ANNO 1943

IL GOVERNO BADOGLIO
nelle beghe di potere


Gli alleati, ovviamente sono i Tedeschi

29 SETTEMBRE - Mussolini conferma la nascita della Nuova Repubblica Fascista, (in seguito RSI) assume le funzioni di Capo del nuovo Stato, e lancia un proclama (quello sotto in immagine)
Dopo il rientro in Italia è quanto stato già detto nella sua prima riunione dei ministri alla Rocca delle Caminate il giorno precedente, con affermazioni durissime. Ricostruendo gli eventi dal 25 luglio in poi Mussolini ha promesso severe sanzioni ai "...falsi fascisti, a tutti quegli iscritti al partito, i quali nascosero, sotto un'adesione formale, la loro falsità; ricoprirono, talora per anni e anni, alte cariche; ricevettero onori e ricompense, e, nel momento della prova, nelle giornate del colpo di stato, passarono al nemico. Essi sono corresponsabili dell'abisso nel quale la Patria è caduta".
E poi disse altro ancora.



1° OTTOBRE - Hitler crea la nuova Regione tedesca alpina dell'Alpenvorland annettendosi l'Alto Adige con Bolzano, Trento e Belluno; subito dopo crea la regione Kusterland con Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana.

10 OTTOBRE - Pochi giorni prima della dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania (che non aveva alcun valore) l'Avanti pubblicava un terribile appello: "L'ora della punizione si avvicina. Questa volta i colpevoli non dovranno sfuggire".


12-13 OTTOBRE - DICHIARAZIONE DI GUERRA ALLA GERMANIA - Siamo al paradosso e alla completa tragedia del popolo italiano. Prima -il 25 luglio- aveva creduto che finito il fascismo erano finiti anche i suoi guai; dopo l'8 settembre sbarcati gli anglo-americani credeva che in un paio di mesi l'Italia era libera. La realtà invece è che i guai stanno appena iniziando e questa volta a essere coinvolta è tutta la popolazione civile italiana, a Nord come a Sud. Basta ricordare che ci furono più morti fra i civili in questo periodo che non fra i militari in tre anni di guerra.  L'Italia é invasa dalle armate tedesche che controllano ogni città italiana del Centro e del Nord Italia, e hanno in mano tutti i punti strategici. Mentre gli anglo-americani oltre che bombardare questi ultimi, per seminare il terrore e sfiancare il morale degli italiani scaricano bombe anche su città dal punto di vista militare per nulla strategiche, con la tecnica dell'"Area Bombing" (bombardamento a tappeto).

BADOGLIO standosene nel Sud, finalmente ha dichiarato guerra alla Germania. Se non altro ora gli italiani del Regno del Sud (quattro province), possono combattere l'ex alleato con una (ipocrita e falsa) ratifica giuridica; anche se, proprio nel Regno del Sud, di tedeschi non ce ne sono.
Ma il paradosso è che all'Italia non gli viene riconosciuta la condizione di nazione alleata degli anglo-americani, bensì quella di nazione "cobelligerante". Un nemico vinto che autonomamente combatte senza armi e soldati contro l'alleato di ieri che però nel resto d'Italia è ancora in casa.

Dopo la "fumosa" dichiarazione di guerra alla Germania, Badoglio tenne una grande adunata di ufficiali rivolgendo loro un discorso, tipico delle vanterie e delle inesattezze, oltre che pieno di livore. Presentò il passato regime fascismo come una banda di ladri, quello della Cultura un lupanare, il Ministero delle finanze al servizio di Mussolini; e ricordando che dopo il ritorno di Feltre, il Duce per primo aveva proposto di sganciarsi dai tedeschi, non capiva perchè i fascisti ora accusassero lui e non Mussolini di "tradimento".

Quanto all'armistizio affermava che lui (ma non era vero) lo aveva proposto e che "fu senz'altro accettato".
Infine disse falsamente (Badoglio era reduce da Malta) "noi non siamo la nazione vinta, ma in cobelligeranza" con gli anglo-americani; e che lui, l'avrebbe poi trasformata in alleanza.
Mentiva che l'Italia si era al Nord sollevata con le armi in pugno per combattere tedeschi e fascisti; mentiva che la IV armata italiana al completo italiana combatteva contro di essi (la IV armata nel sud invece si era volatizzata); e citando la nuova RSI asserì che sì, si era costituita, ma che Mussolini non avrà il coraggio di ritornare in Italia (mentre sapeva benissimo che M. era già tornato da più di due settimane, fin dal 28 settembre).


QUESTO L' INTERO DISCORSO

DISCORSO DI BADOGLIO AGLI UFFICIALI
"...usciamo da questo fango"

Agro S.Giorgio Ionico - 18 ottobre 1943

Signori ufficiali
Non vi dovete meravigliare se mi presento a voi in questo abito borghese; sono necessità del momento, ma io sono sempre il maresciallo Badoglio, il vostro generale del Sabotino, di Vittorio Veneto, di Addis Abeba.

Non vi farò un discorso perché i discorsi sono antipatici per chi li dice e per chi li ascolta. Io voglio prospettarvi ed illustrarvi in questo momento solamente due fatti: la caduta del fascismo e l'armistizio.

Il fascismo è caduto non per forza esterna, ma per crisi interna e per volontà degli stessi membri componenti il gran consiglio. La sera del 24 luglio il gran consiglio votò a maggioranza contro Mussolini.
La mattina del 25 Mussolini si presentò a villa Savoia a S. M. il Re e comunicò la mozione del gran consiglio dicendo che la mozione stessa era nulla. S. M. il Re gli fece presente che ciò non era vero in quanto il gran consiglio era un organo riconosciuto dallo Stato e perciò la mozione era valida. A questo punto Mussolini domandò a S. M. il Re: «Questo significa che dovrei andarmene». S. M. il Re gli rispose: «Appunto, voi ve ne andrete».

Così uscì da villa Savoia, dove venne preso e condotto da CC. RR. in una caserma dei Carabinieri, e questo fu fatto per non lasciare che egli cadesse in Roma in balìa della furia popolare, perché lo avrebbero fatto a pezzi e magari lo avessero fatto! A questo punto vi dirò che io conservo una lettera scritta da Mussolini la notte del 25 luglio con la quale egli mi ringraziava di averlo così salvato.

S. M. il Re mi chiamò subito ad assumere il Governo.
Voi sapete che alla mia età, ed alla mia condizione, non avevo ancora bisogno di gloria: ma fu una necessità, per salvare ancora, fin dove era possibile, questo nostro povero e disgraziato paese.

Io non vi dirò tutto quello che ho potuto vedere in questo breve periodo di governo; però avendo voluto sondare in molti rami, vi dirò solo pochi fatti salienti.

L'A.G.I.P. che voi sapete, quella famosa agenzia di petrolio, organo parastatale, aveva un deficit di « 90» milioni di lire e non si sono nemmeno trovati i documenti contabili. La G.I.L. costava allo Stato un miliardo e 700 milioni, l'O.N.D. un miliardo e 200 milioni.
Il Ministero della cultura popolare era diventato un vero e proprio lupanare: aveva alle sue dipendenze un numero infinito di signore romane con stipendi che talvolta oscillavano dalle 8 alle 10 mila lire al mese e con incarico... lascio intendere a voi.
Ma vi dirò di più: quelle signore non si permettevano nemmeno il fastidio di andare a riscuotere lo stipendio, perché bastava che mandassero le loro persone di servizio per farlo.

Ecco perché noi ci siamo trovati in guerra coi fucili 1891.
Il Ministro delle finanze ha riferito che noi avevamo un « deficit » di 650 miliardi, mentre avremmo dovuto avere in circolazione 14 miliardi di carta, noi avevamo invece in circolazione 150 miliardi.
I Ministeri avevano nel proprio bilancio una voce chiamata « spese riservate » e delle quali non dovevano dare alcun conto. Tutto il supero delle spese dei bilanci che non si doveva conoscere venivano trasportate nella voce « spese riservate ».

Non vi so dire quante decine di miliardi venivano così a disperdersi senza che fosse necessaria alcuna giustificazione. Non abbiamo trovato alcuna contabilità di queste spese. Ma ora basta e usciamo da questo fango...

Al convegno di Feltre il 10 luglio Mussolini si recò con la intenzione di far presente a Hitler la reale situazione dell'Italia e di chiedere l'armistizio, ma, presente il ministro degli esteri Bastianini, non ebbe il coraggio di parlare, anzi, vi dirò di più: Hitler non lo fece parlare.

Ritornato a Roma, Mussolini fece presente a S. M. il Re che per il 15 settembre intendeva sganciarsi dalla Germania. Oggi che questo l'ho fatto io, mi si accusa di tradimento. Io ho dovuto accettare questo stato di cose per il grave per il grave stato nel quale eravamo venuti a trovarci.

Prima di tutto, la rete ferroviaria era quasi del tutto interrotta e spezzata, i viveri del settentrione non potevano affluire al meridione, le città, per la maggior parte, devastate dai bombardamenti.

Nell'assumere il governo telegrafai a Hitler dicendo che avrei mantenuto l'impegno e continuata la guerra. Hitler a questo telegramma non rispose, ma dopo questo si verificarono due fatti importanti. Mandò truppe in Italia, non richieste.

Voi sapete che la Germania era con noi impegnata a mandarci un milione e 200 mila tonnellate di carbone, che noi regolarmente pagavamo. Questo venne di colpo ridotto a 300 mila tonnellate. Voi sapete che la Germania ci forniva di tutto, compreso il petrolio di cui avevamo bisogno e questo di colpo ci venne a mancare, con la scusa dei bombardamenti di Lilla. Noi rimanemmo senza una goccia di benzina.
Più grave ancora: si appropriò del nostro grano già pagato alla Romania. I treni dalla Romania furono fatti deviare verso la Germania e invece immediatamente divisioni tedesche vennero in Italia.

Non c'era più da dubitare, i tedeschi volevano prenderci alla gola, costringerci ad ubbidire. In questo momento pensai che non c'era tempo da perdere e chiesi l'armistizio al generale Eisenhower che fu senz'altro accettato. Qui avvennero dei fatti un po' imbrogliati che non sto a chiarirvi. L'armistizio doveva essere pubblicato il giorno 15 o 16. Gli alleati all'ultimo momento ci imposero di pubblicarlo il giorno 8. Dovetti immediatamente provvedere a salvare la persona di S. M. il Re, la regina e la famiglia reale, altrimenti quei ladroni li avrebbero presi in ostaggio e portati in Germania.

Adesso sono qui con una parte di Governo e cerchiamo con ogni mezzo di mutare, a nostro favore, la situazione, la quale effettivamente ha subìto un rovescio. Noi non siamo più la nazione vinta, ma con un termine un po' difficile, siamo con gli inglesi e gli americani in "cobelligeranza". Ma io spero andare ancora oltre e cioè a dire: alla pari, ad uno stato di alleanza. Io chiesi al generale Eisenhower un ufficiale che facesse, come dire, di tratto d'unione tra noi e loro. Il mio desiderio è stato accettato e il gen. Eisenhower mi ha mandato un generale che resta con noi a Brindisi. Io spero in questo modo di salvare con tutto il nostro possibile la nostra povera Patria, ed alla fine di questa guerra otterremo dai nostri alleati i mezzi di provvedere alla sua ricostruzione.

Signori ufficiali,
Bisogna che non vi sia tra di voi alcun dubbio dell'affetto verso l'Italia e la volontà fermissima di scacciare lo straniero: il nemico dalle nostre case.
Dopo il 1935, nel 1936 l'Italia aveva raggiunto il massimo delle sue aspirazioni, aveva conquistato l'Impero, e, se noi fossimo rimasti neutrali, saremmo stati uno dei popoli più potenti e più rispettati, e d'altronde ne avevamo bisogno, dopo varie guerre combattute.

Quando il 2-giugno Mussolini mi chiamò dicendomi che il 10 giugno noi saremmo entrati in guerra, io gli gridai: "Ma lei non sa che noi non abbiamo nemmeno le camicie per i nostri soldati, non dico le divise, ma nemmeno le camicie? ». Egli mi rispose: «Lo so, io ho solo bisogno di avere alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace accanto ai vincitori ».

Ecco la profezia del grande uomo, del grande statista che aveva preveduta la vittoria in due o tre mesi...

La Germania, signori ufficiali, è stata sempre nostra nemica, d'altronde noi abbiamo combattuto contro di essa al Piave.
I tedeschi ci volevano offendere nel nostro onore di ufficiali; volevano per la resistenza in Italia imporci il comando tedesco, senza alcuna consultazione dei nostri generali, del nostro stato maggiore, essi volevano imporci il comando unico di quel famoso generale Rommel, che è stato fonte di tutte le nostre disgrazie in Africa. Io mi sono ribellato ed eccomi qua tra voi e con il nostro popolo il quale ha risposto ad unanimità.

In questo momento si combatte ovunque contro i tedeschi. A Torino ed a Milano gli operai hanno impugnato le armi e combattono a fianco dei nostri soldati contro i tedeschi ed i fascisti. La IV armata al completo combatte vittoriosamente contro di essi.
Noi dobbiamo scacciare questi ladroni ed assassini. Sì! Ladroni!:'! L'altro giorno a S. Severo hanno svaligiato la Banca Nazionale, trasportando tutti i valori ed i titoli di Stato compresi quelli depositati dai privati.

Io sono un vecchio che ho raggiunto i miei 72 anni e non credevo di finire i miei giorni vedendo cadere la Patria in questo disastro.
Adesso è stato formato in Italia un governo detto: « Governo fascista repubblicano » agli ordini dei tedeschi; ma non crediate che Mussolini sia con loro e si arrischi a venire in Italia. Egli è al sicuro lontano, in Germania. Ma ve lo giuro, noi li ricacceremo e li raggiungeremo ovunque. Io vi prego di trasfondere nei nostri soldati questo sentimento che deve portare le nostre truppe alla rivincita e alla vittoria ».


Il testo fu pubblicato per propaganda in un manifestino. Crabevari in "Graziani mi ha detto", lo pubblica a pag. 282-285. Degli Espinosa, a pagina 134, nota e dichiara di non averlo, ma offre un riassunto, che corrisponde a quella pubblicazione volante. Attilio Tamaro, in Due anni di storia. 1943-45, invece lo pubblica a pag 117 del II volume. Secondo Degli Spinosa il discorso fu tenuto il 18 ottobre.


L'eco di questo discorso giunse in Inghilterra, e Craborne volle precisare, senza attenuazioni, che l'Italia con la firma della resa a Malta, i governi delle Nazioni Unite non avevano assunto nessun particolare obbligo verso l'Italia, il Re e Badoglio. I Pari dei Comuni, che non volevano che si trattasse col Re e con Badoglio per riguardo al loro passato, dichiararono che i governi delle Nazioni Unite
avevano ragione, e che bisognava pure trovare qualche autorità con cui portare rapidamente in porto la "capitolazione senza condizioni".
Più sprezzante il Ministro Law, dando una risposta al deputato Southby che chiedeva cosa mai fosse questa "cobelligeranza". Law dopo aver confermato che la "cobelligeranza" non intaccava minimamente le clausole dell'armistizio, affermò che "l'Italia non doveva avere altri benefici e che "...già aveva incominciato a godere dei frutti che spettano al malfattore che tradisce il suo complice" (The Times, 13 ottobre 1943 - Letteralmente,
South: "Does the right hon. gentl. consider that Italy ought to enjoy the advantage which usually accrue to the evil - doer who turns Kink.s evidence? - Law: "I think that Italy is already beginning to enjoy some of the fruits accrue to the evil - does who turns King's evidence".

Churchill rivolgendosi poi agli italiani li ha invitati "ad aver fede nel futuro, e di marciare con gli amici americani e inglesi verso la libertà, la giustizia e la pace".

Gli italiani marciarono fino al 25 aprile '45 per arrivare a quelle mete ideali, ma fu molto dura digerire la giustizia e la pace con quel trattato del 10 febbraio 1947. La lotta della Resistenza, la cobelligeranza, i sacrifici sopportati dagli italiani, i terribili bombardamenti che dovevano colpire i tedeschi ma che distruggevano città e paesi d'Italia e causava tante perdite umane, non valsero nulla. Si erano solo illusi (con le parole di Badoglio) di essere alleati, e di aver contribuito con il proprio sangue alla sconfitta dei tedeschi.
Appresero le dure condizioni dell'armistizio solo a guerra finita; e appresero pure che non erano mai stati alleati, ma sempre nello status di nemici, nemici che si erano "arresi", cedendo le tre Armi.

Siamo alla fine dell'anno 1943, dove impera la follia. L'uomo che aveva siglato la tragedia dell'8 settembre, che ha firmato la resa senza condizione a Malta, fatto inabbissare navi i cui comandanti non volevano subire l'onta di quella resa, ritornava a galla a capo di un governo a riprendere i poteri con un Gabinetto fantoccio.

A Brindisi il fuggiasco governo nato a Roma dopo il 25 luglio, ma che ora si chiama "del Sud"." ha una giurisdizione molto limitata (su quattro province), inoltre seguita a considerare in carica i ministri lasciati a Roma nella precipitosa fuga.
E che paradossalmente esplicano le loro funzioni con Calvi di Bergolo dopo che questi ha ceduto Roma, forze armate e ministri, ai tedeschi.
Badoglio a Brindisi, cerca in qualche modo di acquisire con il suo governo (che ha solo tre ministri) una propria identità.
Si accinge pure a mettere insieme un Ministero in qualche modo (lo varerà il 16 novembre), anche perchè arrivano a Brindisi le diverse sezioni della Commissione di Controllo anglo-americana, destinate a iniziare i lavori di supervisione (che è poi quella di governare lo stato vinto).

Un ordine del giorno del C.N.L. di Napoli, ambiguo e senza novità, appoggiato anche dai rappresentanti di Bari non ebbe alcuna conseguenza. Nella stessa Bari i tre partiti della sinistra, pubblicarono pure loro un O.d.G., che parve un incitamento alla resistenza passiva, poichè fra le righe postulava che bisognava negare a Badoglio persino la collaborazione tecnica, quindi anche quella dei funzionari, perchè compromessi con il passato (ma più o meno lo erano tutti) e che bisognava epurarli. Quello che insomma avevano chiesto i Russi con i 7 punti alla conferenza di Mosca..

Badoglio ancora una volta vuol fare il protagonista, si rivolge alla pubblica opinione con un proclama, nel quale, esposta la situazione, si dichiarò pronto a formare un Gabinetto con esperti tecnici, che avrebbe dovuto durare sino al ritorno della capitale, per far posto allora a un governo politico.
Nella costituzione del nuovo Ministero, Badoglio usò un'ingenua finzione: fece come se il governo del 26 luglio esistesse ancora e non fosse né decaduto, né dimissionario, assegnò quindi ai nuovi eletti le funzioni di Sottosegretari di Stato.
Presidenza, Pietro Badoglio; Interno Vito Reale; Grazia e giustizia Giuseppe De Santis; Finanze Guido Jung; Guerra Taddeo Orlando; Marina Mercantile Pietro Barone;
Renato Sandalli; Educazione nazionale Giovanni Cuomo; Lavori pubblici Raffaele De Caro; Agricoltura e foreste Tommaso Siciliani; Industria, Commercio e Lavoro Epicarmo Corbino; Ferrovie e Trasporti Generale Giovanni Di Raimondo; Poste e Telegrafi Mario Fano.

In questo Governo, presentato poi da Badoglio il 16 novembre, sedevano uomini di diversi partiti (per lo più monarchici e liberali di destra) ma privi d'ogni delegazione rappresentativa.
Un inutile Governo, che servì solo a far diventare un abisso il dissidio tra Badoglio (e con lui la Monarchia) con i partiti antifascisti. I critici più duri furono gli azionisti, che vedevano in ogni angolo del Gabinetto fantasmi fascisti, e minacciarono di passare alla riscossa:

"La storia dirà se sia stato utile al Paese procastinare la soluzione della crisi ministeriale.
La formazione di un Ministero "tecnico" ci sembra invero una soluzione di ripiego o, come comunemente si dice, un "espediente": è questo forse il momento di ricorrere a espedienti o si tratta di un ritrovato inteso soltanto a pigliar tempo?
La nostra posizione è chiara: noi restiamo fedeli ai deliberati del nostro e degli altri partiti, riuniti in Comitato di Liberazione Nazionale.
Non possiamo però rilevare che il Ministero si compone di fascisti e di antifascisti: ora, nelle deliberazioni che il Ministero dovrà prendere, prevarranno gli uno o gli altri? E' quanto sapremo nei prossimi giorni.
Dichiariamo però, sin da ora che, ove prevalgono i fascisti, usciremo dal riserbo che ci siamo imposti e la nostra opposizione, attualmente, come l'ha definita Carlo Sforza, "spirituale", diverrà attiva e operante, in nome dei supremi interessi del Paese".

(da "L'Italia del Popolo, Bari, 25 Novembre 1943).


La minaccia era senza senso e a vuoto; tutti erano fuori della realtà. E la realtà era la Guerra. E la guerra non era finita, ma semmai appena cominciata.
Quanto alla "Spiritualità" di Sforza, il suo comportamento fu ondivago, incoerente, guidato solo dal livore.
Era partito dall'America contro Badoglio e il Re; poi in un incontro con Churchil si era schierato con lui a favore; ma poi giunto in Italia (tirando per la giacca l'ingenuo Benedetto Croce) si buttò anima e corpo contro i due "infami" per farli cacciare.

Sforza appena il 30 ottobre -e Badoglio lo aveva sottoscritto- predispose un testo con il quale chiedeva pubblicamente l'abdicazione del re. Il 4 novembre il Re è a Napoli per formare con Badoglio un governo (come vogliono gli Alleati) a più larga base politica. Interpellarono De Nicola, Rodinò e Porzio ma escluseero dai colloqui Sforza, ritenendosi il Re offeso dal suo "contegno offensivo e arrogante". Anni dopo Sforza dirà che era stato invece chiamato, che il Re gli aveva offerto un ministero ma che lui non aveva accettato perchè voleva che se ne andasse.

Quel che sappiamo (dirà sarcastico poi Mussolini, che Sforza e Croce erano rimasti con "le pive nel sacco") è che Sforza già aveva del livore contro il Re, e sentirsi escluso dal governo, aumentò il suo livore con la monarchia ma anche con Badoglio. Inizia a diffidare anche del maresciallo. Avverte dei pericoli, come quello di un putsch militare di Badoglio schierato col Re. Del resto in quei giorni erano rimpatriati dalla prigionia ("dorata" presso gli inglesi!) tre alti ufficiali monarchici per occupare i tre vertici del regio esercito: Messe (quello della resa in Africa) che diventa Capo di Stato maggiore generale, il generale Berardi posto Capo di Stato Maggiore dell'esercito, il generale Orlando, nominato sottosegretario alla Guerra.

Sforza che in tutta la sua campagna denigratoria sulla monarchia, aveva incluso tutti i generali perchè strumenti del fascismo regio, diventò livido dalla rabbia, e non essendo riuscito a staccare Badoglio dal Re, fa finta che il Maresciallo non è di quellli che lui considera assieme al Re "vergogna nazionale", e gli scrive una singolare lettera, proprio il giorno che il Re e Badoglio (a quest'ultimo gli fa balenare la reggenza) varano il nuovo governo (17 novembre), esponendogli dei timori di "una cospirazione invisibile di generali ed ufficiali"......

La lettera non impressionò minimamente Badoglio, anzi la consegnò ad Acquarone per farla leggere al Re (copia della lettera fu poi rinvenuta tra le carte del defunto ministro della Real Casa).
Il lungo testo lo riportiamo integralmente

LETTERA DI SFORZA A BADOGLIO
(Il testo della lettera, inedita sotto riportata,
fu rinvenuta tra le carti personali del defunto ministro della Real Casa, Conte Acquarone -
Pubblicata per la prima volta in "La fine della monarchia in Italia", di Gianfranco Bianchi).

17 Novembre 1943

Caro Badoglio,
sento di doverle scrivere perché temo che l'Italia possa precipitare più giù nell'abisso. Alludo a ben altro che a difficoltà per sottosegretari o ministri; non alludo neppure alla fame crescente che può provocare disordini gravi (di cui vedo ovunque i prodromi) . Penso, soprattutto, a una sorta di cospirazione invisibile di generali ed ufficiali che hanno trovato nel Re il simbolo e l'alibi della loro colpa: donde la necessità morale di Croce, mia e di tanti altri, di insistere sulla abdicazione, solo mezzo, con Lei Reggente, di salvare la monarchia liberale.

Già il fascismo regio comincia. Ad Avellino e a Napoli degli ufficiali hanno schiaffeggiato dei fautori del Fronte nazionale di liberazione. Questi ufficiali e i loro capi odiano in LEI l'uomo che ha imposto al Re riluttante la guerra alla Germania. Lo strano paradosso è che fra gli Alleati circola un certo crescente rispetto per costoro perché, colla cecità abituale, credono siano nell'ordine.

Da ciò a un colpo regio contro di lei non c'è, in certa eventualità, che un passo.

Quando il Re mi mandò a offrire di divenire Capo del Governo e io rifiutai per dovere morale e anche per riguardo verso di lei, io aggiunsi ad Acquarone, congedandolo: "E ora voglio rendere al Re un ultimo servizio; gli dica che ha commesso tutti gli errori per rovinare l'Italia; gliene resta ora uno contro se stesso, contro la dinastia: questo errore si chiama la ripetizione della tragedia "Bava Beccaris, e quella di Umberto I".

Molti sintomi fan credere che si va verso questa avventura. Quale sarebbe la sua responsabilità verso la storia? Mi pare un dovere sacro di far capire agli Alleati che tutto ciò che si complotta sotto i loro occhi viola le decisioni della Conferenza di Mosca, rende impossibile lo sforzo di guerra italiano e spinge le nostre masse al comunismo come supremo rifugio.

lo ho già parlato a Londra. Ma possono credere che la mia è un'idea fissa. Eppure la salvezza è in un governo serio riunito attorno a L
ei come Reggente (e, fino che c'è la guerra, capo militare).

Come le dissi a Brindisi, io sono pronto ad ogni viaggio e messaggio, ma purché lei faccia sapere a Londra e a Washington che io parlo anche e soprattutto a suo nome. Perché io riparli in modo utile, occorre che consti solennemente che io parlo per lei questa volta.
Ma certo, una sua rapida gita a Londra, motivata qui per altre ragioni (pane, esercito), potrebbe essere molto utile.

Ci pensi seriamente. Anche là si agisce da taluno contro di lei.

Se non si fa qualcosa e presto, si rischia di far cadere l'Italia in nuove e atroci avventure, che in pochi anni (sciagurato Re) non lasceranno forte che il comunismo.
Vuol farmi sapere che cosa conta fare? E se io posso fare qualcosa?

« Suo aff. Sforza. »


Ma inviando quella lettera, nè Sforza, né i rappresentanti dei partiti antifascisti più intransigenti alla monarchia, non sapevano nulla del tipo di rapporti che c'erano ultimamente fra Anglo-Americani e Russi. (notevolmente mutati nelle ultime settimane). Ma soprattutto ignoravano il tenore della "Resa" che aveva firmato Badoglio a Malta, e ignoravano la rettifica (fatta pochi giorni dopo) della stessa, con condizioni ancor più gravi di quello che si seguitava a chiamare dal 3 settembre "armistizio"; ed infine ignoravano la umiliante consegna delle navi della flotta italiana, in parte andata ai russi.
E che quindi non solo la parola "alleati" era usata a sproposito, ma anche il termine di "cobelligeranza" non aveva alcun significato.
A Londra c'era gente che cercava il corrispondente termine in inglese sui vocabolari, ma era una pura disputa accademica; a livello politico dandogli qualsiasi significato etimologico non intaccava minimamente le clausole dell'armistizio.
(un armistizio è quando due belligeranti pongono una tregua alle armi; mentre invece quello italiano era una "resa senza condizioni" e con la consegna delle armi !!!)

Illusione era il contenuto di quelle due ultime righe del CLN di Bari, che "i rappresentanti della libera Italia sederanno con parità di diritti e di doveri, accanto ai rappresentanti degli altri popoli liberi"
Mentre ancora da Londra ricordavano che l'Italia era una nazione vinta, ma qualcuno, anzi molti, si ostinarono a non capire. Capirono solo il 10 febbraio 1947, quando a Parigi l'Italia fu considerata non un alleata, ma una nazione "vinta".

Del resto anche i più temerari nulla avrebbero potuto fare senza la licenza degli alleati, o meglio degli inglesi, che oltre appoggiare il governo Badoglio (e la Monarchia), avevano passato al vaglio gli uomini scelti dal Maresciallo. Dopo mutarono parere, ma allora lo approvarono.
Anche se questo Ministero restava come il precedente, un governo di fatto, non legale, non costituzionale, perchè appoggiato da alcun partito, quindi non rappresentativo, non sanzionato da alcun voto parlamentare, né da alcuna manifestazione popolare, fu ugualmente legittimato dagli Alleati perchè utile alle loro necessità; che erano poi quelle di opporlo alla Repubblica Fascista, che nel frattempo stava organizzandosi con una forza militare, e nel contempo
rendere formalmente responsabile avendo accettato e firmato la "capitolazione senza condizioni".

Badoglio tuttavia, fece scrivere sui giornali "si serrino le file intorno a Sua Maesta vivente immagine della Patria". Questo, quando molti italiani non sapevano nemmeno più dove si trovava la Patria. In Sicilia addirittura alcuni credevano già di essersi distaccati dall'Italia; facevano già progetti indipendentistici; e di fatto la Sicilia era già divisa fisicamente e politicamente. In seguito - in un'altra forma meno "indipendentista" ci riusciranno. La "cambiale" era stata firmata allo sbarco anglo-americano . E a Roma subito dopo, ma anche in seguito, la cambiale i nuovi politici del dopoguerra furono costretti in qualche modo (sic!) a onorarla. (a dargli la piena autonomia)

Dopo la (fasulla) dichiarazione di guerra alla Germania, e dopo i proclami del Re e di Badoglio non solo contro i tedeschi, ma anche contro i Repubblichini, come se non bastassero già i partiti antifascisti, gli Italiani dovettero affrontare un nuovo nemico, più feroce dei tedeschi stessi, molto più infido, dato che (amaro a dirsi) ora il nemico era fra la sua stessa gente.
Come ai tempi delle guerre comunali, e più giù ancora, a quelle ostrogotiche
, a quelle sannitiche, alle tribù ancora prive di "civilta'".
Gli italiani iniziano ad essere impegnati a combattersi negli anfratti e nelle caverne. Già, perché da questo momento la guerra é nelle caverne, nelle foreste, nelle montagne: é una guerriglia di uomini selvaggi da entrambi le parti (inutile fare dei distinguo, se rosse o nere).

Gli italiani si chiamavano l'un l'altro ribelle, traditore, e si sparavano addosso, e questi facevano fucilare o deportare i fratelli e quelli facevano bombardare i fratelli. Ognuno poi seppelliva i suoi morti e giurava  vendetta tremenda. Convenzioni, diritti, morale, giustizia, etica, amicizie, tutto seppellito: solo jungla! 
E fra questi c'era gente che conosceva Aristotele, Platone, sapeva a memoria Sant'Agostino, Spinoza, e altri mille umanisti, teologi, filosofi, poeti. Dentro nelle loro coscienze (!?) fecero un bel falò di tutto questo. Le armi erano i mezzi più virtuosi, le impiccagioni il diritto, le rappresaglie il dovere, la scelleratezza era diventata il pane quotidiano.

Nazione culturale, nazione politica, coscienza nazionale? Cancellato tutto. Si ritornò a essere bestie! A caccia della preda, cioè uomini a caccia di altri uomini. Uomini che pochi giorni prima abitavano nello stesso paese, nello stesso edificio, persino nello stesso pianerottolo, si cercavano, si annusavano, pronti a colpire e ad "azzannarsi", uno con la "rabbia" addosso di antica data, e l'altro pure, anche se la sua rabbia era più recente.
E fu molto triste, nel veder dar sfogo a invidie, rancori, inimicizie personali. All'ombra di qualche bandiera e di varie ideologie si mimetizzarono pure i ladri, gli assassini, gli amorali, i banditi. 

Il cortile di casa di chi scrive, a Palazzo Mezzanotte (si era insediato il Comando tedesco e la SS) fu presto pieno di "retate" ottenute direttamente o con la diffusa delazione, che per alcuni diventò quasi uno sport, o l'arma della vendetta per certi torti subiti in precedenza e per diversi motivi che più nulla avevano a che vedere con la fede in un partito, giusta o sbagliata che fosse  l'una o l'altra.

Iniziarono le vendette personali. Le accuse piu' infamanti, anche inventate. Seguivano processi sommari nel comando. Poi i condannati, alcuni rassegnati, altri invece implorando,  uscivano su un certo camion, ed era quello che li portava al cimitero S. Anna di Chieti per essere fucilati.
Non si contarono più. Iniziò il vero periodo del terrore, alimentato dalla delazione, dal sotterfugio ma anche con  la buona fede. Ci cadde anche chi scrive, nonostante avesse 8 anni; ingenuamente rivelò dove abitavano alcuni amici di suo zio, quelli che spesso ordinavano in tipografia i manifestini clandestini e poi glieli infilavano nella cartella di scuola per consegnarli segretamente in giro a determinati indirizzi.  Furono ammazzati davanti a lui. A questo punto, per non fargli commettere altri disastri con la sua ingenuità lo rinchiusero con lo zio (che temeva anche lui per i favori concessi ai ribelli, favori che erano poi solo i lavori tipografici) nello stesso Palazzo Mezzanotte, murati in una intercapedine di una stanza, che era il posto più sicuro di tutta la città, perchè il muro divideva i locali del comando tedesco, quindi al di fuori di ogni perquisizione e sospetto; qui nipote e zio trascorsero il mese più terribile che ebbe a vivere Chieti in quei giorni di retate: da metà settembre a fine ottobre la città visse nel terrore. Non ci si fidava nemmeno più dei parenti, dei vecchi amici, e nemmeno del curato della parrocchia.

La follia di quella dichiarazione di guerra annunciata da Badoglio, era che l'Italia  doveva ora schierarsi  contro i tedeschi "passivamente". Non gli veniva nemmeno riconosciuta (ma lo sapeva solo lui) la condizione di nazione alleata agli anglo-americani, ma solo quella di nazione cobelligerante (!?), un regalino di nessuna importanza a un nemico vinto che doveva rivolgere le ostilità contro l'alleato di ieri (che ora aveva in casa).
E, attenzione, al demenziale paradosso: l'armistizio contemplava (perchè non era un armistizio ma una resa) che bisognava consegnare ai nuovi alleati tutte le armi dell'esercito, tutta l'Aviazione e tutta la Marina. Quindi gli italiani (e questa fu una vera follia) in questa "belligeranza" dovevano difendersi dall'esercito tedesco in casa (ora dichiarato nemico - ma senza una valida dichiarazione di guerra) con le mani nude; i carri armati colpirli lanciando sassi e le navi tedesche prenderle con la canna da pesca.

Ma come potevano combattere gli italiani se non avevano a disposizione armi perchè se ne era pretesa la consegna? Una assurdità. L'Italia di Badoglio dichiarava guerra alla Germania, senza armi! E la dichiarava con i tedeschi sul proprio territorio. (Non esiste nell'intera storia una follia del genere).

E dato che c'era un precedente (in Francia, vedi in altre pagine) anche se ci fosse stata una dichiarazione di guerra questa non valeva nulla, perchè "giuridicamente" il governo in carica (per i tedeschi, alleati degli italiani, che avevano ancora in carica quello stesso Re che aveva firmato con loro l'alleanza) era "giuridicamente" prigioniero del nemico, e non aveva armi a sua autonoma disposizione perchè consegnate allo stesso.
Un governo, nato in grembo al vincitore, che era obbligato ad assecondare ogni suo cenno.

Inoltre tutti a diffidare del proprio vicino, compagno di lavoro, e spesso persino dei parenti. Questo era in sintesi la sostanza di questa folle e irresponsabile dichiarazione di guerra, una follia che era già in atto, formalizzata da "Sua Maesta vivente immagine della Patria" e,.... da Badoglio, che però ha in mente un progetto: di diventare lui l'"immagine della Patria", liquidando appena possibile il Sovrano (vedi poi giorno 24 ottobre)

TORNIAMO INDIETRO DI QUALCHE GIORNO
sullo scenario guerra

15 OTTOBRE - Sia da una parte che dall'altra sono riorganizzati gli eserciti degli Alleati per quello che dovrebbe essere il decisivo scontro al centro della penisola..
La 5a Armata di Clark sul Volturno ricongiunge le sue unità per avanzare sul Garigliano. Ma a nord del Volturno i tedeschi hanno predisposto tre linee difensive fortificate: la cosiddetta "linea Barbara"; la "linea Reinhard" (Bernhard); e la "linea Gustav", quest'ultima è la più solida dei tre schieramenti difensivi, che segue i fiumi Garigliano, Montecassino, e procedendo in direzione nord termina sulla costa adriatica, sul Sangro, attraverso Roccaraso e Casoli.
A questo punto il gen. Clark cambia il piano di attacco tracciato da Alexander. Vuole arrivare presto a Roma. Clark sogna di notte la Città Eterna, vi si vede entrare da conquistatore, nuovo Cesare alla testa delle sue legioni. E vive nel terrore che qualcuno (soprattutto gli inglesi - con Montgomery che era convinto di poter arrivare già a fine novembre a Pescara e fare il Natale a Roma) lo preceda sul tempo. Crede di poter sfondare subito la linea "Gustav", ma prende una cantonata. A maggio del '44, è ancora lì, nonostante le lunghissime e quasi inutili battaglie del Minturno e di Montecassino.

Da un punto di vista tattico l'idea era folle (per l'altissimo potenziale di resistenza tedesco; Cassino era infatti il tratto più duro della linea Gustav, dove Kesselring aveva concentrato la sua forza maggiore e migliore) anche se dal punto di vista strategico era valida. Infatti Clark pensa -guardando le cartine- che se si riesce a sfondare qui, diventa possibile il collegamento con la testa di ponte di Anzio dove è previsto lo sbarco di appoggio, e quindi ha la via aperta per Roma.

Ma Clark ignora la storia e anche la geografia del territorio.
Non conosce la geografia, perchè davanti a lui si distendono mari di fango, si ergono massicce formazioni di granito e di calcare dalle quali da infiniti buchi neri i difensori tedeschi sono pronti a rovesciare verso il basso un inferno di fuoco e di morte. I monti Aurunci hanno un aspetto dantesco, angosciante, i grandi torrenti e fiumi fendono rocce e terra urlando e creando anch'essi un ostacolo insormontabile.
Ma lassù, verso il nord, c'é Roma, l'ossessione di Clark. Che però non conosce neppure la storia; e la storia ricorda che Roma, proprio perché protetta da queste formidabili difese naturali, é stata conquistata in venti e più secoli da Sud soltanto una sola volta, dal bizantino Belisario.
Ora, in più, c'era "Albert il sorridente" che dai 1.800 metri del monte Caira osserva ironico la difficile impresa dell'uomo che sta correndo (sbagliando) per poter passare per primo sotto l'Arco di Tito.

Nel versante opposto, a Montgomery con la sua VIII Armata (Inglese) le cose vanno un po' meglio (ed è ciò che teme Clark che guida la V Armata (Americana); potrebbe arrivare quanto prima a Pescara dopo aver superato la valle del Sangro (qui vi arriva l'8 novembre, il 15 è sul fiume). Ma indirettamente è proprio Clark a impedirlo.
Infatti KESSELRING , ha ordinato al gen. Vietinghoff di concentrare ogni sforzo nella difesa della "linea Reinhard" , che è il baluardo prima della "linea Gustav", per guadagnare tempo e fortificare meglio la stessa "linea Gustav" nella zona adriatica; che infatti a NOVEMBRE e DICEMBRE (dopo una delle più terribili battaglie svoltesi in Italia, a Ortona, metro dopo metro, con enormi perdite) bloccherà definitivamente la VIII Armata di Montgomery a Orsogna. Fino al punto che Churchill, il 31 dicembre piomberà a Tollo di persona a riprendersi Montgomery (destinato allo sbarco in Normandia) lasciando l' VIII Armata al gen. Leese, a fare melina fin quasi all'inizio dell'estate 1944. Bloccato anche lui come Clark.

Insomma l'Italia verrà abbandonata "nel suo brodo" e alla rabbia dei tedeschi; il Centro Italia fino alla metà del 1944, il Nord Italia fino all'aprile 1945.
Washington e Londra pensano solo più allo sbarco in Normandia. Con Stalin che lo appoggia per due motivi; l'utile apertura del secondo fronte ad occidente; per evitare che gli inglesi abbiano un immediato successo nell'Adriatico mettendo a rischio i Balcani, dove intende arrivare per primo lui con l'Armata Rossa.
Facciamo qui presente che Tito in questo periodo, da solo con i suoi titini, sta efficacemente contrastando i tedeschi, e che il 4 dicembre liberato l'intero territorio iugoslavo dà inizio a un governo provvisorio. Sarà questo uno dei motivi per non dover poi ringraziare Stalin e rimanere autonomo, anche se rimarrà legato come ideologia a Mosca.

Dato che sullo scenario di guerra i Russi stanno ottenendo strepitosi risultati, e sono militarmente ancora forti come mezzi (con l'aggiunta di quelli catturati alle armate tedesche) gli anglo-americani scendono a compromessi, che dalla fine del '43 a metà '44. questi sono decisamente a favore dei Russi. Del resto l'incontro con le intese di Yalta deve ancora avvenire.

IL 16 OTTOBRE - Viene formato a Roma il CCLN, il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale, che con un documento non riconosce nessun potere al Governo Badoglio. "L'Italia non può riconoscersi nel governo del Re e di Badoglio".
Per chi é in armi (regolari e no) la confusione ora aumenta. Dove schierarsi non lo sa nemmeno il "politico" che fa politica. Infatti le incomprensioni iniziarono ad essere piuttosto serie, oltre che bizantineggianti, causando così un distacco dalla realtà; e la realtà era la guerra in Italia di due potenti eserciti pronti a scontrarsi in terra in cielo e in mare sconvolgendo le città italiane, per decidere la loro mortale partita.

Si vuole un governo straordinario costituito da tutte le forze che hanno lottato contro il fascismo. Ma questo progetto oltre che essere ignorato a Brindisi dall'arrogante Badoglio, gli stessi anglo-americani cui si sono aggiunti ora i russi, prima lo diffidano, lo umiliano, poi lo appoggiano; e stesso comportamento con i rappresentanti dei partiti antifascisti (vedi Sforza). Del resto gli equilibri cambiano con i buoni risultati militari, e negli ultimi mesi molti successi sono dei russi su un numero di armate tedesche di molto superiori a quelle in occidente. Che impressionò notevolmente gli anglo-americani.

Infatti, molti italiani cominciano a chiedersi: ma che gioco allora stanno facendo gli alleati!?. E che gioco sta facendo Badoglio!? Che pensa a come riciclarsi e alle "epurazioni".
(Ha perfino richiamato al suo fianco Denise, il capo della polizia. Quello dai mezzi spicci con i fascisti ancora all'epoca di Mussolini. Ma non sapeva o faceva finta di non sapere, che Denise era finito a Dachau? e proprio per colpa sua che prima di partire l'aveva messo agli arresti e lo liberò poche ore prima di darsi alla fuga; Denise era finito diritto in mano ai tedeschi e internato in Germania).
Non trovando libero lui, Badoglio insedia Zaniboni, "Commissario per l'epurazione dei fascisti dagli uffici pubblici"; l'uomo che aveva attentato la vita di Mssolini nel 1925 e che languiva in galera. - A quel tempo Badoglio scrisse una lettera passionale a Mussolini. Che l'abbiamo già accennata ma vale la pena riportarla in questo contesto. L'alpino non era più "un vile, dimentico delle leggi dell'onore", ma un eroe da avere accanto.
"Eccellenza, quale Capo di Stato maggiore e collaboratore fedele del Governo nazionale, di fronte alla conferma che l'ex deputato Zaniboni, nel momento del suo criminoso tentativo, indossava la divisa di maggiore degli alpini, sento il dovere di protestare indignato in nome di quanti indossano l'uniforme di soldato d'Italia contro l'atto esecrando di chi, dimentico delle leggi dell'onore, cercò coi segni delle benemerenze del passato di rendere possibile la perpetrazione del più vile e odioso dei misfatti. Dio ha protetto Vostra Eccellenza e l'Italia. Nel palpito della nazione che in questi giorni vibrante di commozione e di esultanza le si è pressata affettuosamente d'intorno, vostra Eccellenza avrà certo riconosciuto e sentito vicino il cuore di quanti portiamo le armi al servizio della Patria. e, nel nome augusto del re, le siamo ossequientissimi e devoti. Suo devotissimo Badoglio".
Come detto sopra lo nominò "Commissario per l'epurazione dei fascisti dagli uffici pubblici". !!!


IL 24 OTTOBRE Badoglio tenta il grande colpo. Nel voler formare un nuovo governo (di cui abbiamo già accennato sopra) chiama attorno a sé vecchi uomini di cultura e della politica del vecchio Stato liberale: Croce, Sforza (rientrato in Italia), De Nicola, Rodinò (mondo cattolico). Costoro assieme a Badoglio che li ha del resto scelti per farsi appoggiare, chiedono l'abdicazione del Re considerato troppo compromesso col fascismo (lui, l'innocente Badoglio no? La lettera sopra accennata, l'ha dimenticata).

Il Re non prese nemmeno in considerazione (come aveva fatto Carlo Alberto) di abbandonare il trono o di lasciare le redini al figlio Umberto, che tenuto sino allora lontano dagli affari del governo, sicuramente sarebbe stato travolto dagli avvenimenti così complessi. Con una forte consapevolezza, e un'illimitata devozione al suo assunto, non si credette obbligato abdicare, anche se era consapevole delle possibili conseguenze per la dinastia Savoia.

Il 3 NOVEMBRE dopo che si sono costituite a Milano le Brigate d'assalto Garibaldi,  i GAP,  i Gruppi d'Azione Patriottica, in prevalenza con elementi del PCI, LEO VALIANI e FERRUCCIO PARRI prendono contatti in Svizzera con gli anglo-americani per far arrivare ai partigiani tramite aviolanci materiale bellico e rifornimenti vari. In parte le richieste vengono accettate, ma gli alleati preferiscono aiutare e servirsi solo di piccoli gruppi (dove hanno spesso dentro i loro uomini) che utilizzano per mirati sabotaggi. Temono infatti le grandi concentrazioni di antifascisti soprattutto di sinistra, e temono che possa sfuggir di mano il controllo interno. Inoltre considerano sempre gli italiani potenziali nemici. Li volevano tutti disarmati; ma devono alla fine con un po' di avversione accettare; tuttavia si servono e utilizzano a loro piacimento queste azioni di guerriglia; che per loro erano incomprensibili, anacronistiche e di stampo anarchico, spesso prive di interesse, abituati com'erano a concepire una guerra secondo i metodi della grande industria fordista.

14-16 NOVEMBRE - Si riunisce in congresso a Verona il Partito fascista repubblicano.
Senza nemmeno discuterlo, viene approvato il cosiddeto "Manifesto di Verona" che dichiara decaduta la monarchia, e presenta il proprio programma articolato in 18 punti, con un forte accenno sul sociale.
vedi "MANIFESTO DI VERONA" vedi > >

Nelle sue conclusioni, l'assemblea chiederà di istituire un processo contro i gerarchi che il 25 luglio nella seduta del Gran Consiglio, si erano espressi a favore dell'ordine del giorno Grandi.
Fra questi Ciano, il genero di Mussolini. Dopo i fatti narrati nelle pagine del 25 luglio, Ciano temendo di essere anche lui arrestato dalla "pulizia" badogliana, prima si era nascosto in casa di amici a Roma, poi si era (con tanta ingenuità) rifugiato nella Germania che odiava; e altrettanto odio aveva nei suoi confronti Hitler, che lo riconsegnò alle autorità fasciste ricostituite.
L'inizio di questo processo e le sue drammatiche conclusioni avviene nei primi giorni di gennaio del 1944. Dove vi rimandiamo.

19 NOVEMBRE - E' da Mussolini ricostituita la Milizia Fascista (sotto il comando di Renato Ricci), successivamente aggregata all'Esercito della nuova Repubblica di Salò (che il 25 diventerà la RSI). Dopo il bando emesso il 9 novembre, della chiamata alle armi dei giovani della leva 1924 e 1925, anche se molti (il 40%) non si presenteranno o diserteranno dopo pochi giorni, 100.000 volontari accorrano nelle sue file.
Molti provengono dal disciolto esercito. Ma soprattutto molti provengono dai carabinieri. Questi cosa potevano fare del resto, mica darsi alla macchia anche loro. E sono proprio questi che costituiscono i primi seri gruppi dell'ordine pubblico, e sono proprio loro a far rispettare le comuni leggi per tutto il periodo che rimase in vita la RSI.

Pur sotto questo anomalo governo, sono in effetti proprio i carabinieri, con l'alto senso del dovere, a non far degenerare dentro le grandi città del Nord, la violenza, le illegalità, e a mantenere l'ordine. Purtroppo solo perché indossano quella divisa, sono odiati, perseguitati, e molti di loro nel corso dei drammatici eventi finiranno purtroppo anche massacrati.

Altri 4.000 elementi -tutti volontari- andranno a costituire la X MAS; un reparto formato da incursori speciali della ex Marina, comandato da un Principe e da un gruppo di ufficiali ex decorati di medaglia d'oro, che compiono imprese ardite, colpi di mano, incursioni, contro quelli che considerano dei ribelli della Patria.

Questo comandante nel suo iniziale reparto (composto da circa 300 elementi) voleva solo volontari; era fortemente contrario alla coscrizione, voleva gente fidata non ipocrita o perché costretta;  una scelta quella della coscrizione che invece fu praticata da altri gerarchi della RSI, più militaristi di vecchio stampo, e che diffidavano dai volontari, difficili da guidare, perchè sempre insofferenti alle gerarchie.  
Ma assunte dimensioni incontrollabili, la X Mas diede vita poi a sotto "cellule" che, in breve tempo acquisirono indipendenza dal reparto madre, e in progressione trasformeranno  le azioni di guerra anche in irresponsabili  atti contro la guerriglia partigiana, che anche questa non era meno fanatica di quella, ed alcuni "cellule" si resero responsabili di altrettanti atti di violenza, rappresaglie e attentati sfuggiti ad ogni controllo. Con un'aggravante, perchè proseguì scelleratamente  anche a guerra finita (lo leggeremo nel '45)

Diventarono così alcune di queste "cellule", da una parte e dall'altra, applicando la impulsiva giustizia sommaria, un terrore reciproco. Una lotta fratricida di italiani contro italiani.
In alcune brigate piemontesi c'era l'esaltazione e il furore, il delirio e l'entusiasmo, la giustizia e la vendetta; in sostanza spesso un miscuglio di irrazionalità e, altrettanto spesso - vivendo alla macchia e reagendo come degli animali braccati- "azzannando" le "prede"..
Anche nella X Mas, il fanatismo era molto alto;  il reparto per le sue gesta audaci venne guardato con ammirazione da soggetti pronti a tutto (così gli avevano insegnato i padri, non dimentichiamolo, attaccare senza pietà i ribelli e i vili). A comandare questo reparto -che si ammanta al suo interno di una cupa leggenda - vi sono attirati soprattutto quei giovani che non erano mai stati messi in luce dai precedenti gerarchi "parolai" e "pataccari"- c'e' lui, il principe.
 
JUNIO VALERIO BORGHESE vedi biografia >>>

Un valoroso soldato, decorato di medaglia d'oro, con poche simpatie per il fascismo. Fu perfino accusato di fare una sua guerra privata, una sua crociata, di preparare un golpe, di essere anche lui un traditore; fino al punto che fu arrestato su ordine di Mussolini;  poi temendo il Duce una reazione dei suoi seguaci, che erano pronti a tutto per liberarlo, fu rilasciato.
Perchè allora, proprio lui e 300 ex ufficiali dello sbandato esercito italiano, scesero  in campo così agguerriti?

E' importante soffermarsi subito su queste note (oltre il link biografico sopraccennato) per capire il clima nazionale. - C'erano le tradizioni risorgimentali ancora vive nella borghesia,  c'erano gli ideali etico-politici (anche se - in mezzo alle pagliacciate di Starace- solo una piccola minoranza a questa etica era stata educata) e c'era in una parte di italiani la tradizione di alcuni valori, anche se erano frutti di una emotività  che  la propaganda di regime sovradimensionava quando si rivolgeva alle masse.
Avevano, piaccia o non piaccia (anche se virtualmente) contribuito a una nascente unità nazionale. Il fascismo nel periodo d'oro c'era riuscito (sport, imprese spettacolari, interventi nel sociale, ecc). Era riuscito perfino nella "Questione Romana" dove avevano fallito tutti i liberali in settant'anni;  non dimentichiamo nel '29 i Patti Lateranensi - Fascismo e Chiesa  iniziarono a camminare a braccetto
- non sappiamo chi più ipocritamente dell'altro; di sicuro per Mussolini era questa alleanza puro calcolo, ma per la Chiesa non c'erano dubbi:  questa "idilliaca unione" era merito dell'"Uomo della Provvidenza". O per calcolo o per ottusità e mettiamoci se vogliamo essere morbidi anche la buona fede, ipocrisia era! 

Mentre  la dignità e il patriottismo di Borghese facevano parte di una cultura dove vigente era ancora la massima "al primo colpo di cannone un popolo deve far tacere tutti i suoi contrasti e fondersi in un unica volontà per la difesa della patria, abbia essa ragione o torto, é la patria". 
Stalin, infatti, questo aveva fatto in Russia quando ormai aveva i tedeschi quasi alle porte di Mosca. Non si mise a invocare il suo comunismo, nè a chiamare i "compagni", ma iniziò a chiedere aiuto ai fratelli, richiamando alla loro mente (proprio lui!)  le gesta del grandi zar che avevano lottato per la patria, per la grande Russia.

Per molti anche ad alti livelli ( i "maestri")  queste sacrosante parole in corsivo sopra, erano diventate improvvisamente  imposture, pura retorica, e dandosi alla fuga, a loro nemmeno gli sfiorava la mente che così comportandosi davano la palese prova che tutta la loro vita precedente era stata una farsa, una doppiezza, anni vissuti nell'ipocrisia. Che spettacolo!

Se questi valori, unità, coscienza nazionale degli italiani, con il fascismo stavano lentamente maturando (perfino il Made in Italy si stava diffondendo)  la perdita di questa appena larvale coscienza nazionale  -con il cattivo esempio dei superiori in fuga- fu nuovamente messa totalmente in discussione  e nel  modo più truffaldino e disonorevole.
In declino questo spirito già quando questa guerra la si cominciò a combattere (e abbiamo visto con quanta disorganizzazione e invidie nelle tre armi) non sul suolo italiano ma in territori fuori dai confini (non come la Grande Guerra) e quando ormai gli interessi non erano più quelli dell'Italia ma della Germania, con i mille opportunisti -vedi Badoglio- pronti a montare sul carro del vincitore in un modo o nell'altro. E non solo lui.
Chi aveva guidato in Russia e in Africa l'esercito italiano di Mussolini, improvvisamente lo ritroviamo a organizzare la Resistenza, o a fianco di Badoglio come Capo di Stato Maggiore del nuovo esercito; Messe, quel generale che si arrese in Africa e gli furono tributati a Londra onori e applausi, dopo pochi mesi lo ritroviamo (ma com'era stato possibile?) in Italia come Capo di Stato Maggiore, in quell'esercito che poche ore prima era fascista, poi antifascista.

Ormai fu chiaro a tutti (ma questo fin dal 10 giugno 1940 - meno alcuni generali che avevano consigliato Mussolini di farla quella guerra) che se l'Italia vinceva a fianco all'Asse, l'Italia del Nord si sarebbe trasformata in buona parte in territorio tedesco, e il resto da Firenze o da Roma in giù, in una colonia germanica. (Mussolini, questo lo temeva e non ne fece mistero, se leggiamo i Diari di Ciano).

Ma ritorniamo all'atteggiamento di Borghese. Lo abbiamo letto,  era già  una "bestia nera" dentro il fascismo, con non pochi nemici per la sua indipendenza dalle infide alte gerarchie militari, ipocrite, che Borghese disprezzava. Ed aveva ragione! Scapparono tutti! A Chieti in quella famosa notte del 9 settembre c'erano proprio tutti! Ma non il principe BORGHESE!

Confesserà Borghese a fine guerra quando verrà processato "Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà; e allora l'evento storico non incide che materialmente, seppure per decenni. La resa e il tradimento hanno invece incidenze morali incalcolabili che possono gravare per secoli sul prestigio di un popolo davanti al mondo, per il disprezzo degli alleati traditi, e per l'eguale disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente di accordarsi. Questi ideali non hanno solo l'impronta fascista. Appartengono al patrimonio morale di chiunque".

Non dimentichiamo che BORGHESE alla notizia dell'armistizio dell'8 settembre, come tanti altri comandanti di reparto, era rimasto privo di ordini e di indicazioni. Il suo superiore, era un principe come lui, ma era uno dei tanti fuggiaschi,  assieme al sovrano e a tanti altri suoi colleghi.
Borghese pur appartenendo come loro a una famiglia principesca non seguì i "traditori", rimase legato ai suoi doveri di ufficiale con le sue responsabilità e la più importante di queste era quella di salvaguardare non solo l'onore della bandiera, ma i suoi uomini. (E altrettanto poi fece il 25 aprile del 1945). Senza di lui (se scappava) gli uomini del suo reparto avrebbero fatto la stessa fine degli altri lasciati allo sbando;  catturati e deportati in Germania (come quelli di Bolzano) o massacrati dai tedeschi (come quelli di Cefalonia) e tanti, tanti altri.


In questo periodo storico più "comandante" che "principe" (i principi scappavano ed erano impegnati più a salvare i gioielli che l'onore)  BORGHESE si barricò con la sua X Mas a Lerici pronto a difendersi  a una imposta disonorevole e infamante resa ai tedeschi. Che non osarono attaccarlo.  Dichiarerà in seguito al processo "Se un tedesco avesse tentato di disarmare il mio reparto io avrei dovuto difendermi;  in questa circostanza se fossi stato ucciso, cosa probabile, oggi sarei considerato un eroe della Resistenza".

Questo sentimento di vergogna e le conseguenze di quella resa umiliante, la provarono in molti, per gli stessi elementari motivi di "dignità di soldato" e di "onore".
Chi in un modo, chi in un altro, molti fecero la stessa scelta (e chi poteva giudicare in quel momento quale fosse quella giusta?). Gli altri, di scelte non ne fecero, e alcuni nemmeno furono in grado di farle con i loro comandanti in fuga. Interi reparti anche con molti uomini,  capaci come numero di riprendere in mano la situazione dopo il "disfattista proclama" e la "fuga",  lasciati allo sbando, dovettero alzare le mani davanti a uno sconcertato "nemico" di molto inferiore come  numero, che quasi non credeva ai suoi occhi. "Non pensavamo che sarebbe stato così facile!" diranno poi i tedeschi "bastava un semplice sergente e alcuni uomini per far arrendere una intera caserma"

Carlo Mazzantini
scriverà "Non credo di compiere un arbitrio stabilendo un parallelo di sentimenti e motivazioni etiche fra queste unità che formarono il primo nucleo dell'esercito repubblicano e quelle formazioni partigiane che sorsero dalla dissoluzione di quei reparti militari che non si arresero ai tedeschi e furono denominate "autonome", perchè non riconducibili a un partito politico o a una precisa ideologia.....Scattò in alcuni un istintivo soprassalto di ribellione contro lo sfacelo, un sentimento di non accettazione della miseria morale in cui era sprofondato il paese, il bisogno di dissociarsi dalle viltà, le fughe, l'abbandono; che si manifestarono nel cercarsi fra coetanei, nell'impulso a unirsi, a fare gruppo"  (C. Mazzantini, "I ballilla andarono a Salò", Marsilio, 1975)

Coerente ai suoi princìpi, BORGHESE lo fu poi anche alla sua resa a Milano del 25 aprile del '45; non volle infatti darsi alla (seconda) fuga come gli altri gerarchi, anzi sprezzante disse a Pavolini "noi restiamo, ci arrenderemo, ma a modo nostro";  dopo una sorta di trattative private con gli alleati e con lo stesso CLN, riuscì a far garantire prima di ogni altra cosa la vita a tutti i suoi soldati; poi si fece arrestare. Al processo  fu condannato a 12 anni di galera, ne scontò alcuni,  poi nel '49 fu rimesso in libertà, anche se in seguito (non fidandosi della giustizia italiana) preferì lasciare l'Italia.


(VI RIMANDIAMO ALLA BIOGRAFIA DI BORGHESE)


28 NOVEMBRE
- In una conferenza (la "Eureka") a Teheran dove partecipano Churchill, Roosevelt e Stalin, vengono stabiliti i piani per aprire il secondo fronte nell'Europa continentale, coordinato con l'attacco sovietico a est.
Per aderire alle pressanti richieste di Stalin, viene stabilita la priorità assoluta per “Overlord” (invasione della Francia settentrionale) e per l' “Anvil” (sbarco nella Francia meridionale). Stalin promette l’intervento sovietico contro il Giappone dopo la vittoria sulla Germania. Da Teheran, Roosevelt e Churchill ripartono per il Cairo, dove i loro consiglieri riprenderanno i lavori della Conferenza "Sextant".
Sono discusse anche le spartizioni a fine guerra, come la Polonia; e contrasti nascono sulla futura spartizione della Germania. Ed altri contrasti per la sfera di influenza in altri paesi vinti. E altri ancora nascono per le operazioni in Giappone dove inizialmente l'America direttamente interessata all'Oriente, chiede l'appoggio della Russia.

Un appoggio diretto dei Russi contro i giapponesi non ci fu mai. Nè dichiararono mai guerra al Giappone. Lo fecero il giorno prima della fatale ora X. Cioè quando la guerra nel Pacifico ormai volgeva al termine con una vittoria ormai certa degli Alleati, decisi a non dividere la ambita "torta orientale" con la Russia. A Washington si anticiparono i tempi, sganciando la bomba atomica sul Giappone, che più che un'azione militare (ormai inutile) fu un azione politica. La bomba in effetti per certi aspetti fu "sganciata" su Hiroshima, ma il botto doveva arrivare chiaro e forte a Mosca  (lo vedremo a suo tempo).

Una situazione politica militare e militare politica che non verrà mai risolta con chiarezza fino al dopoguerra, determinando poi la contrapposizione dei due blocchi che porteranno subito dopo  alla famosa Guerra Fredda tra le due potenze. La terza potenza, la Gran Bretagna era più che soddisfatta di aver allontanato lo spettro dei  due "diavoli" che ne avrebbero potuto compromettere la sua esistenza: il nazismo prima, il bolscevismo poi. Nell''Europa continentale l'Inghilterra sperava di essere la incontrastata padrona. Ma fu un'illusione di brevissima durata. Un "25 luglio" (nel 1945) venne anche per Churchill. Liquidato sei giorni prima della fine della Seconda Guerra mondiale. Anche se era stato -proprio lui- il vincitore morale.

Nella stessa conferenza al Cairo, Churchill e Roosevelt, hanno deciso di trasferire il generale Eisenhower al comando dell'Operazione Overlord in preparazione in Inghilterra (Sbarco in Normandia), mentre il comando del Mediterraneo viene affidato al generale inglese Henry Maitland Wilson; e pure inglese è il comandante delle forze che opereranno in Italia: generale Harold Rupert Alexander.
E' stato deciso inoltre di disimpegnarsi in Italia; infatti, dopo il Cairo, Churchill giungerà in gran segreto in Italia a fine dicembre '43, incontrandosi con Montgomery a Orsogna-Arielli, mentre il Maresciallo inglese con la sua VIII Armata sta lottando con tutte le sue forze per la difficilissima conquista di Ortona, difesa a oltranza dai tedeschi, e che poi lo fermano proprio ad Orsogna.

Churchill - come racconta nelle sue memorie, rimase molto impressionato da quella tremenda battaglia (in effetti fu una feroce guerriglia condotta casa per casa per non far occupare l'importante strategico porto) che costò molte perdite all'VIII Armata) lo incontra per affidargli il nuovo incarico, come comandante del XXI Gruppo di armate per lo Sbarco in Normandia. Il 31 dicembre dopo aver festeggiato l'ultimo dell'anno, Montgomery lascia il comando al gen. sir Oliver Leese, già comandante del XIII corpo britannico della stessa VIII Armata. Ma non farà più un passo: per cinque mesi i due eserciti si guarderanno in faccia nel crinale di Orsogna, divisi da una fascia di soli mille metri. Non c'era neppure bisogno di binocoli, si puntava a vista. Ogni tanto una reciproca gragnuola di granate di artiglieria, poi si ritornava alla vita di tutti i giorni. Così per mesi.


Orsogna vista dall'altro fronte.

Non proprio un vero e proprio disimpegno come quella inglese nell'Adriatico, ma in una situazione molto critica sono gli americani della V armata comandata da Clark nel versante tirrenico, ma che è lo stesso Clark ad averla creata critica. A causa della sua lenta avanzata, discussa molto dagli inglesi ma anche da alcuni generali americani (Clark rischia perfino di perdere il comando), che è stata fortemente contrastata dai tedeschi (con la logorante battaglia di Monte Lungo). Cosicché la prevista operazione di sbarco sulla costa tirrenica che dovrebbe congiungersi alla 5a Armata per la conquista di Roma, viene annullata. Clark per conquistarla dovrà sostenere ancora la tremenda battaglia di Montecassino con le sole forze che ha (e per la prima volta viene impiegato anche un reparto italiano, con dentro (finalmente) Umberto di Savoia, che nell'accettare incarichi molto pericolosi, non si sa bene se lo fa per fare l'eroe, o se, (per riscattarsi dalla "fuga" brindisina) è spinto da una volontà di immolarsi. (Volò a bassa quota con un piccolo aereo sulle linee nemiche per segnalare alle artiglierie anglo-americane le posizioni del nemico. Scampò fortunatamente sempre alle sventagliate della contraerea o ai semplici mitra dei tedeschi. Alla fine di queste missioni, gli anglo-americani volevano concedergli una onorificienza: lui rifiutò).

Divisioni, aerei, e natanti anglo americani sono concentrati ormai in Inghilterra. L'Italia dovrà attendere.
Unico impegno nella penisola (a parte Clark impantanato, e Leese a fare melina nel Sangro) è quello di non fargli mancare ogni tanto uno stormo di bombardieri per fare l'Aerea Bombing, bombardamenti a tappeto che distruggeranno in Italia molte città e molte vite umane.
Il bilancio delle incursioni aeree sull'italia negli ultimi tre mesi del 1943 è già di 6500 morti, di circa 11.000 feriti, di 3500 edifici distrutti e di 10.000 danneggiati. Ma siamo appena all'inizio.

L'anno 1943 termina con questa prospettiva: un Paese alla fame, il Sud nella miseria, i bombardamenti angloamericani a tappeto, e i tedeschi che nel ritirarsi (come a Napoli) distruggono ogni cosa. E l'Italia ha ancora davanti a se sedici mesi di sofferenze e di lacrime.

ANCORA SULL'ABRUZZO

IL 18 DICEMBRE (Una parentesi dell' Autore) A Chieti c'è l'ordine di abbandonare la città, e siamo io e mio zio nella tipografia, a stampare i manifesti del proclama sgombro della città da affiggere il giorno dopo. La città per non offrire appoggio agli inglesi della VIII armata di Montgomery, doveva - in base al piano di operazione tedesco essere sgomberata e resa Kaput, completamente distrutta.


Sgomento, disperazione, angoscia in città. Si chiudono le scuole. La città entra nella paralisi totale anche perchè nella notte a complicare le cose sono caduti 30 centimetri di neve. Da Berlino giunse perfino uno specialista in materia di sfollamenti, il maggiore Hans Fuchs.

Chi fugge a nord sperando nella vittoria finale dei tedeschi, ma la maggior parte a sud sperando in quella americana. Noi ci rifugiamo a sud, in campagna da parenti che un mese prima erano sfollati a casa nostra (una decina, e altri 110.000 nella stessa Chieti che aveva allora appena 30.000 abitanti) -per lo sgombero e l'arrivo sul Sangro (zona Tollo-Arielli-Orsogna-Lanciano) degli inglesi; si ritorna tutti insieme a Orsogna dopo una lunga marcia a piedi; questo perché da giorni in zona c'era una grande tranquillità. Ma lì a Orsogna che credevamo già una zona liberata dagli inglesi (e in effetti lo era) fu invece peggio; sul Sangro l' VIII armata proprio il 20 dicembre diede il via all'attacco (scriverà Churchill "fu la battaglia più cruenta della Guerra, e lì imparammo molte cose"). Tollo e Ortona furono quasi rase al suolo. In ogni via un cumulo di macerie. Per quattro giorni la zona si trasformò in un inferno.




Il centro di Ortona. Solo macerie.


Comanda un Maresciallo, che il 24 Dicembre, quasi vinta la battaglia (breve stallo a Orsogna) festeggia il Natale 1943 per poi riprendere il giorno dopo i violenti combattimenti su Ortona: era il maresciallo MONTGOMERY che venne a sapere che noi sfollati venivamo da Palazzo Mezzanotte e che a casa nostra c'era il comando tedesco, dove erano giunti i rinforzi, e che nei sotterranei sotto casa  nostra erano arrivati da alcuni giorni i grandi fari e la contraerea portate dal maresciallo ROMMEL (che poi  piazzeranno per 10 mesi sotto casa, nel piazzale verso la Valle del Pescara, a ridosso del palazzo di Giustizia e di Palazzo Mezzanotte). Una stizza da parte di Montgomery, Rommel era  quell'uomo che lui aveva sconfitto in Africa (Al Alamein) quindi ora si riapriva nuovamente la sfida dei due giganti sul Sangro, tra i due marescialli.

Palazzo Mezzanotte, divenne il prossimo obiettivo per le loro micidiali granate, cosa che avvenne puntualmente anche se non in modo distruttivo; infatti  trovammo la casa solo scoperchiata del tetto perchè era stato sì colpito con una granata Palazzo Mezzanotte e un'altra aveva colpito il duomo che gli sta di fronte, ma entrambe non avevano provocato eccessivi danni; mentre un'altra granata a cinquanta metri (sulla via Asainio) aveva centrato in pieno ed era in fiamme un edificio. Ringraziammo la cattiva mira del puntatore.


La furiosa battaglia degli Indiani e dei Canadesi tra Tollo, Ortona e Orsogna continuò fino al 28 sera. Fu un massacro. Il cimitero di San Donato ospita 2000 salme di canadesi. A Torino di Sangro, altrettante sono le salme di varie nazioni che vi riposano.
Montgomery (che metteva i suoi quartieri generali in un posto, ma poi andava ad abitare in piccole anonime e spartane casupole come un soldato qualsiasi) festeggia con noi anche l'ultimo giorno dell'anno 1943, poi alla esatta mezzanotte e un quarto del 1°Gennaio del '44, fa i bagagli al Poggio e lascia il comando dell'VIII armata al Generale LEESE.
Saprò molti anni dopo, dalla Storia, che quella sera era partito per preparare lo Sbarco in Normandia; e scoprirò pure chi era l'uomo grassotello che in gran segreto su un autoblindo, in piena battaglia fece alcune sere prima (forse il 27-28 notte) un'apparizione al Poggio nella casupola a parlare con Montgomery: era CHURCHILL.
Anche questo non é scritto da nessuna parte! Salvo nelle memorie di Churchill che accenna a quest'incontro in un modo criptico, comunque molto chiaro per chi ricostruisce questi fatidici giorni a S.Donato- Orsogna.

Inglesi e tedeschi si fermarono lì, a soli mille metri di distanza gli uni dagli altri a fronteggiarsi per mesi. Con gli anglo-americani (che poi erano quasi tutti neozelandesi e indiani) a fare proprio nulla! Ma nei paraggi non lasciarono un buon ricordo. Questi uomini che puzzavano come animali, anche se si mettevano addosso chili di profumi esotici e candidi turbanti di lino, si resero responsabili di atti indecenti e abominevoli, praticando lo stupro e le violenze alle malcapitate donne della zona.
Li avevamo conosciuti già a Tollo, ma poi alla liberazione di Chieti nel Giugno '44, presero pure loro la residenza a Palazzo Mezzanotte.

Stava aprendo lo statista inglese l'altro fronte; e quella che fu presa per una forte resistenza dei tedeschi sulla Linea Gustav (che andava da Montecassino a Pescara - parallela alla Caesar - linea difensiva che partendo dalla costa tirrenica, a circa metà strada tra Anzio e il Lido di Ostia, arrivava sull’Adriatico all’altezza di Pescara ) che durò tra il Sangro e la valle del Pescara circa 10 mesi e non permise alle truppe alleate di risalire la penisola, non era altro che un disimpegno voluto dagli anglo-americani.

L'Italia veniva ancora una volta abbandonata "nel suo brodo a cuocere". Il Centro Italia dovrà aspettare il giugno 1944 per essere liberato, l'Alta Italia il 25 Aprile del 1945 con tutte le conseguenze che ne derivarono.
Al Sangro oltre a non avere più Montgomery, le molte perdite di uomini e mezzi avevano reso la VIII armata incapace di sferrare un'offensiva. Nè si preoccuparono gli alti comandi di inviare rinforzi. Quelle erano state destinate per colpire "il ventre molle", e solo quelle seguitarono a impiegare.

Anche Eisenhower nelle sue memorie ammise poi di aver beffato l'Italia con l'Armistizio. A Castellano e quindi al Comando Italiano, fece credere in uno sbarco a Salerno di 15 divisioni e alcune divisioni a nord di Roma. Nella realtà a Salerno furono solo 5 le divisioni e a Roma nemmeno una- sbarcheranno ad Anzio solo il 22 gennaio del '44 e vi  restarono in stallo per 4 mesi - Clark, per arrivare a sfilare davanti al Colosseo dovrà prima penare altri sei mesi).

 Castellano disse in seguito che non avrebbe firmato se lo avesse saputo. Inoltre le condizioni che dovette accettare erano così umilianti, che i dettagli non furono nemmeno fatti conoscere al re e a Badoglio. Salvo un dettaglio, ed era quello che a Roma non ci sarebbe stato nessun sbarco in settembre. Il re e Badoglio, come abbiamo visto sopra, giocarono abilmente questa carta;  pur sapendolo non disposero una difesa contro i pochi tedeschi, consegnarono la città di Roma a KESSELRING (anche se non direttamente, lo fece il genero del Re, Calvi di Bergolo), mentre loro scapparono e si misero in salvo. Comunque andava a finire sarebbero rimasti sempre sul carro del vincitore.

A sua difesa nel processo del dopo guerra che non ebbe mai fine e dove ci furono molte reticenze sulla mancata difesa di Roma, Badoglio si giustificò in tanti modi: "Con il 25 luglio, con l'8 settembre, il fascismo non é stato rovesciato da noi, da me o dal re. Il fascismo é caduto, non per forza esterna, ma per una sua crisi interna: non poteva resistere più. Lo hanno abbattuto gli stessi componenti del Gran Consiglio".
Lui che dal fascismo aveva avuto tutto, onori, prebende e poderi, lo liquidò così, ma tenendosi però ben stretto quello che aveva ricevuto.
Altrettanto fecero i reali. Gli eredi -figli e nipoti e tanti filo-sabaudi- diranno in seguito che non hanno colpe di quello che hanno fatto i padri, disconoscono tale biasimevole eredità morale. Ma allora perchè non disconoscono anche quell'eredità venale che la connivenza con il fascismo ha fatto accumulare in Italia e poi è stata fatta riparare all'estero? Non spiccioli ma oro, denaro, quadri, da riempire case e banche. I malefici li rinnegano, ma i benefici no! Se sono ereditari i secondi perchè non anche i primi.
Se gli eredi vogliono tornare in Italia, lo possono fare come cittadini; ma se pretendono di tornarci come eredi di una Casata, si devono assumere anche le colpe della stessa. Le eredità quando si accettano, si accettano con le passività e le attività.
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Indubbiamente molto prima delll'8 settembre le cose erano precipitate. All'ultimo incontro a Feltre avvenuto il 19 LUGLIO, Hitler a Mussolini chiese di sbarazzarsi della monarchia, scaricarla e metterla da parte. Il re questa eventualità di essere messo in mora dagli stessi fascisti in effetti la temeva (e non era cosa nuova)
ma dopo quell'aria che tirava su a Feltre, anticipò gli eventi del ben noto 25 luglio. Poi in questo settembre si tenne in serbo l'ultima pedina da muovere.
Non pensò nemmeno per un attimo il Re di abdicare per il figlio Umberto. Volle fare ancora lui il protagonista, far firmare l'Armistizio, fuggire, e attendere una delle due conclusioni. Che, come abbiamo visto, in qualsiasi modo evolvevano, lui restava sul trono.

Gli italiani stanno vivendo questi drammatici giorni degli ultimi mesi dell'anno 1943 in pieno caos militare e politico, e non meno drammatica era già stata la crisi economica che li aveva attanagliati dopo l'8 settembre. Più miseria a Sud (dove si era formato -così diceva Badoglio- un governo democratico) colpito da spaventosa inflazione, che esasperò molti e impressionò tutti. Infatti, il 24 settembre furono introdotte dalla Allied Military le Am lire - 100 lire per un dollaro, mentre pochi giorni prima ne occorrevano 12. - 400 lire per avere in cambio una sterlina.
Non così al Nord dove qualcosa continuò a funzionare anche con la RSI. L'inflazione della moneta ci fu ma non sconvolse il mercato, né distrusse il risparmio, né alimentò la borsa nera come nel Sud, che mise in ginocchio l'intera popolazione non abbiente.

Eppure un'altra categoria di italiani, prima e dopo l'8 settembre, non ha modificato la sua vita; vive nell'indifferenza e vivacchia. Sono i burocrati, i funzionari, i direttori generali che servono fedelmente il nuovo regime così come fedelmente avevano servito il vecchio. Non solo nel Nord, ma anche nel Sud nonostante le tante minacce di epurazioni dai pubblici uffici degli ex fascisti, come voleva Mosca, ma anche lo zelo dei capi partiti antifascisti, e paradossalmente anche Badoglio, dopo essersi autoassolto come responsabile del passato, mentre proprio lui era stato un importante ingranaggio del fascismo.

Pochi prefetti, prima nei 45 giorni, poi nel sud dopo l'8 settembre, furono rimossi. Dirigenti di banche, di imprese pubbliche, di enti assistenziali, educativi e sportivi, già dipendenti del Partito Fascista continuarono a rimanere al loro posto. Un po' poco per dire Badoglio che era caduto il fascismo, e che "al popolo italiano gli era stata restituita la libertà".
Gli interessati, tutti quelli che avevano contribuito allo sfacelo -militari compresi- , molti erano al loro posto e candidamente sostenevano che il fascismo era una colpa collettiva, che non era del singolo.
E quando si trasformarono anche tutti gli altri in antifascisti, un generale americano commentò "In Italia ci sono stati 45 milioni di fascisti e ora ci sono 45 milioni di antifascisti; tutti  militavano sullo stesso lato della barricata e ora sono improvvisamente passati dall'altra. Vai a capire questi italiani". ..."Se da Trieste entrano i russi e piombano sulla Val Padana, magari a Milano,  il giorno dopo diventano tutti comunisti".

IL 26 DICEMBRE - Si verifica la prima rottura ideologica all'interno del CLN. Il generale che era andato ad assumere -dopo l'abbandono dell'esercito- il comando regionale del Piemonte dei reparti partigiani, RAFFAELLO OPERTI, viene accusato di essere un "attendista", quindi un anticomunista; di andare controcorrente su alcune impostazioni da dare alla lotta di liberazione.
Più che un dissapore interno che indubbiamente creò una frattura ideologica, il danno maggiore fu quello di mettere in fibrillazione gli osservatori alleati, che d'ora in avanti, e per tutto il 1944 e inizio '45, avranno questo problema: limitare allo stretto necessario gli appoggi dei partigiani (visto che questi hanno una chiara tendenza verso  sinistra, che sta diventando sempre più compatta e numerosa) per poi scaricarli.
Infatti li diffidarono dall'insurrezione e ne chiesero a fine 1944 (rimandando la liberazione alla primavera successiva) la smobilitazione. Per molti partigiani fu dura, era un altro tradimento, come se non bastasse il primo. "dopo tanti sacrifici adesso vogliono che ce ne andiamo a casa. Abbiamo fatto da soli e faremo da soli". E la lotta (con tante ambiguità da una parte come dall'altra) continuò fino al 7 giugno 1945, quando le brigate partigiane dovettero smobilitare e consegnare le armi ai vincitori che, di sentirsi chiamare alleati proprio non ne volevano sapere.



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