ANNI 1464 - 1471

L'ITALIA DURANTE IL PAPATO DI PAOLO II

ELEZIONE DI PAOLO II - LA CAPITOLAZIONE ELETTORALE - PAOLO II E L'ACCADEMIA ROMANA - POTERE DI PIERO DE' MEDICI A FIRENZE - CONGIURA CONTRO DI LUI - I FUORUSCITI FIORENTINI E BARTOLOMEO COLLEONI MUOVONO GUERRA A FIRENZE - VITTORIA DI FEDERICO D' URBINO A MOLINELLA - GALEAZZO MARIA SFORZA IN TOSCANA E IN PIEMONTE - PACE DEL 1468 - MORTE DI PIERO DE' MEDICI - FERDINANDO DI NAPOLI E I SUOI RAPPORTI CON PAOLO II - SECONDA VENUTA IN ITALIA DI FEDERICO III - GUERRA DI RIMINI - LEGA ITALIANA CONTRO I TURCHI - BORSO D' ESTE DUCA DI FERRARA - LA MORTE DI PAOLO II E DI BORSO D' ESTE

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ELEZIONE DI PAOLO II - LA CAPITOLAZIONE ELETTORALE 
PAOLO II E L'ACCADEMIA ROMANA


Morto PIO II, i cardinali, che lo avevano seguito ad Ancona, se ne tornarono a Roma e la sera del 28 agosto si chiusero in conclave. Prima di procedere all'elezione essi stabilirono di porre un freno all'onnipotenza papale e di innalzare l'autorità del sacro collegio compilando una capitolato elettorale che conteneva le norme seguenti: il Pontefice doveva continuare l' impresa contro i Turchi con tutte le forze della Chiesa e come risorse economiche impiegandovi tutto il ricavo delle miniere d'allume scoperte a Tolfa; il numero dei cardinali non poteva oltrepassare i ventiquattro; nessuno poteva ottenere il cappello cardinalizio se non avesse compiuto i trent'anni; dei cardinali uno soltanto poteva essere parente del Pontefice; il Papa non poteva procedere a nomine cardinalizie, intimar guerre e concludere alleanze senza il consenso del sacro collegio; non doveva esser conferito a laici il comando delle fortezze del Patrimonio; infine i cardinali dovevano riunirsi due volte l'anno per esaminare se le disposizioni del capitolato fossero state fedelmente eseguite. 

Passati all'elezione, i cardinali con molta facilità si accordarono sul nome del patrizio veneziano PIETRO BARBO, che il 30 agosto venne eletto Pontefice e prese il nome di PAOLO II. 
Questi contava quarantasei anni, era nipote per parte di madre di Eugenio IV, ricco, liberale, vanitoso ed eccessivamente amante del lusso. Nella festa della sua incoronazione spese infatti più di centotremila fiorini e si fece fabbricare una tiara costosissima tempestata di preziose gemme.

"" Il suo pontificato - scrive il Bertolini - fu dei più tranquilli per la città di Roma. La quale riusci  sotto di esso ad abbandonarsi ai sollazzi che gli elargiva con grande liberalità il Pontefice: ci furono feste carnevalesche con cortei bacchici e con corse nobilitate dalla presenza del Papa, che ne allungò il tracciato dall'arco di Domiziano alla loggia del suo palazzo situato presso  San Marco, a fine di poter godere anche lui il pubblico spettacolo. Delle feste romane facevano parte i pubblici convivi promossi anche questi a spese del Papa davanti al suo palazzo, sempre rallegrati dalla sua presenza; onde la politica del panem et circenses, dopo tanti secoli di oblio, parve allora rediviva ». 

Con la pompa e con le feste il Pontefice mirava a distogliere il popolo romano dal Pensiero della libertà, volendo egli mantenere intatto il potere temporale. Questo però con il già accennato sopra  capitolato dell'agosto del 1464, era passato in buona parte nelle mani del sacro collegio, che alla monarchia papale aveva sostituito una vera e propria oligarchia. 
Deciso di ridare al capo della Chiesa il potere assoluto, Paolo II compilò un altro capitolato, che annullava il primo e lo sottopose ai cardinali, che con la persuasione o la forza la sottoscrissero. Solo il vecchio cardinale di Carvajal si rifiutò di firmarla; ma il Pontefice non si curò di questa opposizione e come non era stato fedele al primo così non fu fedele al secondo capitolato.

Il contegno del Papa produsse non poco malcontento fra i cardinali, che aumentò quando licenziò molti segretari (abbreviatori) della curia, fra cui il celebre PLATINA, il quale per vendicarsi scrisse un pungente libello contro il Papa, e perciò fu chiuso in una prigione e solo dopo alcuni mesi fu liberato per le preghiere del cardinale Gonzaga. 
« Naturalmente - scrive l'Orsi- questi letterati conservarono un vero odio contro Paolo II, che venne rappresentato come un nemico acerrimo degli studi. Questo dovuto anche al fatto che incominciava ora a prevalere fra gli eruditi la tendenza verso il paganesimo anche nella sostanza; ormai le idee e le forme cristiane venivano apertamente disprezzate per seguire quel vangelo del piacere, che era stato predicato dal Valla e dal Beccadelli. (Orsi) ». 

Questi letterati paganeggianti, capeggiati dal calabrese GIULIO SANSEVERINO , che si faceva chiamare POMPONIO LETO, avevano costituito una società letteraria detta Accademia romana. Temendo l'ostilità di questi dotti e prestando fede alle dicerie che intorno ad essi correvano, che cioè complottassero contro il Pontefice, questi nel 1468 fece imprigionare in Castel Sant'Angelo circa venti accademici, fra i quali il Leto che da Venezia, dove era riuscito a fuggire, fu estradato a Roma e per ottener la libertà dovette chiedere perdono a Paolo II.

PIERO DE' MEDICI - CONGIURA CONTRO DI LUI - 
GUERRA DI FIRENZE CONTRO I FUORUSCITI
 PACE DEL 1468 E MORTE DI PIERO DE' MEDICI

Un mese prima dell'elezione di Paolo II, era morto - come si è detto nei riassunti precedenti - Cosimo de' Medici. 
Se i Fiorentini fossero stati dotati della medesima veemenza di cui erano dotate le passate generazioni la scomparsa di un tal uomo avrebbe potuto essere dannosa alla potenza medicea tanto più che Piero, figlio di Cosimo, non solo non aveva l'ingegno e l'abilità politica del padre, ma era anche ammalato di gotta e perciò quasi sempre costretto a stare chiuso in casa e a letto.
 Malgrado ciò Piero continuò ad esercitare il potere di Cosimo e se ebbe a lottare contro alcuni oppositori, questi non erano animati dal desiderio di ridare libertà a Firenze ma dalla brama di sostituire Piero nel comando, ed erano per giunta del suo stesso partito e non i soliti avversari politici.

Fu lo stesso Piero colui che diede occasione ad una pericolosa levata di scudi. Essendo molto avaro e non potendosi per la sua infermità dedicare direttamente e completamente agli affari, ritirò molti dei suoi capitali dal traffico e volle farsi restituire le ragguardevoli somme che il padre aveva dato in prestito a molti cittadini. 
Questo incauto provvedimento causò non pochi fallimenti a Firenze, a Venezia e ad Avignone e gli procurò molte inimicizie, dalle quali cercarono di trarre profitto alcuni dei più notevoli membri del partito mediceo: LUCA PITTI, ANGELO ACCIAJUOLI, DIETISALVI i NERONI e NICOLÒ SODERINI.

Tutti questi, nel settembre del 1465, fecero sì che la balìa non fosse rinnovata e venisse ristabilito l'uso del sorteggio delle cariche, poi, accortisi che con i mezzi legali non avrebbero ottenuto risultati concreti e solleciti, vennero nella determinazione di servirsi delle armi. 
Poichè dentro Firenze non disponevano di un gran numero di aderenti, si procurarono aiuti di fuori ed ottennero che Venezia mettesse a loro disposizione il condottiero BARTOLOMEO COLLEONI e da BORSO d' ESTE duca di Modena ebbero promessa che avrebbe mandato il fratello ERCOLE con milletrecento cavalli.

Piero dei Medici fu informato di questi maneggi dal suo amico GIOVANNI BENTIVOGLIO, signore di Bologna. Egli si trovava allora nella sua villa di Careggi: saputo che si tramava ai suoi danni, scrisse per aiuti a FRANCESCO SFORZA poi partì con una scorta per Firenze e radunò un gran numero di armati nel suo quartiere. Questi preparativi non passarono inosservati e scoraggiarono gli oppositori, che non erano ancora pronti; Luca Pitti, vecchio di settantadue anni, giunse a riconciliarsi con Piero, e Dietisalvi Neroni ottenne il 29 luglio del 1466 che si firmasse un accordo tra le due fazioni.

Il 2 settembre però Piero de' Medici, dal Gonfaloniere di giustizia Roberto Lione, a lui devoto, fece radunare a parlamento il popolo nella piazza e questo approvò di concedere alla Signoria e ad altri cittadini balìa di riformare il governo e punire i colpevoli. Contro gli oppositori vennero presi provvedimenti severissimi: l'Acciajuoìi e i suoi figli vennero confinati per venti anni a Barletta, Dietisalvi Neroni e i fratelli furono esiliati in Sicilia, il Soderini fu relegato in Provenza; pene simili ebbero altri complici minori; soltanto il Pitti non fu molestato, ma passò gli ultimi anni della sua vita detestato da tutti.

La congiura che doveva abbattere il potere di Piero de' Medici valse invece a consolidarlo. Gli esuli recenti, desiderosi di vendicarsi del loro nemico, s'unirono con coloro che erano molti anni prima stati banditi da Cosimo, e tutti si rifugiarono a Venezia, implorando da questa repubblica aiuti contro colui che aveva la signoria della loro città.

Era morto nel frattempo Francesco Sforza, e i Veneziani, che non avevano mai abbandonate le loro mire sulla Lombardia, desideravano in qualche modo ostacolare la successione di Galeazzo Maria. Per raggiungere questo scopo era necessario l'appoggio di Firenze e questo non lo avrebbero mai ottenuto fino a quando in questa città dominavano i Medici. 
Accolsero quindi le richieste dei fuorusciti e non volendo mostrare di favorirli apertamente, finsero di congedare dal loro servizio il COLLEONI e lo indussero ad abbracciar la causa degli esuli, i quali assoldarono Ercole d' Este, Costanzo Sforza, figlio di Alessandro, signore di Pesaro, Marco Pio di Carpi, Galeotto Pico della Mirandola, Pino degli Ordelaffi di Forlì e Astorre Manfredi di Faenza.

Poichè questo movimento poteva turbar la pace e l'equilibrio politico d'Italia, il duca di Milano, Piero dei Medici e Ferdinando di Napoli, con l'approvazione del Pontefice Paolo II, il 4 gennaio del 1467 stipularono in Roma una lega difensiva ed affidarono il comando delle loro truppe a FEDERICO d'URBINO.

Il 10 maggio del 1467 Bartolomeo Colleoni alla testa di ottomila cavalli e seimila fanti passò il Po e  avanzò fin dentro nel territorio di Imola con il proposito poi di penetrare in Toscana dalla parte della Romagna. A fronteggiarlo venne Federico d' Urbino; ma l'uno e l'altro condottiero, già avanti d'età non volevano compromettere la loro riputazione di capitani con una battaglia decisiva e tiravano in lungo la guerra. A far sì che le operazioni fossero condotte con maggior sollecitudine ed energia si recò al campo dei collegati Galeazzo Maria Sforza, ma non essendo uomo di guerra avrebbe messo l'esercito a mal partito se all'inesperienza del duca non avesse supplito Federico con la sua prudenza.

I Fiorentini riuscirono ad allontanare lo Sforza dal teatro delle operazioni invitandolo a recarsi in Firenze per assistere ad alcune feste e diedero ordine a Federico d' Urbino di venire a battaglia con il nemico. 
Lo scontro ebbe luogo il 25 luglio alla Molinella e fu violentissimo e cruento. Otto ore durò il combattimento, nel quale per la prima volta vennero usate le spingarde, e solo il sopraggiungere della notte divise i combattenti senza che da una parte o dall'altra fosse conseguito alcun vantaggio.

In questo frattempo il duca di Savoia, incitato dai Veneziani, faceva invadere dal fratello il Monferrato e minacciare il ducato di Milano allo scopo di impedire al nuovo nemico d'invadergli i domini. Galeazzo Maria Sforza con quattromila cavalli e cinquemila fanti tornò in Lombardia, e, alleatosi col marchese del Monferrato, tenne in rispetto il principe sabaudo fin quando, nel novembre del 1467, per l' intromissione del re di Francia, si riconciliò con lui.

Durava intanto la guerra tra Venezia e Firenze, ma l'una e l'altra sentivano gran bisogno di pace sia per le grosse somme che richiedeva il mantenimento degli eserciti, sia perché nessun vantaggio avevano ricavato né speravano di conseguirne. Si fece mediatore tra i belligeranti il duca BORSO d' ESTE, ma il Pontefice, dopo di aver segretamente ostacolato i negoziati, volle aver lui l'onore della conclusione del trattato, e il 2 febbraio del 1468 lo pubblicò sotto forma di sentenza.
 Agli articoli di pace Paolo II aggiunse la condizione che il Colleoni fosse creato generalissimo dei Cristiani contro i Turchi con uno stipendio annuo di centomila fiorini che doveva essergli corrisposto dalla Santa Sede, dai Veneziani, dal re di Napoli, dal duca di Milano, dai Fiorentini, dai Senesi, dal duca di Modena, dal marchese di Mantova e dai Lucchesi. Questa condizione non fu però accettata da nessuno dei convenuti e il Pontefice si vide costretto a toglierla dal trattato che venne ufficialmente sottoscritto in Roma l' 8 maggio.

"" Il governo dei Medici - scrive il Sismondi -  non solo non restituì ai fuorusciti fiorentini i beni confiscati e non li riammise in patria, ma prese anzi occasione da questa guerra per farsi più tirannico ed arbitrario e per infierire contro un gran numero di cittadini non condannati nelle prime sentenze. 
I Capponi, gli Strozzi, i Pitti, gli Alessandri e i Soderini, che non erano stati inclusi nelle prime condanne, furono compresi in quelle emesse nell'aprile del 1468. 
Vere o supposte trame per occupare ora Pescia, ora Castiglionchio vennero punite col supplizio di molti. L'amministrazione della giustizia era divenuta venale, i magistrati lungi dal proteggere il popolo, ormai non sembravano istituiti che per soddisfare le private passioni opprimendo tutti coloro che avevano la sventura di eccitare l' invidia o la cupidigia dei potenti. 

Piero de' Medici, trattenuto quasi continuamente nella, sua villa di Careggi dalla violenza della malattia, non conosceva interamente le angherie che attraverso la sua autorità e in suo nome si commettevano, e d'altra parte nelle condizioni in cui era non avrebbe saputo come porvi rimedio. La gotta lo aveva paralizzato. Soltanto la sua mente era rimasta sana. I suoi figli, assai giovani, facevano già mostra di quell' ingegno che doveva renderli illustri, ma per la loro giovane età non potevano partecipare al governo e reprimere le prepotenze della loro fazione. 
Le splendide feste, le giostre, i tornei in cui si mostrarono questi giovinetti, distrassero per un po' di tempo il popolo dal pensiero della propria miseria; e siccome i letterati, che in questo secolo erano i soli celebratori della fama dei potenti, essi continuavano a ricever doni e stipendi da Piero, come ne avevano ricevuti da Cosimo; così tutti costoro gli diedero a Piero il nome di Mecenate, ne celebrarono l' indole, l' ingegno, la dottrina e lo ritrassero come il principale cittadino d' Italia solo perché era il più ricco ». (Sismondi)

Alla pace del maggio 1468 Piero dei Medici non doveva sopravvivere lungo tempo.  
Il 4 giugno del 1469 egli assisteva al matrimonio di suo figlio LORENZO con Clarice, figlia del romano Giacomo Orsini. Sei mesi dopo, il 2 dicembre, proprio quando stava ponderando di richiamar gli esuli e porre un freno alle prepotenze dei suoi partigiani, egli cessava di vivere.
 
Durante il tempo del suo governo, Firenze aveva accresciuto il suo territorio con l'acquisto di Sarzana. Questa piccola terra che domina i passi che dalla Toscana conducono nella Liguria e nell'Emilia, fin dal 1421 era in possesso dei Campofregoso; ma poi  il 28 febbraio del 1467 essa era stata venduta da Luigi di Campofregoso a Firenze per il prezzo di trentasettemila fiorini.


FERDINANDO DI NAPOLI E PAOLO II 
FEDERICO III IN ITALIA - GUERRA DI RIMINI 
LEGA ITALIANA CONTRO I TURCHI - BORSO D'ESTE

Chi più d'ogni altro si era opposto alla proposta papale di creare generalissimo BARTOLOMEO COLLEONI nella guerra contro i Turchi era stato FERDINANDO di Napoli. 
Questo sovrano nei primi anni del pontificato di Paolo II era vissuto in buona armonia con il Pontefice tanto che lo aveva vigorosamente aiutato nel 1465 a debellare la potente famiglia degli Anguillara la quale aveva usurpato alla Chiesa le terre che erano appartenute ai Prefetti da Vico. 

Dopo però i rapporti tra la Santa Sede e la corte di Napoli si erano alterati perché il Pontefice pretendeva da Ferdinando il pagamento del tributo, che questi invece si rifiutava di sborsare adducendo la miseria del reame e le spese sostenute nella spedizione contro gli Anguillara. 
I rapporti si inasprirono maggiormente nell'estate del 1468, quando il Papa cercò di impadronirsi della fortezza di Tolfa che dominava le miniere di allume. Allora Ferdinando si schierò in favore degli ORSINI che in questa impresa avversavano il Papa, e mandò in loro aiuto un nerbo di milizie comandato dal figlio Alfonso il cui intervento fece desistere il Pontefice dal suo proposito di occupare la fortezza con le armi e lo consigliò più tardi a comprarla per parecchie migliaia di ducati.

Ad inasprire ancor di più i rapporti tra il re di Napoli e il Pontefice contribuì la scabrosa successione malatestiana. SIGISMONDO MALATESTA morì il 13 ottobre del 1468. Non lasciando eredi legittimi, i suoi domini - in base al trattato fatto con il papa del novembre 1463 e che pose fine alla guerra tra i due- dovevano passare alla Chiesa; invece Isotta, che era stata da Sigismondo sposata nel 1456, si rifiutò di cedere Rimini e scrisse segretamente al figliastro Roberto, che allora militava proprio al servizio di Paolo II, di venire a prendere il governo della città.

ROBERTO MALATESTA seppe abilmente giocare il Pontefice: dichiarandosi fedele solo a lui, gli promise di togliere la città alla matrigna e, ottenuto un migliaio di fiorini per le spese di guerra, partì alla volta di Rimini, che si diede a lui e lo gridò signore. Padrone della città e sicuro dell'appoggio del re di Napoli, di Firenze e di Federico da Montefeltro del quale era genero, Roberto non volle più cederla al Papa, che si vide costretto a muover guerra al suo ex-condottiero per costringerlo all'osservanza dei patti.
La guerra non scoppiò subito, occorreva del tempo al Pontefice per trovare alleati ed allestire un esercito. Inoltre c'era una imprecisa preoccupazione.

 Infatti nello stesso periodo stava scendendo in Italia l' imperatore FEDERICO III, il quale - così si diceva- voleva andare in pellegrinaggio a Roma per sciogliere un voto fatto durante l'assedio subito a Vienna. Conduceva con sé settecento uomini, coperti di gramaglie per la morte dell'imperatrice. 
Per Treviso e Padova andò a Ferrara dove giunse il 10 dicembre accolto con molti onori da Borso d'Este, poi per Ravenna, Loreto ed Ancona giunse a Roma; vi entrò la vigilia di Natale, ricevuto alla Porta del Popolo dal cardinale Bessarione. 
Paolo II,  forse diffidando dal vero scopo di quel viaggio imperiale a Roma, temendo chi sa che cosa, aveva concentrato truppe nella città; ma si tranquillizzò subito davanti al contegno umile di Federico, il quale in San Pietro seguì devotamente la messa di Natale, gli baciò i piedi e più tardi, secondo la consuetudine, gli tenne la staffa. L'imperatore non si trattenne a Roma che una quindicina di giorni, poi il 9 gennaio partì e allora il Pontefice riuscì a rivolgere il pensiero alla guerra di Rimini contro il Malatesta. 

Nella primavera del 1469 Paolo II concluse un'alleanza con Venezia, che gli inviò quattromila cavalli e tremila fanti e, affidato il comando dell'esercito a NAPOLEONE ORSINI e ad ALESSANDRO SFORZA, li mise in moto contro Rimini. 
Dal canto suo Roberto Malatesta ricevette notevoli aiuti da Napoli e da Milano. Galeazzo Maria gli inviò il fratello Tristano mentre Ferdinando di Napoli il figlio Alfonso; i quali unirono le loro milizie con quelle di Federico da Montefeltro. Quest'ultimo assunse il comando supremo e il 29 agosto, non solo non si fecero intimorire dal nemico ma furono loro ad assalirlo infliggendogli una completa sconfitta. 

 La disfatta delle sue armi acquietò gli umori bellicosi del Pontefice contro il Malatesta, ma gli fece nascere il desiderio di vendicarsi del re di Napoli suscitandogli contro il vecchio rivale Giovanni d'Angiò. Questi era allora impegnato in una pericolosa guerra in Spagna, tuttavia il conflitto non volgendo a suo favore, forse avrebbe dato ascolto alle proposte del Papa se il 16 dicembre del 1470, non fosse a Barcellona perito vittima di una epidemia.

Cinque mesi prima era caduta in mano dei Turchi Negroponte. Questo grave avvenimento, che facendo rivolgere ai Veneziani tutta la loro attenzione in oriente, veniva a privare il Pontefice degli aiuti di quella repubblica, fece sì che Paolo II rinunciasse all'idea di molestare il Malatesta col rischio di  suscitare una nuova guerra in Italia,  mentre era ora necessario pensare ad allontanare il pericolo turco. Pertanto propose a tutti gli stati italiani di costituire una lega difensiva contro i Turchi, la quale venne conclusa il 22 dicembre del 1470.

Il consiglio di costituire la lega era stato dato al Pontefice da BORSO d' ESTE. Paolo II, per ricompensarlo della mediazione prestata nel 1468 e per averlo ora aiutato a liberarsi onorevolmente dall'imbarazzo in cui lo aveva messo l' impresa contro il Malatesta, costituì la signoria di Ferrara in ducato dipendente dalla Santa Sede e diede a Borso - che per decreto imperiale era duca di Modena e Reggio - il titolo di DUCA DI FERRARA. 

La cerimonia dell' investitura ebbe luogo a Roma il 12 aprile del 1471. In San Pietro, Borso fu armato cavaliere, ricevette la spada da Tommaso, despota della Morea e fratello dell'ultimo imperatore d'Oriente, gli speroni da Napoleone Orsini e Costanzo Sforza, figlio del signore di Pesaro, infine dal Pontefice il mantello ducale e l'ordine della rosa d'oro.

Questa investitura fu l'ultimo atto politico di Paolo II. 
Egli cessò di vivere pochi mesi dopo, il 26 luglio di quell'anno; e un mese dopo il 20 agosto lo seguì nella tomba anche Borso d' Este; che prima di morire aveva designato come suo successore il fratello ERCOLE, prode condottiero, figlio di Niccolò III d' Este e di Ricciarda di Saluzzo.
Che come vedremo in una pagina del prossimo capitolo non ebbe vita facile nella successione.

Abbiamo accennato sopra del pericolo turco e della Lega contro i Turchi
ed ora propria ai Turchi dobbiamo ritornare, che fin dal 1463 stanno impegnando i veneziani

ci aspetta quindi il periodo che va dal 1465 al 1479 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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