ANNI 1538 - 1547

LA TREGUA DI NIZZA - MORTE DI FRANCESCO I

LEGA CRISTIANA CONTRO I TURCHI - CARLO V, ANDREA DORIA E KAIR ED-DIN BARBAROSSA - BATTAGLIA DI PREVESA - LE TRATTATIVE DI PACE TRA VENEZIA E I TURCHI E LA SLEALTÀ DI UN AMBASCIATORE FRANCESE - RIAVVICINAMENTO DI FRANCESCO I AI TURCHI - CONVEGNO DI LUCCA TRA CARLO V E PAOLO III -- SPEDIZIONE DI ALGERI - UNIONE DELLE FORZE NAVALI FRANCESI E TURCHE -- ASSEDIO DI NIZZA - IL NEPOTISMO DI PAOLO III - PIER LUIGI ED OTTAVIO FARNESE -- BATTAGLIA DI CERESOLE -- CARLO V ED ENRICO VIII INVADONO LA FRANCIA -- PACE DI CRESPY - LEGA TRA PAOLO III E CARLO V CONTRO I PROTESTANTI -- CONVOCAZIONE DEL CONCILIO TRIDENTINO - DISSENSI TRA IL PONTEFICE E L' IMPERATORE -MORTE DI FRANCESCO I -- ACCORDO DI PERUGIA

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LEGA CRISTIANA CONTRO I TURCHI - 
BATTAGLIA DI PREVESA - PACE TRA VENEZIA E SOLIMANO


La tregua di Nizza produsse una immensa gioia in tutta la Cristianità perché oramai tutti gli stati d'Europa erano stanchi di una guerra che si trascinava da tanti anni ed anche perché la lega stipulata contro il Turco riceveva la possibilità di dare i frutti sperati. 
""...Di questa lega - scrive il Battistella -  magnifici furono i patti, generose le promesse, mirabili i propositi; ma fu tutto un fuoco di paglia. Né poteva essere diversamente quando non un grande ideale comune, ma interessi divergenti e antagonistici tenevano insieme quei confederati i quali entravano nella intesa ciascuno con dei "sottintesi" particolari, quasi mercanzia di contrabbando mal coperta dalla bandiera della Croce. Per Venezia la lega era fatta per combattere i Turchi e salvare le sue colonie orientali; per la Spagna era destinata a reprimere le piraterie barbaresche nel Mediterraneo occidentale e ad assicurarle il possesso di Napoli e Sicilia; quanto al Papa, doveva servire ad arricchire i Farnesi e... anche a troncare i trionfi dell'islamismo..."".

Si aggiunga che non tutti i collegati entravano nella lega con il fermo proposito di abbattere la potenza dei Turchi. CARLO V, ad esempio, non voleva proprio che una vittoria sui Turchi poi avvantaggiasse i Veneziani che considerava come i principali oppositori della sua politica italiana; ed aveva ordinato ad Andrea Doria di non impegnarsi troppo nei combattimenti. 
Inoltre, con la mediazione di FRANCESCO I - con cui aveva avuto, il 14 luglio del 1538, un cordialissimo abboccamento ad Aigues-Mortes - aveva stipulato accordi segreti con Kair ed-din, il quale, in cambio della restituzione di parecchi luoghi di Barberia (Sicilia), prometteva di aiutare l'imperatore nel caso che questi avesse mosso guerra a Venezia.

La lega quindi doveva riuscire soltanto vantaggiosa agli interessi di Carlo V, il quale, per di più, giocava un bel tiro al re di Francia, mettendolo astutamente in sospetto presso il sultano e presso i principi protestanti di cui il re di Francia (segretamente, lui grande cattolico) si era alleato per creare discordie e intrighi in casa del tedesco.

Stando così le cose, la guerra contro il Turco non poteva dare quei risultati che la Cristianità si riprometteva. E sì che le forze messe in campo erano imponenti: centocinquantacinque navi, sessantamila uomini e duemilacinquecento e novantaquattro cannoni.
Tutte queste forze dovevano concentrarsi a Corfù; ma non vi giunsero tutte nello stesso tempo. Primi ad arrivare furono i Veneziani comandati da VINCENZO CAPPELLO; giunsero poi le navi pontificie al comando di MARCO GRIMANI. 
Mentre si attendevano gli imperiali, il Grimani tentò un colpo nel golfo di Arta, che ebbe solo l'effetto di costringere il Barbarossa e levare l'assedio dalla Canea e ad accorrere con la sua flotta a difendere la fortezza di Prévesa che custodiva l'entrata del golfo.
Quando fu giunto il DORIA, l'intera flotta alleata mosse da Corfù verso Prévesa; ma invece di attaccare gli Ottomani, perse un tempo prezioso, non riuscendo i confederati a mettersi d'accordo sul da farsi. Infatti Francesco Gonzaga consigliava di sbarcar le truppe mentre il Doria era di parere contrario.

Solo il 27 settembre, vicino a Prévesa, si ingaggiò la battaglia. Questa avrebbe potuto esser vinta dai Cristiani se il Doria avesse impegnato tutte le sue forze; questi invece, obbedendo alle istruzioni ricevute dall' imperatore, abbandonò parte dei Veneziani che avevano impegnato il combattimento e si ritirò nelle acque di Corfù.
Indignata dall'agire di uno dei suoi alleati, la repubblica di Venezia decise di aprire trattative con il sultano per aver pace e inviò a Costantinopoli prima TOMMASO CONTARINI, poi ALBISE BADOER. La pace fu conclusa, dopo lunghi negoziati, nel 1540, a condizioni davvero umilianti per i Veneziani che dovettero pagare una indennità di trecentomila ducati e cedere Nauplia e Malvasia. Queste due città forse Venezia avrebbe potuto conservarle dando ai Turchi un compenso in denaro; ma non ci riuscì per la slealtà della Francia.

""....L' ambasciatore Badoer - citiamo ancora il Battistella - aveva riservatamente avuta facoltà di consentire alla cessione delle terre di Morea, ma soltanto in caso disperato, solo quando non fosse stato possibile venire ad un accordo. Ora accadde che due segretari del Consiglio dei Dieci, conosciuta, per ragione dell'ufficio, tale segreta istruzione, la comunicassero all'ambasciatore di Francia presso la Repubblica e che costui, a sua volta, la facesse conoscere ai negoziatori ottomani i quali ne profittarono per impuntarsi sull'assoluta condizione della cessione accennata.
Il Badoer non riuscì a far più nulla e dovette -pur amareggiato- informare il governo e com'era avvenuta la "brutta faccenda". Fatte le necessarie investigazioni e scoperto il tradimento, alcuni de' colpevoli furono arrestati; uno d'essi però si rifugiò nel palazzo del residente francese il quale si oppose con la forza al suo arresto. Ma i Dieci ordinarono che al palazzo stesso fosse preso d'assalto, e questa decisione persuase finalmente il poco onesto ambasciatore a consegnare il reo. 

Fu allora immediatamente compilato il processo che finì con la condanna capitale dei rivelatori: meschino conforto per la repubblica la quale non riuscì a punire il reo che era il maggiore responsabile,  né riuscì a ottenere riparazione al danno subito.
 Proprio in questa brutta contingenza fu definitivamente istituito il Magistrato dei Tre inquisitori di stato, una specie di giunta che annualmente era nominata dal Maggior Consiglio per particolari ragioni di segretezza e di celerità, con facoltà di ricercare e condannare in casi determinati; la prima menzione si trovava già nel 1313, ma era una magistratura temporanea, solo occasionale e non fissa..."".(Battistella)

NUOVA ALLEANZA FRANCO-TURCA. - SPEDIZIONE AD ALGERI - 
ASSEDIO DI NIZZA


Il convegno di Aigues-Mortes aveva fatto intiepidire i rapporti tra la Turchia e la Francia. Francesco I, che invano aveva sperato di ottenere pacificamente il Milanese, del quale Carlo V aveva investito il figlio Filippo, cercò di riallacciare le relazioni con Solimano e spedì a Costantinopoli il RINCON, che riuscì a rinnovare l'alleanza e ritornò a Parigi portando un nuovo piano di guerra contro l'imperatore, alla quale si sperava di far partecipare Venezia. Il Rincon, nel maggio del 1541, viaggiando alla volta di Venezia, attraversando la Lombardia, fu assalito ed ucciso per ordine del marchese del Vasto, che voleva impossessarsi delle carte dell'ambasciatore.

Nell'estate del 1541 Solimano invase l' Ungheria; contemporaneamente alcune flottiglie turche minacciavano nel Mediterraneo occidentale i domini di Carlo V, e Francesco I intrigava per rientrare nella lega con i protestanti tedeschi. L'imperatore fuorviò il pericolo di un accordo tra il re di Francia e i protestanti riconfermando il 28 luglio del 1541 le disposizioni prese in favore di questi ultimi nove anni prima a Norimberga, poi, avendo stabilita una spedizione contro i barbareschi sulle coste d'Africa, passò in Italia per avere un colloquio con il Papa.
Da Lucca, ove ebbe luogo il convegno con PAOLO III, Carlo V verso la metà di settembre si recò alla Spezia, poi a Maiorca, per affrettare i preparativi dell' impresa di Algeri. Sebbene i suoi migliori generali gliela sconsigliassero data la stagione avanzata: l'imperatore volle tuttavia effettuarla e allestì, dandone il comando ad Andrea Doria, una flotta di sessantacinque galee e di quattrocentocinquanta navi onerarie con dodicimila marinai  e ventiquattromila soldati.

I risultati dell'impresa furono però disastrosi: una violentissima tempesta scatenatasi il 24 ottobre mise lo scompiglio nella flotta e mandò a picco centosessanta navi; i barbareschi, approfittando della confusione delle truppe, le assalirono e ne fecero strage; le vettovaglie andarono perdute e, poiché si delineava lo spettro della fame, l'imperatore fu costretto a ritornare immediatamente in Spagna.
Di questo disastro fu lieto Francesco I, il quale, stretta alleanza col duca di Clèves, don Cristiano III di Danimarca e con Gustavo Wasa di Svezia, nei primi del 1542 mandò cinque eserciti contro i Paesi Bassi, il Rossiglione e l'Italia, ma i risultati non furono tali quali egli si riprometteva da tutte queste forze che, se dirette contro un sol punto, forse gli avrebbero procurato dei vantaggi decisivi.

Nella primavera del 1543 a render più aspra la guerra venne una poderosa flotta turca comandata dal Barbarossa. Questi prima investì Reggio e, impadronitosi della fortezza, costrinse il comandante di essa, don Diego Gaetano, a dargli in moglie la figlia, poi, costeggiando le cpste italiane del Tirreno, si recò a Marsiglia, dove venne festosamente accolto a nome del re di Francia, da Francesco di Borbone.
Chi sopportò tutto il peso dell'intervento barbaresco fu il duca Carlo III d1 Savoia, che dall'ingordigia dei due sovrani rivali aveva a stento, fra le altre poche terre, potuto salvare solo Nizza. Contro questa città, nell'estate del 1543, andarono le due flotte riunite dei Turchi e dei Francesi. Quest'ultima, comandata da Antonio Escalin, era composta di diciotto galee e portava a bordo settemila soldati provenzali, guasconi e fiorentini.

I Nizzardi, all' ingiunzione di aprire le porte, si rifiutarono, ma quando videro i nemici, che da tre punti si preparavano a dare l'assalto, si arresero a patto che fossero salve le vite dei cittadini e mantenuti i privilegi di cui godevano. Il Barbarossa avrebbe voluto fare il sacco alla città, ma, essendosi opposti l' Escalin e Francesco di Borbone, si volse ad assediare il castello che non si era arreso (agosto del 1543).
Il castello, difeso da Paolo Simone cavaliere gerosolimitano e dal savoiardo Andrea di Monforte, resistette eroicamente ai ripetuti attacchi dei barbareschi, i quali, avendo saputo che si avvicinavano i soccorsi inviati dal duca di Savoia e dal marchese del Vasto, abbandonarono l'assedio.

Il Barbarossa se ne andò a Tolone e vi rimase fino alla primavera dell'anno seguente, poi lasciò le acque francesi e si gettò sulle coste tirreniche e sulle isole italiane. Talamone, Porto-Ercole, l'isola del Giglio, Ischia, Procida, Policastro, Lipari, Gallipoli furono saccheggiate dai feroci barbareschi, e migliaia e migliaia di italiani, fatti prigionieri, andarono a riempire le stive delle galee turche, destinati gli inabili a languire e morire di fame mentre gli abili dopo essere stati venduti, ad una orribile vita di schiavitù nelle città dell'Africa e dell'Oriente.

IL NEPOTISMO DI PAOLO III - I FARNESI - PACE DI CRESPY - 
LEGA TRA CARLO V - E PAOLO III CONTRO I PROTESTANTI - 
CONVOCAZIONE DEL CONCILIO DI TRENTO
MORTE DI FRANCESCO I - ACCORDO DI PERUGIA


Prima ancora che fosse scoppiata nuovamente la guerra tra il re di Francia e l' imperatore, PAOLO III, in un convegno avuto con CARLO V a Busseto, aveva cercato di metter pace tra i due sovrani rivali. Si pensò invece che scopo del Pontefice non era quello di pacificare i due contendenti, ma di ottenere favori per i suoi parenti. E in verità - pur avendo egli mirato alla pace della Cristianità, a fiaccare la potenza dei Turchi e fare gl'interessi della Chiesa - e di questo gli va data gran lode - lo scopo costante della sua politica fu quello di rendere grande e potente la sua famiglia.

Suo favorito era, naturalmente, il figlio PIER LUIGI FARNESE: nel 1537 il Pontefice  lo creò duca di Nepi e di Castro, e gonfaloniere della Chiesa; qualche anno dopo diede Camerino ad OTTAVIO suo nipote e figlio di Pier Luigi, togliendola a Guidobaldo II d'Urbino al quale questa città toccava essendo marito di una Varano; in più nell'ottobre del 1539, a Nizza, ottenne che Pier Luigi fosse da Carlo V investito della città di Parma col titolo di marchese e che ad Ottavio fosse data in sposa la vedova di Alessandro de' Medici (prima o dopo sperava di fare il colpo sull'ambita Firenze).

Per questo nipote, nel convegno di Busseto, chiese, ma non ottenne dall' imperatore, il ducato di Milano. Carlo V fu anche sollecitato perché desse Siena a Pier Luigi, ma ne fu sconsigliato da Cosimo de' Medici, il quale sperava lui di potersi col tempo impadronire di questa repubblica. 
Anche Lucca il Papa tentò di far concedere al proprio figlio, ma non vi riuscì e fallì pure il tentativo di occupare S. Marino, se pure è vero - come si disse e molti sostengono - che il Pontefice abbia avuto parte nell'impresa tentata, il 4 giugno del 1543 da un certo Fabiano di S. Savino.

Gli riuscì invece di costringere il Sacro Collegio (agosto del 1545) a concedere a Pier Luigi Farnese l'investitura di Parma e Piacenza erette a ducato dipendente dalla Santa Sede. In cambio il figlio del Pontefice rinunziò ai ducati di Nepi e Camerino che vennero incorporati alla Camera Apostolica (rimaneva insomma tutto in casa, in un modo o nell'altro).
Intanto la guerra tra Carlo V e Francesco I era stata ripresa con maggiore accanimento. Il marchese del Vasto prendeva l'offensiva in Piemonte con il proposito di occupare  la Savoia e poi da qui invadere la Francia dalla parte di Lione; ma ne fu impedito dall' Enghien, generale francese di casa Borbone, il quale da Nizza si precipitò con un esercito su Carignano e il 14 aprile del 1544 in una grande battaglia combattuta contro gli imperiali presso Ceresole, li sconfisse totalmente.

La vittoria francese di Ceresole non ebbe però i risultati che ci si aspettava a Parigi, perché su altre fronti, nel Rossiglione e nel Lussemburgo le armi di Francesco I erano soccombenti, inoltre Enrico VIII d' Inghilterra, alleatosi con Carlo V, si preparava ad invadere l'Artois mentre l' imperatore con un poderoso esercito penetrava nella Champagne.

Scopo dei due sovrani era quello di puntare su Parigi; ma la loro marcia trovò un serio ostacolo a Saint-Dizier, che resistette accanitamente alle truppe di Carlo V, e a Boulogne e Montreuil, che dovettero essere assediate da Enrico VIII. L'ostinazione del re d' Inghilterra di volersi impadronire di queste due città prima di spingersi su Parigi salvò la Francia; difatti Carlo V, spintosi, dopo aver finalmente espugnato Saint Dizier, fino a Chàteau-Thierry, a sole due giornate da Parigi, trovandosi a corto di vettovaglie e con l'esercito decimato, e nell' impossibilità di affrontare da solo la capitale francese e non stimando prudente d'altro canto una ritirata, che in paese nemico poteva riuscirgli disastrosa, il 18 settembre del 1544 concluse con Francesco I quella che fu detta PACE DI CRESPY.

I patti della pace erano i seguenti: dovevano essere sgombrate dai due sovrani le terre occupate dopo la tregua di Nizza; Francesco I doveva rinunciare ad ogni pretesa sul Napoletano e sulle contee di Fiandra ed Artois e Carlo V alla Borgogna; l' imperatore doveva dare in moglie al figlio del re di Francia o la propria primogenita con in dote i Paesi Bassi e la Franca Contea o la secondogenita di Ferdinando d'Austria, re dei Romani, con in dote il ducato di Milano. 
Inoltre il re di Francia doveva adoperarsi con l' imperatore alla pacificazione della Chiesa, e, in caso di guerra contro i Turchi, fornire seicento uomini d'arme e diecimila fanti; in cambio Carlo V prometteva di conciliarlo con il re d'Inghilterra.

IL CONCILIO DI TRENTO

Una delle cause che avevano spinto Carlo V alla pace di Crespy era la situazione in Germania, dove l'autorità imperiale era gravemente minacciata dai protestanti e non poteva essere ristabilita che con un'azione vigorosa. Consapevole delle intenzioni dell' imperatore di muover guerra ai protestanti, PAOLO III mandò a Worms, dove si trovava Carlo V, il cardinale ALESSANDRO FARNESE, e nei colloqui che ebbero luogo fu stabilito che il Pontefice avrebbe aiutato il sovrano con truppe e denari e avrebbe immediatamente convocato un concilio per far sì che con opportune riforme potessero i protestanti tornare in grembo alla Chiesa Cattolica.

Il concilio fu convocato a Trento il 13 dicembre del 1545, ma i protestanti si rifiutarono di riconoscerlo. Non rimase allora all'imperatore che di muover loro guerra. Ottenuti dal Pontefice dodicimila uomini al comando di Ottavio Farnese, radunato un esercito di trentatremila fanti e tremila cavalli e staccato abilmente dalla lega Smalcalda Maurizio di Sassonia promettendogli gli stati del cugino Gian Federico, Carlo V nel giugno del 1546 mosse contro i principi protestanti e, sorretto dagli eserciti di Ferdinando d'Austria e del conte di Buren venuto dai Paesi Bassi, costrinse i confederati a sciogliersi e a ritirarsi ciascuno nei propri principati in stato di difensiva, mentre la Germania meridionale si sottometteva all' imperatore.

Procedevano intanto i lavori del concilio tridentino, ma si erano manifestate in esso cause non lievi di dissenso tra il Pontefice e Carlo V. Difatti i vescovi spagnoli, evidentemente ispirati dall'imperatore, avevano proposto alcuni articoli tendenti a diminuire l'autorità del Papa rialzando invece quella della Chiesa. Conseguenza fu che Ottavio Farnese, dietro ordine dello zio, sotto pretesto di malattia lasciò, nell'autunno, il campo imperiale, e con un comunicato del 22 gennaio 1547 vennero richiamate dalla Germania le truppe pontificie. Inoltre, perché il concilio fosse sottratto all' influenza dell'imperatore, fu trasportato da Trento a Bologna.

Questi fatti aggravarono talmente i dissensi tra Paolo III e Carlo V da minacciare una vera e propria rottura. E questa non sarebbe tardata a venire se il 31 maggio del 1547 non cessava di vivere FRANCESCO I, cui succedeva il figlio ENRICO III, e se l'imperatore completamente vittorioso sulla lega Smalcalda, non avesse indotto il Pontefice a riavvicinarsi alla corte imperiale.

Trattative pertanto vennero avviate tra il Papa e Carlo V per mezzo del cardinale Sfondrato, che per poco non andarono fallite e provocarono una terribile minaccia da parte dell'imperatore: convocare un nuovo concilio e far deporre il Pontefice; alla fine però tra le due parti si riuscì a giungere ad un accordo che fu concluso a Perugia nel settembre del 1547 ed ebbe per effetto la sospensione del concilio di Bologna.

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CON IL RIASSUNTO DELLE CONGIURE E DELLE INSURREZIONI

ed è il periodo che va dal 1543 al 1549 > > >

 

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

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