ANNO 1936

torniamo ai mesi neri
ALL'ITALIA AUTARCHICA DIVENTATA " IMPERIALE "
MA PIENA DI DEBITI

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Didascalia:

"L'offerta
d'amore
e di fede
delle
donne
d'Italia".

LE SANZIONI e IL PERIODO AUTARCHICO -

Dopo la decisione della Società delle Nazioni di punire l'Italia per avere invaso l'Etiopia, abbiamo già visto che questa presa di posizione altro non era se non una messa in scena, una farsa.
Dei 52 paesi, fra i 56 che non avrebbero dovuto rifornire l'Italia, solo alcuni si schierarono palesemente contro, come la Francia.
Mentre quattro paesi, Austria, Ungheria, Albania e, naturalmente, la Germania di Hitler, proseguirono "pacifici" i mutui rapporti economici con l'Italia.

Inoltre, non facendo parte (PROPRIO LORO CHE L'AVEVANO INVENTATA!!) della Società delle Nazioni, piena libertà era lasciata agli Stati Uniti, Giappone e Brasile.
Cosí l'Inghilterra, rifornita dagli Usa, riforniva tranquillamente la Germania, e questa, a sua volta, riforniva l'amica Italia (e, di nascosto, perfino l'Etiopia che era in guerra contro l’Italia).

Dunque, possiamo considerare le Sanzioni una gran buffonata messa in piedi dalla S.d.N., con l’assenso tàcito e compiaciuto della stessa Italia, cui conveniva atteggiarsi a vittima per far crescere l'odio degli italiani contro le "nazioni plutocratiche". Ma anche per non dover spendere una lira per le importazioni di merci (comprese quelle alimentari). Per l'avventura africana, occorrevano tanti, tanti soldi !!!

Infatti, propagandare questa situazione con il vittimismo è funzionale al regime, poiché Mussolini sta pensando anche ad altro. Forse già pensa ai futuri passi con l'alleato Hitler; e pensa anche a quel che ha finora celato agli italiani: le riserve auree della Banca d'Italia sono calate del 74%, negli ultimi dieci anni, senza contare che il bilancio di questo 1936 chiude in modo alquanto critico: il "costo" spaventoso della guerra imperialista (40 miliardi) ha ridotto le casse dello stato a un colabrodo.

La frenesia della conquista (dove l'elemento principale era il prestigio e non certo un programma economico) aveva aperto voragini in tutti i settori con una reazione a catena su tutto l'indotto.

Le promesse dei "pagherò'" alle industrie (che avevano contribuito ad allestire i reparti, a equipaggiare i 400.000 soldati, fornendo mezzi e beni d’ogni genere, trasporti e servizi - CHE LEGGEREMO IN UNA PAGINA DEDICATA) non potevano essere onorate solo con l’agognato "spazio vitale", considerato all'inizio come la panacea a tutti i mali dell'economia italiana: in quello “spazio” non nascevano soldi, ma solo banane, e anche a stento. Infatti il vento teso che sempre soffia, dietro la duna costiera fra Mogadiscio e Chisimaio, in certe stagioni NO, sfilaccia le ampie foglie dei banani a striscette larghe due o tre dita, con grave pregiudizio endemico della produzione, che spesso compromette l'intero annuale raccolto.

L'Etiopia conquistata non poteva certo risolvere i problemi dell'Italia a breve termine. Inoltre, la sopravvalutazione della lira impediva gli scambi, cioè: danneggiava l’esportazione impedendo l’entrata di preziose divise da impiegare a una ragionevole e anche necessaria importazione.

Questo, proprio quando il fabbisogno di grano si rivelò cosí insufficiente da doverlo nuovamente comprare fuor d’Italia, come in passato: quasi 17 milioni di quintali. Anche se all'estero i cereali costavano poco, doverli importare fu un’altra bella stangata alla bilancia dei pagamenti, già in rosso; e oltre non si poteva andare senza evitare la bancarotta.

Già nel 1934 la bilancia commerciale presentava un pesante squilibrio: un passivo di 2.442 milioni di lire (7.667 milioni di importazioni, contro 5.225 milioni di esportazioni). Con la guerra in Abissinia, la voragine divenne un abisso incolmabile, malgrado numerosi tagli alle spese, e il far stringere la cinghia degli italiani fino al famoso "buco Mussolini".

Pia illusione, quella di credere evitabili le importazioni e, in particolare, l’acquisto di materie prime necessarie alle industrie tessili (cotone e lana), ai trasporti (combustibili), e soprattutto all'industria siderurgica (acciaio e carbone) materie assolutamente irreperibili in Italia ma che erano estremamente necessarie per la consistente produzione di materiale bellico. (non bastava requisire i cancelli di ferro!!)

Quindi il vittimismo delle Sanzioni era servito a Mussolini solo per propagandare il consumo dei prodotti solo nazionali. Nell'alimentazione, mancando carne, si promosse il consumo del pesce (ne parliamo più avanti).

Insomma la guerra abissina si era risolta in una costosa crociata patriottica, ininfluente sulla crescita economica. Tutti i miraggi di quella terra che si diceva essere una "manna dal cielo" si rivelarono invece non solo abbagli, ma in seguito una costosa bella palla al piede.
Del resto, quella abissina, era stata una guerra nata da un colpo di testa al Brennero, quando Mussolini temette di essere esautorato dalla politica internazionale, per mano di Hitler. E, come in tutti i colpi di testa, c'era tanta improvvisazione, carenze, nessuna logistica e poca lungimiranza. Un salto nel buio fatto in un deserto, e in un altipiano a 2500 metri, per giunta con il mare di mezzo, con costi astronomici per attraversarlo, foss’anche per mandare uno semplice paio di scarpe, uno litro di benzina, una scatoletta di carne. Ma non bastava UNO, per 400.000 soldati occorrevano altrettanto scarpe, benzina, scatolette di carne.

Dopo le spese e i debiti accumulati nei primi mesi, il mantenimento delle truppe in Africa apriva un salasso impossibile da stagnare: gravose cambiali presentate, all'alba d’ogni giorno, presso le anemiche casse dello Stato. La "quota 90" era stata raggiunta ma, lo abbiamo già letto, fu anch'essa un traguardo di solo prestigio: agli effetti pratici fu negativa per le esportazioni; calate queste, poi, non si poteva certo importare. Le sanzioni poco c'entravano! Quasi nulla.
La crisi colpí poi anche la grande industria, i grandi monopoli e, in seguito, le medie e piccole aziende, quelle dell'indotto e quelle dei consumi. Le prime piccole aziende che stavano nascendo, da alcuni anni, furono interamente penalizzate nel loro sviluppo; in tali condizioni critiche non potevano certo né produrre, né creare una domanda interna, non riuscendo a distribuire con i miseri stipendi l'indispensabile reddito.

Calate le esportazioni dei grandi complessi, questi ormai "producevano" solo disoccupazione; quindi era inutile, come fece Agnelli, produrre ed immettere sul mercato auto per il popolo, se questo non avesse avuto soldi in tasca perchè disoccupato o ad orario lavorativo ridotto.

Così ridotto da portare a cinque i sei giorni della settimana lavorativa. A quelli che avevano un “posto”, si regalò il "pacchetto week end" il "sabato fascista" per diminuire le ore delle fabbriche, tutte in sovrapproduzione e con spaventosa quantità di merci invendute nei magazzini.
I provvedimenti volti a criminalizzare platealmente i prodotti esteri e i paesi ("plutocratici") produttori, non rappresentarono un grande problema.
L'Italia di allora era ben lungi dall’essere una opulenta società dei consumi dal benessere generalizzato e memmeno parlarne di quello esterofilo; gli italiani non usavano correntemente beni voluttuari, le case erano disadorne, il vestiario ridotto all’indispensabile, l'alimentazione ancora povera o appena il necessaria; vita piuttosto spartana anche nelle case degli impiegati e dei piccoli commercianti.

Quindi, c’era ben poco da sacrificare: eccetto per qualche prodotto la maggior parte degli italiani non risentí dell'autarchia; la retorica e la propaganda del regime riuscirono a mascherare benissimo la realtà del Paese.
Mussolini voleva solo farlo arrabbiare, il popolo italiano, aizzarlo, temprarlo, renderlo astioso, e quindi prepararlo "bell’e cotto" per le prossime avventure di gran prestigio. - "Gli italiani devono mangiare una sola volta al giorno, per conservare la rabbia in corpo" diceva.
Nel ‘37 da una relazione del Duce, si stabilì che si dovesse compiere "il sacrificio anche totale, se necessario, delle esigenze civili a quelle militari".

In ogni modo, l’autarchia acutizzò il genio italiano nell'arte di arrangiarsi, mise in evidenza una caratteristica nazionale quasi genetica, secolare. La propaganda la enfatizzava e la strombazzava ai quattro venti, ma in effetti era una verità, anche provvidenziale per vivere. L'arte d’arrangiarsi, riveduta e corretta, tornò prepotentemente di attualità. Era ed è ancora il “Made in Italy”, che da allora non è più tramontato.

Non esportando formaggi, dal latte in esubero e quindi dalla caseina, si ricavò il Lanital, una specie di lana. Dalla ginestra e dai fiocchi di canapa, cotonizzati, si ottenne una specie di cotone, il Cafioc; dalle barbabietole e dal riso ci si ricavò la melassa (al posto dello zucchero); l'orzo abbrustolito diventò il succedaneo del caffè; da un arbusto che cresceva nelle Puglie si estraeva la gomma autarchica; non essendoci cuoio un certo Vi-tale Bram-ieri nel '35 s'inventò il Vi-bram per le scarpe; che come concorrente aveva il cuoital, che altro non era che una sorta di cellulosa e cartone compresso (e proprio con questo si confezionarono aihmè anche gli scarponi per andare a camminare nella rasputina (il fango delle pianure russe) o a trascinarsi nelle ritirate sul Don a 30 gradi sottozero; le ossa di qualsiasi carcassa animale, comprese quelle poche di pollo si raccoglievano in appositi contenitori per bollirli e farci il sapone da bucato; per le saponette da toilette si iniziò a confezionarle con l'olio d'oliva, ma quando anche questo fu razionato non fu più possibile farlo.
Per il consumo degli ortaggi gli italiani furono incoraggiati a farsi in ogni angolo disponibile gli "orti di guerra" ; mentre per il grano perfino a Piazza Duomo a Milano lo si coltivava e lo si mieteva (vedi foto a fianco).

Non esportando vino questo fu trasformato in alcool; i motori di alcune auto funzionavano con questo combustibile; ma si fece anche di più, mancando il carbone requisito quel poco di origine italiano dalle grandi industrie metallurgiche, dalla legna si ricavò la carbonella. Con questa si fecero andare avanti i motori degli autocarri e delle corriere (proibito chiamarli con l'inglese pullman) che assomigliavano piú a stufe semoventi che automezzi, con goffe caldaie poste dietro, la si usava al posto della benzina o nafta. Sui giornali americani comparivano vignette tremende, propagandistiche (ma era la realtà), che tolsero ogni dubbio sulle condizioni in cui versava l' Italia, così avviata al declino.

E purtroppo era vero! Non avendo petrolio, gomma, acciaio, a breve termine ma nemmeno a lungo termine, il declino sarebbe stata la prospettiva
Mentre in America si producevano e si vendevano, in 48 ore, una quantità di auto pari a quelle prodotte in Italia nell’arco di un anno. Il petrolio estratto in una settimana era pari a quello che (con poco piú di 100 mila auto) consumava l'Italia in un anno.
I vacanzieri degli Stati Uniti del Sabato-Domenica, con le loro 24 milioni di auto, consumavano in un solo loro Week End benzina quante ne consumava in un anno l'Italia, scrissero alcuni giornali "Sono ritornati al fuoco delle fascine, basterà ancora una spinta e torneranno ai carri con le ruote di pietra ".
Ma anche un giornalista italiano, quando Mussolini dichiarerà guerra agli Stati Uniti, fece su un giornale questa sarcastica domanda: "Ma Mussolini sa quanti telefoni ci sono nella solo New York?". Per la cronaca a New York esistevano 1.600.000 telefoni. Nell'intera Italia 200.000.

La Società delle Nazioni cancellò poi le sanzioni dopo soli sette mesi, ma "il sacrificio anche totale, se necessario, delle esigenze civili" proseguì, grazie all'abile sfruttamento da parte della propaganda fascista. I programmi autarchici durarono per anni, fino alla fine della seconda guerra mondiale. Quando anche il semplice pane cominciò a mancare; fu razionato con le tessere, con 250 grammi a testa, poi più tardi portato a 200 grammi; a Roma nel '43 addirittura a 100 grammi.

Per sopperire alla mancanza di ferro, si tolsero cancellate e ringhiere alle case, attorno alle ville, nei parchi, reputate superflue; poi si iniziò la raccolta in tutte le sedi del Fascio dei rottami di ferro, rame, bronzo e altri metalli pregiati. Iniziarono vere e proprie gare nelle scuole, con tanto di classifica aggiornata dai maestri e premi agli alunni che portavano in classe una certa quantità di rottami. Era "la buona azione giornaliera del vero patriota". Ma fino a quando poteva durare questa commedia?

Infine la raccolta dell'oro da donare alla Patria

Agli italiani sposati "la Patria" chiese un grande sacrificio, la consegna della fede matrimoniale che, per molti, rappresentava l'unico gioiello posseduto nell’intera vita (per tacere dell’effetto psicologico nel doversi privare di un simbolo cosí significativo). Grandi manifestazioni collettive furono organizzate per queste cerimonie dove convennero artisti, scienziati e statisti a dare l'esempio, fare a gara nel donare, oltre la fede nuziale, anche le proprie medaglie d'oro di accademici.
Per convincere le donne (le piú restie alla "donazione") si allestirono grandi celebrazioni collettive. A Roma, in una di queste, la regina Elena si tolse platealmente l'anello per depositarlo nel crogiuolo, esortando gli altri a fare altrettanto; poi da perfetta fascista salutò la folla con il "saluto romano".

Non bastava la monarchia e, per convincere i cattolici, si mette in scena anche l'arcivescovo di Bologna, Nasalli Rocca, che dona la sua croce d'oro pastorale. Segue il Collare dell'Annunziata del principe ereditario, Umberto. Benedetto Croce e Albertini donano la loro medaglia di senatori. Pirandello, addirittura, quella del premio Nobel. Un'apoteosi di demagogia e di retorica; e a nessuno veniva in mente che, cosí facendo, l'Italia offriva al mondo un’immagine miserabile, di povertà di risorse e, quindi, perdente già in partenza: finite le fedi, le cancellate e i rottami, sarebbe bastato aspettare qualche mese ancora per veder tornare l'Italia alle palafitte.

Puntualmente, i nomi di questi personaggi autorevoli comparvero subito sui giornali, indicati come "fulgidi esempi d'amore per la propria Patria". Alla fine, lo Stato ricavò dall’operazione 500 milioni, "è la cifra -scrisse un giornale americano- che noi normalmente spendiamo per il cibo dei nostri cani e gatti domestici".

Mancava la cellulosa: si ridussero le pagine dei giornali, e perfino la carta bollata si portò a mezzo foglio. Seguí la raccolta degli stracci, il ché non era proprio di buon auspicio. All'estero, questa raccolta, sarà il piú ghiotto motivo per disegnare ironiche vignette sull' "Impero di Franceschiello", il poverello d'Assisi vestito di stracci, appunto. Anche qui, furono profetici, poiché in Russia, con 40 sotto zero, i soldati italiani furono mandati vestiti peggio di San Francesco; solo con gli stracci.

Mancava la gomma e il cuoio, e gli italiani iniziarono a tagliare i vecchi copertoni per farne suole da scarpe, poi arrivò un certo Ferretti che inventò la salpa, una specie di cuoio.
I civili, per non consumare i vestiti, portavano il grembiule, in casa (questo era di rigore in tutte le scuole, per insegnanti e scolari d'ogni grado), gli impiegatucci infilavano le famose mezze maniche nere con l’elastico, per salvare i gomiti della giacca del “vestito buono”; l’accessorio assurse a “titolo” canzonatorio delle classi impiegatizie subalterne: i mezze maniche, appunto.

Le lamette da barba, giunte da poco in Italia, conobbero un declino inatteso (occorreva un acciaio speciale per fabbricarle), ritornò di moda il classico e pericoloso rasoio, tralasciato ormai da tempo. Ma anche quello, se di acciaio fino, era una rarità e solo per ricchi.

Circa l'alimentazione, si consigliò a tutti di allevare polli e conigli, anche in città, pur di non importare carne. Si raccomandava di raccogliere gli ossi in appositi contenitori per bollirli e saponificarli in pezzi per il bucato. Mentre con l'olio d'oliva non esportato si confezionavano le saponette da toilette. Poi, con i venti di guerra, ci fu chi cominciò a nasconderlo l'olio, in previsione di sostanziosi affari alla borsa nera, realtà concreta di tutti i conflitti; e addio saponette. Il sapone da bucato fu razionato con la tessera. Da saponificare restavano solo la pelle e le ossa degli italiani, ridotti a una dieta drastica.

Le popolazioni interne del Paese erano spronate al consumo del pesce, incalzate con insistenza dalla propaganda che allegava dotte affermazioni di professori specialisti: "La mancanza di iodio fa venire il gozzo; guardate nei paesi montani... Abbiamo i quattro piú stupendi mari del mondo, con una riserva alimentare infinita e perenne... e inoltre il consumo di pesce sviluppa l'intelligenza". Non si risparmiano consigli pur di risparmiare carne d'importazione.

La metà del popolo italiano non “marinaro” (l'altro 50% degli italiani vive sulla costa) iniziò a scoprire e a consumare pesce di mare. In Lombardia era rarissimo, prima di questo 1936, trovare una pescheria in città: non esistevano affatto. Il pesce era un cibo praticamente sconosciuto, in ogni ceto. Fin dalla cultura preistorica, in quella palafitticola, poi attraverso quella celtica, gallica, longobarda, per non dir di quella medievale, il pesce non era mai stato considerato un gran genere alimentare, e non solo nell'entroterra, ma perfino lungo le coste, era considerato un cibo da poveracci, derelitti incapaci di procurarsi altro, quindi quasi una vergogna per chi se ne nutriva.

Sembra impossibile ai nostri giorni, eppure, in quegli anni, tale mentalità resisteva ancora; il lettore lo può desumere dai prezzi ancora irrisori, vigenti in quest’anno. Irrisori sui mercati interni e ancor inferiori nei porti: a Napoli, un chilo di vongole costava cinque centesimi, un trentesimo di un chilo di pane, mentre un chilo di triglie o di sogliole, a Venezia, non superava il costo di un etto di pane. Il pesce azzurro, sgombri, sarde, alici, i pescatori lo ributtavano a mare, non c'era mercato nemmeno locale. A Pescara, al porto, era venduto a due centesimi il chilo, pari a mezz'etto di patate o al costo di mezzo uovo. E se proprio ti piacevano le alici andavi il mattino presto sul porto e prima che lo ributtassero a mare ne portavi a casa una cassetta intera per nennemo mezza lira.

Il fascismo puntò su questo alimento "autarchico", inaugurando l’anno prima, a Milano (poi via via nelle grandi città, come Firenze, Torino, Roma ecc.) il primo Mercato del Pesce. Già quest'anno, le vendite milanesi sono pari a un terzo di quelle napoletane, dove pesce e molluschi si trovano ad ogni angolo di strada (oltre che al porto e a Porta Capuana, dove c'era il meglio del meglio).

Grandi affari per i pescatori, liguri, romagnoli e veneti. I pescivendoli invasero la Pianura padana, fino al piú piccolo sobborgo. Successe quasi di mangiar piú pesce in montagna che non al mare.
Una ragione c'era: la carne costava circa 18 lire al chilo, il pesce diciotto volte meno, da 1 una a 2 lire il chilo. Il baccalà (merluzzo) secco costava addirittura 2,50 al chilo (ripeto secco). Lo importava, in monopolio, una sola ditta in Italia, ad Ancona, davanti alla ferrovia e, se non erro, era la ditta Balboni.
All'interno del Veneto, dove non vi era altro che polenta (quanti morti di pellagra!), lo sposalizio con il baccalà secco norvegese diventò quotidiano, il "piatto principe" vicentino, come i maccaroni a Napoli.
Del resto, con la misera somma di quattro lire (tre lire di baccalà secco e una lira di farina gialla) ci si poteva mangiare tutta la settimana. Per il paragone, ecco alcuni prezzi correnti.

Per un chilo di... Pane, 1.60 lire – Pasta, 3 lire – Farina bianca, 2 lire – Farina di mais per polenta, 1 lira – Riso, 2 lire – Olio, 6 lire – Vino comune, 1.80 lire – Zucchero, 6 lire – Caffé, 35 lire – Uova, 1 lira (4 o 5 centesimi l'una) – Patate, 50 centesimi – Cipolle, 50 centesimi – Fagioli secchi, 3 lire – Fagioli freschi, 1 lira – Cavolfiori, 1.80 lire – Cicoria, 12 centesimi – Insalate varie, 30 centesimi – Mele, 1.50 lire – Fichi secchi, 2.5 lire.
Da notare che un bracciante agricolo guadagna dalle 5 alle 7 lire il giorno, circa 150/200 lire il mese. Un operaio circa 300. Un impiegato o un operaio specializzato, 350/420. Lo stipendio di un impiegato d'alto livello, laureato, si aggira attorno alle 800 lire. Quello di un dirigente d'industria o di un capoufficio dirigente statale, 1000 lire. Quello di un generale o di un professore accademico, 2-3000 lire.

Partí quindi l'economia nazionalistica: l'Autarchia che si affiancava al Capitalismo di Stato (IRI, STET, SIP, INA ecc.) e al Corporativismo (contenzioso sindacale, operaio e padronale, fermamente soggetto al controllo e alla mediazione di Stato). Una cavezza al collo dell'economia italiana che poteva anche dare buoni frutti, in determinate circostanze, ben circoscritte.
La prima, solo a breve scadenza, di fronte all’emergenza. Il secondo, solo a lunga scadenza, e non certo in previsione di un'altra guerra. E il terzo, relativamente valido sul piano sociale, eventualmente applicabile solo per un periodo transitorio. L'economia di libero mercato, dopo la buriana (crisi del '29 e la guerra di quest'anno) doveva necessariamente ristabilirsi, pena l'isolamento economico.

Invece, si "tirò diritto": "Marceremo fino in fondo", "L'Italia non si è piegata con le sanzioni, né si piegherà mai. L'autonomia politica non si può concepire senza un'autonomia economica". Questa "ricetta" di Mussolini tirava diritto proprio all'isolamento economico e politico, irreversibilmente. Il risvolto culturale, poi, fu l’innalzamento di una vera e propria barriera dal resto del mondo, visto che furono bandite le traduzioni di libri e la vendita di giornali, film, dischi e tutte le riviste straniere, comprese quelle scientifiche.
Nel momento in cui ogni palpito delle scienze e della tecnica in prodigioso sviluppo era saggiato, riportato e discusso nelle pubblicazioni d'oltreoceano, queste furono messe tutte fuori legge. Si ripiombava nell’isolazionismo medioevale, chiamandolo "autonomia politica". " L'autonomia politica non si può concepire senza un'autonomia economica".

Un suicidio. Per quasi dieci anni l'Italia si chiuse cosí, dentro il suo bozzolo.

L'anglofobia su ogni oggetto e la fobia della lingua inglese per ogni pubblicazione e vocabolo, raggiunse vette parossistiche quando si italianizzarono i nomi delle cose che erano nate e da sempre conosciute con il proprio nome originale, come film, bar, autobus, che furono chiamati rispettivamente pellicola, quisibeve, corriera. Dava fastidio anche la chiave inglese: evocava la gente d'oltremanica; la si chiamò quindi chiavemorsa; e tante altre simili barzellette.

In questa strategia economica mussoliniana, suicida, c'era un autorevole dissidente; era il piú grande esperto di finanza, a livello mondiale, l'amministratore delegato della Banca Commerciale, Giuseppe TOEPLITZ (odiato dal Duce, fin dal 1922). Espose i suoi dubbi, presentò un suo "piano economico moderno" sulla scrivania di MUSSOLINI, fiancheggiato dallo stimato Alberto BENEDUCE, considerato il vero "dittatore dell'economia italiana".
(VEDI BENEDUCE - IL CUCCIA DEL VENTENNIO)

Rivela TOEPLITZ: "La svalutazione della sterlina, a Londra, ha reso ancora piú precaria la situazione italiana, mette in crisi le banche e l'intera industria nazionale, occorrono interventi coraggiosi, di risanamento delle banche e non chiusure, ma aperture politiche verso l'estero, perché il mondo sta cambiando, l'Ottocento non è finito col 1900, ma finisce nel 1929: solo allora è iniziato il XX Secolo".
Toeplitz ribalta, insomma, il concetto nazionalistico: "solo l'apertura economica porta all'apertura politica. Le autonomie, nel vecchio mondo moderno, sono finite"
(Anticipava il mercato globale).

Mussolini tace, anzi con sufficienza gli fa notare che potrebbe mandarlo via per lavorare in pace, ma, lo ascolta - dice - "per educazione".
Vinceranno il duello Beneduce e Mussolini, ma l'altro aveva previsto tutto e giusto: il crollo! Nei successivi anni e perfino l'anno 2000 !

Una cosa appare certa in questa esposizione di Toeplitz: se Mussolini avesse avuto intenzione di continuare con questi provvedimenti di economia nazionalistica, autarchica e corporativa (come sta facendo Hitler - ma lui ha le materie prime in casa) al fine di riorganizzare, ammodernare, rendere efficienti l'esercito, la marina e l'aviazione, avrebbe dovuto scordarselo.

Le casse erano vuote e con troppi debiti. Allora bloccò tutti i finanziamenti. E infatti, vedremo Mussolini presentarsi sulla scena europea già in fiamme, nel 1940, con gli antiquati mezzi usati nel 1918 e riciclati in Etiopia, in questo '36.

Armamentario utile, tutt'al piú, per qualche guerra intestina fra tribú africane scalcagnate (questa drammatica carenza sarà confermata dalle future lettere del Duce a Hitler nel '40, dove gli chiede nitrati, carbone, acciaio, e una lunga lista di materie prime indispensabili per i prodotti bellici, piú l’elemosina di qualche cannone, delle mitragliatrice, e almeno 20 contraeree (che nessuno in Italia si era preoccupato di far costruire, nell'era degli aeroplani!!) . Insomma: quasi tutto, perchè in casa non ha nulla di nulla).

In tali critiche situazioni economiche, non si trovava solo l'Italia di Mussolini. Dal 1918, e - peggio - dopo il '29, la crisi aveva attanagliato tutti i Paesi. Ma non tutti si erano permessi il lusso di una costosa guerra d’agressione come l'Italia, né stavano preparandone un'altra.
Addirittura, Mussolini chiese a BADOGLIO quale esito ci si potesse attendere dal "farne una" contro l'Inghilterra; cosí, tanto per gradire... Siamo in piena esaltazione nicciana, alla sindrome allucinante dell'onnipotenza.

HITLER aveva “migliori” ragioni, perfino atavichei: guerre che partono dai resoconti latini di Tacito fino all’ultima, persa malamente nel 1918, quando Versailles passò un cappio al collo della Germania, umiliata e schiacciata dai debiti e dalle insostenibili pretese di risarcimento dei vincitori, francesi soprattutto.
Non si trattava di una nazioncina di poco conto... Non era difficile arguire che prima o poi la Germania si sarebbe affrancata da quello "strangolamento", in un modo o nell’altro, con un "terremoto".
Da Maroboduo in poi, i guerrieri salii, hanno sempre agito cosí: quando Roma li "strozzava", riattraversavano i limes, il Reno, il Danubio, e si riprendevano quello che era stato a loro tolto; cioè lo "spazio vitale".
Tutti lo sapevano, ma facevano finta di non vedere. Non per nulla, proprio gli inglesi (gli affari sono affari!!) capirono ed aiutarono discretamente la Germania a venir fuori dalla situazione apparentemente senza sbocco, lasciando distratti varchi nello sbarramento navale sulla Manica, permettendo addirittura alla Germania di essere privilegiata nelle sanzioni, quasi l'unico Paese a rifornire, a pieno titolo l'Italia.

HITLER, al contrario di Mussolini, dispone però di grandi miniere di carbone, dei grandi complessi della Ruhr, di Essen, Bochum, Dortmund, e ha come alleati i vari Krupp & Compagni, e le grandi banche (vedi biografia di Hitler) che stanno lavorando come ossessi; in piú, ha dalla sua l'intero popolo tedesco che cerca, e sembra proprio che l'abbia trovato, il suo condottiero; pazzo o non pazzo.
E per guidare un intero popolo, un po' di follia e di genio occorrono. Jung classificò "pseudologia fantastica" l’azione chi crede e agisce senza dubbi o remore, con cieca sicumera, verso ciò che egli stesso ha inventato. Anche Napoleone quando scese per la prima volta in Italia, trasformò le sue modeste battaglie in eventi storici, e ai suoi "straccioni", a Lodi, fece discorsi degni di Marco Aurelio.

Hitler ha scritto Mein Kampf, e vi si attiene scrupolosamente, quasi in modo maniacale. Il libro profetizzava il suo successo europeo, e forse ci sarebbe stato se non fossero intervenuti gli americani e se non ci fosse stata la "accoglienza-sorpresa" russa. Se Mussolini, infine, non gli avesse messo il "bastone fra le ruote" con l'Africa: una vera “manciata di sabbia" negli ingranaggi ben oliati che Hitler aveva concepito e scrupolosamente realizzato fino allora con determinazione... e non da solo (nell'ombra c'erano un certo Jodl, stratega di tutti i piani d'invasione, e un certo Guderian, creatore delle Panzerdivisionen e dei Blitz. E tutta la grande industria tedesca al suo fianco fin da 1935 !!! .

Ma, adesso, andiamo avanti: molte cose stanno accadendo proprio dalle parti di Hitler, in Germania... e quindi dobbiamo fare un passo indietro.

IL 15 GIUGNO l'Austria riconosce a Mussolini l'annessione dell'Etiopia e il 5 giugno avviene un incontro con Mussolini, dove si prende atto che l'Austria e l'Ungheria d'ora in avanti si legano politicamente e ideologicamente al Reich hitleriano. Mussolini, con le assicurazioni tedesche sull'indipendenza dei due stati, offre cosí il proprio sostegno all'intesa e appoggia indirettamente l'espansionismo tedesco nei due Paesi. Ma...

IL 23 SETTEMBRE all'insaputa di Hitler, Mussolini firma un trattato di cooperazione con la Iugoslavia (ignorando il patto segreto di questa con la Francia) con lo scopo di limitare l'influenza tedesca verso questo Paese che, virtualmente, abbandona i patti fatti con la Francia, legandosi a Mussolini.

Nonostante tali manovre dietro le quinte, Mussolini non riesce a sottrarsi al fascino di Hitler... ed a lui si affianca nella prima sortita militare, in Spagna, dove ...è accaduto questo...

(AZANA diviene Presidente della Repubblica e il repubblicano QUIROGA formano il governo che attua riforme molto radicali ed incisive. Il 17 e il 18 luglio 1936 le truppe guidate dal generale FRANCISCO FRANCO pronunciano l’ennesimo Alzamineto, ossia il colpo di stato non riconoscendo valido il governo legittimamente eletto dal Parlamento votato dai cittadini. 
Inizia una sanguinosa guerra civile in cui i franchisti godono di un eventiuale appoggio di Mussolini e di Hitler, mentre i repubblicani solo quello dell’Urss di Stalin e del Messico poiché le grandi democrazie europee (Gran Bretagna e Francia in testa) mantengono una posizione ambigua e di sostanziale neutralità che finisce per favorire i fascisti di Franco)

Il 17 LUGLIO si ribellano alla repubblica molti generali e, soprattutto, le guarnigioni legionarie ben inquadrate e numerose della colonia marocchina: le capeggierà un Caudillo (un duce spagnolo), il generale Francisco FRANCO, pronto a riportare l’ordine sul travagliato territorio metropolitano, manu militari, con mire politiche decisamente autoritarie e antidemocratiche, molto simili ai regimi fascista e nazista. E a questi si rivolge per chiedere aiuto.
Mussolini e Hitler, nonostante la pronta diffida ad intervenire emessa dalla Società delle Nazioni, mandano rapidamente a Franco una cospicua forza aerea e altro materiale in appoggio ai ribelli, sostenendo (ipocritamente) di voler evitare, "che il conflitto dilaghi e comprometta la pace in Europa".
È l’inizio di una violentissima e lunga guerra civile.

L'Italia che era appena uscita dall'avventura abissina fornirà da lì a breve alla Spagna franchista 60.000 uomini, 800 aerei, 8.000 automezzi, 90 navi. L’intervento costerà anche 4000 morti e 11.000 feriti, italiani.
È la prima intesa politica e militare, concreta e palese, tra Mussolini e Hitler che diventerà formale il…

24 OTTOBRE, creando ufficialmente l'ASSE ROMA-BERLINO. Un patto che impegnerà l'Italia a collaborare con la Germania nella lotta contro il bolscevismo, portando il suo contributo alla soluzione delle tensioni balcaniche e danubiane.

Ma Mussolini (ingenuo) ignora il patto di Hitler con i russi (anche se non è ancora quello del 1939 di Ribbentrop-Molotov) e ignora anche gli aiuti sottobanco degli odiati inglesi alla Germania (eppure lui sta ricevendo tramite la Germania motori inglesi !!). Dal canto suo la Germania gli aiuti inglesi li userà piú tardi, nel '41 proditoriamente a est, contro i russi, interrompendo a ovest l'invasione dell'inghilterra. (Per non averla alle spalle o sono d'accordo?)
Hitler riesce, quindi, a raggirare abilmente sia Mussolini, sia l'Inghilterra, sia i russi.
Ma, a sua volta, Hitler ignora che Mussolini ha stipulato patti segreti con l'Austria e con la Iugoslavia, gelose della loro indipendenza da Berlino. Queste repubbliche temono l'egemonia tedesca sui loro territori (e non la gradisce neanche Mussolini che non ha certo piacere avere i tedeschi al Brennero; quindi con Austria e Iugoslavia segretamente si accorda).

Sulla questione spagnola, alta si leva la voce di CARLO ROSSELLI che dall’ambigua Francia incita socialisti e comunisti di tutta Europa a dare il proprio contributo antifascista in Spagna. Si riescono a mettere insieme soltanto 140 volontari, che, per dissidi interni non riescono a coordinare la loro azione. Liti e incomprensioni portano a sciogliere il modestissimo raggruppamento, alla fine dell'anno.
In tutta Europa, la coscienza democratica di ognuno è dilaniata dal conflitto ideologico e dal bagno di sangue che sta avvenendo in Spagna.
Molti temono, giustamente, che questa guerra civile sfocerà in una vera e propria guerra, di nazioni contro nazioni.

A capirlo subito è proprio Carlo Rosselli che lancia il suo mònito:
"attenzione non sottovalutate: oggi in Spagna, domani in Italia"!

Ambigue sono, in questa seconda crisi (dopo l'Etiopia), nuovamente, sia la Francia, sia l'Inghilterra, e anche la Società delle Nazioni (ormai esautorata di fatto).
Quest'ultima, il 4 LUGLIO, ha abrogato le sanzioni verso l'Italia (vedi sotto pagina dedicata). Mentre l'Inghilterra le revocherà il 6 novembre, non parteggiando (come Ponzio Pilato) per nessuna delle due parti nemiche in Spagna, mentre ristabilisce (business is business) anomale e ambigue relazioni con l'Italia.

La Francia fa l’equidistante, ma aiuta in gran segreto i repubblicani, contrapposti ai franchisti, fornendo ad essi, tra agosto e settembre, armi e aerei, salvando la faccia dinnanzi al mondo con il suo promesso "non intervento".

faremo con le prossime pagine la situazione in Spagna

MA PRIMA GUARDIAMO ALLA FINE DELLE SANZIONI > > >



SEGUIRA' POI LA SPAGNA CON L'INIZIO DI QUESTO 1936
E CIO' CHE ACCADRA' FINO AL 1939 > > >

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