ANNO 1989

La caduta del muro di Berlino ha rivelato che il sistema
aveva costruito un gigante d'argilla

CROLLO DEL MURO

E DIETRO C'ERA QUASI NIENTE

di ALESSANDRO FRIGERIO

Sembra l'eco di un'epoca ormai sepolta ma sono passati solo poco più di dieci anni - era la metà degli anni Ottanta - da quando la Repubblica Democratica Tedesca (Rdt), per bocca dell'onnipotente segretario HONEKER, condannava i più o meno contemporanei tentativi riformistici che stavano avendo luogo negli altri paesi del blocco sovietico.

Gli accordi di Helsinki per il rispetto dei diritti umani, la crisi polacca del 1980 e il successivo riconoscimento di Solidarnosc, i timidi tentativi di aggiornamento amministrativo e sociale in Ungheria avevano suscitato grosse aspettative in tutta l'Europa centrorientale. Ma secondo Honeker non avrebbero condotto da nessuna parte, perché i propositi di riforma inevitabilmente "sboccavano in una situazione di anarchia e riducevano i partiti comunisti a nient'altro che dei club di discussione". In questo modo, mutuando dal calcio l'adagio "squadra che vince non si cambia", la Rdt rimase ostinatamente fedele a sé stessa fino al crollo del 1989.

Non si cambia un sistema vincente: così Honeker metterà a tacere per più di vent'anni le timide critiche provenienti dai partner del blocco e dal mondo occidentale. E a rileggere acriticamente oggi i dati ufficiali relativi all'ultimo decennio di vita dell'economia tedesco orientale sembra proprio che il sistema funzionasse. Certo, non in rapporto alle economie occidentali, indiscutibilmente più avanzate non solo quanto a beni di consumo, ma anche nel settore dell'innovazione, della modernizzazione e della crescita delle risorse. Il sistema pareva funzionare se confrontato con la realtà delle altre democrazie popolari.

Primo tra i paesi socialisti per produzione industriale pro capite, il 75% della popolazione tedesco orientale era impiegata nel trainante settore industriale. I settori metallurgici, siderurgici e dell'industria chimica erano i poderosi cavalli da tiro di un'economia il cui prodotto lordo era fornito al 90% da imprese esclusivamente statali. Poco prima del collasso finale la Rdt si faceva vanto di figurare tra i dieci paesi più industrializzati al mondo. L'apparente senso di stabilità economica e di efficienza amministrativa, la pressoché totale mancanza di contestazione interna da più di trent'anni, gli accordi di buon vicinato e relativo riconoscimento reciproco con i fratelli della Germania occidentale, e gli innumerevoli successi in campo sportivo lasciavano finalmente sperare in un successo del sistema autoritario di stampo sovietico a ovest dell'Oder-Neisse. Il codice genetico comunista pareva così aver prodotto i migliori effetti con il forzato innesto sull'austera e disciplinata stirpe teutonica. Ma la strada che aveva condotto a tali successi di facciata non era stata rettilinea. La realtà era ben diversa. Sotto lo smalto di un rigido efficientismo si nascondevano le tare di uno Stato la cui consistenza non andava oltre quella della metternichiana "espressione geografica".

Tare storico-culturali, sociali ed economiche avevano minato fin dall'inizio il corpo della Rdt. Combinandosi tra loro, infettandosi reciprocamente, incancrenendosi, porteranno, nell'inverno 1989/90, al repentino dissolvimento dell'ultima nata tra le democrazie popolari. La Repubblica Democratica Tedesca era stata creata il 7 ottobre 1949 sul territorio della zona di occupazione sovietica della Germania, in seguito alla rottura fra le potenze vincitrici e in risposta alla fondazione della Repubblica Federale Tedesca avvenuta poco meno di cinque mesi prima, il 13 maggio 1949. Sotto la stretta tutela dell'URSS, che mai si sarebbe lasciata sfuggire il controllo su un paese dalle notevoli capacità industriali, la Germania orientale fu subito uniformata allo standard monopartitico sovietico.

I comunisti tedeschi, guidati da Wilhelm PIECK e Walther ULBRICHT, già dirigenti prima del 1933 e sopravvissuti alle epurazioni staliniane durante il loro esilio moscovita, inglobarono rapidamente i socialisti, dando vita al Partito di Unità Socialista (Sed) con segretario Ulbricht. La Rdt non nacque quindi per una reale esigenza storica del popolo tedesco. Non sorse sull'onda dello slancio patriottico di un popolo oppresso che voleva così sancire la propria specificità storica o culturale. La Rdt fu un prodotto di laboratorio, scaturito dallo spirito di contrapposizione e di competizione con l'altra Germania. Più che per una sua specificità si caratterizzò per il suo essere contro: contro il prussianesimo, contro il nazismo, contro il capitalismo. Priva di una sua mitologia fondatrice - se non quella di una presunta opposizione patriottica al nazismo che in realtà non era mai avvenuta -, la Germania orientale fu solo uno dei primi frutti della guerra fredda. Ma le deficienze storico-culturali da sole non bastano a descrivere la facilità con cui avvenne la dissoluzione finale.

Altrettanto importante era l'ambiguo rapporto con gli operai, la cui coscienza di classe era ben più salda di quella degli operai russi e quindi meno manipolabile. Loro avrebbero dovuto essere gli unici beneficiari dell'istituzione di uno stato proletario fortemente centralizzato. Forte di know-how industriale di tutto rispetto, la Germania orientale si incamminò così sulla china di una pianificazione industriale che si sperava l'avrebbe portata nel giro di pochi anni a raggiungere e superare l'economia della Germania ovest. Il tutto però senza preventivarne i costi sociali - orari di lavoro degni da prima rivoluzione industriale e stipendi da fame - che alla lunga si riveleranno insostenibili. La misura si colmò nel giugno del 1953.

Da diversi mesi serpeggiava un diffuso malcontento per la situazione economica e per il lento tasso di ripresa industriale. Il partito stesso aveva riconosciuto di essere incorso in gravi errori nella transizione verso un sistema socialista. Nello stesso tempo, la morte di Stalin nel marzo 1953 aveva fatto sorgere dovunque voci di liberalizzazioni e cambiamenti nella politica estera sovietica, che potevano, si pensava, alterare i rapporti fra le due metà della Germania e produrre una distensione generale in Europa. In questa atmosfera di attesa, il governo tedesco orientale annunciò agli operai, già stanchi ed esasperati per il duro lavoro che si pretendeva eseguissero senza respiro dalla fine della guerra - anzi, da prima - che la durata della giornata lavorativa e le norme di produzione dovevano essere ulteriormente elevate. L'annunzio provocò a Berlino e in altre città della zona est uno sciopero generale e imponenti dimostrazioni contro il regime. Per la prima volta un paese del blocco sovietico visse così l'esperienza dei carri armati russi che attaccavano gli operai.

Le fonti governative parleranno poi di 25 vittime, quelle occidentali di una repressione costata la vita a 200-400 persone. Da allora il 17 giugno 1953 verrà ricordato nella Germania dell'est come il giorno in cui fu sventato il "putsch organizzato da agenti imperialisti" che avevano cercato di carpire subdolamente la buona fede degli operai comunisti. In tutta risposta, più di 2 milioni di persone da quel momento e fino al 16 agosto 1961 ( 13 agosto 1961- vedi ) quando fu costruito il muro di Berlino, abbandoneranno la patria tedesca del socialismo reale.

Gli anni Settanta e Ottanta saranno quelli del consolidamento politico ed economico della Rdt. Solo in parte sfiorata dalle tensioni Est-Ovest (neanche da quelle provocate nel settembre 1980 dalla nascita del sindacato polacco SOLIDARNOSC), forte di un consenso interno dovuto anche alla riabilitazione di figure storiche fino a pochi anni prima oggetto di condanna, la Germania dell'est visse la sua stagione migliore anche sotto il profilo del consenso interno. "Molti cittadini della Repubblica democratica - scriveva nel 1985 lo storico anglosassone Timothy Garton Ash, uno dei più efficaci osservatori sul campo e testimone oculare del tracollo delle democrazie popolari - apprezzano effettivamente il modesto tenore di vita che assicura un efficiente Stato poliziesco di benessere. Il suo sempre più esplicito riconoscimento della sua indiscussa "germanicità", con la statua equestre di Federico il Grande ripristinata in Unter den Linden e perfino con la parziale riabilitazione di Bismarck, ha contribuito anch'esso a questa fedeltà condizionata allo Stato". Furono ampiamente positivi anche i risultati in politica estera.

Tra il 1972 e il 1973 i governi di Bonn e di Pankow firmarono dei trattati di distensione che sancirono ufficialmente il riconoscimento occidentale della Rdt e ne consentirono di conseguenza l'ingresso all'assemblea delle Nazioni Unite. La normalizzazione di rapporti tra le due Germanie fu uno dei più grandi successi di Honeker (e di BRANDT sull'altra sponda), da poco succeduto a ULBRICHT alla guida del Paese. Un successo che arrivava a interrompere la politica dell'Abgrenzung, ovvero la politica della "delimitazione", intesa come netta separazione dalla Rft, che dal 1949 i dirigenti della Rdt stavano ossessivamente praticando. Pure l'economia sembrava andare a gonfie vele, grazie anche alle sovvenzioni elargite dalla Germania occidentale, pari circa a due miliardi di marchi all'anno. Il prodotto nazionale lordo pro capite negli anni Ottanta era il più elevato tra tutti i paesi del Comecon (circa 9300 dollari nel 1988) ma ciò era dovuto non tanto alla bontà del sistema economico quanto dall'Ostpolitik praticata da Bonn, che aveva fatto della Repubblica democratica uno dei suoi principali interlocutori economici.

"Così - scrive lo storico François Fejto - la Rdt era diventata di fatto il tredicesimo membro della Cee e i suoi prodotti avevano libero accesso ai mercati comunitari". I problemi in realtà erano più nascosti, e da congiunturali avevano ormai assunto il carattere di difetti strutturali: costante calo della produttività della manodopera, calo del tasso di accumulo dei capitali, crisi degli alloggi e scarsissima redditività degli investimenti erano le tare economiche di un sistema che anche agli occhi dei pianificatori appariva difficilmente riformabile. A lungo rappresentata come icona del socialismo reale efficiente e produttivo - a differenza delle economie degli altri paesi del blocco, che si sapevano essere in grave crisi - gli effetti del rigido dirigismo pianificatore della Rdt si faranno vedere in tutta la sua drammaticità con il crollo del muro.

Se vogliamo, il paradosso del fallimento della Germania orientale consiste nel fatto che, a differenza di quello delle altre democrazie popolari, il suo non fu annunciato.

Stato privo di una sua identità nazionale, ma forte del conformismo dei tedeschi dell'est, che accettarono oltre ad una rigida pianificazione economica anche l'istituzione di un controllo poliziesco sulla vita dei singoli cittadini al cui confronto quello nazista era poco più di un bluff, fu vittima di un'implosione su se stesso. Creato a tavolino per essere la vetrina del comunismo da esporre agli occhi della società consumistica occidentale, oggi possiamo ricordarla come esempio fallimentare dei tanti laboratori ideologici del nostro secolo.

di ALESSANDRO FRIGERIO

Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di Storia in Network

FINE

RITORNA CON IL BACK
ALLE TABELLE

< < alla HOME PAGE DI STORIOLOGIA