ANNI 1922 (6)

LA MARCIA SU ROMA

GOVERNO MUSSOLINI - L'ITALIA FASCISTA

I PREPARATIVI - SBANDO A ROMA - IL RE E LO STATO D'ASSEDIO - LA MARCIA SU ROMA -
IL GOVERNO MUSSOLINI - IL DISCORSO DEL "BIVACCO" - MUSSOLINI A LOSANNA
LOTTA FRA RAS E ONDATA DI REVISIONISMO DEL FASCISMO
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Lanciato il 27 mattina dal Quadrunvirato il Proclama che abbiamo letto nelle pagine del nostro ultimo capitolo, nel pomeriggio precedente, il 26, a Roma i ministri, riunitisi al Viminale fino a notte tarda, dopo che era trapelata la notizia della annunciata Marcia su Roma per il 28 o il 29, presero gli opportuni provvedimenti e la stessa mattina del 27, diramarono le disposizioni, poi a cose fatte avvisarono il Re che quel giorno era assente dal Quirinale.

Lo stesso pomeriggio, alle ore 19 del 27 giunse allarmato da San Rossore, Vittorio Emanuele III, al quale, più tardi (alle ore 21) l'on. Facta (in considerazione delle notizie che arrivavano, piuttosto allarmanti, e che proseguirono per tutta la notte) rassegnò le dimissioni del Ministero. Ma per fronteggiare la prevista situazione d'emergenza, Facta il mattino dopo (il 28) alle ore 8,30 aveva già allertato tutte le prefetture delle province del Regno, di tenersi pronti a partire dalle ore 12, e aveva già inviato nelle varie caserme di Roma una specie di stato d'assedio. E a tutti i prefetti d'Italia giunse il seguente proclama:
“Manifestazioni sediziose avvengono in alcune province d' Italia, coordinate al fine di ostacolare il normale funzionamento dei poteri dello Stato e tali da gettare il Paese nel più grave turbamento. Il Governo, fino a quando era possibile, ha cercato tutte le vie di conciliazione, nella speranza di ricondurre la concordia negli animi e di assicurare la tranquilla soluzione della crisi.
Di fronte ai tentativi insurrezionali, esso, pur dimissionario, ha il dovere di mantenere con tutti i mezzi e a qualunque costo l'ordine. E questo dovere compierà per intero, a salvaguardia dei cittadini e delle libere istituzioni costituzionali. Intanto i cittadini conservino la calma ed abbiano fiducia nelle misure di pubblica sicurezza che sono state adottate. Viva 1' Italia ! Viva il Re ! -
Firmato, Facta, Schanze, Amendola, Taddei, Alessio, Bertone, Paratore, Soleri, De Vito, Annile, Riccio, Bertini, Rossi, Dello Sbarba, Fulci, Lucani”

La stessa mattina del 28, l'on. Facta, dopo aver cercato negli archivi un vero e proprio proclama di “stato d’assedio” (sembra che nessuno fosse in grado di farlo) ne scovò uno del 1898 (lo stesso che permise al generale Beccaris, di stroncare a cannonate i tumulti di Milano), e dopo averlo aggiornato e già dato alla Stampa e alle stampe per diffonderlo nel Paese, lo sottopose al Sovrano per la firma; ma il Re si rifiutò di firmarlo, non ritenendo il provvedimento né serio né opportuno (forse si ricordò pure per quale motivo morì suo padre - come ci è noto, la strage di Beccaris a Milano fu poi vendicata da Bresci).
Il Presidente del Consiglio, poco dopo mezzogiorno, dovette, per mezzo dell’agenzia Stefani, comunicare alle autorità militari e politiche ed alla stampa, cui il decreto era già stato annunziato, ch'esso non aveva più corso.
A questo punto Mussolini aveva già vinto. Tutto quello che poi seguì furono soltanto delle formalità. Se già prima era inconciliabile uno stato d’assedio emanato da un governo dimissionario; dopo la revoca, la situazione divenne grottesca per non dire ridicola. Possiamo immaginare cosa capirono i prefetti delle varie città d’Italia; molti si barcamenarono convinti che a Roma c'era più caos che nelle loro città.

Infatti, mentre questi fatti accadevano a Roma, l'azione rivoluzionaria si svolgeva con prontezza e decisione. A Perugia, dove il 27 erano giunti i quadrunviri Bianchi, Balbo e De Bono, nella notte il prefetto consegnò i poteri ai fascisti. In tutte le città d'Italia la mobilitazione si effettuò con precisione. A fianco delle squadre fasciste scesero in campo le sezioni degli Arditi di Guerra e le squadre nazionaliste dei “Sempre pronti”.
Quasi dappertutto le autorità, prese alla sprovvista (molti già filo-fascisti fecero finta di nulla e se ne andarono a caccia di quaglie) cedettero i poteri, ma in alcuni centri avvennero conflitti con la forza pubblica o con i sovversivi e si lamentarono morti e feriti.
Morti e feriti per altri incidenti vi furono a Brescia, a Cremona, a Bologna, a Ozzano, a Novara, a Parma, a Firenzuola, a Rimini, a Rovigo, a Castian, a Torino, a Verona, a Catania, a Caserta, ad Andria, alle Alfonsine, e a Milano, dove s'innalzarono barricate; perfino la sede della Casa del Fascio in via San Marco a Milano dov’era Benito Mussolini in attesa degli eventi fu protetta da barricate di ogni genere sormontate da una grande bandiera tricolore. Alcuni feriti si registrarono a Bergamo, a Genova, a Sestri Ponente, a Mantova e in qualche altro città. Una furiosa battaglia con morti e feriti si accese a Civitavecchia, dove furono catturati circa 90 “arditi del popolo”; alcuni morti subì la colonna Bottai; qualche fascista, subito vendicato, cadde nelle vicinanze di Roma.

Nella Capitale il Governo Facta aveva già predisposto e ordinato ai militari la difesa, facendo porre cavalli di Frisia alle porte nei punti strategici e cannoni su Monte Mario. La sera del 28, fascisti e nazionalisti romani improvvisarono una pacifica ed entusiastica dimostrazione al Sovrano, cercando di simpatizzare anche con l'esercito.
Intanto il Re, desideroso di risolvere presto la crisi di governo, dava incarico a Salandra di formare il nuovo gabinetto; e Salandra telegrafava e invitava Mussolini a far parte del Ministero, assicurando quattro ministeri ai fascisti. Mussolini, interpellato telefonicamente, rispondeva che : “Non valeva la pena di mobilitare l'esercito fascista, di fare una rivoluzione, di avere dei mort, per una soluzione Salandra-Mussolini e per quattro portafogli. Non accetto”.
Il 29 mattina Salandra declinava l' incarico della formazione del Ministero; a quel punto il Sovrano inviò un telegramma a Benito Mussolini invitandolo a Roma –questa volta- per incaricarlo ufficialmente di costituire il Governo.
Il capo del Fascismo partì da Milano la sera del 29, buona parte dei ministri li scelse durante il viaggio in treno; il 30 mattina giunse a Roma, mentre migliaia di Camice nere erano già alle porte della capitale; nel tardo pomeriggio si recò dal Re, a cui disse: “Porto a V. M. l’Italia di Vittorio Veneto, riconsacrata dalle nuove vittorie”; indi sottopose al Sovrano la lista già pronta del nuovo Gabinetto.

IL GOVERNO MUSSOLINI

Benito Mussolini prendeva per sè la presidenza del Consiglio e i portafogli dell' Interno e degli Esteri; affidava la Guerra al generale ARMANDO DIAZ, la Marina all'ammiraglio PAOLO THAON DI REVEL, le Finanze all'on. ALBERTO DE STEFANI, il Tesoro all'on. VINCENZO TANGORRA, le Poste e Telegrafi all'on. COLONNA DI CESARÒ, la giustizia all'on. ALDO OVIGLIO, l'Assistenza Pensioni all'on. CESARE MARIA DE VECCHI, le Colonie all'on. LUIGI FEDERZONI, le Terre Liberato all'on. GIOVANNI GIURIATI, l’Istruzione al prof. GIOVANNI GENTILE, l'Agricoltura all’on.. GIUSEPPE DE CAPITANI D'ARZAGO, i Lavori Pubblici all'on. GABRIELE CARNAZZA, l’Industria all'on. TEOFILO ROSSI, il Lavoro e la Previdenza sociale all'on. STEFANO CAVAZZONI.
I sottosegretari furono GIACOMO ACERBO, ALDO FINZI, CARLO BONARDI, COSTANZO CIANO, PIETRO LISSA, ALFREDO ROCCO, FULVIO MILANI, GIOVANNI MARCHI, UMBERTO MERLIN, DARIO LUPI, OTTAVIO CORGINI, ALESSANDRO SARDI, GIOVANNI GRONCHI, SILVIO GAI.

Nel nuovo gabinetto avevano la prevalenza i fascisti con sei portafogli e sette sottoportafogli; due portafogli ciascuno avevano i popolari e i democratico-sociali e uno ciascuno i democratici, i liberali e i nazionalisti; mentre altri due ministri, quelli di Diaz e Revel potevano quasi considerarsi fascisti.
Da notare l’assenza di Badoglio; nella sfilata di Roma, alcuni gridarono "Abbasso Badoglio", "Badoglio traditore". Bruciavano ancora le affermazioni fatte in precedenza (vedi nelle pagine degli scritti e discorsi) e per aver anche detto a Facta in previsione dello stato d’assedio “"Io quelli con una decina di arresti al massimo e con un azione energica risolverei subito la questione".e in precedenza aveva anche detto
"Al primo fuoco, tutto il fascismo crollerà". - Ma poi a cose fatte, essendo pur sempre un’autorità dell’Esercito Regio, Mussolini“se lo tolse dai piedi” (così dissero i maligni, o chi vedeva più in là) e lo destinò come ambasciatore in Brasile. Badoglio ricomparirà con una lettera contrita e accorata alla fine del 1925, e riuscì (pur con forti polemiche - furono rivangate le sue responsabilità nella rotta di Caporetto) essendo molto vicino al Re, a farsi nominare Capo di Stato Maggiore. (Al Re gli era certo vicinissimo il 25 luglio 1943, era in prima fila a prendere il posto di Mussolini, dopo aver aspettato vent’anni per vendicarsi (vedi la sua Biografia).

Da notare inoltre, che nel mettere dentro nel suo governo due Popolari, Mussolini non aveva preso nessun contatto con Don Sturzo (l'antipatia fra i due è reciproca; e per Mussolini "il Partito Popolare è religioso e profano ad un tempo. Comincia con Cristo e finisce col diavolo"...non sarà per caso don Sturzo l'antipapa ed uno strumento di satana?" ). Mussolini aveva sì scelto due popolari VINCENZO TANGORRA e STEFANO CAVAZZONI ma solo perché giudicati idonei e qualificati a collaborare con lui, ma non intendeva riconoscerli quali mandatari del gruppo di Don Sturzo cui appartenevano. Né volle in seguito incontrare il prete siciliano (fin quando, "per desiderio della Santa Sede" diede le dimissioni dal PPI (Sturzo al cardinale Bourne, 15 giugno 1925; citato da P.Alatri, "Luigi Sturzo nel centenario della nascita", in SS XIII (1972), p. 211) (vedi anche l'articolo di Mussolini su Il Popolo d'Italia, in scritti e discorsi di M.: "Noi e il Partito Popolare")

Il mattino del 31 ottobre il nuovo Gabinetto prestò giuramento nelle mani del Re. Quel giorno stesso i fascisti concentrati intorno a Roma entrarono nella capitale e alcune Squadre, o perché provocarono o perché furono provocati, dovettero sostenere degli scontri con i sovversivi nei quartieri popolari. Vengono inoltre invase e devastate sedi di vari giornali tra cui Il Paese, L'Epoca, Il Comunista, dato l'assalto alla direzione del Partito Socialista e alla Casa del popolo.

Le squadre riunite, furono passati in rivista da Mussolini, poi andarono in corteo a rendere omaggio all'Altare della Patria e alla tomba del Milite Ignoto. Infine sfilarono sotto il Quirinale, al cui balcone per nulla dispiaciuto, era affacciato il Sovrano con la sua consorte.
La medesima sera del 31 ottobre lasciarono Roma i primi scaglioni di fascisti. Lo stesso Mussolini si recò alla stazione Termini affinché alle partenze non nascessero altri incidenti. Alcuni esaltati furono portati al forte di Monte Mario per essere puniti con la disciplina fascista. Mussolini voleva evitare qualsiasi incidente che avrebbe gravemente compromesso questa sua clamorosa vittoria ottenuta con la piena legalità.

Tre giorni dopo il Governo fascista lanciava al Paese un proclama nella ricorrenza del 4 novembre:
“Nel ricordo e nella celebrazione della grande vittoria delle nostre armi, la Nazione tutta ritrovi se stessa e adegui la sua coscienza alla dura necessità del momento. Il Governo intende governare e governerà! Tutte le sue energie saranno dirette ad assicurare la pace interna e ad aumentare il prestigio della Nazione all' Estero. Solo con il lavoro, la disciplina e la concordia la Patria supererà definitivamente la crisi per marciare verso una epoca di prosperità e di grandezza”.

All’improvviso i fascisti fin dalla “prima ora del trionfo romano” si moltiplicarono come per incanto. Ci fu la corsa al tesseramento nelle vari sedi dei Fasci. Fino al punto che già in gennaio, un ordine della direzione del Partito imponeva di sospendere le nuove iscrizioni; purtroppo in molti Fasci nelle province, questa disposizione rimase lettera morta. I dirigenti locali -piccoli e grandi ras- volendo fare bella figura agli occhi di Mussolini, per salire di grado, e ovviamente per ricevere ambite cariche ministeriali o locali, distribuirono a dritta e a manca secondo il loro capriccio, tessere, oppure nominavano “fascisti ad honorem” gente di tutte le risme, o a quelli che mutarono bandiera e camicia nel medesimo giorno del trionfo delle camice nere.
Nell'ottobre 1922 il PNF aveva 300.000 iscritti, alla fine del 1923 erano diventati 783.000. E già nel successivo 1924 alle elezioni politiche il listone fascista fu votato da 4.305.936 italiani.

IL DISCORSO "DEL BIVACCO" ALLA CAMERA

Il 16 novembre il Duce presentò alla camera il nuovo Gabinetto. Prima di esporre con il famoso discorso (“del bivacco”) i propositi del Governo, dichiarò che “avrebbe difeso e potenziato al massimo grado la rivoluzione della Camice nere, inserendola come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della Nazione”. Poi proseguì:
“Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ti abbandona dopo la vittoria. Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di quest'Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli; potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”.

Le dichiarazioni del presidente del Consiglio su quello che il Governo si proponeva di fare, furono brevi e chiare. Per la politica estera:
“I trattati di pace, buoni o cattivi che siano, una volta che sono stati firmati e ratificati, vanno eseguiti”.... “valgono più ai fini della ricostruzione economica europea, i trattati di commercio a due, base delle più vasto relazioni economiche fra i popoli, che le macchinose e confuse conferenze plenarie, la cui lacrimevole istoria ognuno conosce. Per ciò che riguarda l’Italia noi intendiamo seguire una politica di dignità e di utilità nazionale”.... “L'Italia fascista, come non intende stracciare i trattati, così, per molte ragioni di ordine politico, economico e morale, non intende abbandonare gli alleati di guerra”…, ma “o l'Intesa, sanando le sue angustie interne, le sue contraddizioni, diventerà veramente un blocco omogeneo, equilibrato, egualitario di forze - con eguali diritti ed eguali doveri - oppure sarà suonata la sua ora e l'Italia, riprendendo la sua libertà d'azione, provvederà lealmente con altra politica alla tutela dei suoi interessi”.... “Noi vogliamo seguire una politica di pace non una politica di suicidio”…”Quanto al problema economico finanziario l'Italia sosterrà nel prossimo convegno di Bruxelles che debiti e riparazioni formano un binomio inscindibile”…. “Le direttive di politica interna si riassumono in queste parole: economia, lavoro, disciplina. Il problema finanziario è fondamentale: bisogna arrivare con la maggiore celerità possibile al pareggio del bilancio statale. Regime della lesina: utilizzazione intelligente delle spese; aiuto a tutte le forze produttive della Nazione; fine di tutte le residuali bardature di guerra”…“I cittadini, a qualunque partito siano iscritti, potranno circolare; tutte le fedi religiose saranno rispettate, con particolare riguardo a quella dominante, che è il cattolicesimo; le libertà statutarie non saranno vulnerate; la legge sarà fatta rispettare a qualunque costo.
Lo Stato è forte e dimostrerà la sua forza contro tutti, anche contro l'eventuale illegalismo fascista, poiché sarebbe un illegalismo incosciente ed impuro che non avrebbe più alcuna giustificazione”....“Io non voglio, finché mi sarà possibile, governare contro la Camera; ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni”... “Prendiamo impegno formale e solenne di risanare il bilancio e lo risaneremo. Vogliamo fare una politica estera di pace, ma nel contempo di dignità e di fermezza: e la faremo. Ci siamo proposti di dare una disciplina alla Nazione e la daremo. Nessuno degli avversari di ieri, di oggi, di domani si illuda sulla brevità del nostro passaggio al potere”.

Il giorno 17 si svolse la discussione sulle comunicazioni del Governo. Questo accettò l'ordine del giorno TERZAGHI-DI SCALEA-CAMERA, così concepito: “La Camera fiduciosa nelle sorti della Patria, udite le dichiarazioni del Governo, le approva”.
Il risultato della votazione fu il seguente: presenti 429; votanti 422, maggioranza 212.
Mussolini con soli 35 deputati alla Camera, ottenne la maggioranza di 306 a favore, 116 contrari e 7 astenuti.

Il giorno dopo, prima missione all'estero, partì per Losanna, per la conferenza indetta per sistemare la questione turca. Nell'Hotel dove alloggiava, dalla finestra, con sarcasmo, indicò ai funzionari elvetici un punto; "guardate, sotto quelle arcate del ponte, mi avete fatto arrestare come vagabondo ed espulso. Ora eccomi qui a ricevere il vostro benvenuto come capo di un governo".
Indubbiamente fu una bella soddisfazione di rivalsa per il più giovane (39enne) presidente del Consiglio Italiano.
E un'altra grossa soddisfazione fu il rientro trionfale in Italia con il treno presidenziale che fece tappa in tutte le città attraversate, con le popolazioni accorse alle stazione parate tutte a festa e per vedere MUSSOLINI.
Questa fu la prima, ma le stesse scene si ripeteranno per vent'anni. Anche se poi gli italiani, dissero in coro, che nessuno era stato mai fascista!

INIZIA L' ITALIA FASCISTA

La storia di quel fascismo che poi fu conosciuto in Italia e fuori d’Italia, per oltre vent'anni, ebbe inizio così, il 30 ottobre, con una singolare presa del potere, pur essendo un partito di minoranza, che aveva solo 35 deputati alla Camera.
Se tutto ciò accadde, fu dovuto non solo perché alla Camera vi erano seduti degli “onorevoli” che si erano distaccati dal Paese reale, ma anche perché la stessa Nazione era ormai ridotta in uno stato pietoso; nell’economia perché, o languivano le riforme coraggiose o quelle estremamente necessarie venivano accantonate; e nelle autorità del Paese, la cui autorevole influenza dei preposti a tali delicati incarichi da qualche tempo era stata lasciata alle iniziative personali e non sempre legate alle direttive di governo, che spesso non era nemmeno più in grado di darle, talmente era screditato. E lo si è poi visto nei giorni della Marcia su Roma. Ognuno agì di sua iniziativa, creando non poche drammatiche e gravi situazioni di ordine pubblico su un territorio che -quanto a autorità- era ormai a macchia di leopardo.

Ad un inesperto Mussolini che non aveva mai avuto alcuna esperienza di governo in posizione subalterna, occorreva – se voleva sopravvivere al caos- fare quello che non era stato fatto, rifare quel ch'era stato fatto male, correggere, integrare, rinnovare, sviluppare, disciplinare, creare insomma un'Italia nuova. Ovviamente proprio perché inesperto non era un'impresa facile.
Cominciò con il collegare il Partito al Governo istituendo il Gran Consiglio Fascista (avrebbe dovuto forse ancora affidarsi a delle congreghe di inetti?) presieduto da Mussolini stesso e formato di ministri, di alcuni sottosegretari, dei quadrunviri, del segretario generale delle corporazioni, del segretario dei fasci all'estero, del direttorio del Partito e dei capi della Milizia. Fu attuata la fusione del Nazionalismo col Fascismo. Fu sciolta la Guardia Regia (se c’erano dentro tanti altri Badoglio, cosa sarebbe accaduto?). Vennero sciolte anche le squadre fasciste d'azione e creata, nel mese di gennaio del 1923, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, presidio del Regime e della Rivoluzione, che fu incaricata dell'istruzione premilitare dei giovani e costituì sezioni ferroviarie, portuali, postelegrafoniche, forestali, confinarie, stradali.
Furono poi frenati i ras provinciali; accresciuta l'autorità ai prefetti; epurato il Partito dagli elementi eterogenei, allontanando dalle sue file specialmente i massoni (*) contro i quali si sferrò una lotta accanita terminata con lo scioglimento di tutte le associazioni segrete; furono radicalmente modificati i rapporti fra lo Stato e la Chiesa, che portarono poi alla Conciliazione; venne attuata, per opera di Giovanni Gentile, la riforma scolastica (fu uno dei primi provvedimenti del nuovo governo), che rinnovò metodi e anima all'insegnamento, e troverà un validissimo aiuto e quasi una necessaria integrazione nell' istituzione dell'Opera Nazionale Balilla (di cui parleremo ancora nei prossimi anni).
La frequenza scolastica fu rigorosamente imposta; e mise termine non solo all’analfabetismo, ma eliminò centinaia di migliaia di sfaccendati e sporchi “monelli” dalle strade.

(*) C'erano però anche nello stesso fascismo i massoni; con due correnti (entrambe durante la guerra si erano schierate su posizioni interventiste): facevano parte della massoneria di Palazzo Giustiniani, tra gli altri, i generali Capello e Ceccherini, fra i ras Farinacci, Lupi, Starace, Dudan; in quelli di Piazza del Gesù, Rossi, Balbo, Perrone, Torre, Acerbo, Terzaghi, Capanni, C. Ciano, Bottai, Rossoni, Capanni, Lanfranconi. Ma non mancavano dentro il fascismo elementi ostili alla massoneria, come Giuriati, De Stefani, Preziosi. Mussolini in queste ostilità buttava acqua sul fuoco, non volendo trasformare in una forza nemica, quella che invece poteva spianare al fascismo la strada del potere, anche quando iniziò a prendere accordi con la destra clerico-moderata. In seguito le due correnti massoni divennero meno ostili con alcuni atteggiamenti di riserva, ma pur sempre di appoggio.

Infine ci fu la restituzione dell'ordine interno; come la fine degli scioperi che paralizzavano la vita della Nazione (le ore di lavoro perdute passarono da 7.337.000 del periodo Nov ’21,ott. ’22, a 247.000 nel corrispondente periodo 1922-23).
Ci fu è vero anche la scomparsa delle opposizioni municipali e provinciali, ma anche queste per motivi ideologici e demagogici avevano paralizzato del tutto con il terrore le sopravviventi “ottocentesche” e “feudali” burocrazie locali, piuttosto clientelari. Pur calando la disoccupazione da 381.968 unità nel dicembre 1922, a 150.449 nel dicembre ’24, fu eliminato moltissimo personale dall’amministrazione statale pari a 65.274 unità, di cui 46.566 erano addetti alle ferrovie che era la più grande industria del Paese, e che nonostante il forte taglio degli addetti, i treni iniziarono a funzionare meglio di prima).

Davanti all'opera del Governo Fascista, dapprima ci fu un periodo d'incertezza e di attesa da parte degli oppositori e degli pseudo-fiancheggiatori che credevano il Fascismo un fenomeno transitorio; sfumate presto le speranze di un rapido tramonto del nuovo Regime, cominciarono nuovamente ad affiorare le opposizioni.
Prima ancora che dalle sinistre gli ostacoli furono messi da alcune correnti cattoliche.
Il Congresso popolare, tenutosi a Torino nell'aprile del 1923, si rivelò ambiguamente antifascista e le conclusioni furono ovviamente respinte da Mussolini, che avendo nel suo ministero due ministri Popolari, chiese a Don Sturzo di non essere ambiguo e di fare chiarezza; ma rimanendo il prete siciliano sulle sue posizioni, l’atteggiamento ostile provocarono le dimissioni dei ministri popolari (vedi negli "scritti e discorsi", "Noi e il Partito Popolare"; fu un durissimo attacco a Don Sturzo).

Il risultato fu la spaccatura dei cattolici. Infatti, un gruppo (dandosi il nome di Cattolici Nazionali) erano favorevoli a dare l’appoggio al governo di Mussolini. Era una piccola fazione ma più che sufficiente a Mussolini (abile com’era in queste cose) per propagandare che “anche i cattolici d’Italia erano a favore del fascismo”. Il 10 luglio Don Sturzo -messo sotto pressione dagli stessi cattolici- fu costretto a seguire il consiglio giunto dall’alto; cioè a ritirarsi dalla guida del PPI. L'Osservatore Romano -pur ritenendosi estraneo alle pressioni- tuttavia plaudì a queste dimissioni, affermando che esse "potevano contribuire alla pacificazione degli animi”. Un trionfo per Mussolini, presso le ostili parrocchie, che iniziarono a guardare l'uomo cui diedero poi il titolo di "Uomo della Provvidenza".

Ma i veri nemici del Fascismo, i più pericolosi, erano nelle stesse file del Partito: erano irriducibili massoni, erano liberali, erano ex-sindacalisti e socialisti, erano avventurieri e profittatori, che, per interesse proprio o per interesse delle loro cricche, volevano far deviare il Fascismo o asservirlo o scompaginarlo; c'erano i revisionisti, che si scagliavano contro il Fascismo provinciale –il rassismo- e volevano far sorgere un mussolinismo, che scavasse la fossa allo stesso Fascismo della prima ora, piuttosto eterogeneo, indefinito.
Paradossalmente i perdenti della Marcia su Roma furono proprio gli squadristi dei ras provinciali; per i loro gusti Mussolini era troppo parlamentare e poco rivoluzionario; e Mussolini fece non poca fatica a neutralizzarli, improvvisandosi domatore dello squadrismo più agitato e insofferente.
Ma alcuni se li trascinerà dietro fino al 25 luglio del 1943!

La tesi del revisionismo divenne l'ossessione di molta parte della stampa italiana, in mezzo alla quale spiccavano per l'insistente opera, il Corriere della Sera e La Stampa. Contemporaneamente, negli ultimi mesi del 1923 e nei primi del 1924, ricominciarono in Italia le aggressioni ai fascisti, seguite da altrettante rappresaglie, ed ebbero pure inizio all'estero alcune aggressioni ad alcuni fuorusciti, che trovando larga ospitalità, specie in Francia e in Svizzera e generosi aiuti da governi, sètte e partiti, erano accusati di fare propaganda disfattista in Italia.

Con questo risveglio dell’antifascismo, si arrivò infine al 6 aprile del 1924, cioè alle elezioni politiche; che terminarono con una grossa vittoria fascista (64,9% - anche se dobbiamo far notare che nelle quattro grandi regioni dell’Italia settentrionale, gli oppositori ebbero più consensi dei fascisti: 1.317.117 voti contro 1.194.929).
Fu una vittoria contestata alla Camera da Matteotti, cui seguì il mese dopo l’ efferato delitto del deputato riformista del PSI. L’Italia percorsa da un’ondata di indignazione, sembrò intenzionata a togliere la fiducia a Mussolini, ma anche nelle varie fronde si parlò di una sua destituzione; tutto il fascismo e lo stesso Mussolini, si trovarono a dover fronteggiare una gravissima crisi.

Ma di questi avvenimenti parleremo più avanti.
Restiamo a questo anno 1922, e prima di scorrere gli scritti e i discorsi di Mussolini fatti nel corso di questo fatidico anno, vogliamo riportare, e quindi appoggiarci ad un’altra panoramica dell’anno 1922, scritta da un uomo che era molto vicino al Re, autore di una interessante biografia: “Vittorio Emanuele III, il re silenzioso”, prendendo da questa alcuni passi.

Un'altra cronaca (analisi più approfondita ) dell’anno 1922 > > >

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