IL DOTTOR CASTRO

E MISTER HYDE

segue poi: Ottobre 1962, terrore sul mondo

di MARIA GRAZIA MAZZOCCHI

Dopo la rivoluzione castrista ha inizio così una nuova stagione per Cuba. Una lunga stagione che porterà l'isola alla ribalta mondiale, e darà al suo Lìder quella fama e quel potere che aveva sempre sognato. 

Chi sono i vincitori della rivoluzione all'inizio del 1959? Gli autenticos, gli ortodossi, gli uomini dei vecchi partiti, anche se autori di atti di coraggio al fianco dei giovani rivoluzionari, sono ormai screditati da troppi anni di sommosse, attacchi, congiure di palazzo, e devono essere allontanati dai posti di comando. Il solo, il vero vincitore è Fidel Castro, il comandante amato dalle folle, capace di parlare loro in modo diretto ed estremamente efficace, in grado di infiammare gli animi anche mentre chiede pesanti sacrifici. 

Vicino a Fidel stanno due fedelissimi: il fratello Raoul e Che Guevara. Tutti gli altri sono figure scialbe, di secondo piano, che non troveranno mai lo spazio per emergere,. Vi è nel Paese, in questi primi mesi dell'anno, una grande aspettativa di rinnovamento, tanto entusiasmo, la speranza di un futuro finalmente migliore: perfino la Chiesa cattolica, e ancor più esplicitamente quella protestante, sono favorevoli alla svolta castrista.

Il primo presidente provvisorio, il giudice Urrutìa, è un uomo serio e per bene, che non si è mai lasciato coinvolgere fino ad allora dalla politica. Naturalmente non ha nessun potere reale. Pur rimanendo ufficialmente solo il capo dell'esercito ribelle, Castro in realtà è arbitro di ogni avvenimento a Cuba. Nelle prime settimane il primo problema del gruppo rivoluzionario è quello di disfarsi dei nemici, ed è un'ondata di arresti e punizioni. Sono condannati a morte un centinaio di soldati e poliziotti, e il vecchio esercito viene fuso con quello nuovo. Nascono già qui le prime tensioni con gli USA, che offrono rifugio ai fuggiaschi. 


E' probabile che in questo momento Castro non sappia nemmeno lui chiaramente dove vuole arrivare. Vuole il bene del popolo, certo, ma la sua ideologia è vaga, seppure eroica: "attaccheremo l'analfabetismo, la corruzione, il vizio, il gioco e le malattie", afferma Fidel davanti alle folle in delirio per lui. Sembra abbia in mente soprattutto una rivoluzione a carattere etico per riportare onestà e moralità nella sua isola tanto corrotta. Ma chi erano stati i peggiori corruttori di Cuba, se non gli Stati Uniti, che l'avevano sempre considerata "il miglior posto per ubriacarsi"? Castro nutre da sempre un odio viscerale per gli americani, che hanno sempre considerato Cuba come una loro colonia, anzi come il luogo dove soddisfare tutti i vizi ritenuti indesiderabili in patria. Gli Stati Uniti, da parte loro, sembrano preoccuparsi esclusivamente di una potenziale svolta verso il comunismo da parte di Castro.

Ne sono talmente ossessionati, che in occasione della visita di Castro negli USA in aprile 1959 non sanno fare altro che chiedergli continuamente se è proprio sicuro di non essere comunista. Castro e il suo folto seguito tornano in patria convinti che agli americani non importi niente di Cuba, della sua cultura, della sua politica, della sua economia, dei suoi abitanti, purché non facciano proprie le teorie di Marx. 

In questo primo periodo post-rivoluzionario, Castro ripete più volte di non essere comunista. Egli vara però alcune importanti riforme volte a migliorare le condizioni dei più miseri e ad assicurare una più equa distribuzione dei redditi. 

Alla fine del 1958 Cuba aveva un debito pubblico pari a ottocento milioni di dollari, e importava dagli Stati Uniti più prodotti agricoli di qualunque altro Paese sudamericano. Ingenti fughe di capitali all'estero e un programma di lavori pubblici finanziato dal governo con titoli di Stato, unitamente ad una politica fiscale iniqua e vessatoria avevano messo in gravi difficoltà la classe più povera. Castro riduce della metà gli affitti a tutti coloro che pagano meno di cento pesos, e obbliga i proprietari di appartamenti vuoti a cederli allo Stato; l'INAV, ente nazionale per il risparmio e l'edilizia, requisisce anche tutti i fondi della lotteria, mentre il governo rileva direttamente la Compagnia Telefonica e abbassa le tariffe. 

Vengono confiscate tutte le proprietà di Batista nonché quelle di tutti i suoi collaboratori. E' di questi primi mesi del 1959 anche una prima riforma agraria, volta a cambiare la struttura del possesso della terra. L'INRA, istituto nazionale per la riforma agraria, ha il compito di espropriare e ridistribuire la terra, ma anche di far costruire strade e abitazioni popolari, e si occupa anche di sanità e di istruzione. Un ruolo di primaria importanza viene affidato alle cooperative agricole. I tentativi di meccanizzare l'agricoltura e di diversificare la produzione dei campi sono destinati a fallire a causa della mancanza di organizzazione e di dirigenti capaci di programmare.

In estate la fuga verso Miami del capo dell'aviazione cubana Dìaz Lanz dà l'avvio a una crisi che porta all'allontanamento del presidente Urrutìa, sostituito con il più maneggevole Osvaldo Dorticòs. Si accentua ancora il carattere di austerità della rivoluzione castrista, con tasse pesanti su tutti i generi di importazione (fino all'80% sulle automobili), una campagna contro l'alcolismo con forti imposte sulle bevande. Accanto ai benefici sociali per i più poveri, si registra però un crescendo di carcerazioni, processi, sequestri arbitrari di terre. 

Da Miami gli esuli cubani lanciano accuse a Castro, e organizzano attentati sull'isola: Castro se ne lagna col governo degli Stati Uniti, che ritiene coinvolto nei raid sull'isola. Il 25 novembre ha luogo una terza riorganizzazione a livello governativo, e vengono allontanati dalla stanza dei bottoni gli ultimi rappresentanti dell'ala liberale della rivoluzione: viene cacciato dalla guida della Banca Nazionale il moderato Pazos e sostituito addirittura con Che Guevara, con conseguente panico finanziario. Insieme a Pazos se ne vanno i suoi migliori collaboratori, e alla fine dell'anno è praticamente impossibile trovare sull'isola capaci amministratori e pianificatori. Anche l'ambasciatore americano Bonsal giunge alla conclusione che è ormai impossibile instaurare un dialogo utile con Fidel.

A fine novembre viene sospeso l'habeas corpus, si lascia mano libera alla polizia politica e crescono gli arresti in tutto il Paese. Mentre lo Stato si impadronisce di molte ditte private, Castro incontra all'Avana un funzionario russo, Alexandr Alekseev, inviato da Mosca. I rapporti con gli Stati Uniti si fanno sempre più tesi, e proprio mentre viene firmato un nuovo accordo commerciale, Castro espropria altri 28.000 ettari di proprietà di americani. 

Sono dell'inizio del  1960 due importanti campagne: una contro i sindacati, ormai ritenuti inutili da Castro, l'altra contro i media. Mentre l'inviato russo Mikojan si trova all'Avana viene firmato un importante trattato commerciale con la Russia, nel quale i sovietici si impegnano ad acquistare ingenti quantità di zucchero da Cuba e a fornirle molti prodotti fra cui petrolio, frumento, ghisa, alluminio, carta, concime, eccetera, nonché ad erogarle un ingente prestito monetario e ad assicurarle assistenza per la costruzione di fabbriche e per il prosciugamento delle paludi. 

Il 4 marzo 1960 una nave francese, il "Coubre", carica di materiale bellico proveniente dal Belgio esplode nel porto dell'Avana: un incidente che ricorda da vicino quello del "Maine", e che dà a Castro il verso per accusare gli Stati Uniti di sabotaggio (e probabilmente anche per chiedere armi alla Russia). In questo periodo vengono chiusi gli ultimi giornali indipendenti. Insorgono la Chiesa da una parte e gli esuli cubani dall'altra, ma col solo risultato di veder crescere il numero degli esuli. 

A metà estate l'INRA requisisce tutta la terra che era appartenuta agli zuccherifici, e anche buona parte dei negozi e delle botteghe private: si può già comprendere che tutto il sistema dell'impresa privata è in grave pericolo. Vengono requisite le raffinerie di petrolio Texaco, Esso e Shell, perché contrarie a lavorare il petrolio russo, e viene sedata nel sangue una rivolta degli studenti universitari della capitale. Finisce ogni libertà negli atenei. 

In seguito a tutti questi avvenimenti, gli Stati Uniti annunciano che non acquisteranno più zucchero da Cuba. Castro ne approfitta per presentarsi come vittima sul palcoscenico internazionale e per nazionalizzare tutte le proprietà americane ancora esistenti sull'isola. Il 18 settembre Castro si reca a New York alle Nazioni Unite, dove tiene un discorso di ben quattro ore e mezzo per denunciare l'imperialismo americano: viene però accolto con ostilità e freddezza dalla maggior parte dei delegati. E' ora assolutamente indispensabile per Cuba riorganizzare la sua economia, diversificare la sua produzione agricola, aumentare la produttività dei suoi stabilimenti. Per ottenere questi risultati viene varato a dicembre 1960 il primo piano quinquennale, che chiede gravi sacrifici alla popolazione, ma che non intacca la popolarità del Comandante, al quale le masse cubane guardano come al solo uomo capace di ridare loro un ruolo nella storia.

Il 1961 si apre con la riforma dell'istruzione: volontari arruolati nelle "brigatas alfabetizadores" si recano in ogni villaggio dell'isola per insegnare alla popolazione a leggere e a scrivere; nelle scuole si registra un aumento di iscrizioni pari al 30%, nelle università si procede a sostituire i docenti rimasti con nuovi professori di cultura marxista-leninista, partono nuovi corsi di lingua, di cucito, di guida per autisti, di riabilitazione per ex prostitute. 

Grande merito della rivoluzione è quello di aver abolito la corruzione prima imperante nel Paese, e di aver portato maggiore uguaglianza sociale e razziale, di aver messo a disposizione di tutti scuole e cure sanitarie, di aver promosso efficaci campagne di prevenzione contro numerose malattie. Il suo principale demerito è quello di non aver saputo o potuto agire senza lasciare dietro di sé una lunga e dolorosa scia di imprigionamenti, esecuzioni, delazioni, fughe dal Paese. 

Gli esuli cubani non si possono dar pace e cercano a più riprese di coinvolgere gli Stati Uniti nei loro tentativi anticastristi. Alle sei del mattino del 15 aprile 1961 due B26 provenienti dalla Florida ma con insegne cubane sorvolano il quartier generale dell'esercito a Cuba e lo bombardano, mentre altri sei aerei bombardano gli aeroporti di Santiago, San Antonio de los Banos e Baracoa. Immediatamente Castro si scaglia contro le organizzazioni a lui ostili all'interno del Paese e denuncia gli Stati Uniti come autori del raid. Castro sa che si sta preparando un'invasione dell'isola, e si prepara alla battaglia.

La brigata di cubani anticastristi sbarca il 17 aprile nella Baia dei Porci, vicino a Central Australia, dove li attende un battaglione dell'esercito ribelle. I "liberatori" non riescono però ad ottenere l'appoggio della popolazione locale, e le sorti dello scontro si rivelano subito molto negative per gli invasori. All'ultimo minuto il presidente Kennedy non trova il coraggio di ordinare una seconda incursione aerea, né di inviare le navi presenti nelle vicinanze in aiuto dei ribelli, e Castro può così riportare una vittoria totale sugli invasori in cielo, in mare e in terra: su 1297 sbarcati, i prigionieri furono 1180.

Per Castro questa invasione è un grande aiuto: ora può dimostrare che i suoi nemici sono pericolosi e infidi, può dare a loro tutte le colpe per i problemi che ancora affliggono l'isola. Dopo l'episodio della Baia dei Porci gli americano bloccano tutte le esportazioni verso Cuba, e l'isola si trova in gravi difficoltà: a giugno 1962 oltre 200.000 cubani hanno lasciato l'isola, circa il 3% della popolazione, per motivi di dissenso politico ma anche preoccupati dalla grave e persistente crisi economica. 

Castro non ha altra scelta che quella di legarsi ancora più strettamente all'Unione Sovietica, e sperare che questa riesca a rimettere in sesto il Paese. In effetti Nikita Sergejevic Kruscev ha tutte le intenzioni di aiutare Cuba, anche e soprattutto fornendole armi adatte a contrastare le pericolose invasioni provenienti dal territorio statunitense. Probabilmente pensa che Kennedy, che già si è dimostrato debole e tentennante in occasione dell'invasione della Baia dei Porci, non abbia il coraggio di opporsi direttamente alla grande potenza sovietica. Sbaglia, e come tutti sanno la grave crisi tra le due potenze per l'invio di missili nucleari sovietici a Cuba si risolve il 28 agosto 1962, dopo dieci giorni che tengono col fiato sospeso tutto il mondo, con il ritiro delle navi sovietiche e la promessa di smantellare i missili già installati in territorio cubano.

Cuba è però ormai strettamente legata alla Russia, anche se Castro non accetterà mai di allinearsi completamente e, dopo il voltafaccia sui missili, non si fiderà mai più fino in fondo dei sovietici. Già negli anni '63 e '64 si capisce che il tentativo di diversificare la produzione agricola e di industrializzare il paese è fallito: Castro ha il coraggio di prenderne atto e di tornare sulle sue decisioni per accettare di continuare a produrre fondamentalmente zucchero e tabacco. Egli lancia ora le sue sfide alla popolazione perché si raggiungano quantità di raccolti sempre maggiori. I risultati non sono sempre quelli sperati, ma il Lìder Maximo, pur di raggiungere i suoi obiettivi, non si lascia scoraggiare e non esita per esempio a fare i raccolti in anticpo, né a spostare la data del Natale per non interrompere i lavori nei campi. 

Castro ha ancora una freccia al suo arco: egli sa bene quanto i cubani amino la loro patria, e quanto siano orgogliosi per ogni riconoscimento che venga ad essa dall'estero. Egli decide ora di giocare la carta internazionale, ed invia Che Guevara in America Latina, in Africa e in Asia, nelle Ande, dove questi caldeggia anche interventi armati a fianco delle truppe rivoluzionarie. Contraria alla linea sovietica della coesistenza pacifica, Cuba sostiene nell'ottobre 1964 al Cairo e nel 1965 ad Algeri la necessità della lotta armata contro l'imperialismo. 

Tra l'aprile e il novembre 1965 Guevara è in Congo con 200 volontari, nel novembre 1966 egli arriva in Bolivia, nuovamente con un piccolo gruppo di volontari. "Creare due, tre, molti Vietnam" è lo slogan del Che in quegli anni. Ferito in Bolivia l'8 ottobre 1967, Che Guevara viene catturato e ucciso. Il suo cadavere viene seppellito in un luogo segreto, e il corpo viene ritrovato e riportato a Cuba solo nel luglio 1997. 

Nel 1972 viene firmato un nuovo, importante trattato commerciale con l'Unione Sovietica; Cuba entra a far parte del Comecon e inizia ad attuare una serie di riforme sul modello sovietico. Dopo la visita di Breznev all'Avana nel 1974, cresce anche l'importanza del Partito Comunista Cubano, che si riunisce per la prima volta in congresso nel 1976, autodefinendosi "organo supremo della nostra società", "organismo che orienta e organizza l'intera popolazione lavoratrice nonché le altre organizzazioni sociali e lo Stato". Il congresso presenta il testo di una nuova costituzione, sulla falsariga di quelle socialiste, che viene approvata l'anno successivo. Nello stesso anno viene nominato capo dello Stato Fidel Castro. 

Dal 1975 forze militari cubane vengono impiegate in Angola (vi si alternano ben 300.000 uomini), poi in Etiopia contro la Somalia, nel 1980 in Yemen. Sta molto a cuore a Fidel il ruolo di guida morale dei Paesi in lotta, ed egli riesce ad avere un importante riconoscimento di questa sua funzione nel 1979, quando ospita all'Avana il vertice dei Paesi non allineati e ne ottiene la presidenza per i successivi quattro anni. In patria sono numerosi coloro che covano malcontento, per le restrizioni economiche, per l'insofferenza del potere verso qualunque genere di anticonformismo e di diversità, per il deterioramento dei rapporti tra governo e artisti o intellettuali.

Molti sono gli esuli, che Castro lascia andare volentieri perché così si riduce il dissenso interno. Malgrado le continue tensioni con gli USA, nel 1984 viene siglato un accordo sui profughi, col quale gli Stati Uniti si impegnano a concedere ogni anno 20.000 visti di ingresso a cittadini cubani, mentre Cuba accetta di accogliere 3000 delinquenti comuni "indesiderabili" per gli USA. A metà degli anni Ottanta, Castro lancia una nuova offensiva interna contro la burocratizzazione, causa prima di sprechi e disorganizzazione nel Paese, nonché di corruzione e privilegi. Il drastico ridimensionamento delle attività private e la collettivizzazione dell'agricoltura sono i due capisaldi della politica di "rettifica degli errori" lanciata dal terzo congresso del PCC, tenutosi nel 1986.Questa campagna non raggiunge grandi risultati, se non quello di far fiorire il mercato nero e di veder morire buona parte delle attività artigianali. Il tasso di crescita economica annua fra il 1986 e il 1989 è dello 0,2%. Ancora nel 1990 il 40 % delle derrate alimentari consumate a Cuba proviene dall'Unione Sovietica. 

In seguito alla caduta del muro di Berlino e al crollo del suo impero, la Russia è costretta a togliere alcune concessioni che garantiva a Cuba e a effettuare drastici tagli alle sue forniture, in particolare per quanto riguarda il petrolio. Castro deve così chiedere nuovamente altri sacrifici al suo popolo: vengono ulteriormente razionati i generi alimentari, il carburante per gli automezzi, l'energia elettrica. Viene incoraggiato il turismo in quanto fonte di valuta pregiata, ma questo crea anche differenze sociali: i turisti godono di un tenore di vita irraggiungibile per l'uomo medio cubano, e anche tra gli stessi cubani stanno molto meglio coloro i quali sono a diretto contatto con l'area del dollaro.

Data metà del 1989 il processo per corruzione, contrabbando e traffico di valuta al generale Arnaldo Ochoa e ad un gruppo di suoi collaboratori. Il generale e tre ufficiali vengono fucilati, ma restano molti dubbi sul fatto che essi abbiano potuto compiere gli atti di cui sono stati accusati senza un avallo dall'alto. Crescono le occasioni di attrito con l'Unione Sovietica, in particolare sui temi della guerriglia in Salvador, sul Nicaragua sandinista e sulla prudenza mostrata da Mosca nel commentare l'intervento statunitense di Panama. 

Gli sforzi di Castro per un riconoscimento internazionale hanno però avuto buon esito, tanto che nel 1990 sono solo tre i Paesi che non hanno riallacciato relazioni diplomatiche con Cuba. Nell'ultimo decennio Cuba ha intensificato gli sforzi per raggiungere l'autosufficienza alimentare, con un piccolo risultato incoraggiante nel 1994: una crescita dello 0,7 dell'economia, dovuto soprattutto al funzionamento dei mercati contadini, all'apertura verso le attività private e le joint ventures con capitali stranieri. Per ottenere piccoli miglioramenti economici, insomma, Castro ha dovuto rinunciare ad alcune delle più importanti conquiste della rivoluzione. La durezza dell'embargo statunitense verso Cuba e l' ostracismo americano verso coloro che sono disposti ad investire nell'isola sono comunque un serio ostacolo allo sviluppo di Cuba. 

Ora che il carisma personale di Fidel Castro è leggermente offuscato dagli anni e che i valori della rivoluzione sembrano piuttosto appassiti, tutti si domandano come il Comandante potrà risolvere i molti problemi che ancora gravano sul suo popolo. Il papa, nella sua visita a Cuba nel gennaio 1998, ha deplorato il blocco economico esercitato dagli USA contro Cuba, ma ha anche affermato con vigore che i problemi di Cuba sono da imputare a un sistema che nega la dignità e la libertà della persona umana. In occasione del vertice ibero-americano che si aprirà a Cuba il 15 novembre di quest'anno, Castro aspetta il re e la regina di Spagna, pronto trasformare il loro arrivo in un evento storico di portata mondiale, come aveva fatto per la visita di Giovanni Paolo II. 

La sua strategia sembra essersi modificata ben poco negli anni: un centinaio di dissidenti sono stati arrestati preventivamente, per evitare turbamenti nel corso del vertice, e ai delegati verrà chiesto di firmare una condanna dell'embargo statunitense. Le richieste di rispettare i diritti umani nell'isola verranno come sempre ignorate e le centinaia di migliaia di esuli cercheranno di far sentire la loro voce. Oggi a Cuba vi sono circa 350 detenuti politici di cui non si riesce ad avere notizie; il salario medio di un operaio cubano è di circa nove dollari al mese; tutto il cibo è razionato; il latte è distribuito solo ai bambini al di sotto dei sette anni; i medici ospedalieri hanno a disposizione solo una saponetta al mese. Per sopravvivere, tutti sono costretti a porsi nell'illegalità ricorrendo al mercato nero. Forse neppure Fidel Castro sa cosa riserva il futuro a Cuba.

di MARIA GRAZIA MAZZOCCHI

Ringrazio per l'articolo  
FRANCO GIANOLA,
direttore di 
Storia in Network


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Ottobre 1962, terrore sul mondo
L'Urss invia missili a Cuba, secco "no" Usa. Braccio di ferro, si rischia la guerra nucleare


LA ROULETTE RUSSO AMERICANA

di PAOLO DEOTTO

Ammesso (e non concesso) che qualche uomo di Stato abbia mai potuto credere ai disinteressati aiuti nella politica internazionale, alle azioni dettate dalla fratellanza tra i popoli, et similia, di sicuro uno dei più delusi sarà stato l'avvocato Fidel Castro, primo ministro di Cuba. Il quale, nell'autunno del 1962, si trovò al centro di una partita a scacchi e si accorse di rivestire solo l'umile ruolo della pedina, perché i due veri giocatori erano troppo importanti e ingombranti per lasciare spazio ad altri. Si trattava dei signori John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti, e Nikita Sergejevic Kruscev, primo segretario del partito comunista sovietico e presidente del consiglio dei ministri dell'URSS. Eppure il centro della partita era proprio l'isola di Cuba, stato sovrano dove quindi, almeno in teoria, avrebbe dovuto comandare solo il governo cubano. 

Ma erano gli anni della Guerra Fredda e le questioni politiche erano affari delle due Superpotenze, ognuna delle quali aveva da tutelare il proprio dominio, alias area d'influenza. Mai come in quei giorni il mondo trattenne il fiato, chiedendosi se si stesse scivolando verso l'abisso del terzo conflitto mondiale: la televisione, ormai diffusa in tutte le case, consentì a tutti di vivere quasi in diretta la Grande Paura. Se poi tutto si concluse con la vittoria del buon senso, ciò fu dovuto a molti fattori.
Forse ora, a distanza di trentasette anni, col panorama politico mondiale radicalmente cambiato, con le passioni ideologiche sopite, è possibile cercare di capire meglio cosa accadde, e perché accadde. I fatti a cui ci riferiamo occuparono le cronache per un breve periodo, precisamente da sabato 20 ottobre a domenica 28 ottobre 1962; ma le radici erano ben più profonde. Quando si vive la paura che possa accadere un fatto estremamente grave, è naturale difesa dell'animo umano l'aggrapparsi fino all'ultimo alla speranza che giunga qualcosa che finalmente dissipi le nubi e consenta di riacquistare la serenità.

Già dal 31 agosto di quel 1962 uno dei principali avversari dell'amministrazione Kennedy, il senatore dello Stato di New York, Kenneth Keating, aveva annunciato in una conferenza stampa di aver le prove della presenza a Cuba di installazioni missilistiche e di personale militare sovietico; non era una gran novità, ma servì a rinfocolare gli animi su una situazione che era comunque carica di tensioni.

La risposta di Kennedy, il 4 settembre, era tesa a ristabilire la calma: su Cuba c'erano solo armi difensive, affermava il presidente, non esistevano quindi minacce per la nazione americana e per i suoi vicini. Keating ribatté accusando il governo di tenere atteggiamenti troppo morbidi contro il pericolo comunista, che stava rinforzando la sua "base avanzata" nell'isola di Cuba. Non era forse vero che da quando, nel gennaio di quell'anno, Cuba era stata espulsa dall' OSA (Organizzazione degli Stati Americani), i sovietici avevano iniziato a dare al regime di Castro anche aiuti militari, oltre a quelli economici che già fornivano? Cosa aspettava quindi il signor Presidente per risolvere la questione di Cuba? O voleva tentare in gran segreto - di Pulcinella, magari - un'altra fallimentare azione come quella che, il 17 aprile dell'anno precedente (1961) aveva visto lo sbarco di qualche migliaio di esuli cubani nella Baia dei Porci ?

Quest'ultimo riferimento, in particolare, era il più sgradevole che il senatore repubblicano potesse fare al presidente democratico. Ma era anche assolutamente vero: infatti l'anno precedente, avendo la CIA assicurato che il popolo cubano si sarebbe sollevato contro il regime castrista se dall'esterno fosse giunto un primo aiuto, Kennedy aveva autorizzato un'operazione che si concluse con un disastroso fallimento. Gli esuli anticastristi, addestrati da tempo in Florida e in Guatemala, non trovarono alcun appoggio nella popolazione cubana e in tre giorni l'esercito poté sbaragliare gli invasori, che erano sbarcati in una località di Cuba denominata Bahia de Cochinos (Baia dei Porci).

La figuraccia costò il posto al capo della CIA, Allen Dulles, e diede a Fidel Castro l'occasione di far bella figura, offrendo la restituzione dei prigionieri in cambio di viveri, medicinali e trattori. Naturalmente questo episodio non fece che rafforzare i legami di Cuba con l'Unione Sovietica, tanto da giustificare lo slogan di Fidel Castro: "Cuba no està sola"; e da allora fu un crescendo di tensione, con il governo castrista che accentuava sempre più le sue posizioni violentemente antiamericane, con l'isolamento economico dell'isola decretato dagli Stati Uniti, con la già ricordata espulsione di Cuba dall'OSA, con l'inizio degli aiuti militari sovietici, con le dichiarazioni di Kruscev, che aveva facile gioco nel porsi a paladino dei diritti degli stati sovrani (l'invasione dell'Ungheria era un ricordo ormai lontano... ).

In questo gioco di malafede reciproca, una sola cosa era chiara: nel cuore del continente americano si era installato il comunismo. La goffaggine della CIA e del governo americano lo avevano di fatto rafforzato. Cuba avrebbe rappresentato un episodio isolato o si apprestava a diventare l'avamposto per esportare il comunismo nel resto del continente che, piacesse o no, era area di influenza degli Stati Uniti? Dicevamo prima che quando si vive la paura che possa accadere un fatto grave, è naturale difesa dell'animo umano l'aggrapparsi fino all'ultimo alla speranza che giunga qualcosa che finalmente restituisca la tranquillità.

Sabato 20 ottobre 1962, alle ore 19 di Washington, l'America, e il mondo intero, ricevettero invece il pugno nello stomaco che in molti sapevano probabilissimo, ma che tutti speravano non arrivasse mai. Il presidente Kennedy apparve in televisione per annunciare che: "Questo governo ha mantenuto, come promesso, la più stretta sorveglianza sul dispositivo sovietico nell'isola di Cuba. Nella settimana scorsa, in base a prove irrefutabili, è stato accertato il fatto che una serie di basi militari a carattere offensivo si stava allestendo in quell'isola. Scopo di queste basi non può essere altro che quello di fornire la capacità di disporre di una forza di urto nucleare contro l'emisfero occidentale... ".

Kennedy proseguì precisando che le basi missilistiche individuate tramite le foto scattate dagli aerei U-2 erano probabilmente di due tipi, il primo per il lancio di missili balistici in grado di colpire Washington, Panama, i centri del Messico e qualsiasi punto nel settore sud-ovest degli Stati Uniti, mentre il secondo tipo poteva effettuare il lancio di missili in grado di colpire la maggior parte delle città dell'emisfero occidentale, dalla baia di Hudson in Canada, fino a Lima in Perù.

Dopo un riassunto delle più recenti vicende della crisi, il Presidente americano annunciò in dettaglio le misure iniziali da lui decise. Era decretato l'embargo su tutto l'equipaggiamento militare offensivo spedito via mare a Cuba: tutte le navi, di qualsiasi nazionalità, dirette a Cuba sarebbero state oggetto di ispezione da parte degli americani e, se trovate con a bordo carichi di armi offensive, rimandate indietro. Inoltre Kennedy comunicava di aver dato disposizione alle forze armate di essere pronte ad ogni eventualità qualora i preparativi militari cubani, continuando e accrescendo così la minaccia all'emisfero, avessero giustificato altre azioni. La terza decisione era la più drastica:

"Sarà politica della nostra nazione di considerare ogni missile nucleare lanciato da Cuba contro qualsiasi nazione dell'emisfero occidentale come un attacco dell'Unione Sovietica contro gli Stati Uniti, attaccò che comporterà una piena rappresaglia contro l'Unione Sovietica."

Infine, veniva richiesta la convocazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e l'immediato smantellamento e il ritiro di tutte le armi offensive da Cuba, sotto il controllo di osservatori dell'ONU; questa era la condizione per togliere l'embargo. In seguito al suo discorso Kennedy ottenne quasi cinquantamila telegrammi di congratulazioni dal mondo intero, ma iniziò anche a serpeggiare la paura: cosa sarebbe accaduto se una nave sovietica fosse venuta a contatto con le forze americane addette al blocco? Avrebbe accettato l'ispezione? Avrebbe reagito con le armi? E se il blocco fosse stato forzato, il Presidente avrebbe ordinato di usare le armi? Avrebbe anche ordinato un'invasione di Cuba, peraltro richiesta esplicitamente da non pochi rappresentanti americani al Congresso?

I più pessimisti si convinsero che lo scoppio della terza guerra mondiale era questione di giorni, se non di ore. Kennedy, nell'annunciare le misure adottate, aveva messo completamente fuori del gioco Fidel Castro, chiarendo in modo molto esplicito che la partita si giocava tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Tra l'altro, il messaggio presidenziale comprendeva in chiusura proprio un appello a Kruscev e una dichiarazione al popolo cubano, nella quale si manifestava il disappunto dell'amministrazione americana per "il tradimento della vostra rivoluzione nazionalista... i vostri capi non sono più capi cubani ispirati da ideali cubani, ma fantocci e agenti di una congiura internazionale che ha spinto Cuba contro i suoi vicini e amici delle Americhe...

"Fidel Castro non veniva mai nominato. Stranamente, il governo sovietico ci mise ben tre giorni per elaborare la sua reazione ai provvedimenti americani; lo fece infatti con una nota della Tass, agenzia ufficiale di informazioni del Governo Sovietico, che in data 23 ottobre affermava:
"... i circoli imperialisti americani non si fermano davanti a nulla nei loro tentativi di sopprimere uno stato sovrano, un membro delle Nazioni Unite. Pur di ottenere questo scopo essi sono pronti a gettare il mondo nell'abisso di una guerra catastrofica... Irridendo cinicamente alle norme internazionali di condotta degli stati e ai principi della carta delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno usurpato il diritto e proclamano di attaccare navi di altri stati in alto mare, di intraprendere atti di pirateria. I circoli imperialisti degli Stati Uniti cercano di imporre a Cuba quale politica essa deve seguire, quale ordine interno deve essere stabilito, quali armi essa deve avere per la sua difesa... I dirigenti degli Stati Uniti devono comprendere che i tempi sono del tutto mutati. Soltanto dei pazzi insistono su una politica da posizioni di forza e ritengono che questa politica avrà successo... ".

La durezza dell'attacco sferrato alla politica di Kennedy era scontata. Peraltro la nota della Tass, proseguendo nei suoi toni abbastanza apocalittici, faceva solo un cenno molto rapido alla materia del contendere, ossia ai missili:
"... Le armi nucleari, che sono state create dal popolo sovietico e sono nelle mani del popolo, ma non saranno mai usate a scopo aggressivo... " .
In altre parole, non si negava l'esistenza di queste armi, ma parve a diversi osservatori che un primo spiraglio di speranza potesse essere rappresentato proprio da questa frase che, in un contesto di estrema violenza verbale, poteva sembrare una rassicurazione, nonché dal fatto che l'URSS, dopo tre giorni, non aveva in fondo fatto altro che una reazione verbale, su toni che, come dicevamo, nessuno si aspettava dolci e concilianti, ma che comunque potevano definirsi di repertorio.

La situazione però era tutt'altro che risolta. Le prime navi sovietiche in navigazione verso Cuba avrebbero potuto incappare nel blocco navale, fissato da Kennedy a 500 miglia da Cuba, verso il mezzogiorno del giorno seguente, 24 ottobre. A quel momento, cosa sarebbe accaduto? Mentre da Cuba Fidel Castro, in un chilometrico discorso, si scagliava con i peggiori epiteti contro gli Stati Uniti, l'azione si era spostata all'ONU, dove i delegati americano, Stevenson, e sovietico, Zorin, ebbero un violento alterco, nel corso del quale Zorin si rifiutò di rispondere a Stevenson, che aveva portato con sé le foto eseguite dagli aerei spia e chiedeva al delegato sovietico se questi negasse o confermasse la presenza su Cuba di installazioni per armi offensive.

Il "tono da pubblico accusatore" usato dall'americano aveva infastidito il sovietico, che "si trovava al suo posto all'ONU e non in un processo davanti a un tribunale americano..." Il segretario generale dell'ONU, il birmano U Thant, cercò di intervenire nella crisi, proponendo alle parti semplicemente una tregua di una settimana nelle rispettive azioni, in modo tale da consentire un più approfondito contatto e una discussione. Ma la sua proposta cadde nel vuoto.

Nel frattempo il mondo continuava a vivere l'altalena fra la speranza e la paura: nel pomeriggio del 24 giunse la buona notizia che alcune navi sovietiche si erano fermate prima della zona del blocco, mentre altre avevano addirittura invertito la rotta. Una sola nave non si era fermata, la petroliera Bucarest, ma da Washington era giunta l'autorizzazione al passaggio dopo che la ricognizione aerea aveva stabilito che a bordo non vi era che petrolio. Il temuto contatto tra navi sovietiche e statunitensi era quindi, al momento, evitato, ma restava un altro grave problema: la sorveglianza su Cuba aveva accertato che i lavori sull'isola non solo non si erano fermati, ma addirittura erano in accelerazione. La minaccia quindi continuava ad esistere, né Kennedy poteva far marcia indietro sulle richieste formulate col messaggio del 20 ottobre, che diceva chiaramente che lo smantellamento delle postazioni missilistiche di Cuba era condizione per la fine del blocco navale.

Se a Cuba i lavori di allestimento erano in accelerazione, negli USA aumentava la popolarità della proposta dei falchi, particolarmente sostenuta dall'ex segretario di Stato Dean Acheson, di attaccare dall'aria l'isola e procedere poi all'invasione terrestre, per distruggere le basi che ormai erano, a quel punto, quasi completate.

Il blocco navale aveva avuto successo, questa era la tesi dei falchi, ma non era sufficiente, perché comunque da Cuba potevano già partire i temuti missili nucleari. Le colombe, che avevano nel segretario alla Difesa, McNamara e nel fratello del Presidente, Robert, i loro più illustri rappresentanti, replicavano che invece bisognava resistere sul blocco, che aveva già causato i primi cedimenti da parte sovietica, mentre un'invasione di Cuba avrebbe di fatto costretto l'URSS a intervenire direttamente; e un evento di questo tipo avrebbe avuto un solo nome: Terza Guerra Mondiale.

Si era così giunti al mattino di giovedì 26 ottobre 1962. Lo scontro navale sovietico - americano era ormai definitivamente scongiurato; due navi avevano superato il blocco col consenso degli americani (si trattava di una nave passeggeri proveniente dalla Germania Est e di una nave da carico libanese che per conto dei sovietici trasportava materiale non bellico, come poterono accertare i militari americani, ai quali il capitano della nave consentì l'ispezione a bordo), e Kruscev comunicò al segretario dell'ONU U Thant: "Ho dato ordine ai comandanti delle navi in navigazione verso Cuba, ma non ancora giunte nell'area delle attività piratesche delle unità da guerra americane, di tenersi al di fuori dell'area di intercettazione".

Il capo del Cremlino manteneva i toni aspri, e voleva presentarsi come l'uomo di pace; ma la sostanza era comunque una sola: la determinazione dell'amministrazione Kennedy aveva avuto i suoi effetti, quantomeno bloccando gli ulteriori rifornimenti militari a Cuba. Si dice, e si disse, che allora il mondo e il governo americano vissero ore drammatiche.

Diviso tra le opinioni dei falchi e delle colombe, il Presidente Kennedy rischiava pericolosamente di propendere per le proposte di invasione di Cuba, perché le ricognizioni aeree confermavano che comunque sull'isola le potenzialità aggressive erano giunte al massimo e il successo del blocco navale poteva quindi servire solo a limitare l'autonomia di queste potenzialità. Tuttavia quando si gioca con le armi nucleari, ne bastano ben poche per scatenare una catastrofe.

Ma vorremmo ora guardare la situazione anche dal punto di vista di Kruscev. Il premier sovietico aveva veramente in mano il pallino a quel punto, con tutto il relativo carico di angoscia che ciò comportava. I servizi informativi sovietici, rinomati per la loro efficienza, avevano stabilito che l'attacco americano all'isola sarebbe scattato lunedì 29 ottobre, o al più tardi il giorno successivo. Kruscev, capo di quella strana monarchia assoluta non dinastica che era il potere sovietico, non aveva, a differenza di Kennedy, un'opinione pubblica a cui rispondere, ma in compenso aveva una opinione interna al Cremlino, ben più pericolosa e infida, che non avrebbe certo consentito di non dare risposta ad un'invasione americana di Cuba. Ma anche Kruscev non ignorava che quella era una strada senza ritorno.

Non vogliamo certo dare del capo sovietico un'immagine da cherubino; se fosse stato tale non avrebbe saputo scalare il potere a Mosca, non avrebbe saputo reprimere con assoluto cinismo la rivolta ungherese. Ma l'Ungheria era un campicello privato dell'URSS (e infatti il mondo occidentale si sdegnò tanto, ma non mosse un dito in aiuto degli insorti di Budapest... ). Qui si trattava invece di decidere se far scoppiare o no una guerra con gli Stati Uniti, ossia una guerra mondiale.

Di fatto era l'URSS che poteva ancora salvare la situazione; gli americani erano in un vicolo cieco, perché il mancato smantellamento delle basi cubane li obbligava ad andare fino in fondo.E, per fortuna dell'umanità, Kruscev seppe decidere con buon senso.
Nella sera del 26 ottobre, mentre era riunito il comitato di consiglieri di Kennedy, giunse a quest'ultimo una missiva riservata del leader sovietico, con la quale Kruscev, abbandonati i toni aggressivi abituali, ammetteva la presenza dei missili a Cuba e si dichiarava disposto al ritiro di tutte le armi offensive se gli Stati Uniti avessero tolto il blocco e avessero garantito di rinunciare ad aggredire l'isola. Era un lettera scritta chiaramente sotto la spinta dei sentimenti e piena di accorati appelli perché venisse scongiurata la guerra.

Ma ci fu ancora un brusco colpo di scena: il mattino del giorno successivo, mentre la Casa Bianca elaborava la risposta da dare a Kruscev, questi fece pervenire una seconda lettera, assolutamente diversa. Mosca proponeva infatti uno scambio: lo smantellamento delle basi a Cuba a fronte di un analogo smantellamento delle basi americane in Turchia. Era la ripresa di una proposta formulata due giorni prima dal giornalista Walter Lippman sul Washington Post, che a sua volta aveva ripreso un'analoga idea che Stevenson, delegato americano all'ONU, aveva già suggerito in privato a Kennedy, che peraltro l'aveva bocciata. Era una doccia fredda inaspettata, ma con tutta probabilità Kruscev si era scontrato con quella che definivamo opinione privata al Cremlino, che lo obbligava a mostrare i muscoli.

Di nuovo la situazione tornava sull'orlo dell'abisso, con i falchi americani che riprendevano vigore e chiedevano un'adeguata risposta militare ai falchi del Cremlino. Fu Robert Kennedy, che si mostrò come sempre il più fedele e assennato collaboratore del Presidente, a trovare la quadratura del cerchio suggerendo, molto semplicemente, di ignorare la seconda lettera di Kruscev ed affrettarsi a rispondere positivamente alla prima. E fu ciò che fece il Presidente americano:

"Egregio Signor Primo Segretario... gli elementi chiave delle sue proposte, che sembrano in linea generale accettabili così come io le ho capite, sono i seguenti: ella accetterebbe di eliminare questi apparati bellici da Cuba sotto un controllo e una supervisione appropriata delle Nazioni Unite, e si impegnerebbe, con convenienti salvaguardie, a sospendere l'ulteriore introduzione a Cuba di simili apparati bellici. Noi da parte nostra accetteremmo, una volta fissati adeguati accordi tramite le Nazioni Unite diretti ad assicurare l'applicazione e la continuazione di detti impegni, di sospendere prontamente le misure di blocco ora in vigore e di dare garanzie contro una invasione di Cuba".

Il messaggio in chiusura enfatizzava dovutamente le responsabilità che incombevano su Kruscev, al quale la Storia dava la possibilità di essere l'uomo che avrebbe salvato la pace mondiale. E si giunse così a Washington alla sera di quel sabato 27 ottobre 1962. Riuscirono a dormire gli uomini di governo americani? Questo la storia non ce lo dice, ma di sicuro ognuno di loro viveva un'ansiosa attesa. Ricordiamoli un attimo: essi erano Dean Rusk, segretario di Stato, Robert Kennedy, ministro della giustizia e soprattutto, di fatto, ascoltato consigliere del presidente, Robert McNamara, ministro della difesa, Maxwell Taylor, comandante generale delle forze armate, Lyndon Johnson, vicepresidente, John McCone, direttore della CIA, Adlai Stevenson, delegato americano all'ONU, Dean Acheson, ex segretario di Stato e consigliere per gli affari internazionali.

Questi uomini sapevano di aver ributtato in mano al Cremlino la patata bollente, né potevano fare altrimenti: ora potevano solo aspettare con trepidazione la risposta di Kruscev, chiedendosi se questi avrebbe potuto tener testa al partito, interno al Cremlino, di quanti ormai propendevano anche a Mosca per lo scontro frontale. Se Kruscev fosse ritornato sulle proposte formulate nella seconda lettera (lo smantellamento delle basi americane in Turchia), volutamente ignorata dal governo americano, non c'era altra via che dar fuoco alle polveri.

Ma il mattino di domenica 28 ottobre 1962 il mondo poté finalmente tirare il fiato. Dal Cremlino arrivò il messaggio del leader sovietico, che aveva colto al volo l'opportunità di salvare la faccia, tirandosi fuori da una situazione che stava precipitando. Kruscev era stato al gioco: gli americani ignoravano la sua seconda lettera, e lui si scordava di averla scritta. Il suo messaggio era conciliante e risolutivo:
"Egregio Signor Presidente, esprimo la mia soddisfazione e la mia riconoscenza per il senso della misura e la comprensione da Lei mostrati per la responsabilità che incombe su di me attualmente ai fini del mantenimento della pace in tutto il mondo... Io considero con rispetto e fiducia la sua dichiarazione contenuta nel suo messaggio del 27 ottobre, secondo cui nessun attacco sarà lanciato contro Cuba e non vi sarà invasione...
In considerazione di ciò, non sussistono più i motivi che ci avevano indotto a fornire aiuti di questa natura a Cuba...".

Infine, la comunicazione più importante: "... abbiamo dato istruzioni ai nostri ufficiali (questi mezzi, come Ella sa, si trovano nelle mani di ufficiali sovietici) di arrestare la costruzione delle installazioni sopra indicate, per smantellarle e rispedirle in Unione Sovietica. Noi siamo pronti ad accordarci con Lei affinché i rappresentanti dell'ONU possano verificare quanto sopra... "

Era finita; ma gli ultimi bastoni fra le ruote li mise un inviperito Fidel Castro, che fece tutto quanto era possibile per rendere impossibile la vita a U Thant, che si era recato a Cuba il 30 ottobre per iniziare le verifiche sugli adempimenti previsti dagli accordi Kennedy - Kruscev. Il leader cubano, estromesso dal gioco, ignorato dagli americani e trattato come un vassallo dai sovietici, cercò la sua rivincita impedendo di fatto al segretario generale dell'ONU di effettuare le ispezioni. Toccò allora al vice presidente del Consiglio sovietico, Anastasij Mikoyan, di iniziare una lunga spola con Cuba, per ricordare all'iracondo Castro alcune elementari verità: Mosca assicurava l'assorbimento della produzione agricola di Cuba, stretta dal blocco economico decretato dagli Stati Uniti, al quale si erano associati molti altri paesi occidentali.

Mosca pagava, e quindi a Mosca bisognava obbedire. E Fidel Castro dovette ingoiare l'amaro boccone, anche se riuscì fino all'ultimo a rendere difficoltosa l'ispezione internazionale, tant'è che i sovietici, per adempiere comunque agli accordi, accettarono che le loro navi da carico, che ora facevano la spola inversa a quella fatta mesi prima, mostrassero il materiale agli elicotteri americani, scoprendo i teloni quando venivano sorvolate a bassa quota. Restò ai cubani la vendetta verbale; e dopo aver definito strip-tease sovietico la procedura di ispezione dall'alto che descrivevamo sopra, coniarono anche uno slogan che recitava: "Nikita mariquita, lo que se da no se quita", cioè "Nikita, vigliacco, ciò che si dà non si toglie".

Peraltro la fine ingloriosa del riarmo cubano non impedì a Fidel Castro di effettuare, nell'aprile 1963, la già programmata visita a Mosca. Il vassallo poteva essere riottoso, indisciplinato fino a un certo punto, ma non poteva scordare l'indirizzo del Re. Resta da chiedersi perché i sovietici dettero i missili a Cuba, apparendo un po' debole la versione del Cremlino, che qualche settimana dopo la conclusione della crisi dichiarò che quegli armamenti erano stati chiesti dagli stessi cubani. Ma se molte cose si potevano e si possono rimproverare a Castro, di sicuro egli non è uno stupido; di sicuro non pensava di poter, dalla sua isoletta, mettersi in guerra con gli Stati Uniti.

L'imponenza degli impianti che si stavano allestendo a Cuba, e il loro carattere indubbiamente offensivo, rende più credibile la versione del leader dell'Avana, che dichiarò che i cubani avevano accettato di ricevere i missili sul loro territorio su richiesta dei sovietici. Aldilà della giustificazione ufficiale di questa richiesta (fatta in nome del socialismo internazionale) appare infatti più credibile che il governo sovietico, dopo la figuraccia rimediata dall'amministrazione Kennedy con l'impresa della Baia dei Porci, avesse pensato che era giunto il momento per fissare un avamposto nel mondo capitalista.
Probabilmente non un avamposto per azioni belliche, ma di certo un ottimo strumento di pressione per i futuri rapporti internazionali e una dimostrazione di forza notevole. Sbagliarono i conti, né seppero prevedere la determinazione di Kennedy. Ma se oggi possiamo scrivere queste note, se il mondo non precipitò nella catastrofe nucleare, bisogna riconoscere ai dirigenti sovietici dell'epoca, in tante altre occasioni cinici e brutali, di aver saputo anche riconoscere il proprio errore e di aver saputo far marcia indietro prima che fosse troppo tardi, pur se indubbiamente favoriti dall'atteggiamento americano che, come ricordavamo sopra, aprì lo spiraglio a Kruscev per salvare la faccia.

Nessuno di fatto voleva la guerra tra i due imperi, perché a tutti era chiaro che una guerra nucleare avrebbe voluto dire lo sterminio dell'umanità; e forse proprio l'esser giunti a un passo dall'orrore aiutò gi uomini di Stato dell'epoca a capire le terribili potenzialità che avevano tra le mani, perché dopo la crisi dei missili di Cuba iniziò la politica della coesistenza pacifica, ossia, per dirla brutalmente, ognuno si faccia i fatti propri, a casa propria, senza però mettere in pericolo l'esistenza stessa del genere umano.

Che poi il concetto di casa propria fosse un po' largo (qualche anno dopo la Cecoslovacchia se ne sarebbe accorta... ) faceva parte dell'immoralità di fondo di un sistema che vedeva due blocchi imperiali contrapposti, consci della possibilità di convivere, facendosi al massimo i dispetti, ma soprattutto con la preoccupazione di tenere a bada ciascuno i propri vassalli.
Ora viviamo in un mondo che non ha più blocchi contrapposti; il potere comunista si è sgretolato da solo e la Casa Bianca gode di una potenza a livello planetario, che le ha consentito "umanissime" avventure come le guerre contro la Serbia e l'Irak. Chi scrive non ha mai nutrito simpatie per il sistema comunista. Ma una domanda sorge spontanea: è davvero migliorata la situazione nel mondo?

di PAOLO DEOTTO


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Storia della guerra fredda
, di B. P. Boschesi (1945-1962) - Ed. Mondadori, Milano 1977
Kennedy e Krusciev, di Jean Swoebel - Ed. Laterza, Bari 1964
Kennedy
, di Theodore C. Sorensen - Ed. Mondadori, Verona 1966
Top secret: le spie
, di Renzo Rossotti - Ed. SEI, Torino 1969

Ringrazio per l'articolo  
FRANCO GIANOLA,
direttore di 
Storia in Network

LE FASI

la grande paura

Il 24 ottobre del 1962 scoppia la crisi dei missili tra Stati Uniti e Unione Sovietica per i 42 ordigni nucleari che Kruscev ha fatto installare a Cuba. La crisi si risolve in cinque giorni con la decisione di Kruscev di smontare i missili e di riportarli indietro ma il mondo fu veramente ad un passo dallo scontro definitivo (entrambe le parti avevano apertamente minacciato di far ricorso alle armi atomiche). La paura fu davvero grande al punto che dopo quell'episodio vi fu un «sincero» tentativo di mettere fine ai contrasti tra i blocchi.

 

TAPPE DECISIVE DELLA STORIA DI CUBA

 
1952

Fidel Castro, giovane avvocato, fonda un movimento rivoluzionario per abbattere il regime militare di Fulgencio Batista.

1953

Con 180 compagni male armati (tra cui il fratello Raùl di 5 anni più giovane) Fidel organizza l’assalto alla caserma Moncada di Santiago de Cuba; gli assalti falliscono ma Fidel e Raùl Castro sono tra i superstiti.

1955

Fidel, Raùl e l’intero direttorio del 26 luglio, amnistiati nel maggio precedente, si rifugiano in Messico per preparare la lotta al dittatore Batista, che nel frattempo ha legalizzato il suo potere con un nuova truffa elettorale. In Messico Fidel conosce il giovane medico argentino Ernesto Guevara (il Che) e lo associa al suo progetto rivoluzionario.

1956

Insieme con il Che, con Raùl e con altri 79 compagni, Fidel sbarca fortunosamente sulla costa orientale di Cuba. Qualche settimana dopo la prima base guerrigliera è già operante sulla Sierra Maestra, uno dei tre sistemi montagnosi dell’isola.

1959

Il 31 dicembre, con il suo potere logorato dalla guerriglia castrista, il dittatore Batista fugge in aereo a Santo Domingo.

1960

Il 2 gennaio i castristi entrano trionfalmente all’Avana, dove Fidel arriva sei giorni dopo.

1961

Il 17 aprile un gruppo di anticastristi, organizzato dalla CIA, tenta di sbarcare alla Baia dei Porci ma sono ricacciati.

1962

24 ottobre: scoppia la crisi dei missili tra Stati Uniti e Unione Sovietica per i 42 ordigni nucleari che Kruscev ha fatto installare a Cuba. La crisi si risolve in cinque giorni con la decisione di Kruscev di smontare i missili e di riportarli indietro.

1965

In ottobre c'è il primo esodo in massa dei cubani. Avviene dal porto di Camarioca in forme caotiche con il consenso di Fidel. Gli Stati Uniti si vedono costretti a un primo accordo sull’emigrazione.

1967

In giugno si verificano i primi contrasti seri tra l’Avana e il Cremlino per l'appoggio cubano alle guerriglie del Terzo Mondo. L’Unione Sovietica non vuole aumentare le tensioni internazionali.

1967
8 ottobre

Che Guevara viene catturato in Bolivia e ucciso il giorno dopo. Nel frattempo si sono acuiti i contrasti con l’Unione Sovietica. Cuba è alle prese con le catastrofi provocate prima da un ciclone e poi dalla siccità.

1968

Il 24 agosto Fidel Castro approva l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia. La dichiarazione fa torna il sereno con il Cremlino che firma con Cuba accordi economici.

1975

In novembre Fidel invia i primi diecimila "volontari" in Angola a sostenere il presidente Agostinho Neto.

1978

In marzo Fidel invia "volontari" in Etiopia a sostegno delle imprese militari del colonnello Menghistu.

1980

In marzo 10.000 cubani si rifugiano nell’ambasciata del Perù all’Avana. Fidel esce dalla crisi autorizzando un secondo esodo in massa degli scontenti. Gli Stati Uniti sono costretti a un nuovo accordo sull’emigrazione.

1986

Primi contrasti tra Castro e Gorbaciov. La rottura viene sfiorata nell’aprile del 1989 in occasione della visita del leader sovietico all’Avana.

1988

I sovietici tagliano le forniture di petrolio; si tratta di una pressione politica e ideologica che indebolisce Fidel Castro e il suo regime.

1991

In dicembre scadono gli ultimi contratti di scambi privilegiati con l’Unione Sovietica: Cuba è costretta a resistere da sola all'embargo statunitense.

1992

A corto di dollari, L’Avana decide un taglio traumatico alle importazioni di petrolio; comincia il razionamento elettrico e negli uffici pubblici condizionatori e ascensori diventano inoperosi due giorni alla settimana.

1993

Le elezioni generali riconfermano Fidel e Raùl rispettivamente come capo e vicecapo dello Stato.

1994

Il governo castrista interviene contro il possesso illecito di beni e introduce una politica monetaristica. Per ridurre l’inflazione e l’eccesso di liquidità vengono aumentati i prezzi di numerosi generi di consumo e le tariffe dei trasporti pubblici. Per la prima volta nella sua storia, la rivoluzione adotta le imposte sul reddito. Saranno applicate ai lavoratori autonomi e ai soci delle cooperative.

1998

La visita di Giovanni Paolo II mette in moto il processo di "pacificazione" tra Cuba e gli Stati Uniti.

 


FINE

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