ANNO 1971

 

LE PAGINE NERE
DELLO SVILUPPO DISTRIBUTIVO ITALIANO

DAL 1971 IN AVANTI.

- E' una pagina dolorosa per l'Italia. I perversi effetti produrranno (e sembrano esserne stati la causa) molti altri problemi e molta tensione sociale, quando l'inflazione proprio per questi effetti devastanti, come se non bastasse la crisi internazionale, comincio' a galoppare sopra al 10%, fino a oltrepassare alla fine del decennio il 20%.

E se il commercio è, in un sistema economico, il fattore che lega la fase della produzione a quella del consumo, ostacolando la distribuzione di quest'ultimo la produzione entra in crisi.
Ed e' quello che accadde. Privilegiando solo una corporazione: quella dei commercianti che si riunirono in associazione, che ostacolò l'apertura di nuovi negozi, boicottò la diffusione dei supermercati, impedì la libera concorrenza.

Infatti proprio quest'anno, 1971, l'11 giugno il Parlamento, dopo l'attuazione delle Regioni, con tempismo approva la "nuova disciplina " del commercio (Legge 426).
E per ottenerne una sollecita approvazione e senza più alcune modifiche al disegno di legge, i negozianti indicono una "serrata" generale in tutta Italia. Una prova di forza della corporazione dei bottegai che pretende i suoi privilegi spalleggiati dai politici locali che ora gestiscono il territorio in ogni anfratto, dentro ogni amministrazione, dentro le annona comunali, creandosi così il proprio feudo clientelare.

<<< Così si era stabilito nel 1950
chiunque puo' aprire
negozi e spacci
di vendita sul territorio nazionale.
Abolita la legge del 1926,
che richiedeva determinati requisiti.

( poi divennero tutti una casta )

 

Buona parte di questi commercianti ribelli sono quelli che hanno potuto aprire bottega dal 1950 in poi quando la nuova legge detta del "commercio libero" nel 1950 vedi sopra aboli' la n. 2174 del 1926 e la n.2501 del 1927 che era una tipica legge corporativistica fascista.
Che allora nel '50 ebbe anche questa, polemiche, serrate, effetti positivi (tanta concorrenza quindi prezzi contenuti) ma anche negativi (poca professionalita' e nessun incentivo a migliorare il sistema distributivo).

Si ritorna quindi in questo 1971 al 1926, indietro di 45 anni. E non e' certo una "riforma del commercio" , infatti l'economista Francesco Forte la definisce subito una "controriforma" voluta ostinatamente da una corporazione che è molto legata ai politici locali. Bisognerà infatti avere dei requisiti ben precisi, altro che "libero".
Una categoria che presto con i prezzi farà quello che vuole, con le protezioni politiche e soprattutto con i pochi controlli locali dell'Annona - in mano ovviamente ai politici del Comune stesso - indi facili evasioni fiscali per coloro che sono "graditi", allineati.

Gravissima perche' le nuove norme creano un numero chiuso di negozi, senza concorrenza, che provoca un monopolio della distribuzione e quindi una ascesa dei prezzi con tutte le conseguenze che si verificheranno in seguito nel mondo dei salariati che appena ottenuti con le lotte sindacali aumenti di stipendi, dopo pochi mesi se li vede risucchiare dall'inflazione che correrà d'ora in poi dal 10% al 20% annuo.

I privilegi della nuova legge sono quindi solo di una categoria che si sta impossessando del territorio, e proprio nel momento in cui la domanda è altissima. E cosa ancora piu' grave impedisce la creazione non solo di altri negozi ma anche la creazione di Supermercati e Ipermercati a societa' estere con grande esperienza nella distribuzione che erano già pronte a scendere in Italia, e che avrebbero automaticamente "calmierato" i prezzi.

La lotta per non far aprire Supermercati e Ipermercati fu durissima (lo scopo fortissimamente voluto con la legge 426 era del resto proprio questo).

Ma essendo già stato messo in programma, la Montedison/Standa riusci' ad aprire un Ipermercato (l'unico in Italia) il 16 settembre, a Castellanza, di 12.500 mq.
Mentre alla stessa data ne esistevano 143 in Francia, 370 in Germania oltre ad avere gia' aperto rispettivamente 2.060 e 3.300 Supermercati e 940 e 1.400 Grandi Magazzini)

Alcuni Supermercati comunque in Italia poi nacquero, 607, ma tutti in mano solo a quattro grandi gruppi che data l'inesperienza nella grande distribuzione e gli alti costi del personale, all'inizio non crearono grossi fastidi ai piccoli.
144 sono della Montedison (Standa), 61 della Ifi Fiat (Sma) , 51 del gruppo Sme Iri (Sge e Stella), 40 de La Centrale (Pam), 41 Caprotti (Esselunga) e qualche privato. Quasi un monopolio del grande capitale dove i piccoli negozi si sentirono quasi impotenti, ma si rifanno molto bene nel contrastare altri soggetti, e lo hanno dimostrato con la prova di forza della serrata e riuscendo a far votare la 426 in pochi giorni.

Ma pochi saranno i neo-negozianti che riusciranno ad aprire nuovi punti vendita, grandi magazzini, o supermercati. Quelli che verranno saranno gli stessi negozianti - di varie tabelle - ad aprirli. Un circolo chiuso! (spesso 10-15 negozianti di varie tabelle gestiscono un supermercato insieme mettendoci dentro figli, mogli, fratelli, nonni ecc.)

Si penalizza in sostanza la distribuzione, si impedisce la libera concorrenza, e si prosegue cosi' negli alti costi di una miriade di punti vendita che abbinati ai selvaggi e ingiustificati aumenti dei prezzi si penalizzano tutti i miglioramenti delle rivendicazioni salariali. E l'inflazione non ha piu' un controllo. (si tentera' nel 1973 un blocco dei prezzi, ma sara' una vera pagliacciata : come abbiamo già accennato e che vedremo ancora nel '73.
(si bloccarono alcuni prodotti, ma ben presto questi si esaurirono, e dato che il blocco non si poteva applicarlo su nuovi prodotti, tutti quelli vecchi in poche settimane cambiarono confezione e aggirarono il blocco. - UNA FURBATA !!!

La popolazione dei commercianti non dimentichiamo è un grosso contenitore di voti che con il decentramento amministrativo dopo il voto regionale fa gola alla nuova classe politica che ora inizia a gestire spregiudicatamente i suoi nuovi "feudi" regionali, provinciali e comunali.
Non si poteva aprire di domenica, ma se hai il padrino giusto, si apre comunque con la scusa che nei secoli precedenti in un dato paese c'era la sagra, quindi il mercato, quindi negozi aperti. .

Infatti con la nuova legge nel commercio ora ci vogliono le licenze comunali, per i supermercati autorizzazioni regionali e si esige dai negozianti un (ipocrita) esame di idoneità alle Camere di Commercio provinciali, in modo da appurare se il candidato sa cos'è una struttura economica legata a molti obblighi sanitari, legislativi, finanziari, previdenziali, oltre le conoscenze e capacita' professionali inerenti le 14 tabelle merceologiche del settore commerciale che appunto da questo momento vanno a dividere le attività in settori specifici che andranno a creare delle piccole corporazioni.
Sono le Associazioni di varie categorie: alimentaristi, tabaccai, macellai, casalinghi, vestiario, giornalai, ottici, ecc. ecc. e dove il presidente è quasi sempre un rappresentante terminale di quel partito politico che normalmente ha in mano l'amministrazione locale, dove appunto si danno le autorizzazioni (un circolo chiuso).

Ma il settore, vinta questa battaglia corporativa, riserva subito dopo ai consumatori altre due sgradevoli sorprese, destinati a elevare i costi e a influire, quindi, sull'andamento dei prezzi. Ottengono infatti e in modo molto sbrigativo - come la n. 426 - con la legge n. 558 del 28 luglio:
a) gli orari dei negozi a 44 ore settimanali;
b) la chiusura obbligatoria settimanale che viene scelta il sabato pomeriggio, proprio il giorno per abitudine destinato alle spese da milioni di famiglie.
(Poi verrà modificata nel mercoledi. Ma dove c'è un personaggio politico molto forte, si fa quello che vogliono i negozianti. Di Camisano a Vicenza, nativo era Sereno Freato (Capo della segreteria di Aldo Moro) fautore di molti provvedimenti legislativi nella provincia di Vicenza (che era già la capitale degli aiuti di Stato con Rumor). Ebbene a Camisano (un paese non turistico) potevano e possono ancora oggi aprire i negozi anche la domenica, dopo aver rispolverato un vecchio mercato dei contadini)

Questi provvedimenti vengono giudicati dai cittadini assolutamente contrari agli interessi dei consumatori, specialmente da quelli che lavorano, ma nessuno li ascolta, e i commercianti vincono su tutti i fronti.

L'applicazione della b) (giorno di chiusura) fra l'altro crea complicazioni pratiche in certe regioni con radicate antiche abitudini di fiere e mercati tradizionali, che la corporazione locale in alcune città intende rispettare, e dato che sono le Regioni competenti ora a decidere, accade che alcune città della stessa regione i negozianti accordandosi, impongono il giorno di chiusura da loro preferito, quindi diverso dalla città vicina. E se a Bolzano i negozi chiudono il sabato pomeriggio, in altre città chiudono in altri giorni della settimana, o puo' accadere come a Vicenza che chiudono il mercoledì e naturalmente la domenica, ma in un paese a soli 8 chilometri (la sopra citata Camisano) i negozi sono aperti persino di domenica per una vecchia tradizione locale o per avere il "padrino" giusto. Insomma l'apparato distributivo italiano cade dentro nell'anarchia totale. Ogni citta' apre o chiude nei giorni che vuole. Ci sono delle regole, ma ogni città, ogni regione fa le sue regole e a pagare sarà d'ora in avanti il consumatore. Che se parte da una città e va a un'altra, trova il turno di chiusura dei negozi e può tornarsene a casa. Questi nell'era della mobilità su quattro ruote e le città a mezz'ora di macchina l'una dall'altra.

Abbiamo accennato a una popolazione elettorale. Infatti operano in questo 1971, 1.083.254 negozi, (518.921 alimentari) 1 disponibile ogni 15 famiglie di italiani, che hanno pure a disposizione 303.289 ambulanti (di cui 165.069 alimentari) e 247.342 esercizi pubblici.

Con i familiari e collaboratori una massa cospicua (1.900.000 solo i titolari + i rispettivi familiari) enormemente utile ai fini elettorali, quindi ricreando degli uffici preposti alle autorizzazioni si rimette in auge la legge fascista che fa molto comodo. Significa poter creare a monte una struttura che "concede" una autorizzazione amministrativa e una pseudo-idoneita' al commercio, e a valle una corporazione che non migliora affatto ma si arrocca nello status-quo. Il tutto sotto il controllo di referenti politici che "concedono" e "favoriscono" particolari soggetti, oppure con mille vincoli "impediscono" ad altri l'accesso a questo mondo del commercio per nulla aperto alle nuove tecniche della distribuzione moderna, e che - come vedremo piu' avanti - soprattutto non tiene conto delle nuove esigenze che si sono venute a creare, che non sono quelle degli anni 1926, ma purtroppo a questi anni si è ripiombati.

Teoricamente la legge dovrebbe "professionalizzare" gli addetti e far finire quei negozi di paesi o di quartiere che "avevano di tutto"; i cosiddetti "bazar", o le patetiche fatiscenti bottegucce aperte a tutte le ore. Ma non è così. Ne' lo si vuole. Sarebbe impopolare.

La legge 426, dovrebbe, e la si fa passare per tale scopo, risolvere l'arretratezza del sistema distributivo in questi anni carente come qualità. Ma su questo piano non risolve granchè, infatti per conservare la licenza vengono esonerati dall'esame coloro che hanno una esperienza almeno biennale. Fra i requisiti: il titolo di studio della scuola d'obbligo dell'epoca del richiedente, cioe' anche la terza elementare. Significa che 518.921 negozi alimentari e 564.333 non alimentari rimasero come prima, con 2,5 addetti di media per ogni negozio (di cui 1,9 costituiti da titolari) dove sopravvivono normalmente moglie e marito o figli (il 91%) dentro il loro "buco" muovendosi con imbarazzo e spesso con ignoranza in mezzo a una miriade di prodotti, spesso tecnologici, che richiedono competenza, apertura mentale, oltre le capacità e il necessario spazio per gestire la sempre piu' crescente gamma di nuovi prodotti; fra l'altro di varie marche.

Infatti la media della superficie è ancora quest'anno di 29,7 mq per i negozi alimentari (ma il 25% del totale e' inferiore ai 24 mq), e di 53 mq quelli non alimentari. Sono dei "buchi", di molto poco superiori alla metratura delle botteghe della Pompei romana di duemila anni fa. Incredibile ma vero in questo non lontano 1971!

Realizzano gli alimentari un fatturato lordo mensile di 1.400.000 lire (con ancora - in questo 1971 - il 51 % della vendita praticata a credito con il libretto), mentre gli altri negozi fatturano di media 1.500.000 mensili e concedono dilazioni di pagamento al 60% della clientela che normalmente salda in media dopo tre/quattro mesi.

All'introduzione dell'IVA del prossimo anno (D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, entrata in vigore, il 1º gennaio 1973) si scopre che il 77% dei negozi in Italia non ha mai effettuato un inventario delle merci (procedeva a "vista" e faceva gli ordini a "naso") e che il 49% non sa nulla di contabilità, il 55% non sa cos'e una prima nota, il 79% non e' in grado di fare uno scorporo per ricavare dal prezzo finale l'IVA, il 51% non è in grado di compilare la relativa dichiarazione, il 75% non ha una calcolatrice, il 40% non ha il telefono e l'88% tiene i soldi nel cassetto e non ha un registratore cassa.
Ma basta che abbia operato in questo modo due anni per assicurarsi di fatto l'idoneita'(!))

Nel sondaggio inoltre, solo 1 negozio su 300 ha messo qualche scaffale self service, e solo il 10% ha manifestato l'intenzione in futuro di "sperimentare" questa nuova tecnica di vendita.

Far dunque sostenere un esame a questi negozianti, voleva dire eliminarne subito più della metà, e questo sarebbe stato impopolare ai fini elettorali . Si fece in modo che la selezione avvenisse da sola con le mille incomprensibili leggi amministrative, fiscali, sanitarie, che li eliminava senza pietà dalla piazza, e dove erano subito pronti a subentrare quelli "graditi" che acquistavano le licenze. Infatti la richiesta di una nuova licenza poteva rimanere o per mesi e anni sulla scrivania dell'annona o non essere concessa affatto, e ci si dava da fare allora per acquistare quelle dei poveracci che chiudevano perche' paralizzati dalla gestione fiscale ecc.

Quando questa selezione ritardava e qualcuno non "gradito" resisteva a oltranza, si faceva presto, lo si paralizzava con i controlli dei vigili annonari o quelli sanitari. Un cavillo amministrativo o un prodotto non bene conservato lo si trovava sempre per farli chiudere e ritirare loro la licenza (*). Un gioco sporco, ma redditizio nello spartire il territorio ai fini elettorali. La "Terza Italia" del commercio nasce dunque cosi'. La rete burocratica diventò sempre di più a maglie strette e il clientelismo elettorale del "padrino" locale fu così assicurato.

(*) (Chi scrive nel 1975 assunto come ispettore- manager in una grande azienda industriale pubblica municipale, su ordini superiori si dovette comportare cosi'. Cioe' "fare il funerale" al povero malcapitato "non gradito"; non seguendo una logica commerciale (il malcapitato spesso operava bene), ma seguendo una machiavellica logica politica che doveva - questa la giustificazione - "proteggere o potenziare i migliori soggetti dell'economia locale" ed eliminare i soggetti non allineati che "arrecavano danni allo sviluppo del comprensorio". Insomma se era un comunista bisognava eliminarlo e fare di tutto per fargli terra bruciata attorno, o come accadde, impedire loro di cedere ad altri la licenza, avanzando l'azienda municipale il diritto di prelazione a una cifra inferiore del 75% del valore di mercato (perchè a tale percentuale corrispondeva la cessione fatta "in nero") (personalmente chi scrive ne bloccò in questo modo 88 di licenze).

Stessa operazione agli artigiani o ai coltivatori diretti e ai conferenti di prodotti. Poteva quindi succedere che a un produttore di latte con cento mucche gli veniva negato il prelievo del prodotto, mentre a un produttore allineato magari lontano e in cima a una collina e con solo due mucche lo si favoriva mandandogli un camion giornaliero a prelevargli il prodotto il cui valore complessivo di cio' che ritirava era di molto inferiore alle spese logistiche della raccolta stessa, quindi una palese e grave perdita di denaro pubblico. Questo perverso "sviluppo" assistenziale dell'agricoltura, ad esempio nel Veneto (la balena bianca della DC) hanno poi creato a fine secolo le ben note ribellioni. Cambiati i tempi, la logica commerciale si è nuovamente imposta e questa volta ha fatto e sta facendo e fara' ben altri "funerali" perchè è finita la "pacchia".

(Nel 1998 cambiata la politica, il governo ripropone il "Commercio libero", cioè ritornare alla legge Lombardo del 1949 - vedi). Il che confermerebbe che le motivazioni di questa legge n. 426, n. 558 e n. 425, anno 1971, non fu affatto varata per dare una professionalita' ma altro non era che un mezzo elettorale per tenere sotto controllo il territorio tramite le corporazioni conniventi con la politica clientelare. Padrini politici che pescavano non solo dentro le grandi cattedrali delle Partecipazioni Statali (in questo 1971 in pieno boom con il capostipite Cefis) ma rivolgevano la loro attenzione anche a quella miriade di piccole strutture dell'economia nazionale, ad alto tasso clientelare tramite le "concessioni", "autorizzazioni" ecc. e che volevano dire: favori o impunita'.

(Per la cronaca, Ivan Matteo Lombardo, che fortemente volle nel 1949 la "legge del commercio libero" anche se era ministro del Commercio nel governo De Gasperi, era rappresentante del PSLI, il partito socialista dei lavoratori).

QUESTO IL MONDO DELLE LEGGI DEL COMMERCIO ANNO 1971

TRE LEGGI CHE NON CONVINSERO I CONSUMATORI, MESSI SUBITO A TACERE. LEGGI CHE, QUALCUNO AFFERMA, FECERO PIU' DANNI ALL'ITALIA CHE NON I DIECI ANNI DI TERRORISMO. MODIFICO' L'INTERA ECONOMIA, CAUSO' 10 ANNI DI INFLAZIONE A DUE CIFRE, E FECE PERDERE ALL'ITALIA IL TRENO DELL'EUROPA, DOVE INVECE L'APPARATO DISTRIBUTIVO ERA GIA' ALLE CIFRE CHE ABBIAMO ACCENNATO SOPRA.

FINE

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