ANNO 1927

FASCISMO E NAZISMO
Due Regimi a confronto:

di Claudio Li Gotti


Il fascismo in Italia (1922-43) ed il nazismo in Germania (1933-45) rappresentano due esperienze storiche, ideologicamente simili, formatesi nel periodo tra le due guerre mondiali. Entrambi sono accomunati dai tratti del
totalitarismo (e così pure il comunismo sovietico), ovvero del regime politico basato sul partito unico e l’obbedienza incondizionata al suo leader, sul rifiuto delle libertà politiche, sulla repressione contro gli avversari e gli altri “nemici del popolo”; insomma, sulla presenza “totalizzante” dello Stato in ogni aspetto della vita sociale degli individui, gruppi e strutture collettive.

Benito Mussolini ed Adolf Hitler paradossalmente raggiunsero il potere politico con il consenso delle istituzioni e più o meno nel rispetto della legalità, anche se entrambi esercitarono una repressione nei confronti dei comunisti e socialisti (i fascisti con lo
Squadrismo ed i nazisti con le S.A., squadre d’assalto). Non ci fu quindi un vero e proprio colpo di Stato, né dall’una né dall’altra parte.

Mussolini aveva fondato i Fasci di combattimento a Milano nel 1919, all’indomani della prima guerra mondiale, in un periodo in cui l’Italia affrontava una crisi politica e sociale. Le prime elezioni politiche del dopoguerra si tennero proprio in quell’anno con l’introduzione del sistema proporzionale e del suffragio universale maschile, entrambi voluti dal governo Nitti; le due riforme, anziché apportare stabilità, resero turbolento ed ingovernabile l’intero sistema politico poiché favorirono i nuovi partiti, cosiddetti “di massa”, quali il Partito Socialista e quello Popolare di Don Luigi Sturzo, due movimenti in contrapposizione che finirono per lacerare il vecchio Stato liberale di stampo “giolittiano”.

Mussolini approfittò di questa crisi istituzionale per imporre le sue idee rivoluzionarie: nel 1921 i fasci si trasformarono in partito di massa, il PARTITO NAZIONALE FASCISTA (P.N.F.) e conseguirono un discreto successo nelle elezioni dello stesso anno, entrando nei
“blocchi nazionali”.
Quell’anno segnerà l’inizio dell’offensiva fascista contro i “
rossi”. Nel 1922, sotto il debole governo del giolittiano Facta, le violenze si estesero anche nei confronti delle prefetture ed il 28 ottobre dello stesso anno scattò il piano della Marcia su Roma: i fascisti guidati da Mussolini puntarono in armi verso la capitale per la conquista del potere. In realtà, come scrive lo studioso Adrian Lyttelton (“La vittoria fascista” in Storia del mondo contemporaneo, vol. III°), “la marcia su Roma fu un bluff colossale”: la città era difesa da 12.000 uomini dell’esercito che avrebbero facilmente disperso le bande fasciste, meno numerose e malamente armate.
Invece, quando il Presidente del Consiglio Facta propose al Re Vittorio Emanuele III di proclamare lo stato d’assedio, egli si rifiutò di farlo, facilitando le cose ai fascisti.
Poi il 30 ottobre il Re affidò a Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo, nonostante “non fosse sorretto ancora da una effettiva maggioranza parlamentare”
(Piero Aimo, “Stato e poteri locali in Italia”, Carocci 1998).

Il primo governo Mussolini, formatosi il 31 ottobre 1922, nacque nel rispetto dello
Statuto Albertino (a parte l’eversione politica della marcia su Roma) ed ottenne la fiducia del Parlamento. Fu un Gabinetto di coalizione molto ampio, visto che erano rappresentate quasi tutte le forze parlamentari (eccetto comunisti e socialisti), praticamente una sorta di compromesso politico. Il programma del governo Mussolini fu all’inizio di restaurazione; venne adottata una politica estera di prestigio (che avrebbe portato nel 1924 all’annessione della città dalmata di Fiume) ed una politica economica liberista, attuata attraverso la privatizzazione di molte attività statali, che eliminò il disavanzo del bilancio pubblico.

La trasformazione dello Stato liberale in un regime autoritario, quale fu quello fascista, fu molto graduale: il fascismo riuscì ad alterare l’ordinamento costituzionale dello
Statuto Albertino (che non richiedeva complesse procedure per la sua modifica come l’attuale ordinamento repubblicano) e a dar vita ad un sistema statalista, caratterizzato dalla commistione tra strutture del partito ed istituzioni statali (ad esempio la Milizia per la sicurezza nazionale, forza armata di partito, o il Gran Consiglio del Fascismo, formato da Mussolini e gli altri gerarchi fascisti).
La vera svolta totalitaria del regime avvenne tra il ’25 ed il ’26 quando furono emanate le
leggi fascistissime. Esse incidevano sia sul potere esecutivo che su quello legislativo, delineando una forma di governo centrata sulla supremazia del leader del partito fascista, il Duce Mussolini, capo del governo e superiore gerarchico di tutti i ministri.
La sua nomina spettava esclusivamente al Re, abolendo l’istituto della fiducia parlamentare; inoltre al governo venne concesso il potere di emanare norme giuridiche, svuotando così di reali poteri il Parlamento.

Vennero cancellate le libertà di stampa e di parola, furono aboliti tutti i partiti (tranne ovviamente quello fascista) e lo stesso principio della rappresentanza elettiva: il popolo doveva solamente tracciare un sì od un no su una lista di 1.000 candidati, tutti iscritti al P.N.F. Con la riforma amministrativa del 1926 furono cancellate pure le libertà locali; l’intero potere decisionale venne concentrato nella figura del Podestà nei comuni e del Prefetto nelle province.

Anche il nazismo arrivò al potere con una “rivoluzione legale” ma Hitler si mantenne nell’ambito della legge per un periodo molto più breve rispetto a Mussolini, per seguire un disegno ideologico preordinato e assai più radicale rispetto al fascismo.

Dopo aver fallito il tentativo di rovesciare la
Repubblica di Weimar con un colpo di Stato (il cosiddetto “Putsch della birreria di Monaco, 8 novembre 1923), anche Hitler riuscì ad approfittare di un momento di grave crisi politico-sociale per imporre le sue idee innovative. Gli effetti devastanti della crisi del 1929 colpirono la Germania più duramente che gli altri paesi europei, poiché essa dipendeva maggiormente dai prestiti americani del piano Dawes (destinato ad alleggerire le pesanti riparazioni di guerra stabilite dal Trattato di Versailles); ovviamente, al crollo della borsa di Wall Street i prestiti americani cessarono del tutto, gettando nella recessione l’intera economia tedesca. Questa grave crisi non fu solo economica ma anche politico-sociale ed accelerò il processo di trasformazione politica; tutti i ceti sociali, dagli operai agli industriali, erano rimasti delusi dal governo socialdemocratico di Weimar ed appoggiarono le idee che provenivano dal PARTITO NAZ-IONALSOCIALI-STA DEI LAVORATORI TEDESCHI (N.S.D.A.P., più in breve partito nazista) guidato da Hitler, vedendo in esso quel cambiamento che avrebbe risolto tutti i problemi.

In questa situazione fu facile l’ascesa elettorale di Hitler e del partito nazista; alle elezioni del giugno 1932 esso ottenne la maggioranza relativa al Reichstag ed il
30 gennaio 1933, il vecchio presidente HINDERNBURGH nominò Hitler Cancelliere di un governo di alleanza con il centro-destra (a sua volta guidato dal baron FRANZ VON PAPEN, che ricoprì la carica di vicecancelliere). Iniziò così il Terzo Reich (dopo il Sacro Romano Impero e l’Impero del 1871), che nelle previsioni di Hitler sarebbe durato per mille anni!

L’incendio del Reichstag (
27 febbraio 1933) diede il pretesto al governo per introdurre una serie di leggi eccezionali che mettevano fuorilegge i comunisti ed annullavano di colpo i diritti fondamentali dei cittadini (mai più ripristinati); in realtà l’incendio fu progettato dagli stessi gerarchi nazisti per addossare la colpa ai comunisti. Si cominciò a delineare il quadro del regime totalitario: vennero sciolti tutti i partiti ed i sindacati, venne abolita la forma di governo parlamentare e si riorganizzò la pubblica amministrazione su un modello di centralismo autoritario. Come già accaduto nell’esperienza del fascismo, le strutture del partito vennero a sovrapporsi a quelle dello Stato. Le frange più estremiste del partito nonché molti membri delle S.A. (tra cui lo stesso capo, ERNST ROHM), meno disciplinati ed obbedienti ad Hitler, vennero eliminati in un vero e proprio bagno di sangue (la "Notte dei lunghi coltelli", GIUGNO 1934) da parte delle S.S., ovvero la guardia hitleriana guidata da Heynrich Himmler.

Dopo la morte di Hindenburgh, il 2 AGOSTO 1934, Hitler ebbe via libera per concentrare nella sua persona la carica di Cancelliere e quella di Presidente, diventando il capo assoluto dello Stato, il Fuhrer (cioè la “guida”, imitando così il Duce Mussolini).
La dittatura totalitaria fu pienamente compiuta e perfezionata con l’introduzione della pena di morte e l’istituzione dei CAMPI DI CONCENTRAMENTO, che dovevano accogliere gli oppositori politici ma anche quella parte della popolazione sgradita al regime, come i zingari, gli omosessuali e soprattutto gli ebrei.


Conclusioni:
similitudini e differenze dei due totalitarismi

Fascismo e nazismo furono quindi due regimi che ebbero molto in comune. Tratti condivisi da entrambe le ideologie furono: la centralità dello Stato basato sul partito unico, il ripudio del parlamentarismo, l’ordine totalitario, la dittatura del leader del partito ed il suo “fascino” sulle masse che veniva accentuato dalle adunanze oceaniche, le parate, la stampa, la radio, tutte attentamente controllate da appositi organismi o da potenti personaggi come GOEBBELS, ministro della propaganda del Reich tedesco.

Le due dottrine si identificavano nella lotta contro i nemici interni ed esterni al regime: i nazisti bruciavano nelle piazze i libri “decadenti” della modernità e, come i fascisti, esaltavano la forza militare, l’onore e l’obbedienza al leader. Il regime usava additare al popolo un nemico, secondo il meccanismo psicologico del
“capro espiatorio” (Salvatore Lupo, “Fascismo e nazismo” in Storia contemporanea, Donzelli 1997), allo scopo di unire il popolo contro un presunto complotto.
Quest’ultimo, per i fascisti era rappresentato dalle potenze democratiche (e dalla Società delle Nazioni) che volevano privare l’Italia del suo “diritto” all’espansione imperiale; assai più radicale era l’idea di Hitler (che pure si era ispirato a Mussolini) del complotto ebraico tendente ad impedire ai tedeschi di conquistare il loro
“spazio vitale”, cioè l’espansione oltre i confini orientali.

La figura dell’ebreo fu centrale nel
Mein Kampf, l’autobiografia hitleriana scritta tra il ’25 ed il ’27, che rappresenta il manifesto dell’ideologia nazista. Secondo questa, l’ebreo veniva visto come un nemico del popolo tedesco perché mirava a difendere la propria identità culturale e portava con sé i germi del bolscevismo, che nell’Europa orientale trovava molti sostenitori ebrei. La figura dell’ebreo serviva inoltre per imporre la mitizzazione del suo opposto, l’ariano-germanico; la razza ariana, secondo quanto Hitler scrisse nel Mein Kampf, era destinata a dominare il mondo, a conquistare il suo spazio vitale. Ma poteva raggiungere questi obiettivi soltanto liberandosi da ogni impurità politica (il socialismo e la democrazia parlamentare) e biologica (appunto gli ebrei). (Salvatore Lupo, op.cit.)

“Nel nostro continente, la cultura e la civiltà sono connesse, in modo indissolubile, con la presenza degli Ari (…) Lo scopo supremo dello Stato nazionale è quello di conservare quei primordiali elementi di razza che, quali donatori di civiltà, creano la bellezza e la dignità di un’umanità superiore. Noi, Ari, in uno Stato possiamo solo raffigurarci l’organismo vivente di una nazione (…) Il Reich tedesco deve, come lo Stato, comprendere tutti i Tedeschi col compito (…) di sollevarli, con lentezza ma in modo sicuro, ad una posizione di predominio (…) Basterebbe impedire per i secoli la capacità e la facoltà di generare nei degenerati di corpo e nei malati di spirito per liberare l’umanità da un immensa sventura e per condurla ad uno stato di sanità oggi quasi inconcepibile. Quando sarà realizzata (…) si avrà una razza che, almeno in principio, avrà eliminato i germi dell’odierna decadenza fisica e morale.” (da “Mein Kampf” di Adolf Hitler).

Con le "LEGGI DI NORIMBERGA del 1935, la persecuzione degli ebrei venne elevata a sistema. Le leggi li privavano della cittadinanza e dei diritti politici e li relegavano ai margini della scala sociale; inoltre vietavano i matrimoni ed i rapporti sessuali tra ebrei e tedeschi, per “tutelare” la razza tedesca. Successivamente, durante la seconda guerra mondiale, gli ebrei furono deportati in massa nei ghetti allestiti in Polonia e nelle città sovietiche occupate, quindi condotti nei campi di concentramento (“Lager”) dove avvenne il loro terribile sterminio, dai vecchi ai bambini.

Per questi aspetti l’ideologia nazista differisce da quella fascista, più moderata e meno repressiva. Pur avendo imposto un ordine di natura autoritaria, il fascismo mantenne una certa collaborazione con altri attori tradizionali del potere e questo servì, in un certo senso, a mitigare la durezza del regime; Mussolini riconobbe una certa autonomia alla Corona ed alla Chiesa (con la quale firmò nel ’29 i "
Patti Lateranensi", ottenendo in cambio il suo appoggio) ma anche agli alti funzionari tecnici esterni sia al partito che al sistema corporativistico, che guidavano le cosiddette “amministrazioni parallele”.

Infatti, il Duce governò appoggiandosi, più che al partito, a questi alti burocrati di fiducia sia a livello periferico (con i prefetti) che a livello centrale (basti pensare al caso dell’IRI o della Banca d’Italia), creando una sorta di burocrazia parallela a quella statalista del partito e delle corporazioni.
Molti aspetti dell’ideologia fascista rimasero pura demagogia; ad esempio, sindacati come la Confindustria od altri padronali non furono dissolti nelle corporazioni ma agirono in continuità con il periodo liberale.

Nel caso del nazismo, invece, Hitler fu solo ed incontrastato ai vertici delle istituzioni, poiché aveva sommato le due cariche di Capo di Stato e Cancelliere; la stessa Chiesa cattolica, che con il Papa Pio XI aveva condannato il razzismo del Reich, fu sottomessa al regime.

Il ruolo del partito fu più forte e maggiormente organizzato rispetto a quello italiano; basti pensare ai nomi di GOERING (numero due del partito e braccio destro di Hitler), HEYDRICH (capo dei servizi di sicurezza del Reich) ed i già citati Goebbels ed Himmler, tutti potenti e temuti esponenti del nazismo, o alla gigantesca organizzazione delle SS, una sorta di Stato nello Stato che guidava tutte le polizie naziste ed i vari uffici di comando (tra cui l’RSHA, l’ufficio per la sicurezza del Reich, e la stessa Gestapo, la polizia segreta del regime).

Il tentativo di colpo di Stato che fu tentato nel 1944 contro Hitler fallì e tremenda fu la repressione nazista; invece Mussolini fu facilmente liquidato da un ordine del giorno del Gran Consiglio del Fascismo ed arrestato per ordine del Re (25 LUGLIO 1943). Infine, la comunanza tra l’ideologia, espressa nel Mein Kampf, ed i fatti, dimostra quanto più assoluta e feroce fu la dittatura di Hitler rispetto a quella di Mussolini.

Claudio Li Gotti

Terminata questa breve panoramica, torniamo agli avvenimenti
I SUCCESSI - IL CONSENSO POPOLARE
IL MITO - IL "MUSSOLINISMO"
nell'anno 1927 > > >

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