ANNI 1500

 UN POPOLO DI NAVIGATORI
I VIAGGI DI ESPLORAZIONE DEL XIV - XV SEC.

RICOLDO DA MONTECROCE. - GIOVANNI DA MONTECORVINO. - FRATE ODORICO DA PORDENONE. - GIOVANNI DEI MARIGNOLLI. - VIAGGI AL SINAI. - NICCOLÒ DE' CONTI. - CATERINO ZENO - GIOSAFAT BARBARO. - AMBROGIO CONTARINI - LODOVICO DE VARTHEMA. - LANZAROTTO MARONCELLO, NICOLOSO DA RECCO, TEGGHIA DEI CORBIZZI. - ANTONIO MALFANTE, BENEDETTO DEI. - ALVISE DA CA' DA MOSTO E ANTONIOTTO USODIMARE. - ANTONIO DA NOLI. - CRISTOFORO COLOMBO E LA SCOPERTA DELL'AMERICA - AMERIGO YESPUCCI. - GIOVANNI E SEBASTIANO CABOTO
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VIAGGI IN ORIENTE

 Dopo gli eventi storici, dopo gli eventi culturali,  non possiamo chiudere la prima parte di questo fine  1400 con la quale ha termine la storia del Medioevo senza fare menzione dei viaggi e delle scoperte di Italiani in Oriente e in Occidente sia perché essi costituiscono una testimonianza superba dell'ardimentoso spirito della stirpe italiana, sia perché da essi ha in gran parte origine quella trasformazione delle condizioni di vita che distingue l'età di mezzo dall'evo moderno.

Mentre i Polo erano in Cina (questi viaggi del '300 li abbiamo già citati nel
PRECEDENTE CAPITOLO SUL '300)
...subito dopo il loro ritorno, nello scorcio cioè dei secolo XIII, altri tentavano le vie dell'Oriente. Non di tutti, anzi di pochi abbiamo notizia, ma numerosi dovettero essere i mercanti europei, specie italiani, che dai porti del Mar Nero e da quelli del Mediterraneo orientale, si spinsero, avidi di guadagni, verso l' interno dell'Asia, attirati anche dalla liberalità di certi sovrani asiatici. Genovesi e Pisani erano stabiliti alla corte persiana del re Argun godendovi stima e fiducia e a Bagdad costruttori e piloti genovesi preparavano flottiglie. Dei Veneziani qui non ne parliamo nemmeno, per i fatti dei Venedi, dobbiamo risalire al IV secolo a.C. quando ad Altino (i nomi dei suoi antichi sette rioni, sono le sette isole di Venezia) e Aquileia vi erano commercianti già cosmopoliti.
Quindi più di 2000 anni, che raccontiamo a parte in pagine dedicate alla Storia della Serenissima, alla sua quasi mitica Repubblica, alla sua Civiltà, e con le biografie di tutti i suoi 120 dogi.
(VEDI CRONOLOGIA DI VENEZIA) 
E se attivi erano i mercanti non inoperosi erano i missionari, che, dietro l'esempio delle missioni pontificie e francesi, tentavano di portar la fede nelle più lontane regioni dell'oriente, dove si sapeva che esistevano nuclei numerosi di cristiani, e anche i meno audaci, si inoltravano in tutte le terre dell'Asia anteriore e centrale.

Nella Mesopotamia e nella regione a sud del Mar Caspio, nell'ultimo decennio del secolo XIII, viaggia fra RICOLDO da MONTECROCE, soggiornando lungamente a Tabriz e a Bagdad. Verso il 1290 dalla Persia, dove si trova, un altro frate, GIOVANNI da MONTECORVINO, raggiunge per via  mare l'India, dimora per oltre un anno nel Coromandel, regione dove l'apostolo S. Tommaso aveva predicato ed era stato ucciso e in cui non erano scarse le comunità cristiane, poi si reca in Cina alla corte del successore di Kublai Khan e a Kambaluc (Pechino) fonda un arcivescovado e scrive in Europa dando notizie di sé, delle regioni visitate, della favorevole accoglienza ricevuta e sollecitando l' invio di altri religiosi per la propagazione della fede. E così altri missionari partono per l'estremo Oriente e nel 1308 vanno a coadiuvare il Montecorvino alcuni vescovi, fra cui ANDREA da PERUGIA che fonda la diocesi di Zayton.


Fra i missionari in Oriente dei primi anni del secolo XIV è degno di nota l'italiano frate ODORICO da PORDENONE. Egli parte da Trebisonda, che è diventato uno dei più importanti porti commerciali, verso il 1314 attraversa l'Armenia, seguendo probabilmente l' itinerario tenuto dai Polo nel loro ritorno, e giunge a Tabriz dove sono altri missionari cattolici e dove si trattiene parecchi mesi ; parte poi per Sultanieh e, dimorato qualche tempo in questa città, si reca a Yadz, in cui soggiorna non brevemente. Più tardi lo troviamo a Bagdad donde va ad Ormuz. 

La poca sicurezza che offrono i navigli di questo porto e che aveva sconsigliato i Polo a prender la via di mare non preoccupa il frate friulano, il quale, imbarcatosi, veleggia per l' Oceano Indiano, raggiunge e visita la costa del Malabar, sparsa di porti ricchi e popolosi, tocca l' isola di Ceylon e, passato nel mar del Bengala, si reca a Madras e poi a Sumatra, a Giava e, visitata forse in qualche punto Borneo, giunge alla Cocincina e a Canton, che lui chiama Censcalan. Da Canton il frate di Pordenone naviga a Zayton, sede d'un vescovado cattolico, a Fu-ciu, a Hang-ciu (la Quinsai ricchissima di Marco Polo), a Jang-ciu e, per il Canale Imperiale, che unisce la provincia del Mangi con la capitale, a Pechino. Qui Odorico dimora per ben tre anni, poi prende la via del ritorno, seguendo un itinerario che non conosciamo con sicurezza; attraversa per primo il Tibet misterioso, visita Lhassa e per la valle dell' Indo o per l'Afghanistan, penetrato in Persia, rivede la Mesopotamia e, nel 1330, dopo quindici anni circa di faticose peregrinazioni, sbarca a Venezia. Frate Odorico da Pordenone non è soltanto il missionario che pensa solo alla propagazione della fede; è anche un osservatore diligente e curioso. Egli sa di quanto interesse saranno le notizie che porterà in Europa e perciò nota ogni cosa: i costumi dei paesi, i culti di quei popoli lontani, la lingua, le razze, il clima, i prodotti della terra, la ricchezza e varietà dei commerci. 

Hong-ciu, così grande, la città più grande del mondo, lo sbalordisce; il porto di Canton lo riempie di maraviglia con l numero infinito di navigli che lo popolano; la ricca provincia della Cina meridionale fa sfilare davanti ai suoi occhi estatici città e paesi densi di popolazione, floridi per commerci ed industrie, pieni d'ogni sorta di vettovaglie. Di Pechino egli non si sazia di ammirare le bellezze, la città imperiale, i giardini, lo sfarzo della corte. Con stile disadorno, ma a volte efficace, descrive tutte le meraviglie vedute, le strane usanze, il fasto delle cacce e delle feste, confermando con la sua testimonianza la verità della relazione del Polo. Ma del grande viaggiatore veneziano non ha l'acutezza e l'esperienza. Egli guarda alla superficie delle cose, non penetra nell'anima del mondo orientale, dà molto posto alle favole, è minuzioso nel notare, ma la sua vista non spazia come quella di Marco Polo e non sono sempre le cose più interessanti quelle che lui registra.

Mentre frate Odorico da Pordenone risiede in Oriente, altri missionari europei vi si recano. La Persia e l' India in special modo sono la loro meta. GIOVANNI  di COR assume l'arcivescovado di Sultanieh, altri fanno centro della loro propaganda le città ospitali di Bagdad e di Tabriz, altri ancora cercano di convertire al cattolicesimo i numerosi cristiani tomisti sparsi sulle coste del Coromandel e del Malabar. E non a tutti riesce agevole l'apostolato; vivono e lottano e soffrono bersagliati dall'odio dei mussulmani e dei fanatici seguaci delle religioni indiane. E se il domenicano JOURDANI CATALAN de SEVERAC riesce a sfuggire alla morte e, vescovo di Culam nel 1328, può fra difficoltà d'ogni sorta esplicare la sua attività, altri vengono trucidati dal fanatismo dei barbari, e fra questi degno di menzione il francescano PASQUALE da VITTORIA, il quale ad Almalik nel Turkestan viene con altri sei missionari torturato nel 1340.

Più facile è il compito di coloro che si recano in Cina. Fra questi è il fiorentino fra GIOVANNI dei MARIGNOLLI che, sotto il pontificato di Benedetto XII, viene inviato al Gran Khan. Ad Almalie e in altri centri si ferma a predicare e, dopo tre anni di viaggio dal Mar Nero alla Cina, giunge a Pechino nel 1342 e vi trova larga ospitalità. Parecchi anni soggiorna nella capitale, poi prende la via del ritorno seguendo l'itinerario dei viaggiatori che lo hanno preceduto, attraversa la ricchissima provincia del Mangi, si imbarca a Zayton, visita parecchie località dell' India e dell' isola di Giava, è trattenuto per alcuni mesi a Ceylon e finalmente, per mare fino in Persia e per terra poi, giunge alle rive asiatiche del Mediterraneo, da dove fa vela per Avignone, e vi  arriva nel 1353, dopo circa quindici anni di vita errabonda, della quale scrive in latino una interessante relazione.

Più numerosi, senza dubbio, sono i viaggi in Oriente dei pellegrini, i quali visitano la Terrasanta e si spingono fino al convento di Santa Caterina nella, penisola del Sinai, lasciandoci a volte dei loro pii itinerari delle relazioni, fra cui citiamo quelle di NICCOLÒ da POGGIBONSI, di GUCCI, di FRESCOBALDI e di SIGOLI: ma più numerosi ancora sono quelli dei mercanti. 
Nelle principali città della costa asiatica del Mediterraneo gli europei hanno fondachi e corrispondenti commerciali; estesissimo è il commercio dei popoli d'Occidente, specie degli Italiani, nel Mar Nero e nel Caspio; frequentatissimi dagli europei sono i mercati dell'Armenia, della Mesopotamia, della Persia, dell' India, della Cina e fino a Zayton dove esiste un fondaco pei mercanti occidentali; la moneta veneziana ha corso in tutto l' Oriente e in Italia - e lo stesso certamente avviene in altri stati di Europa - si compongono perfino guide pratiche da servire ai mercanti e dizionarietti di lingue orientali.

 Due sono le strade seguite dai mercanti. La più breve e la meno pericolosa è quella che dal Don, tagliando la valle del Volga, costeggiando il Caspio settentrionale, attraversando la steppa dei Ghirgliesi, la valle del Sir-daria, per Almalic e Sa-ciù, giunge a Pechino. L'altra, partendo dalla Siria o da Trebisonda, per Tabriz, Yasd e Kirman o per Bagdad, conduce ad Ormuz e di qua, per mare, in India e nei porti della Cina.
Dei mercanti che viaggiano nello scorcio del secolo XIII e per tutto il XIV nel lontano Oriente parecchi sono i nomi che sono giunti fino a noi. «Quel PIETRO VIONI (o Viglioni) veneziano fra i primi commercianti europei stabiliti a Tabriz (poco avanti il 1_264), - scrive l'Errera - quel PIETRO di LUCALONGO pisano che siaccompagnò col Montecorvino dalla Persia alla Cina e fermò qui lunga dimora, quel BENEDETTO VIVALDIi e PERCIVALLE STANCONE genovesi stabiliti insieme per ragioni di traffico nell' India verso il 1321, quell'ANDALÒ da SAVIGNONE che dopo parecchi anni trascorsi presso il Gran Khan non tornò in Europa se non per riprender un'altra (circa il 1338) la via del Catai, quel LUCHINO TARIGO genovese che, portata la sua nave dal Don al Volga (1374), si arricchì lungo le rive del Caspio corseggiando, - tutti questi e gli altri pochi dei quali si sono conservati i nomi, sono un piccolo numero dei molti e molti Occidentali che frequentarono in questa epoca i paesi del Levante ».

Ma nel secolo XIV l'attività dei missionari e dei mercanti europei in Asia viene interrotta dai rivolgimenti che avvengono in quasi tutte le regioni dell' immenso continente. Nell'Asia anteriore s'afferma la potenza degli Ottomani, che giunge alle rive del Mar Nero e oltrepassa il Bosforo; nell' Estremo Oriente all'ospitale dinastia mongolica dei Yuen, che ha sempre accolto benevolmente gli europei e agevolato il commercio con l'Occidente, succede la dinastia Cinese di Ming; nell'Asia Centrale si scatena improvvisa la furia di Tamerlano, che, impadronitosi del Ciagatai, conquista tutte le regioni comprese tra il Gange e il Mediterraneo. Le vecchie vie commerciali non sono più sicure e quelle che offrono una relativa sicurezza - dalla Russia alla Persia per la Caucasia e dalla Siria in India per il Mar Rosso - non sono facili e brevi. I viaggi dei missionari si fanno sempre più rari di fronte al crescere della potenza ed intransigenza islamitica e i commerci decadono. 
Tuttavia non sono pochi i viaggiatori europei che nel secolo XIV e nel XV, sfidando disagi e pericoli, percorrono le terre e navigano sui mari d'Oriente. Sono mercanti e avventurieri, il più delle volte camuffati da musulmani o sono ambasciatori di stati occidentali.

Il più grande dei viaggiatori che nel secolo XV percorsero l'Asia è il veneziano NICOLÒ de' CONTI. A Damasco, verso il 1414, si trova per ragioni di commercio e forse vi dimora da parecchi anni ed ha avuto agio di imparare la lingua araba, quando con una carovana parte, attraversa il deserto siriaco e la Mesopotamia e giunge a Bagdad, da qui va a Bassora e poi sulle rive del Golfo Persico. Preso il mare, il Conti si reca a Colgon, che forse è il porto di Bender Abbas, da qui passa ad Ormuz e a Calahatia, città non si sa bene se sulla costa araba o persiana dell'Oceano Indiano. In quest'ultima località fa un non breve soggiorno per familiarizzarsi con la lingua persiana, indi, ripresa la navigazione, lo ritroviamo a Cambay, sul golfo omonimo, e più tardi a Barkur e ad Helli, località marittime del Canara meridionale. Visita  parecchie ed importanti città dell' interno della penisola indiana, fra le quali Bigianagar, tocca Cael, sullo stretto di Palk. e forse la grande e ricca isola di Ceylon, visita Meliapur, sulla, costa del Coromandel, spintovi dal desiderio di vedere il luogo dove riposano i resti del corpo dell'apostolo S. Tomaso, e di qua, per il mar di Bengala, navigando alla sinistra delle isole Andamane, giunge a Sumatra ove dimora circa un anno. Partito da Sumatra, il Conti è costretto da una tempesta ad approdare a Tenasserim, poi veleggia verso le foci del Gange, risale il fiume fino ad una città di difficile identificazione che lui chiama Cernove e poi ancora, per tre mesi, fino alla città da lui chiamata Marazia, donde si spinge fino a certi monti diamantiferi che sorgono ad oriente per ritornare sulla costa del Malabar a vendere, si crede, la mercanzia acquistata agli europei o persiani stabiliti nelle città della riva occidentale della penisola indiana.

Ripreso il viaggio, dopo un mese di navigazione il Conti giunge alla foce del Kula'dan sulla costa dell'Arrakan, risale per alcuni giorni il fiume, indi, per monti deserti, giunge al fiume Iraady, che risale per un mese per toccare la ricchissima città di Ava. Di qua il Conti si reca alla foce del Sittang, nella città di Tatung, giunge poi ad una città, che è forse da identificare con la famosa Pegù, dove soggiorna quattro mesi e, ripreso il mare, perviene a Giava e forse anche nel Borneo, vi si trattiene con la moglie e i figli nove mesi, poi fa rotta per Ciampa nella penisola indocinese. Questa è la città più lontana del continente asiatico che il Conti abbia visitata. Di qui ha principio il suo viaggio di ritorno. Dopo un mese lo troviamo ancora nella penisola indiana e precisamente a  Quilon sulla costa del Malabar, poi a Coclhin, a Cranganer e infine a Calicut, poi va a Combay, ma ritorna ancora a Calicut, e da qui fa vela per l'Africa, visita l'isola di Socotra, le città di Aden e di Berbera e, risalendo il Mar Rosso tocca Gedda e un porto della penisola del Sinai, forse quello di Tor, dal quale, per via di terra, giunge a Cairo. Qui hanno termine le sue peregrinazioni commerciali. Nella capitale dell'Egitto perde di peste la moglie e due figli e con gli altri due che gli rimangono fa ritorno a Venezia intorno al 1840, dopo venticinque anni da che è partito da Damasco. 

Dei viaggi di Nicolò de' Conti ci è rimasta una relazione latina dovuta alla penna di Poggio Bracciolini, il quale ebbe l'incarico di stendere il racconto del viaggiatore da papa Eugenio IV presso il quale il Conti si era recato allo scopo di essere perdonato per avere abiurato la fede cristiana. La relazione è breve e, in parecchi punti confusa, dà luogo a non pochi dubbi. In essa poco è detto dei casi personali del viaggiatore, ma ampie ed importanti sono le notizie che ci dà sui costumi delle popolazioni indiane, sulla religione, sulle cerimonie nuziali e funebri, sulle armi, sui prodotti, sulla fauna e sulla flora delle regioni visitate. Qua e là, al pari degli altri viaggiatori che lo hanno preceduto, dà posto a favole nel suo racconto, ma in generale è assai veritiero e non si dilunga a parlare delle regioni che non ha visitate, ma di esse, la Cina ad esempio, dà brevi e rapidi cenni. 
Osservatore profondo e di larghe vedute il Conti non è il mercante grossolano che viaggia solo a scopo di lucro e non si interessa di scrutare e conoscere l'anima dei popoli in mezzo a cui vive e non si cura degli avvenimenti, delle guerre, delle dinastie di quei lontani paesi; il Conti nota invece le cose che gli vengono sott'occhio, e che le espone, così alla buona, senza far confronti o indugiare in riflessioni; tuttavia non è di scarso interesse per noi la relazione del Conti anche per il fatto che il viaggiatore ci dà per primo notizia di Banda o di altre isole oltre Borneo, che furono ignote a Marco Polo. 
Si spingono, più tardi, in Asia per la via di Persia, come altrove gabbiamo accennato, tre ambasciatori della repubblica di Venezia: CATERINO ZENO, , GIOSAFAT BARBARO e AMBROGIO CONTARINI, inviati ad Usun Hassan allo scopo di riattivare i commerci con l' India attraverso il regno di quel principe e di spingerlo nello stesso tempo contro Maometto II, sultano degli Ottomani e nemico terribile della Cristianità.
Lo Zeno parte nel 1471, raggiunge la corte di Usun, segue il sovrano in parecchie località della Persia e ritorna a Venezia per la via del Caucaso e della Russia. Il Barbaro, che era stato per sedici anni alla Tana, dal 1436 al 1452 «come uomo uso a stentare e pratico tra gente barbara» è inviato nello stesso anno presso Usun Rassan, visita la Persia e la Mesopotamia e per la via della Siria, dopo alcuni anni, torna al Mediterraneo e quindi in patria. Il Contarini parte da Venezia nel 1473 e vi ritorna nel 1477. Il suo viaggio di andata si effettua per la via della Tana, per la Caucasia e la Russia quello del ritorno. Anche il Contarini visita molti punti della Persia e da lui sappiamo che nel 1475 vengono due europei a Tauris, un certo Marco, ambasciatore della Russia bianca e fra LUDOVICO di BOLOGNA, patriarca di Antiochia, ambasciatore del Duca di Borgogna.

La maggior parte però degli europei che si recano nelle lontane regioni d'Asia preferiscono seguire la via del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano, tacendo di quelli che vanno in pellegrinaggio in Terrasanta e al Sinai, fra cui ROBERTOI di SANSEVERINO, che del suo viaggio ci ha lasciato una curiosa relazione. Per non parlare di un veneziano, BONAIUTO degli ALBANI, che nel 1482 da Tor naviga il Mar Rosso, tocca Ormuz, giunge in India, va fino a Malacca, dove sposa una giavanese e dopo molti anni va coN i portoghesi in Africa e a Lisbona per ritornar poi in India; e di fra GIOVANNI da CALABRIA che nel 1480 si reca da Gerusalemme in Etiopia in missione presso il PRETE GIANNI, chiuderemo queste notizie sui viaggiatori italiani in Oriente col nome dell'ultimo grande viaggiatore italiano del secolo XV: il bolognese LUDOVICO de VARTHEMA, il quale per essere spinto a lunghe peregrinazioni dal solo spirito di veder paesi nuovi e conoscer nuove genti si può considerare il primo dei moderni viaggiatori. 

Verso la fine del Quattrocento egli da Venezia si reca in Egitto, poi a Damasco e quindi, camuffato da mammalucco, con una carovana di pellegrini a Medina e alla Mecca da dove per mare va ad Aden. Visitato il Yemen, il De Varthema tocca l'Africa, percorre la Persia meridionale, parecchi luoghi del Malabar e Ceylon, costeggia il Caromandel, giunge nel Siam, al Pegù, a Malacca, a Sumatra e si spinge nella Malesia visitando Banda, le Molucche e Giava, da dove poi ritorna nel Malabar portando la prima notizia dell'esistenza dell'Australia. 
Rimane due anni circa in India al servizio dei Portoghesi, partecipa a più di una battaglia contro le popolazioni del Malabar; infine, traversato l'Oceano Indiano; costeggiata l'Africa occidentale e doppiato il Capo di Buona Speranza, per Sant' Elena, l'Ascensione e le Azzorre, giunge nel 1508 a Lisbona e da qui fa ritorno in Italia, dove due anni dopo pubblica una relazione del suo viaggio (Itinerario), interessantissima per le copiose notizie ed osservazioni che contiene e per il racconto vivace delle numerose avventure toccate all'autore durante la sua lunga peregrinazione.


NAVIGATORI ATLANTICI
CRISTOFORO COLOMBO
(ma vedi pure altre pagine su Colombo e Le Grandi Esplorazioni)
VEDI VIAGGI ESPLORAZIONI (cartina gigante) e C. Colombo


Ma non solo il lontano Oriente è meta degli ardimentosi viaggi degli Italiani. Anche le misteriose vie dell'Occidente tentano gli audaci navigatori italiani. Abbiamo parlato altrove (1300)  del tentativo dei genovesi UGOLINO e VADINO VIVALDI di circumnavigare l'Africa: l'infelice sorte toccata a quegli intrepidi non scoraggia altri navigatori; negli ultimi anni del sec. XIII e nei primi del XIV una flotta da guerra genovese scopre le isole Canarie; di una di queste isole si impadronisce tra il 1310 e il 1339 e ad essa dà il suo nome il genovese LANZAROTTO MARONCELLO (o LanzErotto MaLocello. Infatti a Genova Pegli si trova una via intitolata a questo navigatore che riporta così il nome); nel 1341 il ligure NICOLOSO da RECCO e il fiorentino TEGGHIA dei CORBIZZI effettuano una spedizione alle Canarie e in questo stesso di tempo dai due suddetti navigatori o da altri italiani vengono scoperte le isole Azzorre e poco più tardi Porto Santo e Madera.

Verso la metà del secolo susseguente il genovese ANTONIO MALFANTE per scopi commerciali si spinge nel cuore del Sahara, fino a Tuàt, a novecento chilometri dalla costa mediterranea e il fiorentino BENDETTO DEI giunge fino a Tombuctù. Nel 1455 il veneziano ALVISE da CAL da Mosto e il genovese ANTONIOTTO USODIMARE esplorano il Senegal e il Gambia e l'anno dopo si spingono fino alle isole Bissagos; nel 1460 ANTONIO, BARTOLOMEO e RAFFAELEe da NOLI scoprono le isole del Capo Verde. 

Ma già da tempo i navigatori italiani hanno ceduto il posto, nelle navigazioni atlantiche, ai portoghesi, da loro stessi ammaestrati nell'arte nautica e spetta proprio ad un portoghese, BARTOLOMEO DIAS, l'onore di giungere al Capo di Buona Speranza (1488), impresa, questa, che apriva la via marittima delle Indie le quali saranno toccate, dieci anni dopo, da VASCO de GAMA.

Tra il viaggio di Bartolomeo Dias e quello di Vasco de Gama ha luogo la più grande scoperta geografica, quella che rivela ed apre all'attività europea un mondo nuovo e questa scoperta è dovuta all'audacia e al genio d'un italiano: CRISTOFORO COLOMBO. Nato a Genova nel 1451 dal lanaiolo Domenico Colombo e da Susanna Fontanarossa, trascorre l' infanzia e l'adolescenza nella natia città e a Savona; datosi alla vita del mare, naviga il Mediterraneo; veleggiando nel 1476 sull'Atlantico, è assalito da un corsaro presso il capo S. Vincenzo e trova scampo a Lisbona. Stabilitosi in Portogallo, Colombo viaggia, per motivi commerciali, in Inghilterra, nella lontana Islanda, alla Guinea e a Madera; sposa nel 1479 Felipa Mouiz Perestrello e, vivendo in paesi da cui febbrilmente si tenta di trovar una nuova via verso l'India, concepisce l'idea di raggiungere l'Oriente navigando verso l'Occidente, confortato nel suo proposito da un dotto fisico fiorentino, PAOLO dal POZZO TOSCANELLI, che fin dal 1474 ha scritto al re Alfonso V essere possibile pervenire alle Indie attraversando il misterioso Atlantico.

Concepito l'audacissimo disegno, Colombo lo sottopone a Giovanni II, re di Portogallo; ma un'assemblea di dotti, convocata per esaminare il progetto, non trova attuabile l' impresa e il sovrano rifiuta, trovandoli esagerati, i compensi che il Genovese pretende. « Respinto così dalla corte, e minacciato d'altronde di persecuzione giudiziaria in Lisbona stessa per non sappiamo quale colpa attribuitagli, Colombo abbandona il Portogallo, e si conduce a ritentare la prova in Ispagna. Appoggiato qui  da amici potenti, accolto nella Corte stessa e trattenutovi di frequente dal 1480 in poi, riesce a sottoporre con favorevoli auspici il disegno ad una piccola riunione di dotti convocati a Salamanca; ma i favorevoli auspici non bastano a dargli vittoria, poiché gli argomenti messi innanzi da lui a sostegno della sua tesi e l'ardente passione che gli colorisce l' impresa da compiere come una missione da Dio stesso voluta, non riescono a convincere i giudici forti delle molte obbiezioni che la scienza di allora suggeriva. 

Consumati in Spagna sette anni tristi e vani, si risolse Colombo a lasciare anche questa terra dove non germogliava il seme gettato, per recarsi presso altri sovrani, poiché in Portogallo in Francia e in Inghilterra le nuove speranze non erano state meno fortunate. 
Ma l'avvenuta ospitalità del convento della Rabida, dove i padri gli davano il pane a lui e al suo figlioletto per sfamarsi, e dove frate Antonio de Marchena prima, Garcia Hermandez medico e cosmografo poi, sono dalla fede e dalla forza delle sue ragioni commossi e convinti, salvano Colombo e il suo audace disegno va alla Spagna (Errera) ».

Chi giovò più d'ogni altro al futuro scopritore fu Juan Perez, superiore del convento che guadagnò alla causa di Colombo la regina Isabella, di cui era stato confessore.
Il 17 aprile del 1492 finalmente Cristoforo Colombo potò concludere un accordo con la Corte spagnola, ottenendo il titolo di ammiraglio per sé e per i suoi successori, la carica di vicerè in tutte le terre che sarebbero state da lui scoperte e la decima parte di tutti i prodotti dei nuovi paesi. Tre piccole navi furono armate: la Santa Maria, la Nina e la Pinta, con centoventi uomini d'equipaggio; queste ultime due vennero poste sotto il comando dei fratelli Martin Alonzo e Vicente Yanez Pinzon; sulla prima prese posto Colombo, spiegando le insegne dell'ammiraglio e il 3 agosto del 1492 la minuscola ed audacissima flotta salpò da Palos verso l' ignoto.

L' 11 agosto la spedizione giunse alle isole Canarie, dove si trattenne 26 giorni per riparare la Pinta, che aveva subito dei guasti durante il viaggio; il 6 di settembre fu ripresa la navigazione e ben presto le tre caravelle si trovarono a solcare lo onde di un oceano da nessun, altro mai prima di allora tentato, che la fantasia popolare credeva popolato di mostri favolosi e pieno di pericoli.
La notte del 13 Colombo osserva che l'ago magnetico varia, declinando leggermente verso nord-ovest; nella notte del 15 la caduta d'un enorme bolide meraviglia ed atterrisce i naviganti; il 16 le navi entrano nella zona detta mar di Sargasso; il 17, tra una manciata d'erba raccolta dalle onde si trova un granchio vivo, sicuro indizio della vicinanza della terra.

L'aria si fa di giorno in giorno sempre più dolce e cresce nel cuore dei marinai la speranza, mentre si fanno più frequenti gli indizi di terra: il 19 passa a volo un pellicano, il 21 incontrano una balena. Ma la terra non spunta all'orizzonte e il 22 cominciano i primi sintomi di malcontento nell'equipaggio. La navigazione però non si arresta e prosegue tra speranze e disillusioni. 

La sera del 25 MARTIN ALONZO grida di veder terra, ma è un falso allarme, che si ripete all'alba del 7 febbraio. Ma se la terra non compare numerosi sono ora gli  indizi di essa, fra cui il passaggio di molti uccelli, un ramoscello di rosa canina carico di bacche abbandonato alle onde e dei pezzi di legno lavorato. Rinascono le speranze. La notte dell' 13 Colombo vede un lumicino muoversi lontano nelle tenebre e poche ore dopo Rodrigo di Triana, marinaio della Pinta, avvista la terra.

La mattina del giorno 12 le tre caravelle si trovarono davanti all'isoletta di Guanahani. Cristoforo Colombo scese a terra con parte degli equipaggi e, ringraziato Iddio, piantò la croce e lo stendardo di Spagna e in nome dei sovrani prese possesso dell' isola che battezzò San Salvador.

Saputo dagli indigeni che l'oro abbondava in altre terre vicine, Colombo si rimette in mare, visita altre isole, il 28 ottobre approda alla costa settentrionale di Cuba, che crede il Giappone, ne esplora l'interno, riparte e il 6 dicembre scopre Haiti. Il 25 di questo mese fa naufragio la Santa Maria. Colombo costruisce in un punto della costa una fortezza che chiama Navidad, vi lascia una quarantina di uomini e il 16 gennaio del 1493 inizia il viaggio del ritorno che si compie, dopo vari incidenti, il 15 marzo con l'arrivo del grande scopritore a Palos, da dove quasi otto mesi prima era partito.

Il 25 settembre del 1493 Colombo riparte con diciassette navi e millecinquecento coloni verso Haiti. Il 3 novembre scopre la Dominica, il 4 la Guadalupe, dal 10 al 14 attraversa l'arcipelago caraibico fino a Santa Cruz, dove ha luogo un accanito scontro con gl' indigeni, poi l'arcipelago delle Vergini, infine, costeggiata Portorico, perviene ad Haiti, dove gli Spagnoli lasciati in precedenza sono stati tutti uccisi dalle malattie o dagli indiani. Il 7 dicembre fonda nella stessa isola la città d'Isabella, poi inizia l'esplorazione dell' interno e le operazioni contro gl'indigeni, mentre nascono le prime discordie in seno alla nuova colonia. Il 24 aprile del 1494 Colombo parte per Cuba, nel maggio giunge a Giamaica e dopo una lunga esplorazione ritorna, alla fine di settembre, ad Haiti, dove trova il fratello Bartolomeo venuto a raggiungerlo. Insieme con questo nel marzo del 1495 parte contro gli indiani dell'isola, i quali vengono sconfitti nella pianura della Vega. Soggiogata l' isola, il 16 marzo del 1496 Colombo fa vela per la Spagna e dopo un avventuroso viaggio prende terra a Cadice l' 11 giugno.

Altre e più importanti scoperte fa il grande navigatore nel suo terzo viaggio verso quello che si chiama ora Nuovo Mondo, iniziato il 30 maggio del 1498. Due mesi dopo trova l'isola della Trinidad, nell'agosto giunge nel golfo di Paria e mette il piede sulla terraferma, poi scopre le isole dell' Asuncion e della Margarita e infine perviene ad Haiti. 

«Sperava qui - scrive l' Errera - regolato le cose (che tanto gli stavano a cuore) del suo Vicereame, potersi riportare a Cuba per riprendere l'esplorazione del creduto Catai quattro anni prima interrotta; ma gli avvenimenti precipitando gli troncarono la via. Giunto appena in Haiti, si vide egli infatti trascinato e travolto, con rapidissima rovina della sua autorità, dalla ribellione di tutti gli elementi torbidi, confluiti vanamente nell' isola alla ricerca di quell'oro che egli aveva dipinto pieno ogni fiume ed ogni montagna. E la assoluta incapacità sua di sedare la rivolta degenerata in aperta anarchia, la mala luce in cui l'opera sua era stata posta alla corte Spagnola, l'arrivo di Francesco Bobadilla, inviato a dirimere la questione con poteri tali da annullare quelli del Vicerè, l'insana parzialità onde il nuovo venuto usò del suo grado, precipitarono le cose a così mal fine, che le spiagge dell' Espanola (Haiti) videro il loro primo scopritore allontanarsi in catene, e in catene lo videro sbarcare nel novembre del 1500 quelle spiagge spagnole, che pochi anni prima lo avevano trionfalmente salutato nell'entusiasmo del primo ritorno ».

Un anno prima che Colombo iniziasse il suo terzo viaggio, altri due italiani, i veneziani GIOVANNI e SEBASTIAN CABOTO, a bordo della nave The Mathew montata da diciassette uomini d'equipaggio e allestita a spese del re Enrico VII d' Inghilterra, partivano per l'Occidente e il 24 giugno del 1497 toccavano la spiaggia di Terranova. L'anno seguente i due Caboto con sei navi inglesi muovevano da Bristol e toccavano il continente nordamericano riconoscendo quel tratto di costa che va dallo Stretto di Davis al Capo Hatteras. 

Nè erano soltanto quelle dei Caboto navigazioni che le scoperte di Colombo provocavano: nel 1499 il fiorentino AMERIGO VESPUCCI e gli spagnoli ALONZO De HOJEDA e JUAN de la COSA con quattro navi giungevano alla costa nord-est dell'America del Sud ed esploravano tremila chilometri di litorale; sul finire dello stesso anno il medesimo Vespucci, partito da Cadice con DIEGO de LEPE, visitava le coste brasiliane, e, per non citare che le navigazioni di Italiani, nel 1501-02, a bordo di navi portoghesi, sempre il Vespucci andava dal Capo di San Rocco alla Georgia Australe.

Nel 1502 Cristoforo Colombo, in compagnia del fratello Bartolomeo, del figlio Ferdinando e del genovese BARTOLOMEO FIESCHI, iniziava il suo quarto viaggio. Partito il 9 maggio con quattro navi, scopre il 15 giugno la Martinica; respinto da Haiti per ordine del governatore di quest' isola, naviga prima verso Cuba poi verso il golfo Honduras, scopre l' isola di Huanaja (30 luglio), tocca la punta de Caximas (14 agosto); il Capo Gracias a Dios (12 settembre), esplora la costa dei Mosquitos, le lagune di Chiriqui, il paese di Veragua e, costeggiando la parte settentrionale dell' istmo di Panama, giunge il 26 novembre al Puerto de Retrete. 

Fu l'ultimo punto settentrionale raggiunto da Colombo. Impedito dagli uragani, dovette tornare indietro il 5 dicembre. Orribilmente contrastata dalle tempeste fu poi la via del ritorno. Dopo un mese di navigazione, il 6 gennaio 1503 i navigatori giunsero in Veragua e tentarono di stabilire una colonia sulle rive del Rio Betlem ; ma, attaccati dagli Indiani, furono costretti a ripartire lasciando una nave. Più tardi un'altra nave dovettero abbandonare e con due soli legni, dopo molti pericoli e infinite peripezie, in mezzo alle quali scoprirono le isole Cayman, giunsero a Cuba, ma arretrarono nella Giamaica (23 giugno). 
Qui rimasero un anno intero e, a corto di viveri, osteggiati dalle tribù vicine, divisi da rivolte, forse non avrebbero più rivista la patria se un manipolo di audaci, tra cui il FIESCHI, non avesse osato traversare con due barche dalla Giamaica ad Haiti e riuscito a mandare loro una nave con la quale il 28 giugno del 1504 Colonbo e i suoi compagni partirono per S. Domingo. 

Un mese dopo Cristoforo Colombo faceva vela per la Spagna dove giungeva il 7 novembre di quello stesso anno per spegnersi, nella tristezza dell'oblio e amareggiato dall'ingratitudine, a Valladolid il 20 maggio del 1506.

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Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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