ANNI 1905-1906

FORTIS E SONNINO - TENSIONI AUSTRIA - MOTI NEL SUD


TITTONI PRESIDENTE INTERINALE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, SUE DIMISSIONI - IL PRIMO MINISTERO FORTIS; IL PROGRAMMA - IL DISEGNO DI LEGGE PER L'ESERCIZIO DI STATO DELLE FERROVIE - SCIOPERO FERROVIARIO - DISEGNO DI LEGGE SULLE LIQUIDAZIONI FERROVIARIE - LA POLITICA ESTERA - LA QUESTIONE MAROCCHINA - TENSIONE DEI RAPPORTI ITALO-AUSTRIACI - STIPULAZIONE DEL "MODUS VIVENDI " CON IL GOVERNO SPAGNOLO - SANGUINOSI CONFLITTI IN PUGLIA E IN SICILIA - LA CALABRIA FUNESTATA DAL TERREMOTO - DIMISSIONI DEL GABINETTO - SECONDO MINISTERO FORTIS - ATTACCHI AL NUOVO GABINETTO - DIMISSIONI DI FORTIS - I NOVANTOTTO GIORNI DEL MINISTERO SONNINO - LE DIMISSIONI COLLETTIVE DEL GRUPPO PARLAMENTARE SOCIALISTA - CADUTA MINISTERO SONNINO

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IL PRIMO MINISTERO FORTIS - SUO PROGRAMMA

Come abbiamo visto nelle precedenti pagine, dopo le inconsuete "dimissioni" di GIOLITTI, nel marzo del 1905, che però furono considerate come "una fuga", l'incarico di costituire il nuovo Ministero, fu dal Re affidato all'on. ALESSANDRO FORTIS (su designazione di Giolitti), ma questi (che godeva di forti legami negli ambienti industriali e della finanza), dopo alcuni giorni di consultazioni, per le pretese dei giolittiani puri, i quali volevano che lui dichiarasse di essere delegato dell'ex presidente del Consiglio, rinunciò al mandato. Allora (il 16 marzo) il sovrano, accettò -questa volta- le formali dimissioni di Giolitti, ma riconfermò in carica i suoi ministri ed affidò all'on. TOMMASO TITTONI l'interim della presidenza del Consiglio e dell'Interno.

Riconvocata la Camera il 22 marzo, l'on. TITTONI fece le dichiarazioni seguenti:
"La presente crisi ha origine da un fatto estraneo al Parlamento, dalla malattia dell'on. Giolitti, che tolse al Governo il suo capo. Autorevoli designazioni indicarono alla Corona l'on. Fortis come interprete del programma e continuatore dell'on. Giolitti. Ma varie circostanze lo persuasero a declinare il mandato. Queste circostanze fecero dubitare se ancora si mantenesse compatta la maggioranza, che nelle elezioni dello scorso novembre, si era affermata intorno al programma del Ministero. E perciò per invito della Corona il Ministero dimissionario, costituzionalmente responsabile dell'atto che compie, si presenta al Parlamento per chiedere un voto non sugli uomini, ma sulle cose. Se, come noi crediamo e desideriamo, questa maggioranza, che univa diverse parti della Camera in un intento comune, sussiste sempre ed è sempre fedele al suo programma, essa si riaffermerà nelle suo forze più vive e più varie che si riassumevano nello strenuo duce, al quale, sapendo di esprimere l'animo degli amici e degli avversari, mando l'augurio di una rapida guarigione. Ma se la discussione o il voto del Parlamento additassero una maggioranza con un nuovo programma, anche in questo caso la nostra presenza su questo banco, che consideriamo come l'adempimento di un alto dovere politico, avrà contribuito ad un'opera di sincerità costituzionale".

Contro queste dichiarazioni parlarono diversi deputati, fra i quali SALANDRA che affermò che "la fuga del Governo innanzi al pericolo apparve l'estremo abbassamento dell'autorità dello Stato già parecchie volte compromessa", e BARZILAI che pronunciò un discorso pieno d'arguzia.
TITTONI prese nuovamente la parola per difendersi dalle critiche mossegli, concludendo con l'affermare che, anche senza l'onorevole Giolitti, sussisteva ancora un programma intorno cui si era raccolta la maggioranza.
Anche l'on. FORTIS parlò dichiarando che quella che si voleva considerare maggioranza personale dell'on. Giolitti si era raccolta intorno al programma tracciato nella relazione al re per lo scioglimento della Camera.

L'opposizione di Destra propose l'ordine del giorno puro e semplice, ma la Camera, lo respinse, e con 273 voti contro 88 approvò il seguente dell'on. MARSENGO BASTIA:
"La Camera, affermando che si deve continuare l'indirizzo di politica liberale, che costituì il programma delle ultime elezioni generali ed ebbe anche sanzione dalla maggioranza di quest'assemblea, passa all'ordine del giorno".
Dopo questo voto Tittoni si dimise e il Re riaffidò di nuovo l'incarico di comporre il Ministero ad ALESSANDRO FORTIS, che lo costituì il 28 marzo, assumendo la presidenza del Consiglio e il portafoglio dell'interno, lasciando TITTONI agli Esteri, il generale ETTORE PEDOTTI alla Guerra, il contrammiraglio CARLO MIRABELLO alla Marina, LUIGI RAVA all'Agricoltura, ANGELO MAJORANA alle Finanze, il Tesoro all'on. PAOLO CARSANO, i Lavori Pubblici all'on. CARLO FERRARIS, la Pubblica Istruzione all'on. LEONARDO BIANCHI, le Poste e i Telegrafi all'on. GISMONDO MORELLI-GUALTIEROTTI e la Grazia e Giustizia all'on. CAMILLO FINOCCHIARO-APRILE.

IL DISEGNO DI LEGGE PER L'ESERCIZIO DI STATO DELLE FERROVIE - SCIOPERO FERROVIARIO - DISEGNO DI LEGGE SULLE LIQUIDAZIONI FERROVIARIE

Il 4 aprile del 1905, FORTIS esponendo al Parlamento il suo programma, affermò che urgeva risolvere il problema ferroviario e prendere tutti i provvedimenti per assicurare, il l° luglio, il passaggio dell'esercizio delle ferrovie allo Stato; che doveva essere mantenuto il regime di libertà, che "in tutte le questioni, scaturite legittimamente dal nuovo movimento sociale dipendente dall'organizzazione non contrastata dei lavoratori, si sarebbero portati criteri d'equità e di confidenza, quali si convenivano verso nuove Energie" che potevano "armonizzare con le altre già costituite ed operanti nella vita sociale moderna", ma non si sarebbe mai consentito che l'autorità dello Stato fosse diminuita o disconosciuta, né che fossero minacciate "quelle ragioni d'ordine pubblico, le quali sono patrimonio comune e condizione essenziale del vivere libero e civile"; disse ancora che la politica estera, "chiaramente additata da ripetuti voti del Parlamento e dalla manifesta volontà del paese, fondata su salde alleanze ed amicizie" non poteva né doveva subire alcuna deviazione; che questa politica aveva scopi pacifici, ma il fermo proposito di assicurare al paese i benefici della pace non poteva far dimenticare le necessità di apprestare i mezzi di difesa e che perciò bisognava provvedere al miglioramento degli ordini militari e rivolgere speciali cure alla Marina.
"Che se per corrispondere a codesti supremi doveri e interessi nazionali, occorreranno più larghi mezzi, non certo il Parlamento italiano vorrà negarli. Dobbiamo e vogliamo però assicurarvi che non perderemo mai di vista i limiti imposti dalle nostre condizioni finanziarie e che procureremo tutte le possibili economie".

Il giorno 7-8 aprile, il ministro FERRARIS presentò il disegno di legge per l'esercizio di Stato delle ferrovie non concesse ad imprese private, nel quale, fra l'altro, si affermava che tutti gli addetti alle ferrovie esercitate dallo Stato, qualunque fosse il loro grado ed ufficio, erano considerati pubblici ufficiali e che coloro i quali abbandonavano o non assumevano l'ufficio o prestavano l'opera propria in modo da interrompere o perturbare la continuità e regolarità del servizio erano considerati dimissionari e quindi surrogati.
Per protestare contro questo disegno di legge, i ferrovieri, dietro disposizioni del Comitato degli Otto (sindacalisti rivoluzionari) proclamarono il 17 aprile uno sciopero generale dei ferrovieri, esteso per solidarietà agli altri lavoratori; ma l'ordine non fu eseguito che da metà del personale ferroviario e l'appoggio degli altri lavoratori fu molto scarso, un fallimento. Inoltre lo sciopero si svolse senza gravi incidenti, se si eccettuino quelli di Foggia, dove la truppa sparò sui ferrovieri uccidendone quattro e ferendone una dozzina.
Fallimento perché il Segretariato della resistenza si era rifiutato di collaborare con i "rivoluzionari" che avevano indetto lo sciopero, e quest'atteggiamento fece riemergere i forti contrasti all'interno dello stesso Segretariato, con le dimissioni di alcuni dirigenti riformisti, accusati dall'ala rivoluzionaria di aver abbandonato a se stessi i lavoratori.

Nonostante lo sciopero la Camera discusse in due giorni il disegno ferroviario cominciando il 17 e, nella seconda tornata del 19, lo approvò con 289 voti conto 45. Il Comitato degli Otto, vedendo fallito lo sciopero generale, il 20 ordinò di riprendere il lavoro. Anche il Senato, il 21 aprile, con 108 voti contro 9 approvò il disegno, che, il giorno dopo, divenne legge.
Sotto la responsabilità del ministro dei Lavori Pubblici, ma autonoma, fu istituita l'Aministrazione delle Strade Ferrate, con un direttore generale e un comitato amministrativo, e più tardi fu aggiunta una Commissione parlamentare permanente di sorveglianza. La direzione e il comitato ebbero sede a Roma insieme ad un Ispettorato centrale e a dodici servizi centrali. Furono stabilite direzioni compartimentali a Torino, Genova Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo e una direzione speciale a Messina.

La rete statale, nel continente e nella Sicilia comprendeva 10.557 chilometri. Rimaneva la Società Italiana per le Ferrovie meridionali, che esercitava 2046 chilometri e la Società Veneta che esercitava le proprie linee ed alcune dello Stato. Più tardi, riscattata la rete mediterranea e sottratte alla Veneta le linee statali, la rete raggiunse con le nuove costruzioni 13.023 chilometri (10 luglio 1907).
Votati i nuovi crediti per la Marina e gli aumenti al bilancio della Guerra (giugno 1905) la Camera si prorogò, ma il 28 luglio fu convocata straordinariamente per discutere il disegno delle liquidazioni ferroviarie, però, essendovi contestazione su ingenti somme, non pochi deputati si dichiararono contrari ad approvare il disegno e i socialisti minacciarono l'ostruzionismo.

Nella seduta del 30 luglio, l'on. EMANUELE GIANTURCO svolse il seguente ordine del giorno: "La Camera, confermando la sua fiducia nel Ministero, lo invita a riprendere in considerazione la materia delle liquidazioni con le Società ferroviarie Mediterranea, Adriatica e Sicula, tenendo conto della discussione seguita e provvedendo intanto al soddisfacimento delle somme non soggette a contestazione". Nella stessa seduta la Camera approvò con 261 voti contro 112 la prima parte dell'ordine del giorno relativo alla fiducia; la seconda parte fu approvata per alzata e seduta.


LA POLITICA ESTERA - LA QUESTIONE MAROCCHINA
TENSIONE DEI RAPPORTI ITALO-AUSTRIACI
IL "MODUS VIVENDI" CON LA SPAGNA - SANGUINOSI CONFLITTI IN PUGLIA E IN SICILIA

Durante il ministero Fortis, la politica estera, affidata a TITTONI, ebbe come base l'alleanza con gli imperi centrali e l'amicizia con la Francia, con l'Inghilterra e la Russia, ma sia verso le potenze alleate sia verso le potenze amiche, l'Italia teneva un contegno remissivo, quasi di nazione che, avendo bisogno di essere in buoni rapporti con le altre, faceva di tutto per non inimicarsele.
Amici della Francia ed alleati della Germania, l'Italia si trovò nel 1905 in una situazione molto difficile in seguito all'accordo anglo-francese per il Marocco, nel quale l'Inghilterra aveva accordato mano libera alla Francia. Irritato da quest'accordo, GUGLIELMO II, inscenando una protesta teatrale, sbarcò il 31 marzo a Tangeri, poi partì alla volta dell'Italia e, giunto il 5 aprile a Napoli, s'incontrò il giorno dopo con Vittorio Emaneule III, con il quale ebbe colloqui intorno alla questione marocchina.
La Germania voleva che, per risolvere tale questione, si convocasse una conferenza europea e affidava l'incarico all'Italia di notificare alla Francia questa sua esigenza. L'on. TITTONI non seppe far di meglio che consigliare amichevolmente alla Francia di venire ad un accordo con la Germania per la conferenza; e la Francia, accogliendo il consiglio, firmò a Parigi l'accordo il 29 settembre 1905.
"La Francia parve grata all'Italia dell'animo benevolo, onde si era "intromessa nell'ardua questione"; il 25 ottobre la squadra francese onorava il re d'Italia a Genova dove si era recato ad inaugurare i grandiosi lavori portuali.
Nonostante questo buon risultato come mediatrice, la Germania accusò l'Italia "di aver agito più da amica della Francia e dell'Inghilterra, che da alleata dell'Impero tedesco". E il cancelliere BULOW, prima e dopo il colloquio che ebbe con TITTONI a Baden-Baden il 28 settembre per intendersi sulla conferenza marocchina, "espresse duri giudizi affermando che era l'Italia ad aver bisogno degli imperi centrali, e non questi dell'Italia".
La concordata conferenza marocchina non calmava gli sdegnati europei, rinfocolati da rivelazioni giornalistiche e da interviste ministeriali. Il 26 ottobre GUGLIELMO, in uno di quei suoi impulsivi discorsi, ammoniva i Berlinesi esser tempo di tenere asciutte le polveri e affilare le spade (Gori)".

Con l'Austria l'idillio era stato di breve durata. Ora, non solo si maltrattavano gli Italiani dell'impero e si aizzavano contro di loro gli slavi, ma si strillava a Vienna appena in Italia si faceva allusione ai fratelli irredenti. Inoltre si criticava la condotta della gendarmeria italiana in Macedonia, si facevano le grandi manovre nel Trentino, rivolte a respingere un'ipotetica invasione italiana, e si giungeva a chiedere conto al governo italiano dell'espressione "Trentino nostro" usata dall'on. MARCORA, presidente della Camera, nel commemorare, il 26 luglio, Socci.

L'8 novembre 1905, il Governo italiano stipulò con il Governo Spagnolo un modus vivendi col quale, per agevolare l'esportazione della seta, della canapa e del marmo, riduceva il dazio, sui vini spagnoli da 20 a 12 lire l'ettolitro. Dieci giorni dopo fu con regio decreto reso esecutivo l'accordo.
La notizia del "modus vivendi" determinò il ribasso del prezzo dei vini nazionali e, per conseguenza, diede l'avvio ad una grave agitazione fra i produttori vinicoli del Piemonte e del Meridione. A Bari, il 25 novembre, ci fu un grande comizio di protesta, altri comizi avvennero, in seguito, nelle altre città delle Puglie e a Taurisano (Lecce) dove i dimostranti in un conflitto con la forza pubblica causarono un morto e numerosi feriti.
Un altro conflitto più grave era avvenuto il 16 agosto a Grammichele, in provincia di Catania, dove i contadini infuriati avevano assalito il Municipio e il circolo dei galantuomini e si erano avuti quattordici morti e circa cento feriti. Per questi conflitti protestò vivamente l'11 dicembre TURATI alla Camera, addossandone la colpa al Governo; ma l'on. FORTIS ritorse l'accusa sui socialisti, la cui propaganda produceva effetti funesti sulle masse ignoranti.

"Voi credete - disse - che, quando dite alle masse che bisogna seguire il metodo della lotta di classe, le masse possano accogliere il vostro principio, e poi svolgerlo ed applicarlo scientificamente. Le masse intendono diversamente e la lotta di classe si traduce in odio feroce, implacabile; le masse intendono che quest'odio si debba tradurre a sua volta in altrettante opere di ribellione, di massacro, di vendetta".

IL TERREMOTO IN CALABRIA

Maggior numero di vittime aveva fatto un paio di mesi prima il terremoto. La notte dal 7 all'8 settembre 1905, e poi nei giorni 8 e 9, violentissime scosse, precedute ed accompagnate da intensa attività del Vesuvio e dello Stromboli, avevano devastato parecchie zone della Calabria, radendo al suolo interi paesi e causando la morte di migliaia di persone. Il re era accorso sui luoghi del disastro, il Governo aveva prontamente soccorso le popolazioni colpite e notevoli aiuti erano giunti da ogni parte d'Italia, dalle terre irredente e dai paesi stranieri. Più tardi, nella prima metà del novembre, Fortis aveva voluto visitare la Calabria per portare a quelle popolazioni il suo personale conforto, rendersi conto dei loro bisogni, studiare un piano di provvedimenti speciali.

DIMISSIONI DEL GABINETTO - SECONDO MINISTERO FORTIS
ATTACCHI AL NUOVO GABINETTO - DIMISSIONI DI FORTIS

Il 13 dicembre fu iniziato alla Camera il dibattito sul disegno di legge per la convalidazione del decreto riguardante il modus vivendi con la Spagna, dibattito che durò fino al 16 e al quale presero parte numerosi oratori quasi tutti contrari al trattato. L'onorevole GORIO presentò il seguente ordine del giorno: "La Camera, confermando la propria fiducia nella politica del Governo, passa alla discussione dell'articolo".
Il 17 dicembre la Camera, per evitare una crisi, approvò con 253 voti contro 190 la prima parte dell'ordine del giorno, ma respinse la seconda con 293 voti contro 145. E il giorno dopo, il ministero si dimetteva.

Il sovrano affidò l'incarico di comporre il nuovo Gabinetto allo stesso FORTIS, che tenne la presidenza del Consiglio e l'Interno, lasciò l'on. CARCANO al Tesoro, l'on. FINOCCHIARO-APRILE alla Grazia e Giustizia e l'onorevole MIRABELLO alla Marina e affidò gli Esteri all'on. DI SAN GIULIANO, le Finanze al senatore PIETRO VACCHELLI, i Lavori Pubblici all'on. FRANCESCO TEDESCO, le Poste e Telegrafi all'on. IGNAZIO MARSENGO BASTIA, la Guerra al generale LUIGI MAINONI D'INTIGNANO, la Pubblica Istruzione all'on. ENRICO DE MARINIS, e l'Agricoltura all'on. NERIO MALVEZZI dei MEDICI.

Riapertosi il Parlamento, il 30 gennaio del 1906 il nuovo Ministero Fortis si presentò alla Camera. Il presidente del Consiglio ripeté su per giù le stesse cose che aveva detto il 4 aprile e aggiunse che le liquidazioni finali con le Società ferroviarie sarebbero state presto sottoposte all'approvazione del Parlamento insieme con la convenzione per il riscatto della rete mediterranea e che avrebbe sollevato dalle tristi condizioni in cui versavano la Calabria e la Sicilia con leggi speciali.
Le dichiarazioni del Fortis furono frequentemente interrotte da rumori, risa e commenti, quindi cominciò la discussione, sulla quale quasi tutti gli oratori criticarono aspramente la soluzione della crisi e la costituzione del nuovo Gabinetto, che il TURATI chiamò "l'abito variopinto d'Arlecchino, portato con la prosopopea di chi crede di vestire l'abito di gala".

L'on. SONNINO pronunciò un discorso demolitore:
"Come volete che il paese prenda sul serio le promesse di un Gabinetto come questo, composto di personalità professanti fin qui principi discordi, stretto intorno ad un programma nebuloso perché sconfinato, sotto la guida di chi ha dimostrato per ben due volte nello spazio di cinque mesi, che, alla prova del fuoco, è disposto a transigere su molte, su troppe cose, pur di non mettere a cimento la propria vita ministeriale ? Il paese si fa ogni giorno più scettico intorno alla sincerità degli istituti parlamentari che lo reggono .... Mancanza di sincerità vi fu nell'accettazione del rinvio delle liquidazioni ferroviarie, mentre non s'intendeva intavolare nuove trattative; mancanza di sincerità vi fu nella doppia posizione del voto di fiducia in occasione del modus vivendi; mancanza di sincerità vi è nella stessa composizione del Ministero, che rappresenta non un fascio di consensi per una comune azione, ma una riunione di dispareri, cioè un nuovo elemento di contraddizione e di fiacchezza nella condotta della cosa pubblica .... Le necessità vere dell'ora reclamano un Governo che non sustanzi le ragioni della sua vita in un equilibrismo sterile né in artificiose antitesi; che dia sicuro affidamento di voler tradurre in atto, puntandovi sopra magari la vita, un programma positivo di riforme, ed insieme di severa correttezza nei metodi di lotta politica ed elettorale, che tenda insomma con ogni sforzo al risanamento di questa nostra grama vita parlamentare, elevando il dibattito politico e più spirabili aere e togliendoci da questo triste ambiente di bizantina agitazione nel vuoto".

Cercò GIOLITTI, nella tornata del l° febbraio 1906, di salvare il Ministero, ma quel giorno stesso la Camera respingeva con 221 voti contro 188 un ordine del giorno di fiducia presentato dall'on. LAMBERTI e il Fortis fu costretto a presentare le dimissioni del suo ministero.

I NOVANTOTTO GIORNI DEL MINISTERO SONNINO

L'incarico di formare il nuovo ministero questa volta lo ebbe SONNINO (il "demolitore" di Fortis), che lo costituì l'8 febbraio 1906 prendendo per sé la presidenza del Consiglio e il portafoglio dell'Interno, e chiamando agli Esteri l'on. FRANCESCO GUICCIARDINI, alle Finanze l'on. ANTONIO SALANDRA, al Tesoro l'on. LUIGI LUZZATTI, , alla Guerra il generale CARLO MIRABELLO, alla Pubblica Istruzione l'on. PAOLO BOSELLI, ai Lavori Pubblici l'on. PIETRO CARMINE, alle Poste e ai Telegrafi l'on. ALFREDO BACCELLI, all'Agricoltura l'on. EDOARDO PANTANO e alla Grazia e Giustizia l'on. ETTORE SACCHI.
Un governo composto in prevalenza da uomini appartenenti alla destra e al centro; tuttavia ha l'appoggio dei socialisti; gli ultimi due ministri citati sopra sono radicali, e segna un mutamento di posizione del partito che fio a ora aveva sempre rifiutato la partecipazione a un qualsiasi governo.

L'8 marzo del 1906, presentatosi al Parlamento, SONNINO espose il suo programma, affermando che era necessario provvedere alle ferrovie e, in primo luogo, al riscatto delle meridionali, risolvere nella sua totalità la questione del Mezzogiorno, riconosciuta come il problema fondamentale della vita della Nazione, provvedere alla colonizzazione interna e alle assicurazioni operaie, abolire il sequestro preventivo dei giornali, limitare al potere esecutivo la facoltà di sciogliere i Consigli comunali e provinciali e, in politica estera, rimaner fedeli alla Triplice e mantener salda l'amicizia con la Francia e con l'Inghilterra.

La Camera dei Deputati, essendosi dimesso MARCORA, gli sostituiva nell'ufficio di presidente, con buona votazione, BIANCHERI. Il 15, nella nomina degli Uffici, i candidati ministeriali rimanevano soccombenti per opera dell'Estrema Destra e di alcuni dello stesso gruppo sonniniano, irritati perché erano stati inclusi nel Gabinetto il SACCHI radicale e il PANTANO repubblicano.
Sosteneva il Ministero il Gruppo parlamentare socialista, che il 10 marzo, in una riunione, aveva votato il seguente ordine del giorno: "Il gruppo socialista, ritenuto che il proletariato non può avere fiducia politica in nessun governo della borghesia, considerando che nel caso presente non sarebbe utile alla classe lavoratrice il provocare il ritorno ad un governo sedicente liberale, ma protettore degli affaristi ed alleato dei clericali, delibera di dare voto favorevole per mettere il nuovo Ministero alla prova dei fatti, deciso sin da ora ad ogni combattiva opposizione quando l'azione del Governo si mostri contraria alle libertà popolari o inerte per la realizzazione delle riforme presentate".

Nonostante fosse respinta la proposta di TURATI di mettere un controllo all'impiego dei fondi segreti (6 aprile) e la direzione del Partito Socialista e il Segretariato di resistenza sconfessassero, richiamandosi al voto del Congresso di Bologna del 1904 proclamante l'incompatibilità della lotta di classe con l'appoggio a un governo borghese, il gruppo parlamentare socialista, questo, ricambiato ad usura di favori personali, sostenne il Ministero Sonnino per circa due mesi, durante i quali si verificò una tremenda eruzione del Vesuvio e la propaganda antimilitarista iniziava a prendere proporzioni allarmanti.

LE DIMISSIONI COLLETTIVE DEL GRUPPO PARLAMENTARE SOCIALISTA

Ma nel maggio del 1906 anche l'appoggio del gruppo socialista venne a mancare a Sonnino, in seguito ad un conflitto sanguinoso, avvenuto a Torino tra operai e forza pubblica, che provocò lo sciopero generale.
Il 10 maggio, dopo alcune interrogazioni sui disordini scoppiati in molte città, il gruppo socialista presentò una mozione che reclamava "provvedimenti legislativi diretti a prevenire gli eccidi nei conflitti tra i cittadini e la forza pubblica". SONNINO e BIANCHERI fecero notare che nessun disegno di legge poteva esser letto all'assemblea se prima almeno tre uffici non ne avessero ammessa la lettura; ma, insistendo l'on. FERRI nella proposta di scrivere all'ordine del giorno della seduta dell'indomani la mozione, il presidente del Consiglio affermò:
"Dinnanzi ad una mozione di questa forma, non faccio questione di regolamento. Io non ammetto che vi siano stati né che vi possano essere in Italia eccidi proletari. Non ammetto quindi una mozione di questo genere. Invito quindi la Camera a non accettarla". La Camera gli dette ragione e con 199 voti contro 28 respinse la proposta del Ferri.

Allora il gruppo socialista, come atto di protesta, diede in massa le dimissioni, che non furono accettate; ma, insistendo i socialisti, il presidente BIANCHERI nella seduta del 12 maggio dichiarò vacanti i loro collegi. Nelle elezioni, che ci furono poco dopo, tutti i socialisti dimissionari, meno due, ritornarono alla Camera.

CADUTA DEL MINISTERO SONNINO

Le dimissioni del gruppo socialista resero più debole la posizione del Ministero, che, privo di una maggioranza, era destinato a cadere. Volendo, prima delle vacanze estive, discutere l'inchiesta sulla Marina e le leggi sul Mezzogiorno, il 15 maggio Sonnino chiese che si stabilisse un termine massimo di otto giorni per la presentazione della relazione sul disegno di legge relativo al riscatto dello ferrovie meridionali. La maggioranza della Commissione fissò il termine al 28 maggio, la minoranza si oppose alla fissazione dì un termine e l'onorevole MAGGIORINO FERRARIS presentò un ordine del giorno così concepito: "La Camera respinge la fissazione di un termine alla presentazione della relazione della Commissione sul riscatto delle ferrovie meridionali".
L'on. Sonnino dichiarò che non accettava l'ordine del giorno e aggiunse: "credo che chiunque desidera che la Camera prima delle vacanze faccia un lavoro utile debba votare contro". Ma la Camera con 179 voti contro 152 e 40 astenuti, approvò l'ordine del giorno Ferraris (17 maggio).
Non restò altro da fare a Sonnino che dare le dimissioni con l'intero ministero. Era durato in carica 98 giorni.

Durava invece da 13 mesi l'assensa di GIOLITTI,
che riposatosi abbastanza bene dalla sua "fuga", torna alla ribalta.
Infatti, il Re chiama proprio lui a costituire un nuovo Governo.

…ed è il prossimo periodo che ora ci attende…

…periodo dal 1906 al 1909 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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