ANNO 1919

LINEE DEL PROGRAMMA POLITICO (30-Mar) - NON SUBIAMO VIOLENZE ! (18-Apr.) - PAROLE CHIARE (19 –Apr.) - DISCORSO DA ASCOLTARE (1° Mag.) – COS’E’ IL “FASCISMO” (3 Lug.) - LO SCIOPERISSIMO (12 Lug.) - AURORA ! (18 Lug.) - SI CONTINUA, SIGNORI ! (19 Ago.) - L'AZIONE BLOCCO CONTRO BLOCCO (20 Ago.) - SENSO DELLA VITTORIA ! (6 Set.) - IN CAMPO DA SOLI (24 Ott. ) - A SIGNIFICAZIONE (25 Ott.) - GUERRA CIVILE ? VIOLENZA CONTRO VIOLENZA (2 Nov.) - LA GRANDE ADUNATA (11 Nov.) - L’AFFERMAZIONE FASCISTA (18 Nov.) - NOI E LA CLASSE OPERAIA (6 Dic.)

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Gli scritti sono utili perchè ci danno un'idea di come nacque il Fascismo,
(non interpretiamo nulla, lasciamo la parola solo al suo fondatore)

Il primo che riportiamo è quello subito dopo la costituzione del movimento dei Fasci italiani di Combattimento durante
la riunione al circolo di Piazza San Sepolcro; con le linee del programma politico.

 

LINEE DEL PROGRAMMA POLITICO
(Il Popolo d’Italia, N. 89, 30 marzo 1919)

Il nostro movimento si allarga e si afferma. La nostra adunata ha suscitato echi di simpatia nei più remoti e dimenticati paesi d'Italia. Ora si tratta di delineare, con tutta la precisione possibile, dati i tempi dinamici, il nostro programma d'azione politica. L'azione negativa non ci basta. L'anti-partito non può vivere di una sola negazione. Accanto alla negazione che ci differenzia dai vecchi Partiti, appunto perché il nostro organismo non ha, nella sua composizione e nel suo funzionamento, simiglianze coi vecchi Partiti, noi abbiamo i nostri «postulati» per l'azione in senso positivo. Demolire, costruendo, potrebbe essere la nostra divisa.
Elenchiamo i nostri postulati d'indole politica.

1. L'attuale suffragio universale deve essere integrato colla estensione del diritto di voto e di eleggibilità alle donne che abbiano compiuto gli anni 21.
2. Le elezioni generali politiche devono aver luogo con scrutinio di lista e rappresentanza proporzionale.
3. Le elezioni generali politiche devono aver luogo a smobilitazione compiuta.
4. L'età necessaria per l'eleggibilità a deputato è abbassata da 31 a 25 anni.
5. I deputati eletti nelle prossime elezioni formeranno l'Assemblea nazionale.
6. L'Assemblea nazionale durerà in carica tre anni.
7. Il primo atto dell'Assemblea nazionale sarà quello di decidere sulla forma di governo dello Stato.
8. Il Senato è abolito.
Questi postulati non sono nuovi e nemmeno rivoluzionari. Rappresentano un prolungamento, un perfezionamento della democrazia politica. Ma oggi la rappresentanza puramente politica non basta più. Bisogna introdurre la « novità », la quale consiste nella creazione dei Consigli nazionali. È questo il modo di superare il dilemma: o parlamento o Soviet. Il parlamento rimane e gli sorge accanto il nuovo sistema di rappresentanze dirette di tutti gli interessati.
Su questa strada si era messo Kurt Eisner che è stato il maggior artefice della rivoluzione tedesca.
E allora precisiamo:

1. L'Assemblea nazionale discute e legifera sulle questioni che interessano la totalità dei cittadini all'interno e all'estero.
2. L'Assemblea nazionale sceglie in se stessa i nuclei dei Consigli nazionali. I deputati di questi nuclei non possono superare, nel numero, il quarto del totale dei membri del Consiglio nazionale.
3. L'Assemblea nazionale nomina i ministri dell'Interno, degli Esteri, delle Finanze, della Giustizia, dell'Istruzione, del Tesoro, della Difesa nazionale.
4. Vengono istituiti i Consigli nazionali dell'Industria, dell'Agricoltura, del Commercio, dei Servizi pubblici, delle Comunicazioni terrestri, marittime, aeree, delle Colonie (con larga rappresentanza degli indigeni).
5. I Consigli nazionali nominano un « delegato dei Consigli » che siede con voto deliberativo nel Consiglio dei ministri e integra il Governo.
6. I Consigli non siedono necessariamente a Roma, ma dove esistono le condizioni più favorevoli per lo svolgimento della loro attività.
7. I membri dei Consigli nazionali sono eletti - come voleva Kurt Eisner nel suo discorso-programma - dagli interessati e cioè “da associazioni e organizzazioni d'impiegati governativi e privati, di maestri, di professionisti, di mestieri” e noi aggiungiamo sindacati di operai, mutue, cooperative, associazioni di cultura, ecc.
8. I Consigli nazionali si rinnovano ogni tre anni.

È evidente che per l'attuazione di questo programma, schematicamente delineato, bisogna stabilire un piano di costituzione dello Stato. L'attuale non può contenerlo. L'opera è ponderosa, ma la generazione attuale può compierla. Si tratta non solo di creare questi nuovi organi della più diretta e immediata rappresentanza del popolo, si tratta non solo di determinare le modalità di funzionamento e i limiti della loro attività, ma si tratta - e questo è affare molto delicato - di precisare i “rapporti d'azione e d'entità fra Assemblea nazionale e Consigli nazionali”.

Ci sono delle difficoltà da superare, si capisce, ma questo è perfettamente logico, quando si pensi che l'obiettivo è di dare una nuova “costituzione” all'Italia. Queste difficoltà non sono e non devono essere insormontabili, per il fatto che il “moto” odierno tende a quel punto. I segni abbondano. Nell'ultimo numero della Nuova Antologia, il senatore Maggiorino Ferraris propone la creazione di un . “Consiglio agrario nazionale” con relativo schema di ordinamento. L’on. Rigola, nei suoi Problemi del Lavoro, ci avverte “che un Consiglio sindacale o tecnico sembra oramai imporsi come un contrappeso indispensabile al genericismo dell'Assemblea politica”.
Con la trasformazione del Consiglio superiore del Lavoro da corpo consultivo in potere deliberativo a competenza limitata, si verrebbero ad avere in realtà due camere legislative, una a base popolare e l'altra a base professionale; una politica e l'altra sindacale o tecnica, a meno che non si preferisse imperniare tutto il sistema rappresentativo sul suffragio professionale, come domanda la Confederazione.
Noi siamo contrari al “suffragio soltanto professionale”. Se la sola rappresentanza delle idee è insufficiente, anche la sola rappresentanza degli interessi non basta. La nostra è la “rappresentanza integrale” nella quale il “cittadino” non solo non viene annullato, ma col sistema dei Consigli nazionali aumenta in lui la possibilità d'azione, d'iniziativa, di controllo nella gestione politica ed economica della nazione. Apro la discussione. L'argomento è interessante. MUSSOLINI

POSTILLA

Avevo appena finito di scrivere quando i giornali recano una notizia interessantissima: uno di quei “Consigli nazionali”» che io propongo come integratori della rappresentanza nazionale, è sorto in Inghilterra, quale conseguenza dei recenti grandi movimenti operai, pacificamente conclusi. La commissione dei 6o delegati - trenta operai e trenta industriali – “propone l'istituzione di un Consiglio o Parlamento industriale permanente composto di 400 membri eletti in numero eguale dalle organizzazioni degli industriali e da quelle degli operai. Il Consiglio avrebbe principalmente la missione di consigliare il Governo in tutte le questioni riferentisi all'industria e di eleggere un comitato esecutivo permanente di cinquanta membri, il quale servirebbe a mantenere il Parlamento industriale in continuo contatto.
Si tratta di una proposta, ma non v'è dubbio che il Governo inglese la farà sua.
Le idee nuove e buone vanno traducendosi nei fatti.... in Inghilterra e speriamo e vogliamo anche in Italia! MUSSOLINI
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IL PROGRAMMA POLITICO DEI FASCI

Il programma che ho pubblicato sul giornale di oggi è il mio programma, ma può non essere il vostro. In questo caso potremo discuterlo e modificarlo. Si rimprovera a noi un atteggiamento puramente negativo. Evidentemente questo atteggiamento negativo non basta alla nostra attività pratica. Contro il bolscevismo sono in gioco molte forze storiche e politiche. La nostra opera, di prevenzione, deve consistere nel presentare un programma di attuazione immediata a scadenza massima di quindici giorni, effettuabile nell'intervallo di tempo che ci separa dal 1° maggio. Non perché questa data possa essere l'inizio di una catastrofe; da quanto si legge nei fogli socialisti si ha l'impressione del contrario.

Noi ci mettiamo sul terreno delle realizzazioni immediate per ragioni di ordine politico generale e urgente. I primi tre punti di queste realizzazioni non sono dell'importanza degli altri, pure quello del progetto di legge che sancisca le otto ore di lavoro per tutti i lavoratori italiani ha importanza ed ha un precedente in Francia, dove il Governo repubblicano ha deposto il progetto di legge di sua iniziativa. La classe proletaria francese perciò non farà nemmeno una giornata di sciopero per ottenere questa rivendicazione.
In Italia gli operai che potrebbero godere delle otto ore sono otto o dieci milioni, mentre quelli che le hanno già ottenute sono appena un milione.
Circa gli emendamenti al progetto Ciuffelli sulle assicurazioni globali, or non è molto ho letto un ordine del giorno favorevole alla Federazione del Lavoro. Questo progetto fissa il minimo della pensione a 65 anni di età, ma gli elementi operai fanno osservare che a questa età si è troppo vecchi e chiedono perciò che il limite sia portato a 55 anni.
Il terzo punto delle realizzazioni immediate da effettuare nell'ordine sociale riguarda il personale delle ferrovie. Bisogna che il Governo sistemi i ferrovieri, i quali sono un elemento essenziale della vita della nazione; e in questo momento è essenziale che il servizio funzioni, e perché funzioni è necessario sistemare il personale.
Della seconda parte del nostro programma di realizzazione abbiamo già parlato e discusso in altre riunioni.

Sulla terza parte, cioè nell'ordine economico finanziario, propongo una misura rivoluzionaria che nessun Partito finora - nemmeno il Partito che vuol monopolizzare la rivoluzione - ha mai affacciato. Si tratta di un'imposta straordinaria progressiva sul capitale. È una confisca quella che propongo.
Prima di formulare la proposta io non solo ho studiato la questione da tutti i punti di vista, ma ho interrogato dei competenti in materia finanziaria. Tutti concordemente mi hanno dichiarato che se il Governo non ricorre a questa misura radicale, noi non usciremo dal nostro gravissimo imbarazzo finanziario.
I vantaggi di questo provvedimento sarebbero grandiosi e ci permetterebbero di far fronte ai nostri impegni.
Nostra intenzione è di portare questi nostri postulati all'on. Orlando. Egli tornerà, pare, a Roma il 20: la Camera si riaprirà il 23. Noi abbiamo intenzione di convocare in Roma una giunta rappresentante tutti i Fasci d'Italia. Ci recheremo dall'on. Orlando e gli diremo: “Queste riforme sono mature nella coscienza del popolo italiano- e rappresentano una indefettibile necessità: se le accogliete senza dilazione determinerete una. “détente” anche nello spirito delle classi popolari, ma se voi non vi renderete conto di queste necessità, senza fare i profeti crediamo di potervi dire che voi pregiudicherete le sorti delle istituzioni. Ma lo avrete voluto, perché noi vi proponiamo la via per cui convogliare il movimento verso una trasformazione pacifica”.
Il nostro compito, dunque, non è quello di impedire quello che è già in corso, ma quello di evitare che questa profonda trasformazione rappresenti il dato distruttivo della nostra civiltà.
Se noi potremo domani stendere in tutta Italia una rete formidabile di Fasci e se raccoglieremo intorno a questi Fasci il consenso sempre più largo delle masse e se creeremo dei nuclei pronti all'azione, allora potremo imporci nel giro di ventiquattro ore.
È necessario dire il nostro parere riguardo all'eventualità di un supplemento di amnistia. Fin da questo momento noi dichiariamo in proposito che non si potrebbe fare uno sfregio più atroce ai nostri morti e ai mutilati di quello di beneficare i disertori in faccia al nemico e i disertori all'interno che si sono resi colpevoli di delitti comuni.
Per questa categoria di condannati non potremo chiedere - e nemmeno i socialisti ufficiali in buona fede possono chiederla - clemenza: per tutti gli altri sì.
Queste le linee del nostro programma immediato, programma che combatte il leninismo, che non deve essere confuso col proletariato. Noi intendiamo salvare la nostra rivoluzione dalla loro, che è la rivoluzione distruttiva della vandea. - MUSSOLINI

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Questo articolo esce dopo gli incidenti del 15 marzo, durante lo sciopero generale a Milano. Nel corso dei tumulti è stata incendiata la sede dell’ Avanti !


NON SUBIAMO VIOLENZE !
(Il Popolo d'Italia, N. 106, 18 aprile 1919)

Giornata tempestosa quella di martedî a Milano: di una tempesta che era venuta accumulandosi in questi ultimi tempi e che un giorno o l'altro doveva precipitare. I lettori leggeranno nel seguito la cronaca che la censura farà bene a rispettare, poiché la verità non fa male, specialmente in questo caso. Cominciamo col dichiarare che se nella condotta delle autorità ci fosse stata una « linea », molto probabilmente il pomeriggio. sarebbe trascorso senza straordinari incidenti. Questa linea non c'era o non erano stati predisposti i mezzi per fissarla. Comunque, per testimonianze inconfutabili, resti stabilito che i primi colpi di rivoltella partirono dall'avanguardia dei dimostranti sopraggiunti in Piazza del Duomo, malgrado le esortazioni più o meno sincere degli oratori e che le scariche della folla patriottica raccolta in Piazza del Duomo rappresentano una inevitabile e necessaria risposta. Tutto quel che avvenne di poi fu assolutamente spontaneo; fu un movimento naturale e irrefrenabile della folla, non predisposto, non preparato, non premeditato. L'atteggiamento dei nostri elementi era stato deciso. Tanto il Fascio Milanese di Combattimento come l'Associazione dei volontari di guerra, come la Casa di mutuo aiuto dell'ardito, come l'Unione italiana del lavoro e l'Unione sindacale milanese e il Circolo del gruppo Filippo Corridoni avevano stabilito di rimanere spettatori passivi dello sciopero protestatario se fosse stato contenuto nelle ventiquattro ore e di limitarsi in ogni caso alla “difesa” delle nostre posizioni. Questa la verità, la genuina e purissima verità documentata e documentabile. Ma tutto ciò ch'è avvenuto sulle spiagge del Naviglio, anche se non è partito da noi, anche se l'iniziativa non fu nostra, non è da noi rinnegato o rimpianto o deplorato, perché è stato umano, profondamente umano. Non siamo dei coccodrilli democratici e dei vigliacchi. Abbiamo sempre, il coraggio delle nostre responsabilità. Siamo ancora quelli di Tregua d'armi.

In fondo, à la guerre comme à la guerre. Se fosse capitata a noi la stessa sorte, non leveremmo lamentazioni melanconiche o proteste inutili. Chi si propone di attaccare, può essere prevenuto nell'attacco. La “sorpresa» è la carta più ricca del gioco. Quel foglio partiva ogni giorno in guerra. Ogni giorno esso montava l'ambiente. La tensione nervosa era divenuta insopportabile in queste ultime settimane. Non si respirava più. Si era diffuso un panico imbecille simile a quello che prendeva certi ambienti all'annuncio delle offensive nemiche. Ogni giorno era una vigilia. Dominava l'incertezza del domani. Data questa situazione psicologica non v'è più da stupirsi su quello che è avvenuto. Ma diciamolo qui chiaro e forte, non erano reazionari, non erano borghesi, non erano capitalisti quelli che mossero in colonna verso via S. Damiano. Era popolo, schietto, autentico popolo! Erano soldati e operai, stanchi di subire il ricatto sabotatore della pace, stanchi di subire le prepotenze, non più semplicemente verbali, dei leninisti. Qui, il nostro giornale era stato presidiato da soldati e da operai, autentici soldati, autentici operai! Nessun borghese dal grosso portafoglio ha varcato la porta, ben vigilata, della nostra fortezza ! È l'interventismo popolare, il vecchio buon interventismo del 1915, che, in tutte le sue gradazioni, si è raccolto intorno a noi.

Appunto perché ci sentiamo popolo, appunto perché amiamo e difendiamo il buon popolo lavoratore, noi vogliamo ripetere in questa occasione la nostra franca parola: Operai, dissociatevi da coloro dei vostri capi, che per un loro disegno politico, vi hanno spinti e vi vogliono spingere allo sbaraglio sanguinoso e inutile. Checché vi si possa dire in contrario, noi non ci opponiamo alle vostre giuste rivendicazioni. Le facciamo semplicemente nostre. Vi aiutiamo, fraternamente e disinteressatamente, per raggiungerle. Siamo i vostri amici, perché non vi chiediamo nulla. Noi non ci opponiamo al movimento ascensionale delle masse lavoratrici; non ci opponiamo a quella magnifica incruenta rivoluzione operaia che è in atto e che ha già, anche in Italia, toccato splendide realizzazioni; noi combattiamo apertamente e fieramente, insieme colla maggioranza dei socialisti di tutto il mondo, quel fenomeno oscuro di regressione, di contro-rivoluzione e d'impotenza che si chiama bolscevismo. Noi difendiamo la nostra rivoluzione rinnovatrice e creativa, dagli assalti proditori della contro-rivoluzione retrograda e distruttiva dei leninisti. Questo sia ben chiaro alle vostre coscienze, o amici operai ! E convincetevi ancora, prima di seguire ciecamente gli eccitatori leninisti che poi vi piantano sul più brutto, che noi siamo molti e soprattutto decisi. Abbiamo del fegato.

Abbiamo fatto la guerra. Ci siamo macerati nelle trincee. E per la nostra libertà, siamo disposti a tutti i sacrifici. E contro a tutte le dittature, siano quelle della tiara, dello scettro, della sciabola, del denaro, della tessera, siamo pronti ad insorgere. Vogliamo il progresso indefinito delle folle lavoratrici, ma le dittature dei politicanti, no, mai! Dopo la giornata di martedì, qualcuno che faceva troppo lo spavaldo e che aveva assunto arie da smargiasso rovesciamondo, deve avere imparato, a proprie spese, che l’interventimo “popolare” milanese è ancora un osso duro duro da rodere; che noi siamo uomini dalla pellaccia dura perché non abbiamo nulla da perdere e che non è possibile, né ammissibile, né tollerabile che poche dozzine di leninisti pretendano di violentare una città grande e possente come Milano, e meno ancora violentare l'anima della Nazione, che avendo lottato e sanguinato per la più grande libertà, non intende di sacrificarla alle nuove asiatiche tirannie. Mussolini
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Sullo stesso argomento ci ritorna il giorno dopo, con il titolo

PAROLE CHIARE
(Il Popolo d'Italia, N. 107, 19 aprile 1919)

Se il tentativo di rivolta bolscevica si fosse sviluppato e avesse condotto, come avrebbe condotto, a un più vasto spargimento di sangue, oggi molti dei “menatorroni” che non hanno capito niente dei fatti di Milano, troverebbero in fondo ai loro calamai l'inchiostro dei giorni feroci. L'attacco è stato rintuzzato dai cittadini, dagli operai, dagli ufficiali, dai soldati, mentre i cosiddetti borghesi filavano verso i laghi e a sud del Po, ed ecco molti bravi signori, della specie e sottospecie socialista, farsi avanti colle arie saccentuole di chi sta al di sopra della mischia, non ne vive, quindi, la passione, non ne affronta, quindi, i rischi e può farla comodamente da giudice. Noi non abbiamo bisogno di inseguire queste farfalle. Noi diciamo tranquillamente che quello che doveva essere, è avvenuto, e tutti coloro che hanno in questi ultimi tempi seguito la politica milanese, sanno che un urto fra le due parti un giorno o l'altro doveva venire. È stato sanguinoso e drammatico, ma le folle armate ed esasperate, quando si incontrano e si scontrano non si dicono dei madrigali, specialmente dopo quattro anni di guerra.
Ora, noi respingiamo l'insinuazione codarda che la giornata di martedì sia stata “reazionaria”. Le parole non ci fanno più paura. Intanto, la “reazione”, se c'è stata, non rassomiglia alle altre. Non rientra nel quadro tradizionale. Non è stata reazione statale o governativa o poliziesca. I carabinieri non hanno sparato. Nemmeno i soldati. Neanche i questurini. Il prefetto si è affrettato a dichiararlo. Il Governo ha mandato qui due ministri per una inchiesta, creando, sia detto fra parentesi, un precedente simpatico. La reazione è stata di popolo. Meglio ancora: quella di martedì è stata atra giornata della nostra rivoluzione.
Che tutti i giornali siano da rispettare, è un conto, quantunque i regimi socialisti abbiano completamente abolita tale libertà. Quel che bisogna dire, quel che bisogna proclamare dai tetti, quel che non bisogna mai stancarsi di ripetere è che il giornale di via San Damiano è stato ed è il giornale più squisitamente reazionario che si stampi in Italia e in Europa. È il giornale di Caporetto, signori; è il giornale che ha sabotato, per quattro anni, la guerra; è il giornale che in questi ultimi tempi aveva riconsegnata la matita all'ignobile Scalarini, perché raspasse - iena raccapricciante - fra i morti. E che cosa preparava questo giornale ? La rivoluzione ? No. La reazione.
Voleva la libertà?
No. La dittatura e la forca.
Preparava giorni migliori al proletariato italiano ? No. Giorni di lutto e di buio.
Voleva almeno una rivoluzione italiana, conforme alle nostre condizioni storiche e sociali ?
No. Predicava l'imitazione russa, che ha ucciso la Russia e assassinerebbe l'Italia.
Chi ha il coraggio, dopo tutto ciò, di affermare che quel giornale è rivoluzionario ? O non è invece vero che la sua sedicente rivoluzione è distruttiva, forcaiola, vandeana e che è, insomma, la controrivoluzione opposta alla nostra rivoluzione ? Le masse operaie, anche milanesi, devono oscuramente sentire quel che diciamo, perché hanno accettato il fatto con assoluta passività. Nessuno di coloro che trovandosi nei locali dovevano difendere la bandiera del proletariato italiano, è stato capace di versare una stilla di sangue. Sono fuggiti tutti indecorosamente. Oltre a ciò, le masse operaie sono tremendamente stufe di servir da zimbello a questi cosidetti rivoluzionari che non sono capaci di distruggere e meno ancora sono capaci di riedificare. La rivoluzione non è là. Non c'è nemmeno la rivolta. C'è il ballo di Sanvito della frase inutile. Noi sdegniamo la ”corsa al più rosso” perché non aduliamo le masse e nulla chiediamo alle medesime; solo affermiamo che senza i dogmatismi delle tessere, senza i formalismi dei dogmi, senza le catene e i paracarri dei soliti Partiti i nostri postulati sono infinitamente più rinnovatori dei balbettamenti estremisti di tutte le specie.
Coi nostri postulati si spianano le strade all'avvento della democrazia politica e di quella economica: si spalancano le porte all'avvenire delle masse, senza dittature sterili e senza violenze inutili. L'Inghilterra ha effettuato in questi giorni un'immensa rivoluzione socialista che abolisce in fatto il diritto di proprietà privata delle miniere e non si è versato una sola goccia di sangue. Noi ci infischiamo sovranamente che qualcuno - sopraffatto dalle vecchie nostalgie - ci tacci di reazionari per il fatto totalmente occasionale che nella lotta antibolscevica non siamo soli. I contatti sono fatali per chi vive in società. Potremmo controbattere i nostri accusatori rimproverando. loro altri contatti con altra più equivoca gente, ma questo non vale. Noi abbiamo un programma di pochi caposaldi. un programma positivo, radicale, rinnovatore: e attuabile, perché sta nella pienezza dei tempi ed è nella coscienza delle moltitudini. Le quali, senza che noi le cerchiamo, vengono o tornano istintivamente a noi. Esse sentono che qui è la vita. Che qui è l'azione. Altrove è la frase, la paralisi, e - ahimè !- la viltà. - MUSSOLINI
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In occasione del 1° maggio 1919

DISCORSO DA ASCOLTARE
(Il Popolo d'Italia, N. 118, 1° Maggio 1919)


Questo discorso è diretto agli operai. Parliamo schietto. Senza finzioni. Senza adulazioni. Così come la coscienza ci detta. È, oggi, di moda ”adulare” le masse lavoratrici e precisamente quelle che lavorano manualmente. Noi ci rifiutiamo di seguire questa moda cortigianesca. Preferiamo celebrare il lavoro in tutte le sue manifestazioni, dalle più eccelse alle più modeste; da quelle che trasformano la rozza materia a quelle che esprimono i moti profondi dello spirito. Adoriamo il lavoro che dà la bellezza e l'armonia alla vita, non solo quello che aumenta la possibilità del nostro benessere materiale. Ciò premesso, noi parliamo da “amici” agli operai. Amici che non chiedono nulla. Assolutamente nulla. Come amici disinteressati, noi diciamo agli operai italiani che essi stanno per cedere sotto una nuova tirannia, che, oltre ad essere spietata, è ridicola: alludiamo alla tirannia del Partito Socialista.
Quando noi meditiamo su quello che accade, ci sentiamo umiliati. Le masse operaie sono alla mercé di una classe politica cosiddetta socialista, che vuole semplicemente sostituirsi, per via dell' assiette au beurre, alla classe politica cosiddetta borghese. Questo trucco volgare ha un nome sonante.: si chiama dittatura del proletariato. Ci stupisce che le teste pensanti della Confederazione Generale del Lavoro, che non possono non aver avvertito il fenomeno, lo accettino passivamente, anche nelle sue disastrose conseguenze. La verità è che i 6oo mila organizzati della Confederazione Generale del Lavoro dipendono - come tanti schiavi - da venti o trentamila uomini che si chiamano socialisti. Costoro “giocano” le masse operaie senza consultarle mai. La condotta del Partito nei rapporti del proletariato è squisitamente autocratica, assolutista, imperialista, borghese. C'è un elemento di grottesco, che si delinea plasticamente. Chi sono questi cosiddetti socialisti che la fanno da pastori del gregge ? Perché presumono essi, ed essi soli, di essere gli interpreti genuini, i rappresentanti autentici della massa lavoratrice e quali titoli di sapienza, di saggezza, di virtù possono vantare in confronto del resto degli umili mortali? Dov'è il diritto e la ragione della loro dittatura? Non nel loro cervello, che in media non supera di capacità quello degli altri; non nel loro cuore, che non può contenere più humanitas di quanto non ne contengano gli altri innumerevoli delle innumerevoli creature umane: il titolo della loro dittatura è un semplice cartoncino che si chiama tessera e che l'ultimo idiota, pazzo, fannullone, parassita, borghese di questo mondo può procurarsi inscrivendosi nel Partito e pagando la tenue moneta di una lira.

Quando un signore qualunque è munito di quella tessera, da un giorno o da un mezzo secolo, ed è in regola colle marchette, egli cessa issofatto di appartenere alla povera nostra comune umanità: diventa un prescelto, un eletto, un veggente, un apostolo, un santo, un dio: tutte le sapienze, tutte le virtù, tutti gli eroismi gli appartengono. Quello che dice, decide, fa o non fa, rappresenta sempre il maximum della saggezza: il cartoncino della tessera ha un magico potere per cui gli imbecilli diventano geni, i conigli leoni e la massa operaia deve ubbidire, ciecamente ubbidire, a ciò che viene stabilito da un sinedrio di uomini, che non hanno mai lavorato e non lavoreranno mai, perché hanno trovato nel “socialismo” il loro mestiere, il loro pane, la loro soddisfazione, come altri trova il pane e il resto in una scuola, in un ufficio, in un campo o in una officina.. C'è una nuova divinità nel mondo: la tessera. E come tutte le divinità anche questa richiede non solo incensi, ma sacrifici; non solo preci, ma sangue. I proletari vogliono o non vogliono accorgersi che sono ancora incatenati e che da una schiavitù passano a un'altra schiavitù? Gli operai che sono degni dell'aggettivo “coscienti” devono insorgere contro il rinnovato strazio che si fa della loro volontà, del loro benessere, della loro vita.
Il “partito” è un fatto estraneo al movimento operaio. Nessuno gli contesta l'esercizio del potere sui suoi inscritti; ma è cretino e criminoso permettergli l'esercizio e l'abuso del potere sul proletariato. Che il Pus decida il finimondo, è affare che lo riguarda, ma che decida in assenza del proletariato e contro il proletariato, arrogandosi poi il diritto d'imperio sul proletariato stesso, è spettacolo “reazionario” e autocratico che deve finire. È tempo di stabilire nelle organizzazioni un regime di vera democrazia. E’ tempo di dire che prima di inscenare qualsiasi movimento economico e politico, gli operai devono essere interpellati. È tempo di dire che gli operai non sono fantocci privi di capacità ragionante, come li ritiene il Partito Socialista, dal momento che si “sostituisce” continuamente a loro senza interrogarli mai.
Amici operai,è in questione la vostra dignità e la vostra libertà. Provvedete/ Insorgete ! Prima che la tirannia rossa vi abbia schiacciati.
Un discorso di questo genere, nel quale intimamente consentono - ne siamo sicuri - i dirigenti confederali, è destinato a provocare le solite accuse. Certi atteggiamenti fanno ricordare il “Volete la salute ? Bevete etc.”. Volete “passare” da rivoluzionari? Provvedetevi di una tessera. Ma noi, che siamo e rimarremo sprovvisti di tessera, siamo così poco “reazionari” che accettiamo quasi tutti i postulati del manifesto confederale del Primo Maggio, manifesto che dà all'anima una sensazione di luce e di forza, mentre quello della Direzione del Partito dà un senso di buio, d'impotenza e di disperazione. La trasformazione del Parlamento e l'introduzione della rappresentanza integrale, è nel programma dei Fasci.
*Sempre nel programma dei Fasci è la immediata applicazione di una legge che sanzioni la conquista proletaria delle otto ore;
* la modificazione del decreto-legge per le pensioni d'invalidità e vecchiaia riducendo il limite di età a 55 anni per gli uomini e 50 per le donne;
* l'immediato apprestamento dei decreti-legge per le assicurazioni obbligatorie di malattia e di disoccupazione;
* un'imposta fortemente progressiva sul capitale;
* l'attuazione dei conclamati provvedimenti atti a lenire e migliorare le condizioni dei mutilati e invalidi di guerra e a risolvere il problema delle abitazioni.

Facciamo le nostre riserve su alcuni postulati politici. Prescindendo da ciò, ci troviamo di fronte a un programma di realizzazione e di costruzione. Non qui, si trovano gli isterismi dittatoriali del Partito Socialista, che sabotano più che aiutare il moto di ascensione delle masse operaie; moto che noi fiancheggiamo perché pensiamo che, se le masse lavoratrici rimangono in uno stato di miseria e di abbrutimento, non v'è grandezza di popolo, né dentro, né oltre i confini della Patria. - MUSSOLINI
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IL “FASCISMO”
(Il Popolo d'Italia, N. 180, 3 luglio 1919)

Per valutare nella giusta misura l'importanza sempre più grande del movimento dei Fasci Italiani di Combattimento, bisogna ricordare ch'essi sono nati il 23 di marzo, nella prima adunata di Milano. Bisogna ricordare ancora che a quella adunata intervennero soltanto gli interventisti non rinunciatari e gli altri che non intendevano e non intendono accodarsi - Maddaleni pentiti - al carro del Pus. L'adunata del 23 marzo fu anti-rinunciataria e antipussista. Sono passati tre mesi e si può affermare - senza cadere nel bluff così caro alla tattica bagolistica degli altri gruppi e partiti - che il movimento dei Fasci di Combattimento si è imposto all'attenzione pubblica ed è, oggi, la forza più viva, più audace, più rinnovatrice, più rivoluzionaria, non nel senso bestiale dei vandeani, che ci sia in Italia. All'infuori del Partito Socialista, che pretende di possedere il monopolio esclusivo della piazza, non ci sono altri gruppi o partiti di quelli segnati nei vecchi cataloghi che osino scendere in piazza. I Fasci di Combattimento contendono al Pus questo privilegio e nella recente agitazione anti-nittiana sono stati i fascisti di Torino, di Milano, di Roma e di altre città quelli che, fra il passivismo di tutti, hanno agitato e scosso il popolo italiano.

L'attività di alcuni Fasci, citiamo ad esempio quello di Torino, è semplicemente meravigliosa. Governo e pussismo, bolscevismo dall'alto e bolscevismo dal basso in tutto ciò che faranno e non faranno dovranno tener conto dei Fasci di Combattimento. Non è, forse, prematuro esaminare i motivi che hanno provocato questa rapida ascesa, questo trionfale sviluppo del Fascismo, malgrado l'aperta ostilità e la perfida malignazione di certa piccola gente invasata a freddo di rivoluzionarismo letteraloide. Trattasi di gente che non ha mai condotto folle in piazza e che oggi è rivoluzionista semplicemente per questione di concorrenza. Il Fascismo è un movimento spregiudicato. Esso non ha sdegnato di prendere contatto con uomini e con gruppi che l'idiota filisteismo dei benpensanti ignorava o condannava. La gente mediocre ha sempre affettato di “non prendere sul serio” il futurismo; ora, a dispetto di questa gente, il capo dei futuristi, Marinetti, fa parte del Comitato Centrale dei Fasci di Combattimento. Gli Arditi hanno subito in questi ultimi tempi due diffamazioni: quella di coloro che li avrebbero voluti sfruttare e quella dei vigliacchi che sbandieravano ogni delitto comune commesso da Arditi o falsi Arditi. Ora, a dispetto dei calunniatori e dei fifoni, uno dei capi dell'Arditismo in Italia, il capitano Vecchi, fa parte del Comitato Centrale dei Fasci. Il Fascismo ha preso altri contatti con l'Associazione dei volontari di guerra, il Fascio popolare di educazione sociale e alcune organizzazioni minori di combattenti, come l'U. N.U.S; l'Italia redenta, la Zona operante. Tutti questi contatti, quali d'ordine locale, quali d'ordine nazionale, non hanno condotto a stipulazioni formali, a nessuna di quelle intese protocollate che ripugnano allo spirito del Fascismo. L'essenziale è di sapere che tutte queste forze possono essere utilizzate per uno scopo comune.
Per le eterne ostriche della pregiudiziale, apparve come inaudito che i Fasci non avevano pregiudiziali di sorta. Non si vuole capire che il Fascismo cessa di essere tale non appena si scelga una pregiudiziale. Il Fascismo pregiudiziaiolo diventa un Partito. I Fasci non sono, non vogliono, non possono essere, non possono diventare un partito. I Fasci sono l'organizzazione temporanea di tutti coloro che accettano date soluzioni di dati problemi attuali. Poiché abbiamo rifiutato di caricarci le spalle con l'inutile fardello di una qualsiasi pregiudiziale, i melanconici “scagnozzi”, come dicono a Palermo, della pregiudiziale, ci hanno abbaiato dietro l'appellativo pauroso e massacrante di “reazionari”. Noi, i reazionari ! Il guaio è che il numero di questi “reazionari”, invece di diminuire, aumenta. Nel recente congresso dell'Associazione Combattenti è stato approvato un programma che non ammette pregiudiziali. Il presentatore di questo programma, lo Zavattaro, ha dichiarato ripetutamente ch'egli non accetta pregiudiziali, né monarchiche, né repubblicane, né cattoliche, né anticattoliche. Una domanda ci sale alle labbra e noi la rigiriamo a certi signori: che sia, dunque, un covo di reazionari novantotteschi l'Associazione nazionale dei combattenti ?

Il Fascismo è anti-accademico. Non è politicante. Non ha statuti, né regolamenti. Ha adottato una tessera per la necessità del riconoscimento personale, ma potendo ne avrebbe volentieri fatto a meno. Non è un vivaio per le ambizioni elettorali. Non ammette e non tollera i lunghi discorsi. Va al concreto delle questioni. Poteva darsi un programma di almeno quindici punti, come quello repubblicano, o di quindicimila punti come quello pussista o pipista (P.P.I.). Poteva elencare le cento piaghe d'Italia e metterci accanto il relativo rimedio più o meno eroico. Poteva darsi delle arie truculente per la galleria popolare. Lascia questo apparato demagogico a coloro che cercano ogni mezzo per far dimenticare o farsi perdonare l'interventismo di una volta. Ha limitato il suo programma a pochi punti essenziali e di immediata attuazione. La riforma elettorale, l'espropriazione delle ricchezze, i consigli nazionali economici. Questa è la novità interessante del programma fascista: la rappresentanza integrale. Per le rivendicazioni d'ordine proletario, il Fascismo è sulla linea del sindacalismo nazionale, rappresentato dall'Unione Italiana del Lavoro. Anche qui delle due l'una: o noi siamo reazionari e allora lo è anche l'Unione Italiana del Lavoro della quale accettiamo il programma, o l'Unione non è reazionaria e allora - questa constatazione lapalissiana ci intenerisce! - non lo siamo nemmeno noi. Aggiungiamo ancora che il Fascismo non solo non osteggia, ma fiancheggia, sul terreno professionale, anche l'azione della Confederazione Generale del Lavoro, poiché il Fascismo è antipussista, ma essendo produttivista, non può essere e non è antiproletario.

Il Fascismo è un movimento di realtà, di verità, di vita che aderisce alla vita. È pragmatista. Non ha apriorismi. Né finalità remote. Non promette i soliti paradisi dell'ideale. Lascia queste ciarlatanate alle tribù della tessera. Non presume di vivere sempre e molto. Vivrà sino a quando non avrà compiuto l'opera che si è prefissa. Raggiunta la soluzione nel nostro senso dei fondamentali problemi che oggi travagliano la nazione italiana, il Fascismo non si ostinerà a vivere, come un'anacronistica superfetazione di professionali di una data politica, ma saprà brillantemente morire senza smorfie solenni. Se la Gioventù delle trincee e delle scuole accorre ai Fasci (il Fascio giovanile romano di combattimento conta già parecchie centinaia di soci) gli è perché, nei Fasci, non c'è la muffa delle vecchie idee, la barba veneranda dei vecchi uomini, la gerarchia dei valori convenzionali, ma c'è della giovinezza, c'è dell'impeto e della fede. Il Fascismo rimarrà sempre un moto di minoranze. Non può diffondersi all'infuori delle città. Ma fra poco ognuna delle trecento principali città d'Italia avrà il suo Fascio di Combattimento e l'imminente adunata nazionale raccoglierà nell'armoniosa e libertaria unità dell'azione questo formidabile complesso di forze nuove. MUSSOLINI
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Mussolini interviene sull’annunciato sciopero dei ferrovieri….

LO SCIOPERISSIMO
(Il Popolo d'Italia, N. 189, 12 luglio 1919)


I ferrovieri italiani, e mi piace di insistere su questa parola “italiani”, sciopereranno veramente il 20 e 21 luglio prossimo? Mi rifiuto di credere fino a quando non vedrò i treni fermi sui binari della stazione o lungo la linea. Un amico ferroviere che conosce l'ambiente mi assicura che il 70 per cento dei ferrovieri italiani si rifiuterà di compiere un gesto che si risolverebbe in un vero e proprio tentativo di affamamento e di assassinio della nazione, e quindi di tutto il popolo italiano.
È indubbio però che il residuale 30 per cento di ferrovieri, probabilmente aderente allo sciopero, potrebbe sconvolgere il nostro servizio ferroviario.
È tempo di dire una parola brutalmente sincera ai ferrovieri e ci sentiamo in diritto e in dovere di dirla noi che abbiamo sempre e con disinteresse assoluto propugnato le giuste rivendicazioni di quella classe. Che gli altri tacciano non importa: noi soli, non avremo la coscienza inquieta domani.
Il Comitato Centrale del Sindacato dei ferrovieri ha diramato un documento pietoso nella forma e nella sostanza: sembra ed è prosa stillata da un gruppo di gesuiti che non sentono quello che scrivono. Non è uno squillo di guerra: è un comunicato contorto e leguleio, un ragù di cose disparate, antitetiche e false. Anzitutto bisognerebbe domandare a questi signori con quale Russia, con quale Ungheria vogliono solidarizzare. È col Governo di Mosca o di Budapest ? O col proletariato di quelle due nazioni che è in lotta contro il Governo, che si ribella, che fa scioperi contro quei Governi cosiddetti socialisti? È stato o non è stato pubblicato dalla Critica Sociale di Filippo Turati l'appello straziante di 120 mila operai di Pietrogrado contro la barbarica tirannia comunista? Se si tratta di manifestare in favore di coloro che dalla autocrazia dei barbari sono caduti, come dice Gorki, in balia della autocrazia dei selvaggi, ci stiamo anche noi. Ma se si tratta di solidarizzare coi selvaggi, no!
Ma il Comitato Centrale dei ferrovieri aggiogato al carro pussistico non bada a queste fondamentali distinzioni ed invita i ferrovieri allo sciopero. È enorme! I ferrovieri sono stati interpellati? No! Sono iscritti alla Confederazione Generale del Lavoro e quindi tenuti ad osservare gli ukase? Nemmeno! Il Sindacato è ancora autonomo. Stabilito tutto ciò noi invitiamo i ferrovieri coscienti a disubbidire e a non prestarsi ad una speculazione politica che non ha più senso né giustificazione.
I postulati per il raggiungimento dei quali lo sciopero generale venne da principio prospettato, sono in Italia raggiunti da tempo. La Francia repubblicana ha ancora censura e stato d'assedio. L'Italia monarchica non ha mai avuto il secondo, ed ha abolita la prima.
D'altra parte le masse operaie devono convincersi che la rivoluzione non migliorerebbe né subito né per molto tempo in seguito la loro attuale condizione. Qualsiasi Governo estremista non potrebbe diminuire ulteriormente la giornata di lavoro: forse le otto ore diventerebbero nove o dieci.
Né aumentare oltre un certo limite i salari. Due grandi rivoluzionarie riforme sono in cantiere e passeranno: la riforma elettorale e la falcidia delle ricchezze. Una rivoluzione socialista a base di dittature pussistiche non potrebbe fare di più. Il suo unico risultato sarebbe quello di portare al caos totale la già difficile situazione odierna.
Che lo sciopero ferroviario sia da considerare come un mero e proprio crimine di lesa nazione, risulta dalle parole del segretario del Sindacato dei ferrovieri francesi:
“Noi ferrovieri - egli ha detto - non vogliamo metterci al rimorchio di politicanti irresponsabili, né di estremisti. Ci viene imposto uno sciopero di ventiquattro ore? Lo faremo. Ma vi prevengo che sarà quel che sarà. I ferrovieri ne hanno abbastanza dei politicanti e d'altronde hanno ottenuto soddisfazione alle domande circa gli aumenti di salario e l'applicazione delle otto ore di lavoro”.
La stessa soddisfazione hanno ottenuto i ferrovieri italiani tanto che essi stessi hanno dovuto riconoscere che le concessioni governative erano state soddisfacenti. Un pretesto decente di ordine sindacale per lo sciopero dei ferrovieri non c'è. Avremo dunque 48 ore di soppressione del servizio? Il segretario del Sindacato dei ferrovieri francesi, interrogato sulle conseguenze, ha dichiarato testualmente che il disordine di uno sciopero di sole 24 ore durerà almeno quindici o venti giorni.
Fatti i debiti raffronti si può affermare che se uno sciopero di sole 24 ore in Francia, dove le ferrovie marciano molto meglio che da noi, paralizzerà la vita nazionale per venti giorni, uno sciopero di 48 ore in Italia equivarrà, dal punto di vista dell'economia interna, ad una immensa catastrofe. Un aggravamento indefinito della crisi dei trasporti, in questo momento, significa precipitare il paese nella carestia.
Il discorso Murialdi non permette illusioni. Siamo dinanzi ad una vicina terribile realtà: la fame! Se malgrado ciò sciopereranno si preparino a subire l'inevitabile repressione dello Stato, che in tale materia può imitare le procedure del socialista Noske. E non si lagnino se la Nazione aggiungerà la sua alta riprovazione politica e morale ad un gesto insensato da tutti i punti di vista, compreso in prima linea quello proletario. - MUSSOLINI
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Lo sciopero si è svolto ma non con una grande partecipazione…

AURORA !
(Il Popolo d'Italia, N. 195, 18 luglio 1919)

 

Io saluto un'aurora. La saluto con commozione trepida e ardente di speranze.
Saluto a gran voce l'aurora del giorno che segna l'inizio del riscatto del proletariato italiano dall'immonda speculazione “borghese” dei politicanti socialisti.
Coloro che hanno dato il buon esempio sono stati i ferrovieri. Il Comitato centrale, quando ha visto che da Roma a Taranto, da Torino a Pisa, folle imponenti di ferrovieri si rifiutavano di assassinare la nazione, cioè il popolo italiano, il Comitato centrale, che aveva decretato, senza menomamente interrogare la massa, lo sciopero, si è ritirato in buon ordine e ha lanciato l'appello per la sospensione del movimento.
La rivolta è venuta dal basso. I capi pussisti e confederali sono stati sorpresi. Non lo credevano. Noi ci vantiamo di fronte alle mistificazioni pussiste e a certe dedizioni vili e incomprensibili dell'ultima ora, ci vantiamo di aver dato una voce - con questo giornale d'acciaio - all'anelito profondo di liberazione che scuote il petto della parte migliore della massa operaia.
Non sono più un esiguo numero gli operai che sono stufi di essere sfruttati, letteralmente sfruttati, in ogni senso sfruttati, da un'associazione di professionisti della politica che si credono buffamente autorizzati e capaci di largire la felicità all'intero genere umano.
C'è un'insurrezione di minoranze proletarie, contro il Partito politico socialista, diventato leninista. La cronaca di questi mesi è tutta una serie di disastri operai. Lo sciopero dei lanieri di Biella si è chiuso miseramente. Quello dei metallurgici napoletani peggio ancora. L'intromissione del Partito politico nella vita del sindacato operaio è esiziale e distruttiva. Oggi sono i ferrovieri che iniziano il movimento di riscatto, domani saranno altre categorie. Andiamo - sotto la dura, implacabile lezione degli avvenimenti - verso quella forma di associazione economica che io ho sempre vagheggiato e il cui statuto poggerà su queste basi: 1. Soppressione del funzionarismo e degli stipendi; 2. Federalismo e autonomia; 3. Autodecisione nel senso che nessun movimento potrà essere inscenato senza un preventivo, regolare referendum; 4. Indipendenza assoluta da tutti i partiti politici e gruppi e sette e congreghe vecchie e nuove, compresi, si capisce, i Fasci di Combattimento.
Quest'organizzazione non è più un ideale lontano. La sua realizzazione è avvicinata da tutto ciò che accade in questi giorni. I proletari non vogliono più servire. Hanno ragione. Ma devono rifiutarsi di servire anche i borghesi e semiborghesi del Partito Socialista.
Noi affermiamo che col loro atteggiamento - a prescindere dal contegno dei capi - i ferrovieri hanno bene meritato della nazione.
La nazione lo ricorderà.
Se domani i ferrovieri volessero dar prova della loro alta coscienza e della loro capacità tecnica, chiedendo in esercizio cooperativo l'azienda statale ferroviaria, noi non ci opporremmo.
Infine proclamiamo altissimo e fortissimo che non ci opponiamo allo sciopero per salvare quello che non ci appartiene e non ci riguarda, ma semplicemente per salvare, colle fortune della Patria, l'avvenire del proletariato italiano.
Moltissimi socialisti in buona fede, ma che non osano farsi vivi, mordono il freno e in cuor loro sono pienamente con noi.
Non è in questo momento, con una nazione che ha i viveri per dodici giorni, con una nazione che sta battendosi disperatamente a Parigi per farsi largo nel mondo fra le cupidigie della plutocrazia internazionale cui tengono bordone in atteggiamento di passiva e attiva complicità i proletari dei paesi più ricchi, non è in questo momento che si può tentare impunemente la corsa al caos.
No. Il popolo italiano ha il diritto e il dovere di essere grande e malgrado tutto e tutti lo sarà. MUSSOLINI
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Il 14 agosto 16-17- Al congresso della FIOM, si è deciso di adottare una linea dura, per ottenere miglioramenti economici e come arma di lotta viene scelto l'ostruzionismo; sospensione del lavoro a cottimo e gli scioperi bianchi; minuziosa osservanza delle norme di sicurezza, con il conseguente rallentamento della produzione. Interviene il nuovo ministro del lavoro, Labriola per conciliare le parti, ma gli industriali restano intransigenti.

 

SI CONTINUA, SIGNORI !
(Il Popolo d'Italia, N. 226, 19 agosto 1919)


Quello che accade in questi giorni in Italia deve essere considerato e valutato freddamente e storicamente come un altro episodio della guerra civile che dall'agosto del 1914 in poi ha travagliato la vita della Nazione.
In questa guerra civile che ha avuto, potrebbe avere ed avrà molto probabilmente incidenti più sanguinosi ancora di quelli passati, le vecchie divisioni politiche dell'anteguerra non esistono più e alcune posizioni sono scomparse. Non stanno di fronte ricchi e poveri; borghesi e proletari; popolo e governo. Non è una lotta di partito, ma una lotta fra opposte mentalità, tra forze antitetiche al di sopra e al di fuori delle categorie economiche o politiche nelle quali potrebbero essere catalogate: ci sono borghesi contro altri borghesi, proletari a fianco di cosiddetti borghesi che urtano contro altri proletari a fianco di altri borghesi. Il vecchio dualismo classista fra borghesia e proletariato, nel quale i dogmatici del materialismo storico vorrebbero sigillare - fatuamente ! - tutta la storia del genere umano, qui si frantuma per dar posto ad un'altra antitesi non soltanto d'interessi, ma soprattutto di ideali.
Stanno in gioco le forze nazionali che si raccolgono in tutte le classi e le forze anti-nazionali che a loro volta raccolgono elementi in tutte le classi: dalla borghesia al proletariato. Le parole interventismo e neutralismo sono quelle che rivelano in sintesi la significazione di queste forze. Il neutralismo e l'interventismo sono due “categorie” che stanno al di sopra di quelle tradizionali che sino a ieri differenziavano gli individui. Il neutralismo non è fenomeno esclusivamente proletario, ma è anche borghese; così l'interventismo non è fenomeno semplicemente borghese, come pretendono di dare a intendere i ciarlatani del Pus, ma è anche proletario.
Tipico esempio di ciò, classico e memorabile esempio quello offerto dalla Camera del Lavoro di Parma, che, pur essendo composta nella sua grandissima maggioranza di contadini e di braccianti, di autentici proletari, dunque, sposò nel marzo del 1915 la causa dell'intervento. La divisione di forze operanti dall'agosto del 1914 al maggio del 1915 è rimasta. Non importa che la tesi della neutralità sia stata battuta; non importa che intervento e guerra e vittoria si siano effettuati, per affermare come si fa da taluni pencolanti verso il maddalenismo che i termini di interventismo e neutralismo sono oramai anacronistici e di puro valore retrospettivo. Affatto. Le parole neutralismo e interventismo sono prive di senso oggi che non c'è più da spezzare una neutralità, e provocare un intervento; ma i raggruppamenti che attorno a quelle opposte tesi si formarono esistono sempre, per cui la denominazione di interventisti e di neutralisti è ancora di attualità.
La lotta per l'intervento non fu una bagattella insignificante come un episodio elettorale o una polemica giornalistica o una rissa interna di partito. Fu qualche cosa di più tremendamente alto: fu la guerra invece della pace; fu il sacrificio invece del profitto; fu una “direzione” in un certo senso impressa violentemente a tutta la nostra storia, a tutta la vita del nostro popolo.
Quelli che s'impegnarono allora, sono ancora oggi impegnati perché sono ancora in sviluppo le conseguenze di quella determinazione. Chi si caricò del peso dell'interventismo è destinato a portarlo tutta la vita e, viceversa, per coloro che sostennero la causa neutralista. Finché le conseguenze della decisione presa nel maggio fatidico si faranno sentire, e si faranno sentire per molte generazioni, ci potranno essere periodi più o meno lunghi di tregua fra le due forze in conflitto, ma riconciliazione e pace, giammai, malgrado le inevitabili defezioni dall'uno all'altro campo.
Sbaragliate nel maggio del 1915, disperse nell'ottobre del 1917, quando la voce solenne di tutto un popolo si levò ad accusare i responsabili morali del disastro, battute dalla vittoria trionfale dell'ottobre 1918 e dalla rivolta popolare del 15 aprile e del 20-21 luglio 1919, le tribù neutraliste muovono oggi alla riscossa. Invano! Perché le forze contrarie esistono sempre, sono sempre combattive e sanno che la lotta non potrà concludersi che collo schiacciamento del nemico interno.
Non è un luogo comune questo, malgrado l'uso e l'abuso. Quell'associazione di banditi, di rammolliti, d'ingenui, di fanatici che si chiama Partito Socialista Italiano, è in realtà un'associazione di italiani nemici soprattutto, sempre e dovunque dell'Italia. È un Partito antiitaliano. È un Partito che odia la nazione italiana. È un Partito che ha tentato di assassinare la nazione italiana - cioè il popolo italiano - per favorire le nazioni nemiche.
A un dato momento questo Partito ha avuto il coraggio di rivendicare la sua parte di responsabilità morale nel disastro di Caporetto. L'affermazione fu fatta dall'on. Orlando in un suo discorso. Dinanzi alle infiammate proteste dì alcuni deputati socialisti, l'on. Orlando dichiarò che alcuni capi del socialismo avevano rivendicato “l'onore” di essere stati i complici di Caporetto. Nessuna smentita venne dagli organi direttivi del Pus. È il partito del “ben vengano i tedeschi”, come si gridava a Torino; da quel partito sono usciti gli incoscienti che entrarono nel campo di Mathausen al grido di “viva l'Austria!”; appartenevano ed appartengono a quel Partito i bestiali fischiatori di Battisti, i nefandi insultatori dei garibaldini delle Argonne. Uomini di quel partito hanno inneggiato al piombo austriaco che colpì Corridoni.
Tutto ciò che è coraggio, audacia, eroismo è negato dalla nefanda perversità tesserata del bestiame pussista. Nemmeno dinanzi alle forche del martirio che consacrava una fede, gli uomini del Pus si sono inchinati. No. Hanno sofisticato, hanno ghignato, sbofonchiato sui cadaveri. Ieri, vigliacchi; oggi, sciacalli. Dopo aver sbeffeggiato gli eroi, oggi il pussismo fruga le tombe e porta al suo mercato elettorale i fucilati. Ignora mezzo milione di morti, fra i quali migliaia e migliaia di autentici eroi che hanno cercato e voluto il sacrificio; esibisce settecento fucilati. Uno dei quali, volontario, insegna ai pussisti che la patria non si rinnega, nemmeno quando risponde col piombo di un'esecuzione sommaria a un'offerta d'amore. Quel condannato che prima di morire grida sinceramente “Viva l'Italia!” quale terribile lezione dà ai pussisti che quel grido non pronunciarono mai, come si trattasse di una turpe bestemmia. Con siffatti precedenti, inutilmente il vinattiere Zibordi tenta di ricondurre sul terreno della nazione il pussismo italiano.

E allora, si continua, signori!
Bisogna preparare nuovamente armi di ferro, armati di ferro e picchiare senza pietà! MUSSOLINI
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LA GRANDE ADUNATAE L'AZIONE BLOCCO CONTRO BLOCCO
(Il Popolo d'Italia, N. 227, 20 agosto 1919)

Gli avvenimenti che incalzano - più ancora che il desiderio o la volontà degli individui - rendono urgente e oramai indeprecabile la costituzione di quel blocco per l'intesa e per l'azione che qui ripetutamente abbiamo propugnato. La polemica di questi giorni, il tentativo social-giolittiano di “caporettare” l'Italia, di sabotare, cioè, la vittoria, immergendo la nazione nell'atmosfera di una disfatta che fu - entro il circolo di dodici mesi - luminosamente e gloriosamente cancellata; le impudenti manovre di tutti coloro che ci trovammo di fronte e sbaragliammo quattro volte dal 1915 al I9I9, indicano le necessità dell'ora e l'imperioso dovere per quanti vollero e hanno l'orgoglio di avere voluto l'intervento, di scendere nuovamente in campo.
I repubblicani di Romagna hanno sentito immediatamente questa necessità. C'è stato un periodo in cui alcuni individui - di soverchia buona fede - credettero possibile un riavvicinamento col socialismo ufficiale italiano.. Oggi, questa illusione è caduta. La rivoltante campagna anti-nazionale inscenata in questi giorni dai socialisti italiani, ha inferto il colpo di grazia alle ingenuità di certi collaborazionisti repubblicani o - anche - socialisti riformisti. Non si può far blocco con quella gente e nemmeno riprender contatti. Lo vieta la più elementare decenza politica. Un solo blocco è possibile in Italia: quello fra coloro che vollero la guerra e che - oggi - riconoscono la necessità di trasformare il regime politico ed economico, con metodo, con disciplina, senza capriole pazzesche, senza scimmiottature straniere, ma con piena maturità di coscienza, con pieno senso di responsabilità morale e con obiettivo la maggiore grandezza e prosperità del popolo italiano. Queste idee hanno trovato immediata e simpatica eco in Romagna, fra l'elemento repubblicano. Lo provano gli articoli dei settimanali repubblicani: il Lamone di Faenza, la Libertà di Ravenna, il Popolano di Cesena e una deliberazione importante del circolo “Mazzini” di Forlì. Si tratta, ora, di trovare la formula “giuridica” per questo blocco; si tratta di stabilire i limiti e i modi della sua funzionalità; ma questo non è difficile quando l'idea di massima sia stata accettata. Blocco dunque fra gli uomini e i partiti che vollero la guerra e vogliono, oggi, la realizzazione di alcuni postulati politici ed economici. Ma perché, ci domandiamo, non potrebbero in questo blocco entrare anche coloro che la guerra non “vollero”, ma che la guerra hanno “fatto” con devozione, con sacrificio, con eroismo e cioè i combattenti in genere? Nel Comitato d'Intesa e d'Azione di Milano ci sono, aderenti, la sezione milanese della Associazione nazionale fra i combattenti d'Italia, la sezione degli arditi, quella dei volontari, quella degli smobilitati, quella dei garibaldini vecchi e nuovi. Perché l'esempio di Milano non potrebbe essere seguito? Perché non potrebbe sorgere entro il settembre prossimo, mese che sarà, per i numerosi congressi già annunciati, politico per eccellenza, la Federazione nazionale dei Comitati di Intesa e d'Azione per la Costituente? A ottobre, in vista delle elezioni, i Comitati dovrebbero già essere in efficienza per partecipare alla lotta. Lotta elettorale che avrà un'importanza storica eccezionale tanto che gli stessi comunisti estremisti del Pus sentono che non possono disertarla. La prossima lotta elettorale, effettuandosi con scrutinio di lista a base abbastanza larga, evita gli esibizionismi, le speculazioni e le camorre del vecchio collegio. Gli uomini scompaiono nelle lunghe liste di otto o dieci nomi. I partiti, i raggruppamenti, le coalizioni agiscono e battagliano. Si sente, si presente che la lotta sarà più decente, più corretta, più morale di quelle che si svolsero sino al 1913. Si sente - anche - che gli elementi in lizza si polarizzeranno fatalmente in tre grandi coalizioni: la nostra, quella cattolica, quella socialista. La nostra può vincere, se si prepara. La nostra può raccogliere i suffragi di milioni di italiani. Ma - non è ozioso ripeterlo ancora una volta - non bisogna indugiare. La coalizione social-giolittiana c'è già, malgrado le volate degli estremisti, e c'è già in molti elementi clericali la tendenza a entrarvi. I migliolini dell'Azione sono perfettamente, naturalmente a posto fra l' Avanti l e la Stampa.
Malgrado ciò, se noi lo vorremo, dalla prossima consultazione elettorale potrebbe uscire la condanna del pussismo italiano all'ostracismo politico. Abbiamo buone carte nel nostro giuoco e sono le ripetute mistificazioni politiche ed economiche perpetrate dal pussismo: i disastri degli scioperi economici (Biella, Napoli) e le turlupinature di quelli politici (aprile, luglio). Inoltre la campagna ripugnante di questi giorni ha già suscitato lo schifo più profondo nell'animo di tutti i combattenti e lo dimostra la collezione dei loro giornali.
Soltanto è tempo per noi di “concretare”. MUSSOLINI
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Alla sfilata dei reggimenti degli ex combattenti

SENSO DELLA VITTORIA !
(Il Popolo d'Italia, N. 244, 6 settembre 1919)

Finalmente, dopo settimane e settimane di avvelenamento morale di sorde, se pur necessarie polemiche; finalmente, dopo settimane, settimane di afa e di bassura mefitica, ieri un soffio gagliardo di aria pura ha attraversato le strade e le piazze della vecchia Milano e più che le cose ha attraversato le anime. Davanti allo spettacolo della solida giovinezza italica reduce dalle trincee e ancora bene inquadrata e bene disciplinata, si riconfortava la fede nei destini della nostra razza. La folla che circondava i ritornanti era folla di popolo nel senso più esatto della parola: piccola, minuta gente che si riconosceva nei soldati, come il sangue si riconosce nel sangue. Quanti erano coloro che sfilarono nel corteo o assisterono alla sfilata? Il calcolo è difficile ed inutile. Si può dire, senza cadere nell'esagerazione, che tutta Milano era attorno ai reggimenti vittoriosi. Ieri, marciando dietro le bandiere, osservando i moti e i gesti della folla, ascoltando i discorsi, ci siamo convinti che l'infame campagna “caporettaia” - inscenata dalla camarilla social-giolittiana - non ha “preso” l'animo delle masse profonde
che, malgrado tutto e tutti, malgrado la campagna dei giornali e la complicità palese del Governo, il senso della vittoria è ancora vivo potente. Il tentativo di capovolgere la realtà storica, mettendo Caporetto al primo piano e Vittorio Veneto all'ultimo, è fallito o è destinato a fallire.
L'ultimo rozzo cervello dell'ultimo popolano comprende che se la vittoria non è stata - nei suoi risultati - grandiosa come si era creduto, la disfatta ci avrebbe annientato da tutti i punti di vista: semplicemente. La vittoria è una strada sulla quale - in mezzo agli inevitabili ostacoli - si può, si deve camminare; la disfatta è un gorgo oscuro nel quale i popoli vinti si dibattono tragicamente. Se riparare dopo la vittoria chiede lo sforzo di dieci, riprendere dopo la disfatta chiede lo sforzo di mille. Supponete, per un momento, che l'Italia e l'Intesa avessero perduto la guerra; supponete l'Alta Italia occupata da guarnigioni tedesche, austriache, bulgare, turche; supponete una mutilazione del vecchio territorio nazionale; mettete nell'ipotetico calcolo le requisizioni, le taglie, e le indennità; non dimenticate gli eventuali cambiamenti vagheggiati dai vaticanisti di Vienna che speravano di rimettere sul trono il Papa, con relativi territori del “potere temporale”, e poi immaginate in quali condizioni si sarebbe trovato il popolo italiano!
L'ipotesi sola dà i brividi. Ebbene, nell'anima delle masse, questa valutazione storica esiste nei suoi elementi politici e sentimentali. L'orgoglio di aver vinto, è nei soldati e nel popolo, e, nell'uno e negli altri, è il senso di aver provocato eventi storici di portata immensa, quale la caduta di tre imperi nemici.
La sterminata folla che ieri ha esaltato e coperto di fiori il popolo reduce dalla guerra, celebrava nei vittoriosi la grande, la meravigliosa vittoria italiana. MUSSOLINI
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Preparandosi alle elezioni politiche del 16 Novembre 1916...

IN CAMPO DA SOLI
(Il Popolo d'Italia, N. 292, 24 ottobre 1919)

La notizia che il fascismo milanese, unitamente coi suoi naturali e oramai inseparabili alleati che sono gli arditi e i volontari di guerra, scende in campo da solo, sarà accolta con un moto di gioia e di orgoglio da parte di tutti i fascisti d'Italia. L'ordine del giorno votato all'unanimità nell'adunata nazionale di Firenze, stabiliva delle “preferenze” ma non escludeva, là dove si fosse resa necessaria e possibile, la lotta fascista con candidati fascisti e programma fascista.
Ripetiamo che la parola fascista comprende anche gli arditi e i volontari di guerra, poiché le tre associazioni sono distinte nella forma, ma fuse e confuse nella sostanza: si tratta di tre corpi e di un'anima sola. Ora, il blocco fascista, che potrà anche chiamarsi il blocco delle “teste di ferro”, ha deciso di affrontare in pieno la battaglia elettorale, senza nascondere una linea dei suoi programmi, senza camuffare, la sua mentalità.
L'Avanti! di ieri proclamava su sei colonne che i “più arrabbiati sostenitori della guerra si ritirano vergognosamente dalla lotta” ma questa che è vera vergogna (una volta tanto siamo perfettamente d'sccordo col foglio pussista) non ci riguarda, perché noi non ci nascondiamo, non ci ritiriamo e soprattutto non cerchiamo coi trucchi dell'ultima ora, di ottenere dieci centesimi di perdono o di oblio dai nostri avversati e nemici. Ci presentiamo quali siamo e con questo crediamo di rendere un discreto servizio anche agli avversari delle coalizioni più agguerrite: la pussista e la pipista, i quali avversari, per la bellezza estetica e la sincerità della lotta, devono apprezzare, anche se apertamente non lo dicono, il nostro gesto di rivolta e di sfida. Siamo giunti all'intransigenza fascista per necessità di cose e per volontà di uomini Il fascio milanese che è - lo si voglia o no - il raggruppamento politico più importante di Milano, immediatamente dopo la sezione del Partito Socialista Ufficiale, è stato trattato da parte di taluni sinistra con una specie di “sufficienza” sconveniente e irritante. Per molte ragioni d'ordine pratico, sulle quali è inutile in questo momento di iniziare discorso, ma soprattutto per una ragione d'indole politica che si riaittacca direttamente alle famose polemiche bissolatiane, noi fascisti, che non rinunciamo a Fiume e nemmeno alla Dalmazia italiana, non abbiamo potuto andare col gruppo cosiddetto di sinistra, patrocinato da combattenti inscritti all'Associazione nazionale. A destra (usiamo questa terminologia per intenderci, ma aggiungiamo subito che destra e sinistra non hanno oggi che un valore il più delle volte puramente retrospettivo) abbiamo trovato della gente arrendevole nei programmi e anche nei candidati, ma ciò che da quelle brave persone ci divide è la nostra mentalità; il nostro stato d'animo, un insieme di sentimenti, d'impulsi, di ribellioni che non si pesano col bilancino e che tuttavia scavano fra uomini un solco profondo come un abisso. E allora terza e unica via, scartato l'astensionismo che in queste circostanze sarebbe equivalso a una pietosa e clamorosa auto-confessione di impotenza, la via dell'affermazione fascista, che sarà, noi pensiamo, consacrata per acclamazione dall'imminente assemblea del Fascio milanese.

In fondo bisogna pensare che noi eravamo andati - a prescindere da altre questioni - verso forze inconsistenti o quasi. Il nostro gesto liquida diverse situazioni, seppellisce organismi già invecchiati e finiti. I liberali più che un partito sono una tendenza. Molti quadri, pochi soldati, niente masse di popolo. La “Democrazia Lombarda” è un'associazione che ha fatto il suo tempo. In due assemblee, in questo periodo di accesa tensione politica, non è mai riuscita a raggranellare più di settanta soci. La più stracca delle assemblee fasciste non ha mai avuto meno di duecento presenti. Il blocco di “destra” verso il quale si inclinava era un matrimonio di convenienza: noi apportavamo la nostra giovinezza, il nostro impeto, il nostro fegataccio e quelli là ci offrivano la loro dote, le loro “posizioni”». Ma quando abbiamo aperto gli scrigni, abbiamo trovato la dote e le posizioni del 1914: tutta roba che oggi è fuori corso o quasi. A “sinistra” ci avrebbero detto: non comprometteteci parlando di Dalmazia, e a “destra” : non toccate troppo violentemente certi tasti interni, perché i cinquantuno sindaci clerico-moderati del collegio di Febo Borromeo e relativi buoni villici potrebbero.... squagliarsi!
Di fronte a questa situazione, ogni fascista - veramente fascista - si convince che soltanto lottando da fascisti, si può dare alla lotta la “nostra” colorazione, fatta di meditata audacia e di giovanile scapigliatura. La nostra non è una lotta elettorale: questo bisogna bene inchiodarlo nel cervello: è una lotta politica: è la lotta che noi condurremo contro tutte le forze anti-nazionali, oggi riassunte e simboleggiate nel Governo di Nitti.
Quando “le teste di ferro” milanesi si riuniranno a comizio, lo apriranno con questo grido : “A chi l'onore?”. “A Fiume!”. “Viva chi?”. “D'Annunzio!”. “Abbasso chi?”. “Cagoia!” - MUSSOLINI
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Il giorno dopo Mussolini precisò….


A SIGNIFICAZIONE
(Il Popolo d'Italia, N. 293, 25 ottobre 1919)


Abbiamo detto ieri che la nostra non è una lotta elettorale nel senso comune e volgare della parola. Noi non ci preoccupiamo soverchiamente del successo numerico. Non ci vestiremo a lutto, se nessuno dei nostri candidati raggiungerà il famoso e sospirato quoziente. La nostra è una lotta “politica” e anche questa parola non va intesa nel suo senso tradizionale.
Noi approfittiamo del periodo elettorale per mantenere accesa una fiamma, per elevare la tensione spirituale di coloro che ci seguono, per annodare quelle relazioni, stabilire quei contatti e collegamenti, che sono necessari per creare, insomma, tutte le condizioni favorevoli allo sviluppo dell'idea fascista. Lotta “politica” la nostra, perché diretta contro l'attuale Governo, che dovrebbe essere spazzato violentemente via da un movimento di popolo; lotta “politica” perché getta al primo piano la questione di Fiume nei suoi aspetti internazionali e nelle sue inevitabili ripercussioni d'indole interna.
La lotta elettorale offre a noi il pretesto di “fiumanizzare” sempre più acutamente coloro che sono con noi. Il verbo “fiumanizzare” ha un -significato preciso per i fascisti.
La censura vile e idiota non ci permette di dire di più.
La lotta elettorale fascista significa : esasperazione dell'opposizione al Governo di Nitti, disintegrazione del medesimo Governo. L'uomo che è responsabile di un cumulo di nefande menzogne e calunnie non deve governare l'Italia. Non si deve più oltre tollerare la sua dittatura. E enorme che si facciano delle elezioni in regime di censura. Questa dittatura cagoiesca deve finire. Bisogna impegnarsi di farla finire. Il disagio spirituale che angustia l'Italia, ben maggiore e ben più pericoloso di quello materiale, non può trovare, nelle attuali circostanze, il suo sbocco pacificatore nella consultazione elettorale. Quel disagio aumenta col passare dei giorni, perché la spada del Damocle fiumano sta sospesa sulla vita nazionale.
Francesco Nitti è il responsabile primo ; di questo disagio.
E evidente, da molti segni, da molti detti, che Cagoia ripeterà il gesto di Kàroly, consegnerà l'Italia ai pussisti, scatenerà un periodo, forse breve, ma certamente sanguinoso, di guerra civile. Sulla guerra elettorale pende l'imminente fatalità della guerra civile. Nitti spinge le cose al punto in cui, invece di lottare a colpi di scheda, si battaglierà colle bombe a mano. Nitti seppellisce il regime. Ma gli eredi, a qualunque costo, saremo noi, saranno quelli che, dopo un anno di vergogne, hanno rialzato in faccia al mondo la gloriosa bandiera del Carso e del Piave. MUSSOLINI
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Sui pericoli della “guerra civile” M. ci ritorna il 2 novembre

GUERRA CIVILE ?
VIOLENZA CONTRO VIOLENZA

(Il Popolo d'Italia, N. 301, 2 novembre 1919)


Gli interventisti che sono ancora degni di questo nome, non devono protestare né piatire longanimità da parte dei socialpussisti, i quali dimostrano che cosa sarebbe il loro potere se arrivassero a conquistarlo e ci offrono preziose e istruttive anticipazioni di quel che sarebbe la dittatura cosidetta proletaria. I socialisti fanno bene a violentare ogni manifestazione avversaria. Giovano al nostro scopo e insegnano a certi “dondoloni” dell'interventismo che è perfettamente inutile e idiota credere di ottenere rispetto e tolleranza facendo delle concessioni a gente che non ne meritano. Che cosa ha giovato al blocco di sinistra lo scrupolo di escludere dalla lista gli uomini più compromessi in materia di interventismo e quindi più odiati dalle masse tesserate? Un bel nulla, e lo si è visto venerdì sera. I pussisti non fanno distinzioni. Non le sanno fare. Mussolini o Ricchieri è per loro la stessa cosa. Ciò detto, noi non invochiamo dai pussisti il rispetto delle idee avversarie. Non siamo così ingenui, ma denunciamo il gesuitismo di quella gente. Noi diciamo ai socialisti ufficiali: tentate pure d'imporvi colla violenza, ma non fate i gesuiti, non nascondete la mano che tira il sasso, non declinate le responsabilità che vi aspettano! È stomachevole leggere nell'Avanti! una noticina di questo genere:
“L'importante è questo: che i " pussisti " sappiano che c'è della gente che ha in serbo per essi del piombo e delle rivoltelle.
E noi, serenamente, senza un briciolo di timore (non di paura perché non è nemmeno il caso di parlarne), confermiamo di sentirci perfettamente a posto col nostro bagaglio di idee e colla nostra fede, che difenderemo con tutte le nostre forze! E’ essa che ci da solidi argomenti da contrapporre a tutti i nemici del socialismo.
Le rivoltelle ed il piombo, in periodo elettorale, è roba che lasciamo volentieri ai banditi della politica, specialmente a quelli che non hanno mai avuto sinceramente un'idea e che hanno sempre dimostrato uno sviscerato amore alla palanca!”.
Qui c'è un trucco ed un equivoco in evidente malafede : noi non abbiamo mai promesso del piombo a chi voglia serenamente discutere con noi, anche nei comizi; noi abbiamo detto e ripetiamo che risponderemo alla violenza degli avversari con una centuplicata violenza !
Più nauseabondo è il signor A. De Giovanni, il quale ha la faccia tosta di stampare queste parole.

”Noi siamo per la libertà assoluta per tutti e vorremmo che i nostri amici proletari si astenessero dal disturbare i comizi dei nostri avversari, tanto più che se non ci vanno i nostri operai, i loro comizi sono quasi sempre un fallimento. Ma atteggiarsi a vittime come essi fanno, è veramente ridicolo!”.

Come i socialisti intendano la libertà assoluta per tutti lo dimostra la cronaca elettorale di questi giorni, ma riteniamo anche noi che l'atteggiarsi a vittime sia ridicolo.
Soltanto questo ridicolo non ci riguarda. Non apparteniamo alla specie dei piagnoni. Se domani saremo sopraffatti, non eleveremo lamentazioni inutili. Prenderemo atto. Né cercheremo vane eufemistiche consolazioni. Ma per sopraffarci bisognerà che i nostri nemici siano disposti ad impegnare un combattimento in piena regola. Come noi non chiediamo pietà o tolleranza a loro, così essi non ne chiedano a noi, perché non ne avremo. E in gioco una delle più alte conquiste ed espressioni della civiltà umana: la libertà di parola. Chi accetta o subisce, senza combattere, questa enorme coartazione resa più odiosa e intollerabile dall'antinomia oscura del numero, si prepari a vivere i giorni più neri della schiavitù. Guai a cedere in questo momento! Proletariato, lotta di classe, socialismo sono fuori questione. La situazione è in questi termini: c'è una minoranza che vuole imporre il bavaglio a coloro che manifestano un pensiero diverso. Tocca ai fascisti, agli arditi, ai volontari di guerra; tocca ai cittadini tutti che non sono indegni della qualifica di cittadino, spezzare il giogo di questa violenza.
Compito duro ed ingrato, ma necessario. Bisogna assolverlo a qualunque costo, con qualunque mezzo. MUSSOLINI
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Manca una settimana alle Elezioni politiche. Il primo comizio.

LA GRANDE ADUNATA
(Il Popolo d'Italia, N. 310, 11 novembre 1919)


Una piazza silenziosa, solitaria, con palazzi a linee di un'armonica architettura, nel cuore di questa vecchia grande Milano: ecco il luogo scelto dai fascisti per il loro primo comizio. Sino dalle sette - il comizio era indetto per le nove - la piazza era perlustrata dai nostri nuclei di avanscoperta, ma a poco a poco, attraverso ai cordoni, una moltitudine di cittadini filtra e si raccoglie attorno al camion che servirà da tribuna. Silenzio. Uno scoppio. Un comizio di trinceristi si apre in modo trincerista. Una pistola “Very” lancia un magnifico razzo bianco che solca il cielo e ricade sulla folla che acclama. Folla che si fa silenziosa, raccolta, quasi meditativa.
Passa a ondate vibrante la giovinezza impetuosa degli arditi, che cantano il loro immortale
Giovinezza! Giovinezza!
Ecco: la folla è immobile. Ascolta. Alla luce scarsa dei fanali e a quella fumosa delle torcie a vento, le faccie brune, tagliate sul buon modello romano e italiano, spiccano nettamente, fra giochi di ombre e di luci. Gli oratori parlano uno dopo l'altro e la folla non dà segni d'impazienza.
Il contradditore operaio - e ci spiace che ce ne sia stato uno solo, ma dobbiamo rendere omaggio al suo coraggio - inizia e finisce il suo discorso, fra manifestazioni diverse, ma senza gesti o gridi d'intolleranza. Il presidente Baseggio è abile e fermo.
Nessun incidente. Né prima, né durante, né dopo, quando l'immensa fiumana di popolo, attraverso via Manzoni, largo Margherita, piazza del Duomo, via Carlo Alberto, ha raggiunto la ormai famosa via Paolo da Cannobio.
Noi siamo. profondamente lieti che il comizio si sia svolto così ordinato e solenne. Perché noi non cerchiamo, non vogliamo violenze. Perché noi, che siamo intimamente, quasi innatamente dei libertari, vorremmo che le lotte delle idee - anche quelle che sono fra di loro le più antitetiche - si svolgessero senza urti e senza spargimento di sangue.
Noi “fascisti” abbiamo mostrato ieri sera che siamo degni della libertà per noi e per gli altri. Siamo così innamorati della nostra libertà che per essa siamo pronti a qualsiasi sacrificio e non distinguiamo, in questo caso, fra noi e gli altri. Noi diciamo che se domani i nostri più feroci avversari fossero vittime in tempi normali di un regime d'eccezione, noi insorgeremmo perché siamo per tutte le libertà, contro tutte le tirannie, compresa quella sedicente socialista.
Il comizio fascista, per il quale la cittadinanza ha trascorso alcune ore di trepidazione, ha dimostrato che il fascismo, pur essendo un movimento di minoranza, è così organico, così omogeneo, così giovane che può tenere le piazze senza che gli altri osino fargli offesa e senza che esso si abbandoni ad eccessi.
Dicemmo in principio: perfetta cavalleria nella lotta elettorale e la parola l'abbiamo mantenuta e la manterremo.
Ai fascisti di tutta Italia la buona novella: a Milano il fascismo è in grado - per la sua e per l'altrui libertà - di tenere la piazza. Non fa violenze e non ne subisce!
Viva la triplice fascista: arditi, volontari di guerra, fascisti!
Viva l'impetuosa giovinezza dell'Italia grande, rinnovata e più libera di domani! – MUSSOLINI
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Mussolini, "Il Popolo d' Italia” e i Fasci di combattimento sostennero strenuamente le posizioni di battaglia, pronti contro tutto e contro tutti per l'appuntamento con le elezioni del 16 novembre. Ma alla resa dei conti, oltre il misero risultato, la propaganda disfattista, dopo la chiusura delle urne, portò all'arresto di Mussolini che fu condotto in questura e processato (per aver creato un "covo" di ribelli) poi fu rimesso il libertà per l'intervento del direttore del Corriere d.S. Albertini, che ritiene che i miseri 4657 voti presi dal suo collega -nonché capo dei tanto celebrati Fasci di combattimento- "politicamente sia finito". A Nitti che vorrebbe lasciarlo in galera, Albertini gli consiglia di non farlo, "Mussolini è un rudere. E' uno sconfitto, non occorre farne un martire".

Più che per l'arresto, Mussolini era avvilito per il clamoroso insuccesso e la figuraccia che aveva fatto dopo tanto agitarsi, dopo tanti articoli, riunioni, discorsi. L'Avanti ! impietoso, mise sul giornale due righe nella cronaca nera: "Ripescato dentro il naviglio un corpo; sembra che si tratta di Benito Mussolini". E altri suoi nemici bontemponi improvvisarono un funerale con la sua effige.
Se vogliamo credere alla Sarfatti, Mussolini preso da un momento di sconforto, voleva mollare tutto, il giornale, la politica, le lotte: "...so fare altri mestieri, il muratore, il pilota, e so suonare anche il violino, farò il magnifico mestiere del rapsodo errante".
Chi mai direbbe che quest'uomo su tutta la linea perdente, in soli due anni riuscirà a prendere il potere?


A due giorni dalla cocente sconfitta,
Mussolini riprende coraggio e così si giustifica…


L'AFFERMAZIONE FASCISTA
(Il Popolo d'Italia, N. 317, 18 novembre 1919)


La nostra doveva essere ed è stata una semplice affermazione, limitata alla circoscrizione elettorale di Milano. Non voleva essere qualche cosa di più. Scriviamo questo non già per esibire delle eufemistiche nonché postume giustificazioni e consolazioni a noi e agli altri, ma semplicemente perché è la pura, la sacra, la documentabile verità. Noi siamo scesi in campo per affermarci e ci siamo riusciti. La nostra non è né una vittoria né una sconfitta: è un'affermazione politica. La nostra non è stata una battaglia elettorale: non abbiamo potuto fare quello che si dice una “campagna” elettorale. Con i comizi non si raccolgono dei voti, specialmente quando li teniamo noi e riescono qualche volta assai tempestosi. Non abbiamo mai vantato, oltre il giusto, l'entità e l'efficienza delle nostre forze. Non abbiamo aspettato oggi, per dire quello che abbiamo detto cento volte: che cioè siamo una esigua minoranza in confronto colle masse di cui dispongono altri partiti, ma una minoranza colla quale bisogna fare i conti, perché se è debole dal punto di vista quantitativo, è “fortissima” dal punto di vista qualitativo e tutti i nostri avversari lo sanno. Quando si tracci il quadro della situazione si vedrà che non c'è proprio motivo di elevare lamentazioni superflue e perfettamente inutili.

Il nostro movimento, che ha un suo speciale carattere politico e che non deve essere confuso con altri Fasci, ha appena sei mesi di vita. Non è schedaiolo. Ha accettato la lotta elettorale, ha deciso di scendere in campo perché ci si batte non sempre sul terreno preferito, ma anche su quello che uomini, eventi e nemici qualche volta impongono. Dopo un periodo preliminare di trattative a destra e a sinistra, sulle quali i lettori del Popolo sono pienamente eruditi, il Fascio milanese si è deciso a scendere in campo, dieci giorni prima della grande giornata.
Non si poteva improvvisare quella che si chiama organizzazione elettorale e che specialmente col nuovo sistema richiede moltissimi uomini e mezzi. In tutta la provincia non avevamo che due nuclei nostri: a Monza e a Gallarate e alcune centinaia di amici sparsi qua e là. Su Ottocento sezioni, avevamo rappresentanti e distributori soltanto in un centinaio delle città: in tutto il resto nulla o quasi. In queste specialissime condizioni l'aver accettato la lotta potrebbe costituire un titolo sufficiente di orgoglio per noi e l'aver raccolto ciò malgrado alcune migliaia di voti, di cittadini veramente nostri, perché non li abbiamo in alcun modo sollecitati, può esserci motivo di legittima fierezza. Infine chi ci ha ascoltato nei comizi, chi ci ha letto sui giornali, è testimone che noi ci siamo battuti per amore dell'arte e della nostra tesi, infischiandoci dei risultati numerici. Se noi avessimo cinquant'anni di vita e di organizzazione come hanno i socialisti ufficiali o venti secoli di storia come hanno, i preti, potremmo dolerci per le cifre uscite dalle urne; ma giovanissimi come siamo - e in un certo senso come desideriamo restare - dichiariamo che i risultati della consultazione attuale non ci hanno né sorpresi, né modificati. Rimandiamo altre considerazioni “comparative” a quando saremo in possesso dei risultati definitivi.
La “nostra” battaglia continua! MUSSOLINI
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Dell’anno 1919 che si sta per concludere, riportiamo infine quest’altro intervento.


NOI E LA CLASSE OPERAIA
(Il Popolo d'Italia, N. 335, 6 dicembre 1919)


Dire, come si dice da taluni in malafede, che noi siamo nemici della classe operaia, che vogliamo ostacolare il cammino della classe operaia, che vogliamo lo sterminio della classe operaia, semplicemente perché siamo avversari dichiarati e aperti del Partito pseudo-Socialista Ufficiale, o perché, in buona compagnia del grande Cipriani e con cento altri non dei minori socialisti, abbiamo sostenuto la necessità per l'Italia dell'intervento in guerra, dire tutto ciò, significa varare la più banale delle menzogne, significa mettere in circolazione la più grossa delle stupidità. Centinaia e forse migliaia di operai di Milano e di altri siti, potrebbero recarci la loro personale testimonianza circa i fatti e le prove dei nostri rapporti coi singoli operai o colle loro masse, ma lasciamo questo che è affare privato fuori di discussione.
Coloro che ci ritengono “nemici” della classe operaia italiana, ci offendono nel peggiore dei modi: ci offendono nella nostra intelligenza.
Ora, in dieci anni di feroci polemiche con ogni sorta di avversari, nessuno ci ha negato il dono dell'intelligenza. Solo un criminale o un inintelligente può odiare la classe operaia, cioè la classe di coloro che guadagnano la vita lavorando onestamente colle braccia nei campi e nelle officine.
La classe operaia italiana, industriale, commerciale, agricola, dei trasporti abbraccia fra uomini, donne, vecchi e bambini dai venti ai venticinque milioni di creature.
Non solo queste hanno in comune con noi e con tutti gli altri italiani i dati fondamentali della natura umana, ma hanno con noi, in comune, i dati peculiari della nostra stirpe.

Come si può fare oggetto di odio o anche di semplice avversione una massa così imponente di individui? Dal punto di vista umano è più che assurdo: inconcepibile. Dal punto di vista sociale, dell'utilità sociale ai fini dell'economia nazionale, non si comprende l'avversione alla massa operaia.
La massa operaia, il cosiddetto proletariato, non è già, come appare nella vieta e vecchia nomenclatura del socialismo rivoluzionario, qualche cosa di omogeno, di compatto, di nettamente differenziato da tutte le altre classi. Anche nel proletariato ci sono delle differenziazioni, delle scale, delle gerarchie di funzioni che determinano delle gerarchie di valori non soltanto tecnici ma morali. Ci sono degli operai che stanno al margine della scienza. Ci sono degli operai che toccano le soglie dell'arte. Ci sono accanto agli operai del libro, quelli che amano il libro.
Anche fra gli operai ci sono i raffinati, quelli che hanno abitudini e temperamenti diversi dai loro compagni. I motoristi, gli elettricisti, i modellisti sono ad esempio l'aristocrazia dell'officina. Un motorista rappresenta, oggi, nell'età magnifica della trazione meccanica per terra, per mare, per cielo, un valore sociale superiore a quello di mille altri personaggi più o meno decorativi della società. Ci sono degli operai davanti ai quali io non so nascondere un senso di ammirazione : e sono quelli che non lavorano soltanto di braccia, ma anche e soprattutto di cervello.

Dal bracciante allo scalpellino; dal facchino al macchinista; dal carrettiere all'orefice, c'è tutta una gamma infinita di attività, di possibilità e di valori individuali e collettivi, che spezzano e frastagliano l'unità, puramente formale, della massa operaia. È stolto parlare, nei nostri riguardi, di avversione alla classe dei lavoratori. La verità è che noi combattiamo le cattive tendenze spirituali di una parte della massa operaia: non già, si noti bene, l'anelito verso un regime migliore, anelito che crediamo utile, ai fini del progresso generale, pungolare, invece che sopprimere; combattiamo la megalomania socialista, l'iperbolizzazione e la cortigiana adulazione socialista della massa operaia, per cui si dà a credere che soltanto i lavoratori del braccio hanno diritto di vita e di governo, anche se non li assiste la virtù e la capacità.

Combattiamo la speculazione che i socialisti ufficiali - Partito politico composto in minimissima parte di operai - compiono sul cosiddetto proletariato. Combattiamo l'assurda aspirazione che tenterebbe ridurre al solo “dato” del lavoro manuale la vita enormemente complessa delle società occidentali.

Combattiamo tutto ciò che può abbrutire ed imbestialire i lavoratori dalla dottrinetta clericale al catechismo rosso. Osteggiamo la tutela e la rappresentanza che i socialisti abusivamente si arrogano in nome e per conto del proletariato. Non combattiamo l'organizzazione di classe quando ci è possibile l'aiutiamo. Le nostre idee in materia sono note noi vagheggiamo una organizzazione sindacale che sia completamente autonoma da partiti e da sette; che elabori in sé, secondo le circostanze, i luoghi e le esperienze, le proprie tattiche e i propri ideali; che sia elastica e snodata, senza vincoli di pregiudiziali; che passi dalla lotta di classe alla collaborazione attiva e passiva e da questa ancora alla lotta di classe o all'espropriazione di classe, tutte le volte che l'obbiettivo sindacale coincida col più grande interesse della collettività.

Non siamo nemici né servi della classe operaia. Quando occorre andiamo contro corrente e non ci importa di spezzare i misoneismi e di affrontare le lapidazioni morali e materiali degli ignavi, degli incoscienti e della teppaglia.
Conserviamo, di fronte a chiunque, in alto e in basso, il nostro più prezioso tesoro : l'indipendenza. Questa è che ci distingue dal tesserato gregge pecorile, e ci inimica i cattivi pastori che la sfruttano con gli inganni e i trucchi della “demagogia”. –MUSSOLINI
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Mussolini, non demorde, e lo ritroveremo il 1° Gennaio 1920.

Il 1920 chiudeva con una situazioni grave sul terreno politico (con un Nitti alle corde), altrettanto in quello sindacale e dentro il PSI, dove una parte della direzione del partito - l'ala moderata - appare -dopo alcuni insuccessi- incerta con l'ala degli intransigenti; sorge presto una crisi interna che porterà nel corso dell'anno alla nascita della corrente comunista, che poi nel successivo gennaio 1921, a Livorno, andrà a costituire il PCI.


Ma prima del 1921, dobbiamo narrare il prossimo 1920,
il secondo anno del cosiddetto "biennio rosso".

Lo iniziamo facendo innanzitutto una sintesi dell'intero anno,
con le date e i fatti più significativi; poi li approfondiremo meglio.

…il 1920, l'anno più duro del dopoguerra > > >

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