LA "QUESTIONE MERIDIONALE"

REGNO DELLE DUE SICILIE
- ULTIMO ATTO

( anno 1860 )


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(visto dalla loro parte )

gli argomenti

PERIODO - Prologo (in queste pagine)

segue...

PERIODO - La rivolta- Da Quarto a Marsala
PERIODO - Calatafimi - Palermo
PERIODO - Milazzo - Disfatta calabra
PERIODO - La battaglia sul Volturno
PERIODO - L'invasione Piemontese
PERIODO - L'assedio di Gaeta
PERIODO - Le ultime Bandiere -Conclusione
PERIODO - Cronologia - Le date
PERIODO - L''Esercito - Bibliografia
PERIODO "Atti ufficiali del Parlamento del Sud" - Elezioni) -
IL BRIGANTAGGIO - gli anni infami

(quando Visconti Venosta interpellò il Governo Inglese affinché cedesse
un'isola nell'Oceanoo nel Borneo per allestirvi un campo di deportazione dei meridionali
(in quel periodo già arrestati ca.20.000) considerati dal Governo Sabaudo pericolosi)
L'Olanda si oppose. E l'Inghilterra ritenne "ripugnante" la richiesta.

( poi lo fecero a Fenestrelle in Piemonte )

Il "Lager" dei Savoia >>>>>>>

vedi anche in rete
https://www.youtube.com/watch?v=Gv2W0_TwtgI
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da Saggi:
· nr. 3, anno 2002, del periodico DUE SICILIE, casella postale 305, 36100 Vicenza)
· CIANO Antonio, I Savoia e il massacro del Sud, Grandmelò, 1996.
“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole,
squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare
col marchio di briganti
. (Antonio Gramsci, da L'Ordine Nuovo, 1920)

· ALIANELLO Carlo, La conquista del Sud - Il Risorgimento nell'Italia meridionale, Rusconi, 1982.
· BEVILACQUA Germano, I Mille di Marsala - album fotografico, Manfrini, 1985.
· BOERI Giancarlo, CROCIANI Piero e FIORENTINO Massimo, L'Esercito Borbonico dal 1830 al 1861, SME Ufficio Storico, 1998.
· BRACALINI Romano, Non rivedrò più Calatafimi - I garibaldini: uomini sogni avventure e battaglie, Rizzoli, 1989.
· CONIGLIO Giuseppe, I borboni di Napoli, TEA, 1995.
· DE CESARE Raffaele, La fine di un Regno, Longanesi, 1969.

Edward Luttwak: meglio un Sud indipendente
INTERVISTA A EDWARD LUTTWAK, DI GIANNI PERELLI - NEWTON & COMPTON, 1997
sabato 4 agosto 2012 di duesicilie http://www.duesicilie.org/spip.php?article459


 

PROLOGO - IL REALE ESERCITO BORBONICO

Francesco II

Il 22 maggio 1859, dopo una malattia durata quattro mesi, moriva Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie. Lasciava il suo trono al primogenito ventitreenne Francesco II, duca di Calabria, avutolo dalla prima moglie Maria Cristina di Savoia, morta a seguito del parto in odore di santità.
Franceschiello, così era chiamato dal popolino, sarebbe stato l'ultimo Re di Napoli, discendente di Carlo III, figlio del re di Spagna Filippo V di Borbone. Carlo III aveva conquistato il Regno nel 1735, scacciando gli austriaci e dando l'indipendenza alle Due Sicilie, dopo secoli di vicereame.
Passato al trono di Spagna, a Napoli gli successe il figlio Ferdinando I, detto Re Nasone, poi Francesco I e, infine, Ferdinando II, detto Re Bomba. Quest'ultimo aveva organizzato le Forze Armate con particolare cura, costituendo una moderna e numerosa marina e un esercito ben armato ed equipaggiato e addestrato ottimamente. Mancava, però, di ottimi generali.

La II guerra d'indipendenza

Egli lasciò il trono al figlio in un momento estremamente delicato : il Piemonte, con l'appoggio della Francia, aveva vinto la II guerra d'indipendenza contro l'Austria (27 aprile - 11 luglio 1859), creando un nuovo Regno formato dall'ex Regno di Sardegna, dalla Lombardia tolta all'Austria, dai disciolti Ducati di Parma e Modena, dalle Legazioni Pontificie di Emilia e Romagna, dall'ex Granducato di Toscana.

Il Regno di Ferdinando II

Un fervore patriottico attraversava tutta la penisola, accendendo pericolosi focolai di ribellione. In Sicilia l'insurrezione esplose nella primavera del 1860, quando il protettore storico della dinastia borbonica di Napoli, l'Austria degli Asburgo, attraversava una profonda crisi interna ed era, quindi, incapace di interventi esterni.
Ferdinando II aveva perseguito una politica di assoluta neutralità e di isolamento dal contesto
italiano ed europeo ; inoltre aveva duramente represso ogni tentativo democratico di riformare le leggi del Regno. Questa politica aveva posto la sua dinastia al di fuori di quel processo politico-
militare che aveva quale obiettivo l'indipendenza e l'unità di tutta la penisola italiana. La costituzione, concessa dopo i moti del 1848, non era mai stata abrogata, ma Ferdinando la ignorava, consegnando il governo del paese ai circoli più reazionari della corte, mentre le menti più riformiste ed illuminate del Regno erano relegate ai margini del potere, se non si trovavano in carcere o in esilio.

Maria Sofia

Dunque, la situazione politica che ereditava Francesco II era delicatissima. Egli, quando salì al trono, aveva da poco sposato la bellissima diciottenne Maria Sofia di Wittelsbach, nipote del re di Baviera Massimiliano II, figlia del duca Max e sorella della leggendaria Sissi, imperatrice d'Austria. L'esuberante e coraggiosa Regina di Napoli era l'esatto contrario del consorte, abulico e assente ; da buon meridionale, attaccatissimo alla famiglia ; dedito alla religione ed alla venerazione della madre, Maria Cristina di Savoia, morta in odore di santità dopo il suo parto. Per Francesco il trono comportava un carico di responsabilità cui si sentiva del tutto ìmpari. Avrebbe sicuramente preferito diventare frate che Re. Spesso ripeteva : "Dio mio come pesa questa corona!"

La situazione politico-economica delle Due Sicilie

Le strutture politiche ed amministrative del Regno erano ormai decrepite ; l'economia delle zone interne ferma; le strade poche ed inadeguate ; le libertà personali e politiche erano inesistenti e la polizia potentissima e vessatoria; la situazione sociale era precaria per la povertà dei contadini e l'arretratezza del sistema agrario. Le riforme agrarie promosse dai Borbone erano state boicottate e, negli effetti, ridimensionate da una potentissima aristocrazia terriera, rapace ed inefficiente, attaccatissima ai propri privilegi, tanto da passare immediatamente dalla parte dei nuovi padroni, i Savoia, pur di conservarli. Tutto ciò era aggravato dalle scarse qualità politiche degli uomini che circondavano il Re.
Ma non tutta l'eredità di Ferdinando II era negativa : Francesco si ritrovò a governare un paese amministrato bene, ordinato, prospero nelle sue zone costiere, grazie anche ad una numerosa ed attiva marina mercantile, finanziariamente stabile, con una polizia efficiente ed un buon esercito.
Ma il nuovo Re non aveva ricevuto alcuna educazione militare e sportiva, e finì col trascurare
l'esercito.

Il Real Esercito Borbonico

Nel 1860 il Real Esercito Borbonico aveva sotto le armi poco meno di centomila uomini, gendarmeria compresa ; esso comprendeva : 15 rgt di fanteria di linea; 1 rgt di carabinieri a piedi; 16 btg di cacciatori nazionali; la fanteria della guardia reale, con 2 rgt granatieri, 1 rgt cacciatori e 1 btg tiragliatori; 1 rgt fanteria di marina; 9 rgt di cavalleria, di cui 2 di ùssari, 3 di dragoni, 2 di lancieri, 1 di carabinieri a cavallo e 1 di cacciatori a cavallo; l'arma dell'artiglieria con 2 rgt a piedi, 1 cpm a cavallo, 1 btg artefici, 1 corpo artiglieri litorali, 1 btg treno e un corpo politico; il corpo del genio con 1 btg zappatori-minatori e 1 di pionieri; 1 btg di riserva formato da 8 cmp provinciali; 2 cmp di guardie del corpo del Re (1 a piedi e 1 a cavallo); 18 squadroni provinciali di guardie d'onore; 24 cmp di compagni d'armi (solo in Sicilia); 12 btg di guardie interne di sicurezza (solo a Napoli); 1 rgt di veterani; 5 btg di gendarmeria a piedi e 5 squadroni a cavallo. Il nocciolo duro era costituito dal corpo di fanteria estera, formato da 2 btg carabinieri leggeri e 1 btg carabinieri cacciatori, appoggiati da 1 batteria leggera; vi militavano mercenari svizzeri, austriaci, boemi, croati e bavaresi.
L'esercito era reclutato con il volontariato e con la coscrizione sul continente, solo con arruolamenti volontari in Sicilia. I giovani coscritti venivano estratti a sorte dal proprio comune, ma potevano ottenere l'esenzione pagando un volontario che li sostituisse. L'obbligo di servizio era di dieci anni, dei quali cinque di servizio attivo e cinque nella riserva.
Gli ufficiali provenivano, in massima parte, dai sottufficiali, che normalmente non andavano
oltre il grado di capitano. Pochi, e questi erano ottimi, delle armi d'artiglieria e del genio, uscivano dal collegio militare della Nunziatella. Il Sovrano aveva, inoltre, facoltà di conferire il
grado di ufficiale a guardie del corpo che superavano l'apposito esame.
I volontari nazionali si arruolavano con una ferma di otto anni, quelli esteri di quattro anni, ambedue con buone possibilità di rafferma.
I caporali ed i sottufficiali provenivano in larga maggioranza dagli allievi della scuola militare di Maddaloni che si arruolavano con una ferma di dieci anni, con ottime probabilità di carriera come sottufficiali e con discrete possibilità di passare ufficiali in futuro, superando gli appositi esami.
L'Esercito Borbonico era carente nell'organizzazione logistica e soffriva la mancanza di un
ottimo comandante generale, che Francesco non riuscì mai a trovare. Ma il problema più grave era il tarlo del tradimento che aveva colpito le alte gerarchie. Sintomatico fu quello del generale
Nunziante, appartenente ad una famiglia che aveva sempre servito fedelmente la dinastia borbonica, ottimo ufficiale, consigliere militare del Re e responsabile dell'addestramento del Corpo dei Cacciatori che non aveva nulla da invidiare ai bersaglieri piemontesi e che rappresentava il punto di forza dell'esercito.
Anche gli alti ufficiali della Regia Marina Borbonica tradirono, evitando di intercettare le navi garibaldine e consegnando, infine, le navi al nemico.

L'alleanza sardo-napoletana

Nel frattempo gli avvenimenti politico-militari della penisola incalzavano. Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, tentò di porgere una mano amichevole a Francesco, inviandogli l'ambasciatore Ruggero Gabaleone, conte di Salmour, per ottenere l'appoggio alla politica volta ad assicurare l'indipendenza nazionale dall'Austria. Era un programma ardito che aveva come prospettiva una confederazione italiana, e che avrebbe, dunque, assicurato l'autonomia e la sopravvivenza del Regno delle Due Sicilie e della sua dinastia nell'ambito della nazione italiana.
Ma quest'ultima scialuppa di salvataggio per i Borbone e per il loro Regno non fu sfruttata da Francesco, il quale, per carattere e per la promessa fatta al padre morente, preferì conservare una stretta neutralità che ebbe come conseguenza l'isolamento politico in Italia ed in Europa.

Filangieri

Nel marzo del '60, in quel periodo di rivolgimenti politici e militari, il primo ministro Carlo Filangieri, diede le dimissioni. Si trattava dell'unico uomo della corte ad avere lo spessore politico sufficiente a quella carica. Nato nel 1784 a Cava de' Tirreni, figlio del famoso giurista Gaetano, giovanissimo era stato portato in Francia, dove, terminati gli studi, si arruolò nell'esercito francese, fu promosso sottotenente nel 1803, partecipò a tre campagne, subì due ferite e fu promosso per merito di guerra ad Austerlitz. Congedatosi nel 1806, si arruolò nell'esercito napoletano di Giuseppe Buonaparte e partecipò all'assedio di Gaeta ed alla campagna di Calabria. Nel 1808 seguì Giuseppe Buonaparte in Spagna, ma, ucciso in duello un ufficiale corso che aveva offeso i napoletani, fu costretto a tornare a Napoli, dove fu scelto dal nuovo re Gioacchino Murat come suo collaboratore. Colonnello del 3° Leggero nel 1811, maresciallo di campo nel 1813, fu gravemente ferito nel 1815, caricando gli austriaci in un ponte sul Tànaro con soli 24 lancieri, meritandosi la promozione a tenente generale. Dopo la restaurazione dei Borbone, fece parte del Supremo Consiglio di Guerra di Ferdinando I. Fu espulso dall'esercito dopo i moti del 1820-21 e vi fu richiamato da Ferdinando II nel 1831. Ispiratore delle riforme ferdinandee degli anni trenta, riordinò le armi dotte (genio e artiglieria) portandole ad ottimo livello. Riconquistata la Sicilia nel 1849, vi rimase come Luogotenente sino al 1855, pacificandola con accorto governo. Fu richiamato in politica da Francesco II, il quale lo nominò Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro della Guerra nel 1859. Si trattava, senza dubbio, di una figura di militare e di politico eccezionale, soprattutto se raffrontata agli altri componenti della corte borbonica. Arrivò alle dimissioni non essendo riuscito ad imporre le sue idee di stampo riformistico moderato.
Il Re lo sostituì con l'ottantenne siciliano Antonio Statella, principe di Cassaro, il quale nominò Ministro della Guerra il tenente generale Francesco Antonio Winspeare, sessantaseienne di Pòrtici, di antiche origini inglesi, vecchio ufficiale murattiano, divenuto, poi, ultraconservatore. Il vecchio principe di Cassaro non aveva né la forza né le capacità di affrontare le difficili condizioni in cui già si trovava il Paese, il quale stava scivolando sempre più verso il baratro.

La Costituzione

Dopo lo sbarco garibaldino, Franceschiello, timido ed irresoluto, non seppe reagire adeguatamente alla viltà ed al tradimento di molti suoi generali. Il generale Lanza, corrotto dai piemontesi, consegnò Palermo a Garibaldi, mentre il Re, invece di farlo fucilare, lo inviò a domicilio coatto; poi ripristinò la costituzione del 1848. Ciò comportò l'entrata nel Governo di personaggi di idee liberali e simpatizzanti per Garibaldi, quale il ministro degli interni Liborio Romano. Molti fedeli del Borbone si defilarono, mentre il Governo teneva una condotta ambigua, e l'esercito, minato dal tradimento di molti generali, andava disgregandosi.

L'ultima resistenza

La reazione di Francesco ebbe inizio solo dopo la presa di Napoli da parte di Garibaldi (7 settembre), ma era troppo tardi. Liberatosi dal Governo liberale, riorganizzato l'esercito, incoraggiato dalla temeraria consorte e seguito dai fedelissimi, oppose una dura resistenza contro l'avanzata dei garibaldini e dei piemontesi, prima sul Volturno, poi sul Garigliano, infine nella fortezza di Gaeta, arresasi , dopo 103 eroici giorni di assedio, il 13 febbraio 1861.

IL REAL ESERCITO BORBONICO

L'esercito di Ferdinando

Ferdinando II di Borbone, unico sovrano della sua dinastia ad interessarsi di problemi militari, riuscì nei primi anni del suo regno ad approntare ed organizzare un esercito adeguato alle necessità della sua politica estera ed al controllo dell'ordine pubblico. Quando, dopo il 1848, Ferdinando II accentuò il proprio indirizzo politico, esaltando l'atteggiamento di chiusura verso gli ideali risorgimentali che stavano sconvolgendo gli equilibri della Penisola, l'organizzazione militare borbonica subì un'involuzione, perdendo gran parte della propria efficienza ed operatività, scadendo in un esercito di caserma, con un sistema di reclutamento ed avanzamento che portava ad un eccesso di quadri in età troppo avanzata per il grado ricoperto, scarsamente preparati professionalmente e troppo legati alla vita di guarnigione.
Tali difetti si acuirono sotto il breve regno di Francesco II, succeduto al padre nel maggio del 1859, privo di preparazione militare e non dotato di una personalità altrettanto forte. L'impreparazione dell'Esercito Borbonico si fece evidente in tutta la sua drammaticità quando il Regno, trovatosi politicamente isolato, si vide costretto ad affrontare le forze garibaldine. L'inadeguatezza dei comandi, la mancanza di una ben precisa e chiara linea d'azione, l'indecisione sugli obiettivi militari e politici da conseguire possono spiegare le dure sconfitte patite tra il maggio e il settembre 1860, mentre l'inaspettata tenacia, l'abnegazione ed il valore dimostrati sui campi di battaglia negli ultimi mesi di vita del Regno, al Volturno, nella difesa di Gaeta e Civitella del Tronto, possono essere ricondotti invece al sentimento di fedeltà alla monarchia borbonica, all'onore militare e all'attaccamento ad un'istituzione che aveva permesso a molti militari di carriera una sia pur modesta elevazione sociale in una realtà di profonda arretratezza economica e culturale della massa della popolazione.

L'esercito di "Franceschiello"

L'esercito del nuovo Re, Francesco II detto Franceschiello, fu assunto nel futuro a modello inefficienza ed inettitudine, ma, malgrado questa cattiva fama, bisogna dire che il giovane Sovrano qualche riforma tentò di attuarla, allo scopo di rendere lo strumento militare più efficiente. Passò ai Corpi sedentari molti ufficiali non più idonei al servizio operativo, promuovendo ufficiali più giovani; potenziò la Gendarmeria, la Fanteria di Linea ed i Cacciatori; inviò in Abruzzo una colonna mobile formata da 8 btg, 8 squadroni, 2 cmp zappatori e 2 batterie d'artiglieria al comando di un giovane e capace generale, Salvatore Pianell, allo scopo di difendere i confini del Regno da eventuali attacchi provenienti dalle truppe del Governo Provvisorio di Bologna, attraverso le Marche. Per controbilanciare l'eccesso di istruzione da piazza d'armi, che caratterizzava la fanteria e la cavalleria di linea, ordinò di far esercitare la cavalleria nelle manovre di fuoco e di preparare ufficiali e sottufficiali al servizio di campagna. Nel 1860 chiamò alla leva 18.000 uomini, facilitando anche l'afflusso di volontari e la rafferma dei congedanti. Aumentò, inoltre, gli organici del Corpo Sanitario, insufficiente ad un esercito di quasi centomila uomini.
Malgrado queste riforme l'esercito borbonico rimaneva con una ufficialità ancora troppo anziana e non sufficientemente preparata e truppe ancora in fase di riorganizzazione e di ammodernamento dell'armamento. Nel complesso si trattava, comunque, di uno strumento militare sufficiente alla difesa del Regno, con una forza di 2.869 ufficiali e 93.041 sottufficiali e soldati nell'aprile del 1860, cifre risultanti dalla rivista militare napoletana "La guerra".

Reclutamento ed avanzamento

L'Esercito Borbonico si alimentava normalmente con la leva. Inoltre arruolava volontari provenienti sia dalla vita civile che fra i soldati a fine ferma.
Era previsto che i coscritti prestassero cinque anni di servizio attivo e poi cinque anni nella riserva, alle proprie case, con l'obbligo di ripresentarsi alle armi in caso di bisogno. Il coscritto poteva scegliere di prestare servizio attivo di otto anni, senza passare poi nella riserva. Era il Re a fissare il numero dei coscritti da chiamare alle armi ogni anno. Questo numero era propozionalmente ripartito tra tutti i comuni del Regno, ad eccezione di quelli siciliani che erano esenti dalla leva. Erano di volta in volta assoggettati alla leva i giovani che in quell'anno erano compresi tra i 18 e i 25 anni. Ogni comune estraeva a sorte il numero di nomi previsto per quell'anno, inviando, poi, nel capoluogo di provincia i giovani prescelti che, superate le visite mediche del consiglio di leva, dovevano raggiungere la compagnia deposito del corpo a cui erano stati assegnati, dove venivano addestrati per circa sei mesi. Le reclute dovevano risultare di sana e robusta costituzione ed essere alte almeno cinque piedi (circa m. 1,62). Il giovane estratto poteva essere sostituito da un fratello o da un parente con le stesse qualità fisiche; poteva anche effettuare lo scambio con un altro giovane della stessa leva, però l'anno successivo sarebbe stato sottoposto nuovamente al sorteggio se entro i limiti di età. Infine era prevista l'esenzione mediante un cambio, da prendersi a pagamento tra i soldati in congedo o tra i giovani esenti dall'obbligo di leva. La cifra era, però, alla portata di pochi: 240 ducati, cioè circa sei milioni di lire nel 1995, da consegnare al sostituto. In ogni caso le popolazioni delle Due Sicilie si erano gradualmente abituate alla coscrizione, tanto che nel 1860 i renitenti alla leva erano un numero irrilevante.
Esisteva anche l'arruolamento volontario con una ferma di otto anni per i sudditi delle Due Sicilie e di quattro per gli stranieri. I volontari usufruivano di un premio di ingaggio e, insieme ai coscritti, avevano la possibilità si raffermarsi per altri otto anni o, in alternativa, per quattro o per due. I centri di reclutamento per i volontari stranieri erano in territorio asburgico (Bregenz e Lecco), in Francia (Besancon) e nel Granducato del Baden (Costanza). Questi mercenari venivano incorporati nei battaglioni cosiddetti "esteri".
Dei volontari "speciali" erano quelli arruolati nel btg allievi militari con sede a Maddaloni. In esso potevano essere ammessi solo i figli dei militari di carriera di età compresa tra i dodici e i diciotto anni. Oltre agli esercizi militari, gli allievi studiavano letteratura, calligrafia, disegno e religione. Alla fine del corso, della durata di cinque anni, erano inviati ai corpi come soldati semplici e con una ferma di dieci anni. Considerata la loro preparazione superiore ad un soldato coscritto e ad un normale volontario, avevano il 50% dei posti riservati agli esami per caporale, al quale potevano partecipare dopo un anno di servizio al reparto. Poi, da questo grado, si poteva accedere alla carriera di sottufficiale tramite il superamento di esami e in base ai posti vacanti negli organici. Promossi sottufficiali, si riceveva l'istruzione al corpo stesso, con lezioni di maneggio delle armi, tiro, marcia, equitazione (per la cavalleria), calligrafia ed aritmetica.
Gli ufficiali, per due terzi, provenivano dai sottufficiali che avevano superato l'apposito doppio esame da 1° sergente a portabandiera o aiutante, e da portabandiera o aiutante ad alfiere; per un terzo provenivano dagli allievi del Collegio Militare della Nunziatella e dalle guerdie del corpo del Sovrano, i primi destinati in maggioranza all'artiglieria e al genio (detti corpi facoltativi o dotti), i secondi in cavalleria e fanteria. Alla Nunziatella si entrava previo esame e con un'età compresa tra i tredici e i quindici anni, e si frequentavano sei anni di corso molto impegnativi che permettevano la formazione di ottimi ufficiali, fra i quali nomi illustri del patriottismo italiano: Carlo Pisacane, Girolamo Ulloa, Enrico Cosenz, Luigi e Carlo Mezzacapo. Gli allievi della Nunziatella, terminato il corso, uscivano come alunni alfieri, con l'obbligo di servire per un determinato periodo di tempo, in genere qualche mese, come artigliere (o geniere) o sottufficiale, per poi guadagnare i gradi di alfiere. La carriera si svolgeva molto lentamente per vuoti organici. Si avanzava a tenente e a maggiore tramite il superamento di appositi esami, mentre si raggiungevano i gradi di capitano, tenente colonnello e colonnello per anzianità. Ciò provocò un intasamento dei ruoli, una media di età molto alta anche negli ufficiali subalterni e una mancanza di stimoli all'impegno per fare carriera.

Il Corpo della Gendarmeria Reale

Il Real Esercito Borbonico era formato dalla Gendarmeria, Fanteria, Cavalleria, Corpi Facoltativi (Artiglieria e Genio), Truppe Sedentarie, alle dipendenze di due Comandanti Generali delle Armi, uno con sede a Napoli (detto al di qua del Faro), l'altro con sede a Palermo (detto al di là del Faro). Ambedue dipendevano dal Sovrano che rivestiva la carica di Capitan Generale dell'Esercito.
La Gendarmeria Reale era un corpo militare, con unità sia a piedi che a cavallo, addetto a compiti di ordine pubblico e di forza armata della giustizia, ma anche con compiti di corpo combattente. Per il servizio di ordine pubblico dipendeva dal Ministero dell'Interno e dalle autorità civili, per l'organizzazione, l'addestramento e l'impiego in guerra dipendeva dai comandi militari. Al comando del corpo c'era un ufficiale generale ispettore.
I gendarmi venivano reclutati sia direttamente tra le reclute della leva che tra i soldati dell'esercito, ma tutti dovevano possedere requisiti più selettivi rispetto a quelli arruolati negli altri corpi, tra i quali saper leggere e scrivere ed essere alti almeno 5 piedi e 3 pollici (circa m. 1,70 ).
La Gendarmeria a piedi era divisa in cinque battaglioni: 1° btg competente per Napoli e Terra del Lavoro; 2° btg per i due Principati e la Basilicata; 3° btg per le Calabrie; 4° btg per le Puglie; 5° btg per Abruzzi e Molise. Ogni btg comprendeva 6 cmp composte da 4 ufficiali e 200 uomini ciascuna. Ogni btg era affiancato da uno squadrone di Gendarmeria a cavallo composta da 5 ufficiali e 130 uomini. In totale nel 1860 la Gendarmeria aveva tra le sue file circa 7000 uomini.

Il Corpo delle Compagnie d'Armi

In Sicilia esisteva un corpo di polizia specifico, le Compagnie d'Armi, residuo delle guardie feudali agli ordini dei baroni. Erano 24 cmp, una ogni distretto, ed operavano a cavallo nelle campagne (per cui erano detti dal popolo birri di campagna) per la prevenzione e la repressione degli abigeati e nel servizio di vigilanza nelle strade rurali.

Guardia di Interna Sicurezza e Guardie Urbane

Ad affiancare la Gendarmeria nel servizio di ordine pubblico esistevano due corpi civili di territoriali, la Guardia di Interna Sicurezza nella capitale e le Guardie Urbane nelle restanti province del Regno. I componenti erano scelti tra i nobili, i proprietari terrieri, gli impiegati, i commercianti, i negozianti, i professionisti, gli artigiani ed i mastri di bottega, di età compresa tra i 24 ed i 50 anni e che avessero dimostrato attaccamento al trono e probità. Questi, addestrati periodicamente, erano mobilitati solo in caso di necessità.

La Fanteria

La fanteria del Real Esercito era composta dalla fanteria di linea nazionale, dalla fanteria leggera, dalla fanteria estera e dalla fanteria della Guardia Reale. La formazione tattica base della fanteria era la compagnia, composta da 4 ufficiali e 160 tra sottufficiali e truppa.

Fanteria di linea nazionale

Questa specialità non era altro che la fanteria pesante, la quale si schierava in linea sul campo di battaglia, si muoveva lentamente ed era armata con lunghi fucili.
Nel 1860 erano in forza 15 rgt fanteria di linea e un rgt carabinieri a piedi. Quest'ultimo era un reparto scelto, fondato nel 1848 con gli elementi più meritevoli della disciolta Gendarmeria Reale (ricostituita poi nel 1852), formato da due btg di sei cmp ciascuno, di cui una scelta, una di volteggiatori e quattro di carabinieri. I rgt di fanteria di linea erano: 1° Re, 2° Regina, 3° Principe, 4° Principessa, 5° Borbone, 6° Farnese, 7° Napoli, 8° Calabria, 9° Puglia, 10° Abruzzi, 11° Palermo, 12° Messina, 13° Lucania, 14° Sannio, 15° Messapia. Ogni rgt aveva un organico di circa 2000 uomini, divisi in due btg di sei cmp ciascuno, più la cmp deposito addetta all'addestramento delle reclute. Ogni btg aveva quattro cmp fucilieri, una granatieri ed una cacciatori.
Nel 1860 la fanteria di linea non doveva contare meno di 32000 uomini; Ispettore della stessa era il ten. gen. Demetrio Lecca, settantunenne albanese, uno degli ultimi rappresentanti di quella nutrita colonia greco-albanese militante nei rgt macedoni al servizio del Re di Napoli dai tempi di Carlo III.

Battaglioni Cacciatori

Si trattava di truppe di fanteria leggera, probabilmente la migliore specialità dell'esercito napoletano, ammirate e stimate anche da osservatori stranieri e dallo stesso Garibaldi. Questi battaglioni costituivano il vero fulcro operativo dell'esercito e la campagna del 1860 confermò la qualità del reclutamento e soprattutto la validità dei metodi addestrativi e di impiego tattico. All'epoca esistevano 16 btg cacciatori, con un organico di circa 1300 uomini ciascuno, divisi in otto compagnie. L'intero corpo superava i 20000 uomini.

La fanteria estera

Nel 1859, a seguito della sollevazione dei rgt svizzeri 2° e 3°, il Corpo di Fanteria Svizzera fu sciolto e vennero costituiti tre btg, denominati esteri: 1° e 2° btg carabinieri leggieri e 3° btg carabinieri cacciatori, nelle cui file militavano mercenari svizzeri, austriaci, bavaresi e francesi, inquadrati da ufficiali svizzeri o svizzero-napoletani dei rgt disciolti. Fu costituito anche un btg veterani carabinieri, formato da soldati svizzeri anziani e meritevoli che avevano rifiutato il congedo, avente però un organico ridotto, quattro cmp invece di otto, 600 uomini invece dei 1300 degli altri btg esteri. Appartenente al Corpo Esteri c'era anche una batteria da quattro leggiera, assegnata ai carabinieri leggieri, dotata di pezzi rigati.

La fanteria della Guardia Reale

La Guardia Reale era considerato il corpo d'élite dell'esercito. In essa venivano arruolati i giovani più alti e prestanti, nonché più raccomandati. Nel 1860 l'organico della fanteria della Guardia Reale era di circa 9300 uomini, suddivisi nella brg Granatieri della Guardia (circa 4000 uomini) su 1° e 2° rgt, e nella brg Cacciatori della Guardia (circa 5300 uomini) su 3° rgt Cacciatori, rgt Real Marina e btg Tiragliatori; il rgt Real Marina, ottimamente addestrato ed equipaggiato, aveva compiti di fanteria di marina e, spesso, era imbarcato per operazioni di sbarco; il btg Tiragliatori era simile per struttura e compiti ai btg cacciatori. Ispettore comandante della Guardia Reale era il ten. gen. Massimo Selvaggi, molisano di ben 82 anni, il quale ebbe come unica preoccupazione di preparare i rgt della Guardia alla massima fedeltà verso la dinastia, disinteressandosi dei compiti strettamente militari. Il risultato fu quello di un corpo ancorato a vecchi schemi tattici ed impreparato ad affrontare un combattimento in campo aperto, soprattutto dopo l'entrata in servizio dei fucili rigati. Diversa fu la situazione del rgt Real Marina, poiché, avendo compiti diversi, ebbe un addestramento specifico all'impiego come fanteria da sbarco.

Reali Guardie del Corpo

Addetti alla sicurezza del Sovrano e della sua famiglia era il reparto delle Guardie del Corpo, composto da una cmp a piedi ed uno squadrone a cavallo. La cmp era formata da un centinaio di guardie tratte dai sottufficiali benemeriti con almeno dodici anni di servizio attivo. Lo squadrone era formato da un centinaio di guardie a cavallo tratte tra cadetti di famiglia nobile; questi, dopo sei anni di servizio nello squadrone, sarebbero transitati, superato l'apposito esame, in fanteria o cavalleria col grado di alfiere.

Squadroni Provinciali di Guardie d'Onore

Questo corpo armato a cavallo aveva il compito di scorta della famiglia reale quando essa era in viaggio per il Reame. Formato dai maggiorenti volontari di ogni provincia, di età compresa dai diciassette ai quarant'anni. Esistevano 18 squadroni di circa 140 uomini ciascuno: 1° Napoli; 2° Terra di Lavoro; 3° Molise; 4° Calabria Ultra; 5° Abruzzo Ultra; 6° Abruzzo Citra; 7° Principato Citra; 8° Capitanata; 9° Calabria Citra; 10° Basilicata; 11° Terra d'Otranto; 12° disciolto; 13° Terra di Bari; 14°Principato Ultra; 15° Abruzzo Ultra Primo; 16° Palermo e Trapani; 17° Catania e Noto; 18° Girgenti e Caltanissetta; 19 ° Messina. L'ammissione a questo corpo era molto ambita poiché permetteva l'esenzione dal servizio di leva, ma le guardie dovevano montarsi e vestirsi a loro spese. In caso di guerra era previsto che il corpo si unisse alla Guardia Reale, ma non risulta che qualche squadrone di esso avesse partecipato ad eventi bellici nella campagna del 1860-61.

L'Arma della Cavalleria di Linea

Quest'Arma era costituita: dalla brg Cavalleggeri della Guardia Reale (1° e 2° rgt Ussari) con funzioni di cavalleria leggera; da tre rgt di dragoni (1° Dragoni Re, 2° Dragoni Regina, 3° Dragoni Principe) con funzioni di fanteria montata; dalla brg Lancieri (1° e 2° rgt), specialità inserita nell'esercito napoletano nel 1828, armata con lunghe lance; un rgt Carabinieri a cavallo, con compiti di cavalleria pesante, fondato nel 1848 con gli elementi più meritevoli della disciolta Gendarmeria Reale a cavallo; un rgt Cacciatori a cavallo, fondato nel 1848 con compiti di cavalleria leggera che potesse agire in tutti i tipi di terreno e armato di fucili a lunga gittata, in modo da potersi opporre alla fanteria.
Ogni rgt di cavalleria aveva nelle sue file 35 ufficiali e 758 sottufficiali e militari di truppa, suddivisi in due btg di due squadroni ciascuno e in uno squadrone di deposito per l'addestramento. Nel 1860 l'organico totale dei nove rgt di cavalleria doveva superare i 7000 uomini.

Il Corpo della Real Artiglieria

L'artiglieria faceva parte dei corpi facoltativi insieme al genio. Era composta da due rgt di artiglieria a piedi, 15 batterie montate (una estera), una cmp artiglieria a cavallo, un btg artefici, un corpo artiglieri litorali, un btg treno e un corpo politico d'artiglieria.
L'artiglieria a piedi era costituita dai rgt "Re" e "Regina", composti ciascuno da due btg, e ognuno di questi diviso in nove cmp di 153 uomini ciascuna, per un totale, dunque, di 18 cmp e circa 2700 uomini per reggimento.
Le batterie montate erano assegnate alle varie divisioni e brigate operative.
La cmp d'artiglieria a cavallo aveva come compito l'appoggio della cavalleria, utilizzando 180 uomini, una batteria con otto bocche da fuoco e 200 cavalli.
Il btg artefici, con una forza di 22 ufficiali e 1180 tra sottufficiali e militari di truppa, comprendeva: 1^ cmp armieri, addetta alla fabbrica d'armi; 2^ cmp artefici, addetta alla fonderia ed alla barena ed arsenale di Napoli; 3^ cmp, addetta all'opificio di Pietrarsa; 4^ artificieri, addetta al real opificio pirotecnico militare di Capua; la 5^ e la 6^ pontonieri.
Il Corpo Artiglieri Litorali, avente il servizio dell'artiglieria nelle batterie, nei forti, nei castelli e nelle piazza militari, era costituito da 20 cmp, di cui 12 nel continente e 8 in Sicilia. Ogni cmp era di forza variabile.
Il btg del treno, composto da sei cmp di un'ottantina di soldati e un centinaio di cavalli o muli ciascuna, era addetto al servizio dell'artiglieria a piedi ed ai trasporti militari.
Il Corpo Politico dell'Artiglieria aveva sia il compito di provvedere alla fabbricazione del materiale bellico negli stabilimenti e nelle manifatture militari, sia quello di custodire e mantenere questo nelle piazze, nei forti e nelle batterie del Regno. L'organico era di un centinaio di guardie e di una quarantina di operai specializzati.
L'organizzazione logistica del corpo era divisa in quindici direzioni operative, sei per gli stabilimenti di Napoli, Pietrarsa, Torre Annunziata e Mongiana; nove per le zone geografiche di Napoli, Capua, Gaeta, Pescara, Reggio, Taranto, Palermo, Messina e Siracusa.
Ristrutturata in modo efficiente e moderno nel 1832 da Ferdinando II, sotto l'illuminata guida dei generali D'Escamard e Filangieri, seppe aggiornarsi continuamente a livello tecnico e militare. Soltanto nel 1860 rimase indietro rispetto ad altri eserciti europei, adottando con ritardo la rigatura dei cannoni.
Gli ufficiali erano divisi in facoltativi e non facoltativi. I primi, molto preparati, provenivano dal Real Collegio Militare della Nunziatella; i secondi dalla classe dei sottufficiali e non potevano normalmente superare il grado di maggiore.
Nel 1860 l'artiglieria aveva in forza circa 9000 uomini, ed era diretta dal mar. Michele Negri per il materiale, dal mar. Giovanni Polizzy per il personale.

Corpo Reale del Genio

Il Corpo del Genio, insieme all'artiglieria, rappresentò la punta di diamante dell'Esercito Napoletano. Era diviso in undici direzioni competenti per territorio che si occupavano dell'efficienza delle piazzeforti. Inoltre, aveva due battaglioni, uno di zappatori-minatori, affidato ad ufficiali del corpo, ed uno di pionieri, affidato ad esperti ufficiali di fanteria. Gli zappatori-minatori erano addetti alle mine sotterranee, ai fascinaggi e all'assistenza per i lavori del genio nelle piazze; i pionieri erano destinati ai lavori del genio in campagna, cioè a preparare ed eseguire tutte quelle opere richieste per agevolare il passo al resto dell'esercito. Ogni btg aveva una forza di 1280 uomini, divise in otto cmp di 160 ciascuna. Dunque il genio contava 2500 uomini in organico, senza considerare il personale addetto alle undici direzioni.
La maggior parte delle opere civili e militari progettate e realizzate nel Regno tra il 1830 e il 1860 fu diretta da ufficiali del genio napoletano. Conosciuto in tutta Europa era l'Officio Topografico di Napoli, per le rilevazioni geodetiche e topografiche del territorio e l'incisione e topografia delle carte geografiche e delle osservazioni astronomiche.
Come per l'artiglieria, la classe degli ufficiali proveniva, salvo poche eccezioni, dai severi studi della Nunziatella.

Compagnie di riserva provinciali

Fondate nel 1850 per svolgere compiti secondari e sedentari, quali la guardia alle prigioni e la scorta ai detenuti, erano formate dagli elementi dell'esercito fisicamente meno validi. Nel 1859-60 erano otto cmp riunite in un btg a forza indeterminata (circa 1500-2000 uomini).

Rgt Reali Veterani

Formato da soldati non più in grado di prestare servizio attivo e destinato ad assolvere compiti presidiari. Era diviso in due btg, uno sul continente ed uno in Sicilia, il primo su nove cmp, il secondo su sei. Ogni cmp aveva un numero indeterminato di squadre di 10 uomini. Vi era poi il deposito di veterani invalidi su due cmp. L'intero rgt aveva in forza circa 1500-1700 uomini.

L'armamento

Le armi portatili dell'Esercito Borbonico erano in fase di rinnovamento. I vetusti e superati fucili ad anima liscia erano sostituiti gradatamente, a secondo delle disponibilità finanziarie, da nuovi fucili rigati, più potenti, più precisi e con un tiro utile pari al doppio dei vecchi.
I primi reparti a beneficiare di questo moderno armamento furono i reggimenti svizzeri (sostituiti nel 1859 da quelli detti esteri), ricevendo in dotazione la carabina rigata svizzera modello 1851 e il fucile modello Mongiana da 38 pollici con canna rigata calibro 17,5 e tiro utile di 700 metri.
Anche i battaglioni cacciatori e il btg Tiragliatori della Guardia Reale furono privilegiati nel ricevere le nuove armi. Nel 1860 avevano già tutti in dotazione la carabina belga modello 1850 da 32 pollici, con canna rigata calibro 17,1, tiro utile di 1000 metri, che utilizzava le micidiali palle cilindrico-ogivali ad espansione. In alternativa utilizzavano il fucile rigato da 38 pollici calibro 17,5 modello Mongiana.
I reggimenti di fanteria di linea iniziarono la campagna del 1860 quando erano ancora in fase di sostituzione delle vecchie armi. Essi avevano in dotazione il fucile a percussione da 38 o 40 pollici con canna ad anima liscia calibro 17,5. Le forniture dei moderni fucili procedettero più a rilento, ma furono intensificate dopo lo sbarco dei Mille, dando priorità ai reparti dislocati in Sicilia. Questi ricevettero il fucile modello Mongiana da 40 pollici, con canna rigata cal. 17,5. Stesso discorso per il rgt Carabinieri a piedi ed i rgt Granatieri della Guardia Reale.
L'artiglieria, il genio, la gendarmeria e la cavalleria erano in coda nell'ammodernamento delle armi portatili. I primi tre corpi utilizzavano il moschetto da 28 pollici a percussione, con canna ad anima liscia calibro 17,1. Nella primavera del 1860 solo l'artiglieria aveva appena iniziato a ricevere il moschetto da 28 pollici rigato. Tutti i corpi di cavalleria avevano in dotazione un'arma corta più leggera, il moschettone da 22 pollici, con canna ad anima liscia calibro 17,1. Costituiva eccezione il rgt cacciatori a cavallo che, essendo stato costituito anche per il combattimento a piedi contro la fanteria, utilizzava un fucile lungo, quello da 38 pollici con canna ad anima liscia calibro 17,5.
Riguardo ad obici e cannoni, l'artiglieria napoletana era rimasta molto indietro, utilizzando ancora pezzi ad anima liscia nella campagna del 1860-61, quando già l'esercito piemontese aveva in dotazione modernissimi pezzi rigati. Questa circostanza avrà peso determinante negli assedi di Messina, Capua, Civitella del Tronto e Gaeta, dove gli assedianti potranno colpire i difensori senza essere colpiti. Nella primavera del 1860 solo la batteria da quattro leggiera del Corpo Estero aveva in dotazione otto pezzi rigati.

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