ANNI 1469 - 1481

LA CONGIURA DEI PAZZI

 
LORENZO E GIULIANO DEI MEDICI. - COLPO DI MANO DI BERNARDO NARDI IN PRATO. - RIVOLTA DI VOLTERRA. - IL PONTEFICE ACQUISTA IMOLA E SI DISGUSTA CON LORENZO DE' MEDICI. - LEGA TRA FIRENZE, MILANO E VENEZIA. - SISTO I`, FERDINANDO I DI NAPOLI E FEDERICO D' URBINO. - LA FAMIGLIA DEI PAZZI - I PAZZI CONGIURANO CON GIROLAMO VIARIO E FRANCESCO SALVIATI CONTRO I MEDICI. - ALTRI COMPLICI DELLA CONGIURA. - ASSASSINIO DI GIULIANO DEI MEDICI. -STRAGE DEI CONGIURATI. - SISTO IV SCOMUNICA LORENZO DE' MEDICI E LANCIA L'NTERDETTO SU FIRENZE. - LA " SINODUS FIORENTINA". - INFELICE GUERRA DI FIRENZE CONTRO IL PAPA E IL RE DI NAPOLI. - LORENZO DE' MEDICI VA A NAPOLI E CONCLUDE LA PACE CON FERDINANDO. - I TURCHI PRENDONO OTRANTO - RICONCILIAZIONE DEL PAPA CON FIRENZE. - LIBERAZIONE DI OTRANTO

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LORENZO E GIULIANO DE' MEDICI


Piero de' Medici, grazie al suo prestigio in vita si era garantito un solido potere personale, e morendo, cedeva ai suoi discendenti non solo una eredità naturale, ma appoggiato da una specie di plebiscito popolare quell'eredità che era l'inizio di un processo di rinnovamento la lasciava in mano ai due figli: LORENZO e GIULIANO. Il primo di ventuno anni, il secondo di sedici, i quali continuarono ad esercitare a Firenze quel potere che il padre e il nonno avevano sempre tenuto. Dei due chi veramente governava era Lorenzo che giovandosi dei consigli e dell'autorità di eminenti cittadini, quali Tommaso Soderini, Giovanni Canigiani ed Antonio Pucci, seppe rafforzare la posizione della propria famiglia e, malgrado l'età giovanissima, dar prova di senno, di abilità e di grandissimo tatto politico.

In verità le noie e le opposizioni a Lorenzo non mancarono, specie nei primi anni dopo la morte di Piero, ma la facilità con cui egli vinse alcuni tentativi di sedizione è la prova più evidente che a Firenze, allora, e in altre città della Toscana che obbedivano ai Fiorentini non era sentito il bisogno di novità e che i più erano devoti ai Medici o contenti del governo mediceo.

Uno di questi tentativi di sedizione fu fatto nel 1470 dal fuoruscito BERNARDO NARDI; riuscì a penetrare in Prato con un gruppo di armati, ad occupare la fortezza e il palazzo del comune e a far prigioniero il podestà fiorentino Cesare Petrucci; ma il popolo non si mosse e non volle far causa comune con i fuorusciti, e molti fiorentini che vivevano in Prato, guidati da Giorgio Ginori, poterono facilmente sbaragliare i nemici, liberare il podestà e impadronirsi del Nardi, che, condotto a Firenze, vi fu decapitato.

Più grave fu la ribellione scoppiata a Volterra, il 21 aprile del 1472 a causa di certe miniere di allume. Contro il parere di Tommaso Soderini che consigliava un accomodamento, Lorenzo de' Medici volle che Volterra venisse ricondotta all'obbedienza con le armi, fece votare centomila fiorini per le spese della guerra e spedì contro la città ribelle un esercito capitanato da FEDERICO d'URBINO, il quale, impadronitosi senza grande difficoltà dei castelli del territorio, assediò Volterra e la ebbe poi stipulando dei patti il 18 giugno.
Malgrado la promessa di rispettare i cittadini e i loro beni, Volterra fu data ugualmente al saccheggio; l'antico palazzo dei vescovi venne abbattuto e sul posto dove sorgeva fu eretta la rocca che tuttora esiste. 

""  Fu la novella di questa vittoria - scrive il Machiavelli - con grandissima allegrezza dai Fiorentini ricevuta, e perchè l'era stata tutta impresa di Lorenzo, ne salì quello in riputazione grandissima: onde che uno dei suoi intimi amici rimproverò a messer Tommaso Soderini il consiglio suo, dicendogli: Che dite voi ora che Volterra si è acquistata? A cui messer Tommaso rispose: A me pare ella perduta perchè, se voi lo, ricevevi d'accordo, voi ne traevi utile e sicurtà; ma avendola a tenere per forza, nei tempi avversi vi porterà debolezza e noia e nei pacifici danno e spesa ».

Osservazioni assennate quelle del Soderini: però, sembravano fuor di posto data la potenza della famiglia dei Medici e lo stato in cui era ridotto il governo repubblicano della città, il quale sussisteva soltanto di nome. Di fatto la signoria era un organo mediceo. I Medici nominavano cinque elettori che facevano i gonfalonieri e i priori senza consultare né tener conto del popolo, di modo che non vi era più alcun legame tra  rappresentati e rappresentanti. Inoltre era stata diminuita l'autorità dei priori ed accresciuta invece quella del gonfaloniere, che era sempre una creatura de' Medici; la balia da magistrato straordinario era divenuta permanente e ad essa erano stati attribuiti non solo il potere legislativo, ma anche l'amministrativo e il giudiziario.

Padrone quasi assoluto di Firenze Lorenzo cercò di estenderne il territorio dalla parte della Romagna, acquistando Imola; che era caduta nelle mani di Galeazzo Maria Sforza e dalla quale nel 1472 era stato cacciato il signore Taddeo Manfredi. Il tentativo però di acquistare questa città non solo non doveva riuscirgli, ma doveva, procurargli un nemico: SISTO IV.

Questo Pontefice, che aveva fatto base di tutta la sua politica il nepotismo e che aveva, non appena ricevuta la tiara, dato il cappello cardinalizio a due suoi nipoti, andava sollecitando lo Sforza affinchè gli vendesse Imola, che voleva dare in signoria a Girolamo Riario, suo nipote. 
Lorenzo de' Medici, sapendo che il Papa non avrebbe potuto sborsare per comprare  Imola quella somma che lo Sforza chiedeva, pregò la famiglia. fiorentina dei Pazzi, che erano i tesorieri della Santa Sede, di non fornire al Pontefice i denari occorrenti. 
I Pazzi glielo promisero, ma poi non solo misero a disposizione. del Pontefice trentamila ducati, ma lo informarono della raccomandazione dei Medici, facendo sì che i rapporti tra Sisto IV e Lorenzo, fino allora cordiali, si incrinassero. Con la somma ricevuta dai Pazzi, alla quale aggiunse altri diecimila ducati, Sisto IV comprò da Galeazzo Maria Sforza la città di Imola che poi diede al nipote Girolamo Riario (1473).

I rapporti tra il Pontefice e Lorenzo dei Medici si fecero più tesi l'anno dopo, quando il cardinale Giuliano della Rovere, per ordine del Papa di cui era nipote (futuro papa Giulio II) , si recò ad assediare Città di Castello tenuta da Niccolò Vitelli. 
Lorenzo, temendo che il Pontefice, impadronitosi di quella città, rivolgesse le armi contro Borgo San Sepolcro che Eugenio aveva ceduta a Firenze, mandò aiuti al Vitelli e per mezzo del duca di Milano fece si che Sisto accordasse buone condizioni ai suoi protetti.

Il Pontefice, che aveva cercato di farsi amico Galeazzo Maria, fidanzando alla di lui figlia naturale Caterina il nipote Girolamo, non rimase certo contento nel vedere il duca milanese appoggiare la politica medicea. Il suo malcontento si mutò in vivissima apprensione quando seppe che il 2 novembre del 1474 tra i Medici, Milano e Venezia era stata stipulata una lega difensiva ("Santissima Lega") per venticinque anni. 
Allora, per non rimaner solo, si procurò l'amicizia del re Ferdinando di Napoli, e, allo scopo di legarlo maggiormente a sé, gli condonò il tributo accontentandosi dell'invio annuo di una chinea bianca e acconsentì che il nipote Leonardo della Rovere, fratello del cardinale Giuliano, sposasse una figlia naturale del sovrano che gli portò in dote la città di Sora. Non contento di questa alleanza, un'altra se ne procurò: quella di Federico d' Urbino. A questo famoso condottiero nel 1474 conferì il titolo di duca e alla figlia di lui fidanzò Giovanni della Rovere, altro suo nipote, al quale assegnò il vicariato di Sinigaglia e Mondavio.

Mentre il Pontefice cercava di rafforzare con queste alleanze e questi parentadi la sua posizione e quella della sua famiglia, sempre più aspri diventavano i suoi rapporti con Lorenzo de' Medici. Egli non soltanto si era rifiutato di conferire la porpora cardinalizia a Giuliano de' Medici, ma ora toglieva ai due fratelli l'amministrazione del tesoro della Santa Sede e l'affidava invece alla famiglia dei Pazzi alla quale era grato per il prestito ricevuto e che volentieri favoriva sapendola rivale dei Medici.

Era allora quella dei PAZZI tra le famiglie più ricche e potenti di Firenze. Capo di essa era JACOPO che aveva sette nipoti: Guglielmo, Francesco, Renato, e Giovanni figli del fratello Antonio, e Andrea, Nicolò e Galeotto, figli del fratello Pietro. A Guglielmo era stata data in moglie da Cosimo de' Medici, con lo scopo di unire le due famiglie, la nipote Bianca, figlia di Piero; Lorenzo invece non aveva voluto seguire la saggia politica del suo avo e, temendo che i Pazzi con l crescere della loro potenza e ricchezza gli togliessero il potere, li aveva sempre esclusi dalle pubbliche cariche, anzi per impedire che le loro ricchezze crescessero, avendo Giovanni dei Pazzi sposata l'unica figlia ed erede di un Giovanni Borromei, ricchissimo cittadino, fece stabilire per legge, quando venne a morte il Borromei, che i nipoti di sesso maschile dovessero essere privilegiati nell'eredità alle figliuole di un padre morto ab intestato, e diede a questa legge effetto retroattivo, cosicché il Pazzi perdette l'eredità del suocero, il quale non aveva creduto necessario di fare un testamento in favore della sua unica figlia (1476).

Questa legge proposta da Lorenzo acutizzò l'odio che i Pazzi nutrivano contro i Medici ed uno di loro, FRANCESCO, cominciò a volgere nella mente pensieri di vendetta; lui abitava per ragioni di commercio in Roma e qui era divenuto intimo di GIROLAMO RIARIO, nipote di Sisto IV, il quale non solo odiava Lorenzo, perché aveva cercato di impedirgli l'acquisto di Imola, ma temeva anche che, alla morte del Papa, venisse spogliato, per opera dei Medici, dei suoi domini in Romagna.

Spinti dall'odio a vendicarsi dei Medici, il Pazzi e il Riario facilmente riuscirono a trarre dalla loro parte FRANCESCO SALVIATI. Aveva, questi, seri motivi di dolersi di Lorenzo. Al Salviati il Pontefice avrebbe voluto dare l'arcivescovado di Firenze, ma il Medici l'aveva fatto dare al cognato RINALDO ORSINI. Nominato poi arcivescovo di Pisa, per l'opposizione di Lorenzo aveva dovuto sospirare tre anni prima che l' investitura gli fosse concessa.

Mentre costoro pensavano il modo migliore di liberare Firenze dai due fratelli Medici, Lorenzo cercava di costringere i Senesi a chieder la protezione dei Fiorentini. Difatti indusse il condottiero CARLO FORTEBRACCIO, che era allora uscito dal servizio dei Veneziani, a gettarsi nel territorio di Siena, sperando che questa città avrebbe chiesto contro l'invasore l'aiuto di Firenze. Siena invece si rivolse al Pontefice e al re di Napoli che le inviarono truppe, e il Fortebraccio allora, lasciata l'impresa a cui s'era cacciato per conto dei Medici, ne tentò per conto proprio un'altra: la conquista di Perugia. Ma non gli riuscì, anzi le truppe pontificie andarono ad assediare il suo castello di Montone e nel settembre del 1477 l'espugnarono e smantellarono.

Nel frattempo Francesco Pazzi, Girolamo Riario e Francesco Salviati erano intenti a meditar sull'impresa che avrebbe dovuto abbattere la potenza dei Medici. Sperare nelle armi dei fuorusciti era inutile: fatti recenti anzi mostravano che un'aggressione esterna, avrebbe rafforzata maggiormente la potenza medicea e provocate nuove morti e nuovi esili; ingenuità era pure pensare di potersi servire dei mezzi legittimi, e anche trovare un uomo coraggioso che reclamasse in nome delle leggi il ripristino della libertà, null'altro si sarebbe ottenuto che la rovina di colui che avesse osato levare alta la voce; né dava speranza di successo un tentativo di sedizione, perché segretamente non si sarebbe potuta preparare la rivolta, data la buona sorveglianza che il partito dei medici esercitava nella città e nel territorio. 

«Non v'era altra via di libertà a Firenze - sono parole del Sismondi - che quella di toglier di mezzo i due Medici, uccisi i quali era certo che i cittadini avrebbero approvato l'opera dei congiurati. Il recente esito della congiura di Milano, lungi dal togliere animo ai cospiratori, ispirava loro fiducia perché aveva dimostrato come fosse facile sopprimere un tiranno. Se dopo l'assassinio di Galeazzo Sforza i Milanesi non si erano sollevati, ciò era forse dovuto al fatto che il popolo di Milano Ludovico lo considerava, sebbene odioso, come suo legittimo signore, mentre i Medici non osavano neppure dichiarare di stimarsi superiori ai loro concittadini ».

Avendo deciso di uccidere Giuliano e Lorenzo dei Medici, i tre congiurati furono del parere che era necessario procurarsi il consenso e l'appoggio di Jacopo, capo della famiglia dei Pazzi. A informare il vecchio zio della trama, fu incaricato Francesco de' Pazzi, il quale si recò appositamente a Firenze. Difficile fu la sua missione, dal momento che, Jacopo, pur odiando immensamente i Medici, comprendeva quanto pericolosa fosse l' impresa e si decise ad approvarla ed appoggiarla solo quando da GIAMBATTISTA da MONTESECCO capitano pontificio, ebbe assicurazione che il Papa aveva promesso di dare man forte ai cospiratori.

FRANCESCO de' PAZZI, ottenuta l'adesione dello zio, se ne tornò a Roma per prendere gli ultimi accordi con SISTO IV, GIROLAMO RIARIO e l'ambasciatore del re di Napoli, il quale non solo era consapevole della trama, ma aveva anche assicurato di cooperare validamente nell'impresa. Perchè questa riuscisse si venne nella determinazione di concentrare un esercito pontificio nel territorio di Perugia con il pretesto di continuare le operazioni guerresche contro Carlo Fortebraccio, di fare raccoglier milizie da Lorenzo Giustini di Città di Castello, rivale di Niccolò Vitelli, di mandar truppe in Romagna sotto il comando di Gian Francesco da Tolentino e di inviare a Firenze Francesco de' Pazzi, l'arcivescovo Salviati e Giambattista da Montesecco per accrescere il numero dei congiurati e aspettare il momento propizio per mettere in esecuzione la trama.

Tra coloro che il Pazzi e il Salviati riuscirono a tirare dentro nella congiura ci furono JACOPO BRACCIOLINI, figlio del celebre storico Poggio, due Salviati, uno fratello e l'altro cugino dell'arcivescovo, Bernardo di Bandino Baroncelli e Napoleone Francesi, giovani audacissimi e devoti alla famiglia Pazzi, Antonio Maffei, prete volterrano, che odiava Lorenzo per il saccheggio inflitto alla sua patria, e Stefano Bagnone di Montemurlo, precettore di una figlia naturale di Jacopo de' Pazzi. Di questa famiglia soltanto Renato ricusò di entrare nella congiura e si ritirò in una sua villa.

Per mettere in esecuzione il disegno occorreva che si presentasse l'occasione di sorprendere insieme e contemporaneamente uccidere i due fratelli, perché era pericoloso lasciare in vita uno di essi. Una occasione si presentò nella primavera del 1478, quando il cardinale Raffaele Sansoni, figlio di una sorella di Girolamo Riario, recandosi da Pisa a Perugia, dov'era stato nominato legato, si trovò a passare, non a caso, da Firenze. 
Jacopo dei Pazzi invitò il cardinale ad un banchetto in una sua villa presso Fiesole ed estese l' invito ai due fratelli Medici. LORENZO vi andò; ma non vi si recò GIULIANO perché indisposto. Allora l'assassinio fu rimandato. Alcuni giorni dopo Lorenzo de' Medici invitò il cardinale Sansoni ad un convito nel suo palazzo di Firenze per la domenica 26 aprile e i congiurati decisero di fare il colpo quel giorno. Avendo però all'ultimo saputo che Giuliano non vi sarebbe intervenuto, mossi dal timore che la congiura potesse scoprirsi. ritardandone l'esecuzione, stabilirono di tentare il colpo la mattina di quella stessa domenica nella chiesa di Santa Reparata durante la Messa.

Francesco de' Pazzi e Bernardo di Bandivo Baroncelli si incaricarono di uccidere; Giuliano, mentre l'incarico di assassinare Lorenzo era stato dato a Giambattista Montesecco, ma questi, quando seppe che l'uccisione doveva aver luogo in una chiesa e nel momento in cui si celebrava la messa, si rifiutò di commettere un sacrilegio. Fu allora affidato l' incarico ad Antonio Maffei e a Stefano di Bagnone. 
Il delitto doveva esser compiuto nel momento in cui il sacerdote alzava l'Ostia consacrata, perché le due vittime, trovandosi inginocchiate e a capo chino, con maggior facilità potevano essere assalite. Nel frattempo l'arcivescovo Salviati, Jacopo Bracciolini ed altri cospiratori dovevano occupare il Palazzo della Signoria e Jacopo de' Pazzi doveva mettere a rumore la città.

La mattina del 26 i congiurati erano già in chiesa; già questa era gremita di popolo; erano giunti il cardinale Sansoni e Lorenzo de' Medici; ma Giuliano, sebbene il divino sacrificio fosse incominciato, non era accora arrivato. Francesco de' Pazzi e Bernardo di Bandivo, temendo che il ritardo del minore dei fratelli facesse andare a monte l' impresa, andarono in casa a trovarlo e lo condussero nel tempio.
"" E' cosa veramente degna di memoria - osserva il Machiavelli - che tanto odio, tanto pensiero di tanto eccesso si potesse con tanto cuore e con tanta ostinazione di animo da Francesco e da Bernardo ricoprire; perché, condottolo nel tempio, e per la via e nella chiesa con motteggi e giovanili ragionamenti lo intrattennero: nè mancò Francesco, sotto colore di carezzarlo, con le mani e con le braccia stringerlo, per vedere se lo trovava o di corazza o d'altra simile difesa munito».

Giuliano, di natura timidissimo, soleva sempre portare il giaco sotto le vesti, ma quel giorno, per il fatto che pativa d'un male ad una gamba, non aveva indossato alcuna armatura ed aveva, lasciato a casa il coltello da caccia perché fastidiosamente gli batteva sulla gamba inferma.
Entrato in chiesa, Giuliano si accostò all'altare; Francesco de' Pazzi e Bernardo di Bandivo si tennero vicini a lui; Antonio Maffei e Stefano di Bagnone si misero accanto a Lorenzo. 

Quando il sacerdote alzò l'Ostia, Bernardo con uno stilo ferì nel petto Giuliano, che tentò di fuggire, ma, fatto qualche passo, cadde e Francesco de' Pazzi gli fu subito addosso e lo trafisse ripetutamente con un pugnale e con una tale furia menò i colpì che si ferì lui stesso.

Contemporaneamente Antonio e Stefano assalivano Lorenzo e riuscivano a colpirlo leggermente al collo; ma Lorenzo riuscì a sfuggire con prontezza agli altri colpi, anzi avvoltosi il mantello intorno al braccia sinistro, sguainò la spada e cominciò a difendersi gagliardamente, spalleggiato dai suoi scudieri Andrea e Lorenzo Cavalcanti.

Sbigottiti, Antonio Maffei e Stefano di Bagnone si diedero alla fuga ; allora BERNARDO di BANDINO corse verso Lorenzo ed uccise FRANCESCO NORI che gli sbarrava il passo. Il sacrificio del Nori fu la salvezza di Lorenzo, il quale con alcuni fedeli, tra cui era il poeta ANGELO POLIZIANO, si rifugiò nella sagrestia. Il Poliziano ne chiuse la porta ed Antonio Ridolfi, temendo che i pugnali degli assassini fossero avvelenati, animosamente succhiò il sangue dalla ferita di Lorenzo e poi la fasciò. 
Nel frattempo gli amici dei Medici, che erano sparsi nella chiesa, si raccoglievano e quando si videro in buon numero sguainarono le spade e, avvicinatisi alla sagrestia, bussarono alla porta, dicendo a Lorenzo che aprisse e si mettesse alla loro testa prima che i nemici si facessero più numerosi. Ma Lorenzo, temendo di essere ingannato, si rifiutava. Un SISMONDI della STUFA, a lui devotissimo, salito per la scala dell'organo ad una finestra che dava nella chiesa, riuscì a costatare che quelli che bussavano erano veramente amici e allora furono aperte le porte e Lorenzo sotto buona scorta fu condotto a casa.

Mentre Lorenzo de' Medici era chiuso in sagrestia, l'arcivescovo SALVIATI coi suoi parenti, il BRACCIOLINI ed altri cospiratori, quasi tutti perugini, si recava al Palazzo della Signoria. L'alto prelato giuntovi, lasciava a pianterreno alcuni congiurati con l'ordine di occupare la porta principale appena sentissero rumore di sopra, poi con gli altri saliva verso le stanze dei priori, teneva con sé il Bracciolini e ordinava ai rimanenti di rimaner nascosti nella sala dei cancellieri. Allora si verificò un caso strano che mandò a monte l' impresa dell'arcivescovo. Per meglio nascondersi, quelli che rimasero nella cancelleria chiusero la porta, ma questa era congegnata in modo da non potersi riaprire se non con la chiave, di modo che tutti coloro che dovevano al momento opportuno prestar manforte al Salviati rimasero involontariamente in trappola.

L'arcivescovo intanto faceva dire al Gonfaloniere Cesare Petrucci che desiderava  parlargli per riferirgli alcune cose in nome del Pontefice. Introdotto davanti al magistrato, il Salviati non riuscì a nascondere il proprio turbamento. Il Petrucci che, dopo il caso capitatogli a Prato, era divenuto molto sospettoso, si accorse dello strano contegno dell'arcivescovo e, sospettando qualche tranello, con un balzo si mise in salvo fuori dal suo ufficio.

Imbattutosi nel Bracciolini, lo prese per i capelli, lo ridusse all' impotenza e chiamata la guardia lo consegnò ad essa quindi fece chiudere le porte e tutti i nemici che stavano nel piano superiore vennero facilmente catturati. 
Non così fu di quelli rimasti a pianterreno, i quali, al rumore, occuparono la porta e vi si trincerarono dietro. Ma l'impresa poteva considerarsi fallita. Bernardo di Bandino Baroncelli, visto salvo Lorenzo e ferito Francesco de' Pazzi, senza pensare d altro si diede alla fuga e riuscì a mettersi in salvo.

 Francesco riuscì a trascinarsi in casa ma quando poi tentò di montare a cavallo per mettersi  a correre in città con i suoi armati si trovò così debole che fu costretto a mettersi a letto. Pregato dal nipote, sebbene vecchio, Jacopo Salviati montò in sella e seguito da un centinaio di uomini si mosse verso la piazza dei Signori chiamando il popolo alle armi in nome della libertà. 
Ma nessuno rispose al suo appello; dall'alto della torre del Palazzo fu accolto a sassate e per giunta lo stesso suo cognato, un Serristori, lo rimproverò del tumulto che aveva provocato. Avvilito e senza speranza di appoggi, Jacopo con i suoi lasciò immediatamente Firenze e si avviò verso la Romagna.

Gli amici dei Medici, rincuorati dal contegno del popolo, accorsero armati in piazza gridando: Palle ! Palle ! (l'insegna e il grido della famiglia de' Medici). 
Fu il segnale della reazione, che si scatenò con una furia spietata: quelli che erano stati catturati nel palazzo furono impiccati alle stesse finestre e poi gettati sulla piazza; Francesco de' Pazzi, sebbene moribondo, fu strappato dal suo letto, condotto da una turba inferocita al palazzo e qui anche lui ad una finestra impiccato; alla medesima finestra subì la stessa sorte l'arcivescovo Salviati.

La plebe, ormai assetata di sangue, andava in cerca di tutti coloro che in qualche occasione si erano mostrati oppositori dei Medici o avevano professato amicizie con i congiurati; uccideva i sospetti, trascinava i cadaveri per le vie, ne portava le membra come trofei, infisse sulle lance.

Il giovane cardinal SANSONI, che nulla sapeva della congiura, si era rifugiato sopra l'altare e a stento era stato dai preti sottratto all'ira popolare; Guglielmo de' Pazzi aveva cercato asilo nelle case di Lorenzo, suo cognato, ed ebbe salva la vita per le preghiere di sua sorella Bianca; Renato, sebbene non avesse avuto parte nella trama e si fosse ritirato in una sua villa, per timore era fuggito travestito da contadino, ma, riconosciuto, era stato preso e condotto a Firenze ove fu giustiziato col capestro al collo; anche JACOPO fu preso dai montanari mentre tentava di valicare l'Appennino e a nulla valsero né i premi promessi né le preghiere rivolte a coloro che l'avevano catturato, perché l'uccidessero subito: subì la sorte del nipote Renato, l'ultimo giorno di aprile, quattro giorni dopo la congiura, durante il quale circa un centinaio di suoi amici erano già stati impiccati.

Il cadavere di Jacopo fu prima sepolto nella tomba di famiglia, poi, avendo qualcuno affermato di aver sentito il Pazzi bestemmiare prima di essere impiccato, fu dichiarato indegno di riposare in terra sacra, venne tratto dal sepolcro e interrato fuori le mura della città. Ma neppure qui ebbe pace: dissepolto ancora, fu trascinato nudo col capestro lungo le vie e da ultimo gettato in Arno.

Giambattista di Montesecco, dopo un lungo interrogatorio, fu decapitato; Napoleone Francesi riuscì a salvarsi con la fuga; Guglielmo de' Pazzi venne confinato e i suoi cugini, che erano rimasti vivi, chiusi nella fortezza di Volterra; Bernardo di Bandino Baroncelli, che era riuscito a fuggire a Costantinopoli, fu da Maometto II consegnato a Lorenzo de' Medici e il 29 dicembre del 1479 e come tutti gli altri seguì la stessa sorte; venne impiccato ad una finestra del Bargello a Firenze.

GUERRA DI FIRENZE CONTRO IL PONTEFICE E IL RE DI NAPOLI


La congiura de' Pazzi rafforzò a Firenze l'autorità di Lorenzo de' Medici, ma suscitò contro di lui, due nemici implacabili: il Pontefice e il re di Napoli. SISTO IV era stato vivamente colpito dalla notizia dell'impiccagione dell'arcivescovo Salviati e dall'arresto del cardinal Sansoni, che i Fiorentini trattenevano malgrado nessuna prova ci fosse della sua complicità con i cospiratori. 
Fallite le pratiche avviate da Roma per ottenere la liberazione del cardinale, il 1° giugno del 1478 il Pontefice lanciò la scomunica contro Lorenzo de' Medici, il gonfaloniere, i priori, gli otto della balia e tutti coloro che si erano resi colpevoli dei malvagi delitti dell'aprile e minacciò di sottoporre Firenze all'interdetto se tutti costoro non fossero stati consegnati alle autorità ecclesiastiche entro il mese di giugno.

La signoria di Firenze restituì la libertà al cardinale, ma non obbedì alle altre ingiunzioni del Pontefice, il quale, il 1° di luglio, lanciò l' interdetto sulla città, proibì ai fedeli di avere rapporti con i Fiorentini, dichiarò sciolte le loro alleanze, vietò che ne fossero contratte di nuove e mise il veto ai soldati di recarsi al servizio in quella repubblica.

I Fiorentini non si erano lasciati intimorire dalle minacce pontificie: il 15 giugno, per mostrare che intendevano difendere anche con le armi le loro ragioni, avevano nominati i Dieci della Guerra nelle persone di Lorenzo de' Medici, Tommaso Soderini, Luigi Guicciardini, Bongianni Gianfigliazzi, Piero Minerbetti, Bernardo Bongirolami, Roberto Lioni, Gedo Serristori, Antonio Dini e Niccolò Fedini; quando poi fu proclamato l' interdetto, non solo ordinarono al loro clero di continuare a celebrare le funzioni sacre, ma riunirono un'assemblea di prelati toscani perché protestasse contro la sentenza del Pontefice e mandarono all'imperatore, al re di Francia, al re di Spagna e agli altri principi cristiani un documento noto sotto il titolo di Sinodus fiorentina, che è una terribile invettiva contro Sisto IV ed è incerto se fosse stato redatto da tutti i prelati o dal vescovo d'Arezzo o dall'arcivescovo di Firenze. Inoltre, per attestare il loro affetto a Lorenzo, deliberarono che gli fosse data una guardia del corpo di dodici uomini.

Forte dell'appoggio della sua città. Lorenzo si preparò alla guerra contro Sisto IV e Ferdinando di Napoli che prevedeva vicinissima. Egli contava sull'alleanza di Venezia e dello Sforza e sull'amicizia di Luigi XI re di Francia; ma i Veneziani, allora in guerra contro i Turchi, non gli mandarono che scarsissime milizie; il duca di Milano, preoccupato per la ribellione di Genova, si limitò a inviargli poche schiere comandate da Alberto Visconti e da Gian Giacomo Trivulzio; Luigi XI emanò un decreto col quale proibiva d'inviar denaro a Roma., rimise in campo l' idea di un concilio ecumenico da tenersi ad Orléans o a Lione e mandò come suo ambasciatore a Firenze il celebre storico Filippo di Comines con promesse di protezione.

Le operazioni guerresche ebbero inizio nel luglio del 1478. Sisto IV, cominciando le ostilità, dichiarò che egli moveva soltanto contro Lorenzo de' Medici e che se i Fiorentini lo avessero cacciato li avrebbe accolti nella lega contro il Turco. 
Firenze però non tenne in alcun conto la dichiarazione del Pontefice, raccolse milizie in Lombardia, assoldò Niccolò Orsini conte di Pitigliano, Corrado Orsini, Rodolfo Gonzaga ed altri capitani, rafforzò con guarnigioni i confini di Siena e del ducato d'Urbino, istituì un campo a Poggio Imperiale e diede il comando di tutte le sue forze al duca Ercole d' Este, il quale, per essere genero del re di Napoli, non era un comandante consigliabile in una guerra contro Ferdinando e il Pontefice.

Questi presero al loro soldo Roberto Malatesta di Rimini e Costanzo Sforza di Pesaro e nominarono capitano generale Federico d' Urbino, il quale con l'esercito napoletano guidato da Alfonso duca di Calabria penetrò nella Toscana, devastò la zona del Chianti, espugnò Rencina e Radda, costrinse alla capitolazione dopo quaranta giorni d'assedio la Castellina, si impadronì di Mortaio, Broglio e Cacchiano e cinse d'assedio Monte San Savino.
Importantissima era questa territorio, dominando le vie d'Arezzo, di Cortona, di Val d'Ambra e di Val d'Arno e non sarebbe stato difficile liberarla dalle minacce nemiche; ma Ercole d' Este, sebbene accampato a tre miglia con un esercito non inferiore a quello avversario, o per inettitudine o per segreti accordi coi nemici non si mosse e lasciò che San Savino, l' 8 novembre del 1478, si arrendesse.

Con la caduta di Monte San Savino ebbero termine le operazioni militari di quell'anno: i Napoletani e i Pontifici posero i loro quartieri d'inverno ai confini del Senese tra Foiano, Lusignano ed Asinalunga, i Fiorentini si ritirarono tra Olmo e Pulciano.
 Migliore non fu l'anno seguente per le armi di Firenze. Roberto di Sanseverino, Luigi di Campofregoso ed Ibletto Fieschi, istigati dal Pontefice, entrarono nella Lunigiana ed andarono ad assediare Sarzana, sostenuti più tardi dai fratelli Sforza e soltanto all'avvicinarsi di Ercole d' Este si ritrassero sull'Appennino, da dove dovevano muovere - come altrove si è detto - verso Tortona. 
È vero che riuscì ai Fiorentini di far passare al proprio soldo Roberto Malatesta e Costanzo Sforza e di ottenere da Venezia Carlo Fortebraccio e Deifobo dell'Anguillara; ma per le non mai spente rivalità tra bracceschi e sforzeschi dovette separare le milizie di Costanzo da quelle di Carlo, il che indebolì molto l'esercito fiorentino. 
Questo, rimasto sotto il comando di Sigismondo, fratello d' Ercole, che aveva nell'agosto fatto ritorno a Ferrara, fu il 7 settembre del 1479 assalito improvvisamente a Poggio Imperiale e completamente disfatto. Poggibonsi e Colle Val d' Elsa s'arresero ai Napoletani.

Mentre la guerra andava male per Firenze, Lorenzo de' Medici cercava con l'abilità della sua diplomazia di rialzar le sorti della sua città. In Francia mandava, per chiedere soccorsi a Luigi, Donato Acciaiuoli che però morto in viaggio fu sostituito con Guido Antonio Vespucci: ma questa ambasceria non otteneva nessun risultato; a Lucca inviava Piero di Neri Capponi, il quale a stento riusciva a convincere i Lucchesi alla neutralità; sollecitava invano aiuti da Giovanni Bentivoglio di Bologna e dal Manfredi di Faenza; si destreggiava tra Battista di Campofregoso, eletto doge di Genova, e la duchessa Bona di Savoia; induceva Venezia a protestare presso il Pontefice per la guerra di Toscana; e da ultimo cercava di fare scendere in campo contro il re di Napoli Renato II di Lorena, erede del vecchio Renato d'Angiò.

Questa instancabile attività diplomatica di Lorenzo era stata però molto sterile di risultati, né sapeva più a qual partito appigliarsi per rialzar la propria fortuna. Cedere alle pretese del Pontefice che, erano umilianti non era possibile; d'altro canto Firenze era ormai stanca di quella guerra così infelicemente sostenuta, sfinita dalle ingenti somme spese, preoccupata dai successi dei nemici che si erano impadroniti di numerose fortezze e avevano devastato i territori di Pisa e di Arezzo, la Val d' Elsa, la Valdinievole, la Val d'Arno, e la Lunigiana, e si cominciava a mormorare contro Lorenzo, cui si faceva risalire la causa di tanti guai. Perfino gli amici stessi dei Medici levavano la voce contro Lorenzo, a cui un giorno in pieno consiglio Girolamo Morelli osò dire: « La nostra città è omai stanca, non vuole più la guerra; non vuole più rimanere interdetta e scomunicata per difendere la vostra possanza ».

Essendo a tal punto lo stato delle cose, Lorenzo de' Medici pensò di recarsi a Napoli per tentare di staccar Ferdinando dall'alleanza col Papa, certo che, ottenuto ciò, Sisto IV non avrebbe avuto più la forza di continuar la guerra contro Firenze. Il 6 dicembre del 1479 egli convocò in palazzo quaranta dei principali cittadini, li mise a parte delle sue intenzioni e, raccomandata la città a Tommaso Soderini, che rivestiva la carica di gonfaloniere di giustizia, la sera stessa partì.

Il giorno dopo, da San Miniato, scrisse alla Signoria per prendere congedo, dipingendosi come una vittima che si offre in sacrificio per placare lo sdegno di potenti nemici. A Pisa trovò le credenziali mandategli dai Dieci della Guerra per negoziare con il re in nome della repubblica, poi andò a Livorno e si  imbarcò sopra una galea napoletana mandatagli dallo stesso sovrano. L' invio di questa nave ci prova come la missione di Lorenzo fosse stata preceduta e preparata da trattative con la corte di Napoli e come il Medici non andasse alla ventura e, in fin dei conti, sapesse di non affrontare un gran rischio.

Lorenzo de' Medici fu accolto a Napoli con grandissimi onori e al porto gli andarono incontro Federico secondogenito del re e il nipote Ferdinando. Il fiorentino ebbe frequenti e lunghi colloqui col sovrano e seppe persuaderlo che il reame di Napoli e la repubblica di Firenze avevano interesse di vivere in pace, di mantener l'equilibrio d' Italia e d'impedire ai Turchi per mezzo dei Veneziani e ai Francesi per mezzo dei Milanesi di penetrare nella penisola. 
Riguardo all'alleanza tra Ferdinando e il Pontefice, Lorenzo fece comprendere al re che essa non poteva durare a lungo data l'età avanzata di Sisto IV e che era meglio assicurarsi l'amicizia di una repubblica perché più stabile anziché quella della Santa Sede meno stabile a causa della breve vita dei Papi o della variazione della successione.

Il sovrano ammirò il giudizio e l' ingegno del suo ospite e comprese quanto fossero giusti e sereni i ragionamenti che il Medici gli andava facendo; tuttavia non volle subito pronunciarsi e lo trattenne presso di sé da dicembre a marzo per vedere se fosse vero quel che si diceva di Lorenzo, che cioè fosse odiato in Firenze, e se, durante l'assenza di lui, nascessero tumulti in quella città. Infine il 6 marzo del 1480 Ferdinando concluse con Lorenzo la pace tra il suo reame e la repubblica fiorentina. 
I Pazzi tenuti prigionieri a Volterra - a norma dei patti del trattato - dovevano essere rimessi in libertà e i Fiorentini dovevano pagare al duca di Calabria a titolo di soldo la somma annua di sessantamila fiorini, il re s'impegnava di restituire a Firenze le conquiste fatte durante la guerra e i due governi assicuravano a vicenda l' integrità dei loro stati.

Sdegnato invece si mostrò il Papa quando seppe della pace conclusa senza il suo consenso; ma non era in grado di continuare la guerra da solo e poco dopo sospese le ostilità contro Firenze pur mantenendo l' interdetto. Anche i Veneziani si rincrebbero con gli alleati Fiorentini per non essere stati consultati; ma questi non si curarono dello sdegno del Pontefice né delle lagnanze di Venezia e si mostrarono grati a Lorenzo, il quale, al suo ritorno, venne accolto come salvatore della patria.

Approfittando del suo successo e della benevola disposizione della cittadinanza, Lorenzo de' Medici si preoccupò di estendere la sua autorità. Il 12 aprile fece creare una nuova balia col proposito però di non crearne più per l'avvenire. Da questa balia fece attribuire la suprema autorità a un consiglio permanente di settanta cittadini, che con uno scrutinio formarono gli incarichi dei magistrati, e decisero pure che gli stessi dovevano durare quattro anni per conservare più a lungo coloro che erano capaci e ambivano a queste cariche. Col denaro pubblico furono pagati i debiti contratti da Lorenzo.

"" Nonostante la pace - scrive il Machiavelli - Alfonso duca di Calabria non abbandonava con il suo esercito Siena, mostrando essere trattenuto dalle discordie di quei cittadini, le quali furono tante che, dove egli era alloggiato fuori della città, lo ridussero in quella, e lo fecero arbitro delle differenze loro. Il duca, presa questa occasione, molti di quei cittadini punì in danari, molti ne giudicò alle carceri, molti all'esilio, ed alcuni alla morte; tanto che con questi modi egli diventò sospetto, non solamente ai Senesi, ma ai Fiorentini, che non si volesse di quella città far principe. Né vi si conosceva alcun rimedio trovandosi la città in nuova amicizia con il re, ed al papa ed ai Veneziani nemica. La qual supposizione, non solamente nel popolo universale di Firenze, sottile interprete di tutte le cose, ma nei principi dello stato appariva; ed afferma ciascuno, la città nostra non essere mai stata in tanto in pericolo di perdere la libertà. Ma Iddio, che sempre in simili estremità ha di quella avuta particolar cura, fece nascere un accidente insperato, il quale dette al re ed al papa ed ai Veneziani maggiori pensieri che quelli di Toscana". (Machiavelli).

Il 28 luglio del 1480 una numerosissima flotta turca si presentava davanti ad Otranto per punire il re Ferdinando degli aiuti prestati ai cavalieri di Rodi. Assalita dagli infedeli, Otranto si difese valorosamente per una quindicina di giorni, ma alla fine, sopraffatta dal numero dei nemici e battuta da poderose artiglierie, dovette cedere (1 agosto). Dei ventiduemila abitanti, dodicimila furono uccisi nel primo furore della vittoria; i fanciulli, che potevano esser venduti a caro prezzo, e gli adulti, dai quali si poteva ricavare una grossa taglia, furono fatti schiavi; l'arcivescovo Stefano e i preti perirono fra atroci tormenti.

L'attacco di Otranto da parte dei Turchi fu la fortuna di Firenze e di Siena, perché il duca di Calabria, richiamato dal padre, dovette lasciar Siena il 7 agosto per recarsi nelle Puglie a cacciarvi gli infedeli e così i Senesi riuscirono a riavere la loro libertà e i Fiorentini a rioccupare le terre perdute. Il Pontefice, che fino allora si era rifiutato di conciliarsi con Firenze, il 5 dicembre di quell'anno ricevette dodici ambasciatori della repubblica, che lo supplicarono del perdono, e, rappacificatosi coi Fiorentini, tolse l'interdetto dalla loro città.

Così tornava la pace in Italia, e il Pontefice che l'aveva turbata, preoccupato ora dalla presenza del Turco nella penisola e dalle voci che correvano di febbrili preparativi in Albania per una grande spedizione d'infedeli, si dava ad organizzare una lega italiana. Nella primavera del 1481 pubblicò le bolle di indulgenza e riscosse la decima della crociata; ma degli stati cristiani soltanto il re di Napoli e la Santa Sede mostrarono zelo per la guerra. Il primo - come si è detto - aveva richiamato dalla Toscana il duca di Calabria. Questi era giunto al 10 settembre del 1480 a Napoli e, rinforzato l'esercito con un paio di migliaia di Ungheresi mandatigli dal cognato Mattia Corvino, era sceso in Puglia ed aveva costretto settemila Turchi, comandati da Ariadeno, che minacciavano Brindisi, a chiudersi in Otranto, che fu assediata per terra dall'esercito di Alfonso e per mare da una flotta napoletana condotta da Galeazzo Caracciolo.

L'anno seguente le navi del re Ferdinando vennero rinforzate da una flotta pontificia comandata dal cardinale Paolo di Campofregoso. Questa squadra anziché  rendere più rigoroso il blocco di Otranto era destinata ad impedire lo sbarco di un esercito turco che si concentrava a Valona sotto gli ordini del pascià AHMET. 
L'intervento però delle navi del Campofregoso si rese superfluo, perché il 3 maggio del 1481 moriva MAOMETTO II presso Nicomedia e, scoppiata una guerra civile tra Bajazet II e Gem, figli del sultano, Ahmet abbandonava l' impresa d'Italia per correre in aiuto del primo.

Ariadeno, rimasto senza soccorso, si difese valorosamente per alcuni mesi, ma il 10 settembre del 1481 accettò gli onorevoli patti che gli si offrivano e consegnò Otranto al duca di Calabria.
Con la liberazione di Otranto cessava il pericolo turco; ma cessava anche quel breve periodo di pace in Italia che questo stesso pericolo era riuscito a produrre.

Dopo la congiura di Milano, e dopo quella di Firenze, 
anche nel Sud scoppia una congiura. Ma a precederla è la guerra di Ferrara.

ci attende il periodo che va dal 1481 al 1492 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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