ANNI 1553 - 1576

LA CORSICA E GENOVA

SAMPIERO DI BASTELICA - SPEDIZIONE FRANCO-TURCA IN CORSICA - L' ISOLA, COL TRATTATO DI CATEAU-CAMBRÉSIS, RITORNA SOTTO LA DOMINAZIONE GENOVESE - MALGOVERNO DI GENOVA -- TENTATIVI DEI CORSI DI TROVARE AIUTI PRESSO I MEDICI, I FRANCESI E I TURCHI - UCCISIONE DI VANNINA D'ORNANO - RIVOLTA DEI CORSI - VICENDE DELLA GUERRA - MORTE DI SAMPIERO, L'EROE DELLA LIBERTÀ CORSA - FINE DELLA GUERRA: CONDIZIONI DI PACE - LOTTE CIVILI A GENOVA-- COMPROMESSO DEL 1576 CHE METTE FINO ALLE DISCORDIE INTERNE DI GENOVA
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La CORSICA era caduta sotto il dominio dei Genovesi nel 1481. Languiva miseramento gotto l'insopportabile giogo della repubblica da circa ottant'anni, quando sorse un uomo, dotato di grande valore e di straordinario amor patrio, che dedicò tutte le sue forze alla lìberazione della sua isola: SAMPIERO di BASTELICA.

Nato in Corsica da povera famiglia, si era dato al mestiere delle armi, acquistandosi fama di prode capitano; nel 1536 era entrato al servizio della Francia combattendo contro la Spagna, e nel 1546 era tornato nella sua isola per congiungersi in matrimonio con la bella e ricca VANNINA d'ORNANO. Era amato moltissimo dai Corsi ed odiata a morte dai Genovesi che, fattolo arrestare a Bastia, lo avrebbero mandato a morte so non lo avesse salvato l'intervento di ENRICO II.

Concepito il disegno di dare l'indipendenza alla sua patria, Sampiero organizzò nel 1553 quella spedizione di cui altrove abbiamo parlato e che portò alla liberazione di Bastia e di Bonifacio. La guerra tra i franco-turchi e gli ispano-genovesi con grande impeto durò fino a tutto il 1554, poi con minore intensità e con alterne vicende sì protrasse fino al 1559, fino a quando cioè, con il trattato di Cateau-Cambrésis 1' isola ritornò sotto la dominazione genovese.

Quando la repubblica ritornò in possesso della Corsica, anziché ingraziarsi l'animo degli isolani con un buon governo, li trattò con una ferocia che sapeva di vendetta. Abolì le franchigie di cui essi godevano, proibì loro la navigazione e il commercio, li escluse dai pubblici uffici, aumentò le tasse e si rese più odiosa di prima con le confische, i bandi, le persecuzioni, gli arresti, le torture, le condanne.
Sampiero, che si trovava allora al servizio della Francia, ancora giovare alla sua patria cercò in tutti i modi di farla passare sotto la signoria medicea e iniziando a questo scopo trattative con Cosimo I. Abbiamo parlato nel precedente capitolo dei tentativi fatti dal granduca di Toscana presso le corti di Madrid e di Vienna per l'acquisto dell'isola e abbiamo visto come andassero sempre falliti.

Allora Sampiero si rivolse a CATERINA de' MEDICI, reggente di Francia, pregandola di liberare la Corsica dal giogo genovese; ma la sua preghiera non poteva essere accolta da Caterina, la quale, per le condizioni in cui si trovava il regno, non era propensa di tentare una impresa la quale avrebbe potuto scatenare una pericolosa guerra con gli imperiali.

Il fallimento dei due tentativi non scoraggiò Sampiero, il quale si rivolse al duca di Parma, scrivendogli che oramai non era più possibile ai Corsi di sopportare la tirannide di Genova e che per non aver trovato aiuto presso i Cristiani egli si vedeva costretto a indirizzare le sue preghiere agli infedeli, ai Turchi.

E al re d'Algeri e ai Turchi davvero si rivolse, spinto dalla disperazione. Le sue trattative con il sultano vennero però a conoscenza di Cosimo de' Medici, il quale, temendo che l' isola, dalla quale non aveva allontanato lo sguardo, cadesse nelle mani di una grande potenza, scrisse al suo plenipotenziario a Genova, l'abate De NEGRO, perché avvisasse il Senato della repubblica. 
Questo, messo sull'avviso, spedì a Costantinopoli un'ambasciata, la quale con regali e denaro guadagnò alla causa genovese i ministri del Sultano e fece così fallire l'ultimo tentativo di Sampiero di procurare alla sua patria un aiuto straniero.

Tornato dall'Oriente, Sampiero seppe che le condizioni della Corsica erano divenute peggiori, che i suoi amici erano perseguitati dai Genovesi e che sua moglie, da lui lasciata a Marsiglia, lo tradiva con i nemici. Cieco dal furore a quest'ultima notizia, Sampiero si recò presso Vannina e la strangolò, quindi, ottenuto il perdono dalla corte di Francia per i preziosi servigi prestati, e deciso di liberare l'isola ad ogni costo, seguito da venti córsi e da quarantacinque soldati provenzali, salpò per la Corsica, approdò al golfo di Balinco e si  impadronì del castello d'Istria.

All'annuncio dello sbarco di Sampiero, l'isola intera si sollevò contro i Genovesi al grido di Guerra e Patria; l'esiguo drappello dell'eroe si ingrossò poi alla testa di cinquecento uomini marciò su Corte, che, malamente difesa dalla guarnigione della repubblica, presto capitolò.
Così ricominciava la guerra. Genova prometteva un premio di quattromila scudi d'oro a chi consegnasse vivo il ribelle, di duemila morto ed altri premi minori assegnava per la cattura o l'uccisione dei principali seguaci di Sampiero: Achille Campobasso, Antonio da S. Fiorenzo, Bartolomeo da Vivano e Battista della Pietra; intanto mandava nell'isola una forza di milizie al comando di Niccolò Di Negro e Giovan Battista Fieschi.

La rivoluzione però si estendeva sempre di più, alimentata dall'arrivo di considerevole quantità di munizioni mandate da Livorno; gli insorti, trascinati dal fascino del condottiero, accorrevano sotto le sue bandiere e Sampiero poteva conquistare Vescovado dopo un aspro combattimento e battere sanguinosamente i Genovesi presso Caccia.

Ma per quanto grande fosse il valore degli insorti, questi non potevano sperare di riuscire vittoriosi con un nemico che mandava continui rinforzi alle sue truppe, mentre essi non sapevano come colmare i vuoti prodotti dalle battaglie né come rifornirsi di munizioni. Persuasi che senza l'aiuto di una potenza straniera la rivolta prima o poi sarebbe stata domata, essi, nell'assemblea generale del 25 marzo del 1565 stabilirono di rivolgersi nuovamente alla Francia.

Sampiero inviò alla corte di Parigi Anton Padovano dal Pozzo, ma questo ambasciatore non riuscì a muovere la Francia in aiuto della Corsica e dovette ritornare in patria. Però portava con sè diecimila, talleri e conduceva Alfonso, il diciottenne figlie di Sampiero.

La guerra fino allora ora stata condotta con grandissimo accanimento da una parte e dall'altra. A Vescovado i Genovesi avevano perso millecinquecento uomini, a Bastia tremila. Stefano Doria, mandato a comandare le truppe operanti, a Campiloro, il giorno stesso dello sbarco, aveva perduto duemilacinquecento soldati, ma si era poi vendicato mettendo a ferro e a fuoco Bastilica. 
Dal canto suo Sampiero aveva trucidato i presidi genovesi di Istria, Lerio ed altre fortezze cadute nelle sue mani e, saputo che il nemico, si era proposto di bruciare le messi mature per affamare gli insorti, era piombato sugli incendiari non risparmiando la vita a nessuno di quelli che erano stati catturati.

Credendo che il Doria non fosse capace di condurre a buon fine la guerra, la repubblica lo sostituì prima col VIVALDI, poi con il FORNARI; questi capitani fecero di tutto per domare la rivolta, incendiarono campagne e villaggi, impiccarono numerosi abitanti, rinfocolarono gli odi tra le antiche fazioni dei Neri e dei Rossi; ma non vennero a capo di nulla.

Allora i Genovesi ricorsero per aiuto a Filippo II e, poiché neppure con questi poterono avere ragione dei Còrsi, stabilirono di sopprimere Sampiero con il tradimento. Francesco Fornari e Raffaello Giustiniani, che comandavano la cavalleria genovese, trovarono presto i traditori. Questi furono due cugini di Vannina, Giovali Antonio e Giovan Francesco d'Ornano, ai quali si unirono un Ercole d'Istria c un Frate Ambrogio da Bastilica. I traditori, avendo corrotto Vittolo, fedele compagno di Sampiero, riuscirono a sorprendere l'eroe mentre con pochi soldati e il figlio Alfonso andava verso Cauro nel distretto di Aiaccio. Dopo averlo ammazzato, ne mandarono la testa al Fornari (17 gennaio 1567).

La morte di Sampiero non fece cedere i ribelli, che nominarono loro capo ALFONSO, giovanissimo di anni ma valoroso e pieno di ardente amore per la sua isola. Anche lui convinto che da soli non avrebbero potuto scuotere il giogo di Genova, rinnovò il tentativo del padre presso Cosimo de' Medici; questi però non solo rifiutò, ma informò, la corte di Madrid delle offerte che i ribelli gli avevano fatto di unirsi alla Toscana.

I Genovesi intanto, nulla potendo ottenere con le armi, avevano cambiato tattica; da un canto avevano ridestato gli odi tra Neri e Rossi, dall'altro avevano mandato nell' isola Giorgio Doria, il quale con la bontà seppe guadagnarsi la simpatia dei Córsi, e per mezzo di Girolamo Leone d'Ancona, vescovo di Sagona, indurre Alfonso a ritornare in Francia.

Partito il capo, cessò la guerra e venne conclusa la pace. Con essa si concedeva ad Alfonso e ai suoi seguaci l'amnistia, si dava libertà ai Córsi che non volevano rimanere nell'isola di recarsi in Italia, si restituiva ad Alfonso il feudo d'Ornano che gli era stato confiscato e ai suoi partigiani si assegnava fino alla loro partenza la Pieve di Vico; venivano liberati alcuni prigionieri, condonati i debiti verso il fisco, accordati cinque anni di proroga nel pagamento degli altri debiti e infine si dava facoltà ai Còrsi di vendere o fare amministrare i loro beni.

Con questo trattato che venne stipulato il 1° aprile del 1569, la Corsica ebbe finalmente la pace; ma non il benessere. I patti ad uno ad uno vennero violati, le tasse tornarono a gravare  sull'infelice popolazione, gli isolani furono da capo esclusi dagli uffici civili, militari ed ecclesiastici, la navigazione continuò ad essere monopolio dei Genovesi, la sicurezza delle coste scomparve per le frequenti incursioni dei barbareschi; l'isola tutta, schiacciata nei suoi diritti, oppressa dalla tirannide dei padroni, afflitta dalla peste, piombò nella più squallida miseria.

Risorse allora nell'animo dei poveri Còrsi il desiderio di sottrarsi a quel giogo che durava da tanti anni e di nuovo si indirizzarono sulla corte medicea le speranze degli isolani; ma Francesco de' Medici, sollecitato da Anton Francesco Cirni da Olmeta prima e da Anton Guglielmo da Bozzi poi, non era l'uomo da mettersi in urto con la Spagna e non volle intervenire negli affari dell' isola.

Questa continuò per circa due secoli ad esser trattata come una terra di conquista a, subire le persecuzioni, il mal governo, le ingiustizie, le angherie, la atrocità dei Genovesi; i cui governatori la impoverivano, violavano le leggi, proteggevano i delinquenti, fomentavano le fazioni, fino a quando ebbero inizio quelle tragiche lotte che più avanti narreremo e che fecero cadere la Corsica sotto il dominio dei Francesi.

Nove anni prima che fosse conclusa la pace tra Corsi e Genovesi, e precisamente il 25 gennaio del 1560, moriva in età di novantaquattro anni Andrea Doria. Con lui Genova perdeva uno dei suoi più grandi figli, colui che aveva procurato libertà alla patria pur mettendola sotto la protezione di Spagna, e questa perdeva un grandissimo ammiraglio ed un amico fedele.

La morte del Doria però non fece cessare l' influenza che gli imperiali Spagnoli esercitavano sulla repubblica genovese, la quale, mentre si sforzava di domare la Corsica ribelle, era dilaniata dalle proprie lotte intestine. 
I vecchi nobili detti del Portico di San Luca, partigiani dei Doria e quindi rispettosi verso la Spagna, e i nobili nuovi detti del Portico di San Pietro, spalleggiati dalla Francia, erano in continua discordia e gli odi arrivarono a tal punto che fu necessario l' intervento armato della Spagna e che don Giovanni d'Austria sperò di impadronirsi della città quando, nel 1577, vi passò con la flotta che più tardi doveva sconfiggere i Turchi a Lepanto.

Per far cessare le lotte civili molto si diede da fare Papa GREGORIO XIII, il quale ottenne che le fazioni rimettessero le loro contese nelle mani sue e in quelle dell' imperatore.
Per mezzo di questo triplice arbitrato, il 17 marzo del 1576 fu pubblicato un compromesso, il quale stabiliva l'abolizione delle varie categorie di nobili che erano divise in due fazioni.  Li includeva tutti in un unico ordine e decretava che soltanto essi fossero ammessi al governo con facoltà di aggregare ogni anno nuove famiglie. Accontentò così un po' tutti.
Così si inaugurava a Genova un periodo di concordia e di tranquillità, che doveva, durare circa cinquant'anni, dopo i quali, purtroppo, altre vicende, congiure, agitazioni, e guerre dovevano nuovamente turbare quella pace che la vecchia repubblica per così poco tempo e così raramente nel corso della sua esistenza aveva potuto godere.

Altra grande panoramica che dobbiamo ora affrontare é

quella dell'Italia sotto gli Spagnoli,

prendendo quasi l'intero periodo del XVI secolo

ed è il periodo che va dal 1523 fino al 1600 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
L.A. MURATORI - Annali d'Italia

STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
 
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