo adoperarsi oltre per accrescere i domini dell'una e dell'altra potenza, richiamava i suoi eserciti dal teatro della guerra.

Lasciamo il Piemonte, e andiamo a vedere invece
la situazione in TOSCANA
e cosa era accaduto nel frattempo nel corso di questo stesso anno
cioè le reazioni di questo popolo....

che credeva di aver ricevuto la libertà in questo 1799 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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