ANNO 1971

SINDACATO NEL 1971-72
Un passo avanti verso l'unità.

(vedi anche "NASCITA DELLO STATUTO DEI LAVORATORI")

NASCE LA FEDERAZIONE UNITARIA - "Roma - La Federazione Cgil-Cisl-Uil è divenuta oggi una realtà operante nel mondo del lavoro. I consigli genrali dellla Cgil, della Cisl e della Uil, riuniti in seduta congiunta alla Domus Mariae, hanno approvato per acclamazione l'accordo per il patto federativo tra le tre grandi confederazioni e l'elezione dei novanta componenti dell'organo di direzione. Il patto federativo -è stato detto- vuole essere un primo traguardo del processo di unità sindacale. Hanno illustrato l'accordo LUCIANO LAMA, segretario generale della Cgil, RAFFAELE VANNI, segretario generale della Uil, e BRUNO STORTI, segretario generale della Cisl" (Comun. Ansa, 24 luglio,1972, ore 20.07).

Il progetto di indire un'assemblea unitaria dei sindacati era scaturito dal congresso della CGIL a Livorno il 16 giugno 1969. L'idea era stata favorevolmente ripresa subito dopo dai congressi della CISL a Roma il 17 luglio 1969 e della UIL il 27 ottobre del 1969 a Chianciano. Le proposte avevano trovato poi concreta attuazione nell'ottobre 1970 all'Assemblea unitaria dei Consigli generali della CGIL, della CISL e della UIL, tenutasi al palazzo dei congressi di Firenze.

I tempi sembravano ormai maturi per iniziare un discorso unitario. I sindacati erano faticosamente e gradualmente passati negli ultimi tre anni dalla competizione al dialogo, dal dialogo all'unità di azione contrattuale e da questa all'unità delle rivendicazioni sociali.

I successi ottenuti insieme erano stati tanti: Pensioni di anzianità, invalidità e vecchiaia; Trattamento in caso di malattia; Prevenzioni infortuni e trattamento in caso di infortunio sul lavoro; Disciplina del collocamento e dell'apprendistato; Trattamento delle lavoratrici madri; Disciplina del lavoro delle donne e dei fanciulli; Disciplina dei licenziamenti; Le mense aziendali; Ferie retribuite; Istituzione dei consigli di fabbrica; Divieto di costituire le imprese dei propri sindacati (sindacati gialli). E tanti altri riconoscimenti lunghi da elencare. Ma il capolavoro fu essere riusciti a ottenere e poi a far applicare lo Statuto dei Lavoratori. (il giorno prima della "Strage di Piazza Fontana a Milano" - qualcuno indubbiamente non ha gradito). 
Comunque una conquista fatta dai tre sindacati che li spinse a considerare formalmente l'unificazione.

Questo 1971 dopo numerose riunioni nel corso dell'anno portarono a una ulteriore fase costituente dell'unita' sindacale con dialoghi e incontri dei tre segretari.

In tutte le riunioni non sono però mancate le discussioni accese sull'attuazione dell'unificazione, che alcuni vogliono a tempi brevi, altri a tempi lunghi. Per quest'ultima proposta sono i moderati a insistere per permettere un maggior chiarimento all'interno delle tre confederazioni ed eliminare quelle divergenze che impediscono sul nascere l'unificazione, oppure la ritardano.

E le divergenze non erano poche, ma le tre principali erano in sostanza queste:

1) Autonomia dei sindacati dall'ingerenza dei partiti, quindi incompatibilità tra cariche sindacali e cariche politiche. 2) Inserire nel processo unitario i lavoratori agricoli finora poco rappresentati. 3) Collocare il sindacato unitario in una prospettiva decisamente più internazionale (pansindacalismo)

Ma è il primo punto dove le divergenze sono forti e controverse. Anche se esiste in Italia ora una nuova realtà dove le organizzazioni sindacali ormai si muovono meglio dei partiti e meglio del governo. Lo abbiamo visto nelle lotte precedenti a quali risultati sono arrivati. Soprattutto con l'approvazione dello Statuto e la possibilità di poter colloquiare direttamente con gli imprenditori. Per i professionisti della politica era uno smacco, una frustrazione e alcuni richiamarono all'ordine i ribelli o allertarono la piazza con discorsi faziosi disegnando scenari foschi.

Dopo l'"autunno caldo" i sindacati con la loro azione unitaria avevano fatto sentire il loro peso nel mondo della produzione, determinante nella vita del paese, e avevano trovato ampi spazi di manovra che gli organi rappresentativi, come i partiti, il governo e il Parlamento, non riuscivano a colmare.

Non per nulla perfino gli osservatori stranieri avevano fatto notare - come il Washington Post - che "i sindacati italiani sono stati chiamati dagli avvenimenti a riempire il vuoto lasciato dai partiti politici", o "Le Monde" che affermava che "i sindacati sono ormai solo loro gli interlocutori dei partiti politici".

Abbiamo detto nuove realtà dentro la vita nazionale, ma il peso politico dei loro interventi non é stato sempre morbido. Facendo degli accordi di massima per le Riforme con il governo Colombo si sono intromessi nelle procedure parlamentari sconfinando dallo loro sede puramente consultiva. Lo stesso Colombo aveva sostenuto che c'erano dei margini di rischio e delle incertezze in quei "tentativi dove le istanze vengono canalizzate nel processo delle decisioni sovrane" . Suggeriva una maggiore "maturazione", una crescente razionalità nell'azione rivendicativa, una maggiore lucidità nel valutare le conseguenze del comportamento sia sul terreno economico che politico e una attuazione legislativa degli articoli 39 e 40 della Costituzione, ossia stato giuridico dei sindacati e regolamentazione del diritto di sciopero.

Con questi richiami, le stessa CISL e UIL pur affermando che l'autonomia comportava comunque il riconoscimento della funzione dei partiti e delle istituzioni democratiche e parlamentari e del loro ruolo, specifico per fare la sintesi di tutti i problemi della società, affermavano anche che nel loro ruolo di tutela della classe lavoratrice non volevano però correre il rischio di diventare solo una "cinghia di trasmissione" e che quindi bisognava accettare il principio dell'incompatibilità tra cariche sindacali e incarichi pubblici e di partito.

Non era invece d'accordo - ed ecco le divergenze - la CGIL che affermava che questa incompatibilità andando oltre certi limiti rischiava di far finire la lotta sindacale perchè costretta oggettivamente nell'ambito corporativo e contrattuale. Che i partiti insomma erano necessari.

Le polemiche insomma non sembravano placarsi, sia nell'ambito delle singola organizzazione sindacale che al loro interno nelle varie correnti. Ma soprattutto dentro la UIL dove i socialdemocratici e i repubblicani si dichiararono a favore solo dei tempi lunghi perchè volevano prima approfonditi chiarimenti.

Altrettanto polemici quelli della CISL anche loro divisi in due correnti, di cui una vuole i "tempi corti", l'altra invece i "tempi lunghi" proposti dal segretario confederale STORTI.

Ma non avevano fatto i conti con i metalmeccanici, la categoria più sindacalizzata, che sembrava decisa a rompere con tutti ad arrivare autonomamente all'unità in tempi brevissimi già nella prossima primavera. Sua intenzione: costituire organismi unitari, sedi nei comuni, rappresentanza unitaria e il tesseramento entro il 1972. Oltre queste categorie separate, rimasero fuori dal processo unitario tanti altri gruppi fra cui i CUB, emanazione del periodico Il manifesto e della sinistra extraparlamentare, nonché fuori tutti quei sindacati che si proclamavano autonomi.

Comunque fra tante difficoltà interne ed esterne, l'unificazione rimase sempre al centro di grossi dibattiti, e nonostante le minacce e gli attacchi anti-unitari visti sopra, i tre maggiori sindacati superarono tutte le questioni più controverse e l'unità procedette spedita quest'anno nei consigli generali di Firenze a novembre. La si siglerà il prossimo 24 luglio con la Federazione sindacale.
(con il comunicato in apertura pagina).

I risultati essenziali saranno.1. Un notevole aumento del salario reale che modifica la distribuzione del reddito nazionale. 2. L'affermazione del salario come "variabile indipendente" dalla produttivita'. 3. Una struttura retributiva con forte accentuazione egualitaria e per conseguenza un appiattimento tra i vari livelli professionali. 4. La sostanziale rigidità della forza lavoro, poichè il sindacato vuole il diritto di veto per ogni licenziamento o anche trasferimento di mansione e di sede.

Per sostenere queste posizioni il movimento sindacale usa lo Statuto dei lavoratori come concreto strumento giuridico. Lo abbiamo già scritto, dopo queste vittorie il sindacato diventa di fatto uno dei poteri della società e dove si fa strada anche una tentazione "pansindacalista" e un'estensione del sindacato stesso a compiti che istituzionalmente non gli spetterebbero ma che rivendica in virtù d'un diritto di "supplenza", data l'evidente carenza delle autorita' competenti. Il sindacato si appropria cosi' di poteri di governo e di poteri del Parlamento.

Sono grosse novita' che sembrano inizialmente produrre effetti positivi e progressivi (che indubbiamente si verificheranno). Si vedrà poi, verso la fine degli anni Settanta, che il risvolto negativo c'e' stato e assai pesante. Le novità infatti, applicate spesso con una certa rigidità, alterano profondamente i preesistenti equilibri economici e spingono le imprese verso investimenti che cercano non solo di risparmiare al massimo la manodopera ma decentrano su insediamenti a bassa tensione sociale, o ricorrono a ditte appaltatrici per lavori e servizi all'interno degli stabilimenti, o a subfornitori per la produzione di accessori e parti staccate. Cioè si appoggiano a piccole ditte esterne dove la sindacalizzazione dei dipendenti è scarsa o inesistente e il costo del lavoro quindi decisamente più basso perchè i piccoli imprenditori saltano tutte le osservanze dei contratti di lavoro.

E' un aggiramento dell'industria vero e proprio, che coincide con quella "disaffezione" alla "fabbrica" dell'italiano Anni Settanta che abbiamo descritto nelle pagine iniziali. Sono ormai impalliditi i miti di "un posto in fabbrica" e sono crollati del tutto quelli della socializzazione. Il Far West ce l'hanno sotto gli occhi tutti, inutile illudersi.
Viene cosi' riscoperta la "virtu'" dell'iniziativa individuale e privata, libera da vincoli, animata dalla fantasia, dalla voglia di lavorare e fare soldi, anche autoschiavizzandosi, quindi soggetti apparentemente non molto felici, per nulla organizzati, ma molto vitali e per tanti questo neo-stacanovismo è decisamente gratificante. Dando vita così a un'altra alienazione; prima si lavorava sodo con mille disagi per produrre e guadagnare l'indispensabile e il necessario per vivere, ora si produce e si lavora sodo solo per soddisfare la brama di apparire o per arricchirsi sempre di più, scambiando il mezzo per il fine.

In sostanza questo sviluppo detto del "terziario povero" (che diventera' "ricco") porterà verso la fine degli Anni Settanta a superare come numero di addetti il settore industriale. Infatti quest'ultimo dal 44,4% di quest'anno calerà al 36,2%, e a fine anni Ottanta al 32,2%. Un vero e proprio crollo!

Una massa che si riverserà nei "servizi" e nel "sommerso", che in questo 1971 è al 38,4%, ma poi tocchera' il 50,9% a fine Anni Settanta e sfiorera' il 60% a fine Anni Ottanta.

Il calo degli addetti nelle aziende con oltre 1000 dipendenti caleranno drammaticamente in dieci anni a meno 9,7% con una popolazione a crescita zero e non ancora invasa da extracomunitari.

Tutti i nodi verranno a pettine nell'autunno del 1980 quando si registra non una sconfitta ma un ridimensionamento del movimento sindacale nelle fabbriche e si ristabilisce l'autorita' del management che riducono i conflitti di lavoro. Da una media annua di 130 milioni di ore perse negli scioperi negli anni Settanta, negli Ottanta la media scendera' a 40 milioni annue, che però sono pari alle ore perse perchè non si "ha voglia". 
L'assenteismo tocca cifre paradossali. (perfino nell'ambiente impiegatizio)
All'Alfa Sud (complice eventi sportivi) si andrà oltre il 30-35%).

Per tutto il periodo del "boom" e fino al 1965, il tasso medio di assenze nelle fabbriche era stato del 5%, poi iniziò a salire. Ed eccoci al 1971, 13%. Alla Fiat ogni giorno 20.000 operai risultano assenti. 35 milioni sono le ore perdute nel corso dell'anno.
Gli industriali danno la colpa alle troppe garanzie dell'art. 5 dello Statuto dei lavoratori e ai medici della Mutua troppo zelanti nel rilasciare certificazioni.
Ricordiamo che prima dello Statuto, le ispezioni al dipendente assente malato venivano effettuate da personale - guardie o fattorini - del datore di lavoro.
Ma i medici "zelanti" dell'INAM si difendono. "Le diagnosi? è vero, non sono grandi malanni, ma sono specifiche patologie causate dai ritmi e dal tipo di lavoro alienante, malattie a risolvere le quali è spesso sufficiente un breve periodo di riposo; che non è un regalo, ma una seria necessità fisica e psichica del lavoratore "malato".
Un luminario dell'INAM polemicamente aggiunse "Non si possono togliere sette milioni di contadini dalle campagne e immetterli in un ciclo altamente tecnicizzato senza che si verifichino conseguenze per la salute" (aveva ragione allora Wiener che abbiamo citato più volte in questi anni "chi vuol trasformare in formiche gli uomini, non conosce ne' le formiche ne' gli uomini!".

Ma il secondo imputato di questa disaffezione non è solo la fabbrica ma è il modello di società; il fenomeno del "posto vuoto" si va allargando, ingigantendo, e l'assenteismo contagia tutti i settori di attività, in quello privato e in quello pubblico, negli uffici e nelle scuole, nel commercio e nel credito, anche se in minor misura per i rapporti più ravvicinati.
Insomma il "lavoratore" italiano (che non è più solo l'operaio proletario ma anche l'impiegato, pure lui ora sindacalizzato) ha mutato pelle; è crollata tutta una impalcatura che gli economisti i politici e gli industriali avevano costruito su di lui (uomo formica) soprattutto nella fabbrica taylorista, con l'organizzazione scientifica del lavoro, con l'organizzazione a catena o il cottimo, cioè quell'ideologia che secondo gli esperti spingeva il lavoratore ad accettare e adeguarsi a questo sistema perché spinto dall'incentivo economico che lo avrebbe trasformato in un buon Homo oeconomicus , cioè mosso soltanto dalla molla del guadagno monetario individuale; facendo ore straordinarie, accettando i cronometristi e il cottimo, i locali insalubri e pericolosi, e sobbarcandosi non solo i disagi ma anche pagando 1.633.559 infortuni e 4.360 morti sul lavoro in un anno. (11 infortuni al minuto, e 7 morti al giorno - sono i dati dell'anno 1971!!!!!!).

Insomma se da soli gli "operai sciolti" (e anche i sindacati "sciolti") non avevano concluso mai nulla, ora hanno fatto delle conquiste. Sono le premesse per farne altre ora con le tre federazioni unite;  ma dall'altra parte ci sono gli sconfitti, e sono questi che vanno a modificare l'apparato industriale, ripensano il management, condizionano lo sviluppo. Decentrano, escono dai cancelli, creano i "terzisti", un popolo di formiche che lavorano nei sottoscala, che fanno ricordare, i primi vagiti della Rivoluzione industriale in Inghilterra nel '600.

Il 14 ottobre del 1980 a Torino, dopo i trentacinque giorni di agitazioni molto dure degli operai e la "marcia dei quarantamila " colletti bianchi, si conclude un decennio di lotte operaie ed entra in crisi la rappresentatività dei sindacati confederali dopo aver commesso molti errori, non meno plateali di quelli fatti dai politici. E per un solo motivo: immobilismo e irrigidimento mentre la societa' stava cambiando sotto i loro occhi.

Come abbiamo già raccontato nelle prime pagine, questo è un decennio che ha modificato tutta l'economia nazionale, trasformata quella sociale, quella politica, e quella del costume. Un decennio denso di trasformazioni. Anzi è avvenuta una vera e propria mutazione epocale dove è cambiata anche la coscienza civile.

Nel bene e nel male, sono dieci anni dove gli italiani (non parliamo poi delle italiane! Vedi il '72) realizzano quasi timorosi e apparentemente senza molta fiducia - spiazzando politici sociologi e psicologi del lavoro che li credevano assuefatti al "sistema formica"- le maggiori liberta, e in un modo che in questi anni sembrò persino osceno, amorale e spregiudicato; invece riuscirono a spazzare via pregiudizi, riverenze curiali, arcaici tabù e tante ipocrite concezioni virtuose; anzi riscoprirono molte virtù nascoste o addormentate quando, svegliandosi da un lungo letargo iniziarono a riversare tanta "acqua fresca" nel paese Italia. Dimostrando che gli italiani c'erano e che bisognava semmai fare l'Italia e non l'incontrario. Soprattutto "governarla" e non "comandarla".

La testimonianza:  "Abbiamo capito subito e ci siamo resi conto che non avremmo saputo dirigere la società italiana. Il Paese, fuori, era più forte della politica, e anche più intelligente. Non fare nulla fu la scelta migliore di tanti provvedimenti governativi.  Il paese fu così lasciato nella logica della foresta e per fortuna ci è andata bene". Onestamente lo confesserà l'industriale ma anche senatore Dc Piero Bassetti, su Repubblica, anni dopo.

L'esplosione di questa illimitata creatività latente l'abbiamo -da questo 1971 in poi- davanti agli occhi tutti.

(Se c'erano poi degli uomini capaci, tutto di guadagnato. Basterebbe vedere le due realtà di questo 1971 in Sicilia e nel Veneto. Erano nella stessa situazione, ma in Veneto poi il "Pio Mariano" iniziò a fare i "miracoli")


FINE

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