ANNI 54 - 68 d. C.

(Qui Prima Parte)  * NERONE IMPERATORE - MORTE DI BRITANNICO - POPPEA E LA MORTE DI OTTAVIA
SENECA E IL GOVERNO - POPPEA IMPERATRICE - VIZI E ORGE DI NERONE
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( nella Seconda Parte) * LE GUERRE DI NERONE - INCENDIO DI ROMA - PERSECUZIONI CRISTIANI
LA CONGIURA CONTRO NERONE - LA RIVOLTA DEGLI EBREI - STRAGI IN  PALESTINA
LA FUGA E LA MORTE DI NERONE


NERONE IMPERATORE - FINE DI BRITANNICO E AGRIPPINA


Dopo l'assassinio dell'imperatore, mentre nella casa imperiale, al cospetto di Britannico di Antonia e di Ottavia, la moglie Agrippina fingeva un grande dolore per la morte di Claudio, poi la coorte che stava di guardia al palazzo, ad un cenno di Burro, acclamava imperatore il NERONE.
 Ma Agrippina volle temporeggiare, chiamò alcuni suoi amici astrologi di corte che ammonirono i presenti che non si poteva fare una immediata proclamazione di NERONE perché il momento non era propizio e questo ritardò la diabolica funerea notizia al popolo della morte di Claudio. Si disse che era caduto gravemente ammalato. Intanto Agrippina impartiva precise istruzioni a Seneca per prepararsi a un discorso di circostanza per la morte del marito ma anche fare contemporaneamente quello inaugurale dell'investitura di Nerone. Il trionfo di Agrippina era ormai vicino! E Seneca gli era accanto!

Nerone intanto si recò nel campo dei pretoriani, arringò i soldati e promise loro ricchi doni. L'indomani, a mezzogiorno, il Senato, diede l'annuncio della morte e confermando la decisione delle coorti pretorie, proclamava imperatore il poco più che sedicenne NERONE.

Discendeva Nerone da quel Domizio Eriobarbo che aveva parteggiato per Pompeo ed era morto nella battaglia di Farsalo e da quell'altro Domizio che prima della giornata di Azio, abbandonato Antonio, aveva abbracciato la causa di Ottaviano (Augusto).
Nerone declamando il suo discorso d'investitura davanti ai pretoriani esultanti, trovò i senatori subito disposti ad andare oltre quella semplice investitura e gli diedero subito l'appellativo di Padre della Patria.
Il "maturo" Seneca (suo maestro) scrivendogli il discorso, spinto da zelo e adulazione per il suo allievo, aveva inserito alcune frasi pretenziose per un giovane principe che aveva solo 16 anni. La sua elezione venne presentata come personificazione dei princìpi della tradizione augustea, ed era - Nerone- indicato come una reincarnazione di Giulio Cesare e del divino Augusto  
Nerone nel discorso ufficiale prende sacre queste parole di Seneca, e afferma di essere cosciente di questa eredità, e che nel governare l'Impero prenderà a modello il divino Augusto.

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NERONE 

Suo nonno fu quel Domizio che nella guerra germanica si guadagnò le insegne trionfali e che per gli spettacoli gladiatori dati con inusitata ferocia provocò un editto di Augusto; suo padre, Domiizio anch'egli di nome, accompagnando Cajo Cesare in Oriente, uccise un suo liberto perché si rifiutava di bere quanto a lui piaceva; schiacciò nella via Appia intenzionalmente un bambino, cavò un occhio nel foro a un cavaliere romano perchè era venuto a diverbio e fu accusato d'incesto con la sorella Lepida. NERONE nacque ad Anzio il 13 dicembre del 38. Si narra che il padre agli amici che si congratulavano con lui dicesse : «Da me e da Agrippina non può nascere che una creatura detestabile, un pubblico flagello». A tre anni perdette a padre e, poiché la madre venne esiliata da Caligola, egli fu educato da sua zia Lepida che gli diede come precettori un ballerino ed un barbiere. Sotto il principato di Claudio ricuperò i beni paterni che Galigola gli aveva usurpati, raccolse la ricca eredità del patrigno Crispo Passieno e, adottato dall'imperatore, ebbe a maestro Seneca con cui studiò declamazione.
Aveva appena diciassette anni quando fu proclamato imperatore. I primi suoi atti furono ispirati dalla madre. Fu lei che per smentire l'accusa di uxoricidio fece fare esequie magniflche a Claudio, fu lei che fece pronunziare al figlio l'elogio funebre dell'imperatore, fu lei, infine, che ordinò a Narcisse di uccidersi e si sbarazzò di Marco Silano, discendente di Augusto.
Il vero capo dell' imperò era Agrippina, l'ambiziosa donna che di tanti delitti si era macchiata pur di esercitare in modo assoluto il suo dominio. Nerone era ancora un ragazzo e lasciava fare alla madre, ma l'assolutismo della donna non lo potevano tollerare i due consiglieri di Nerone, Seneca e Burro alle cui ambizioni era di ostacolo la madre dell' imperatore. Ben presto, per opera di costoro, cessò l'accordo tra madre e figlio: istigato dal filosofo e dal prefetto dei pretoriani, Nerone volle uscire da quella specie di severissima tutela in cui era tenuto da Agrippina, e i suoi consiglieri per poterlo meglio dominare, cominciarono ad assecondarne gli istinti perversi che aveva avuto dalla natura e favorirono gli amori di lui per una libertà di nome Atte.

La prima vittima del dissidio tra l'imperatore e la madre fu Pallante: questi fu licenziato e al suo posto, nell'amministrazione del tesoro, venne messo il liberto Claudio Etrusco, uomo furbo ed abile che riuscì a conservare la carica fino al tempo di Domiziano.
Il licenziamento di Pallante e l'ascendente che Atte aveva saputo guadagnarsi sull'animo del principe resero Agrippina furiosa. Essa avrebbe potuto ottenere qualche cosa lasciandosi guidare dal freddo calcolo o dall'arte di fingere in cui era maestra e di cui aveva dato prove insuperabili, ma questa volta si lasciò vincere dallo sdegno e minacciò il figlio dicendogli che avrebbe sostenuto i diritti di Britannico. Fu un' imprudenza imperdonabile che cagionò la rovina del giovane figlio di Claudio.
La morte di Britannico venne decisa: come il padre egli doveva perire di veleno. A prepararlo venne chiamata la medesima Locusta, e poiché, somministrato una prima volta, non aveva prodotto effetto, Nerone volle che Locusta sotto gli occhi di lui preparasse un altro veleno più potente, che la sera, a cena, venne propinato all'infelice giovane in presenza dell' imperatore.
Appena bevutolo, Britannico stramazzò morto e quella notte stessa, mentre pioveva dirrottamente, il cadavere venne mandato al rogo (68).
Per comprare il silenzio dei cortigiani Nerone distribuì fra loro i beni del morto e al popolo disse che la causa della fine di Britannico era stata l'epilessia di cui egli sin da l'infanzia soffriva; al Senato poi pronunziò un discorso -opera forse di Seneca- con il quale esprimeva il suo dolore per la morte del fratello. Locusta ebbe in premio l'impunità e vasti possedimenti.
Dal giorno della morte di Britannico la lotta tra la madre e l'imperatore fu aspra ed aperta. Agrippina cercò di formare intorno a sé un partito capace di fronteggiare il monarca e si diede a dispensare doni, ad accarezzar le famiglie patrizie, a cattivarsi il favore del popolo e delle milizie e a stringer rapporti con centurioni e tribuni.

I suoi tentativi però non riuscirono che ad inasprire maggiormente il figlio. Questi gli tolse le guardie d'onore, la relegò in un appartamento del palazzo, poi la mandò ad abitare in una casa remota e la sottopose ad una vigilanza rigorosissima.
Vedendola caduta in disgrazia, i nemici di lei crebbero di numero e ci fu chi credette guadagnarsi la stima dell' imperatore inventando accuse contro la madre di lui. Fra questi vanno ricordati Domizia, zia patema di Nerone, e Giulia Silana, le quali indussero l'istrione Paride ad accusare Agrippina di aver congiurato contro il figlio per dare l'impero a Rubellio Plauto, nipote di Tiberio.
Ma non fu difficile ad Agrippina  dimostrare la sua innocenza. Convinto Nerone che la madre era vittima della malignità altrui mandò in esilio gli accusatori.

POPPEA

Una donna fatale entrava intanto nella vita dell' imperatore. Era, questa, Poppea Sabina, figlia della donna dello stesso nome, perita vittima dell' invidia e della gelosia di Messalina. "Nulla -come scrisse TACITO- mancava a questa donna, eccetto  l'onestà; era colta, spiritosa, elegante, ricca e bellissima al pari della madre. Per farsi ardentemente desiderare e darsi l'aria di persona pudica soleva uscire col viso ricoperto da un velo e per mantenere fresca e morbida la sua pelle dicesi che si lavasse con latte di giumenta. Glielo fornivano -se non è una favola quello che si narra- le cinquecento giumente che lei manteneva.
Poppea era stata moglie del cavaliere Crispino Rufo; poi lo aveva lasciato per unirsi in matrimonio col ricchissimo Salvio Otone, compagno di orge dell'imperatore.
Era stato Otone, con le lodi sperticate che faceva della bellezza della moglie a Nerone, a farlo invaghire di lei.
L'imperatore allora volle liberarsi del marito e lo allontanò da Roma, mandandolo come governatore nella Lusitania (58). Poppea però non era Atte. Essa non voleva diventare l'amante dell' imperatore, ma la moglie e giocò d'astuzia per far crescere nell'animo di Nerone il desiderio di possederla.
Crebbe la passione di lui a tal punto che egli si senti capace di fare qualsiasi cosa pur di avere la bellissima donna. Ma non c'era che un mezzo: il matrimonio. Due donne però erano di ostacolo ai disegni di Poppea: Ottavia ed Agrippina. Il primo ostacolo era facile rimuoverlo con un divorzio, ma Agrippina non avrebbe mai permesso che il figlio sposasse Poppea. Occorreva dunque sopprimere la madre dell' imperatore. Forse fu Poppea che insinuò nella mente di Terone l'idea del matricidio, e forse l'ardente passione fece sorgere nell'animo del figlio il perverso proposito.
La sorte di Agrippina fu segnata. Era però impresa difficilissima a disfarsi di lei. Ucciderla con le armi non si poteva, si sarebbe gridato al delitto, era quindi necessario ricorrere al veleno; ma Agrippina era prudente, stava all'erta, era guardata e circondata da persone fedelissime ed era fornita di gran copia di antidoti.
Chi trovò un ingegnoso mezzo per uccidere Agrippina senza che alcuno pensasse ad un delìtto fu Aniceto, comandante della flotta di Miseno e nemico della vedova di Claudio, il quale fece costruire una navicella in cui, grazie ad un congegno si poteva produrre una falla che avrebbe mandato a fondo l'imbarcazione.

Desideroso di affrettare la morte della madre, Nerone finse di riconciliarsi con Agrippina e, ricorrendo le feste di Minerva, si recò a Baia per celebrarle. Di là scrisse alla madre invitandola affettuosamente a raggiungerlo. Agrippina andò con una nave propria e fu accolta con grandissime manifestazioni di gioia dal figlio. Questi la trattenne a cena fino a tarda sera; quando Agrippina, levate le mense, espresse il desiderio di ritornare nella sua villa di Bauli una notizia si sparse: la nave con la quale era venuta era stata urtata per caso e sfasciata da una nave della flotta. Nerone allora fece venire la nave appositamente costruita da Aniceto e vi accompagnò la madre, e si staccò da lei dopo molti saluti e numerose carezze.

La nave si mosse dalla riva nella notte serena e silenziosa: Crepereio Gallo, familiare dell' imperatrice, era al timone, ai remi c'erano dei marinai fedeli a Aniceto; stava in compagnia di Agrippina la fida ancella Acerronia. A un tratto un gran rumore rompe il silenzio della notte e la coperta sprofonda schiacciando il timoniere; ma il congegno manovrato male fece tardare la nave ad affondare. orse Volendosi salvare, Acerronia gridò nel buio e nella confusione invocando soccorso dicendo di essere Agrippina. Un colpo di remo sulla testa la fece scomparire nei flutti. Mentre l'Agrippina vera, sospettando forse l'inganno non chiama aiuto ma in silenzio nuotando vigorosamente riesce a raggiungere una barca con la quale giunse al lago Lucrino.
Agrippina aveva ormai capito che il naufragio della nave era stato preparato dal figlio ma, finse, per prudenza, di non essersene accorta e mandò a Nerone un messo, Lucio, Agerino, mettendolo al corrente del naufragio e che lei si era salvata.
Nerone aveva passato in ansia tutta la notte e quando per altra via -prima ancora che arrivasse il messo- seppe che la madre non era morta ebbe una grande paura che il fatto si risapesse. Ma Aniceto aveva mente fervidissima ed era maestro di ritrovati. Giunto Lucio Agerino col messaggio, il comandante della flotta gettò ai piedi di lui un pugnale, poi gridò che Agrippina aveva mandato un suo liberto con l'incarico di assassinare Nerone. Agerino venne preso ed ucciso; poi Aniceto con un manipolo di sicari si recò a Bauli e irruppe nella villa dell' imperatrice. Due centurioni. Erculeo ed Olcarito, penetrarono nella stanza dove lei si trovava. Al vederli Agrippina disse:  "se venite a trovarmi per informarvi della mia salute riferite a Nerone che mi sono rimessa; se venite per uccidermi non credo che mio figlio vi abbia ordinato di farlo». Erculeo la colpi con una bastonata al capo ed Olcarito le si accostò con la spada in pugno. A quest'ultimo Agrippina, sporgendo il ventre (che aveva partorito il mostro), gli gridò : «ferisci qui». E cadde trafitta (19 marzo 69).

Si disse che Nerone, recatesi nella villa della madre, dopo avere attentamente osservato il cadavere di lei, esclamasse che non aveva mai saputo che Agrippina fosse così bella. Ma forse è leggenda.
Tolta di mezzo Agrippina, si pensò di occultare il delitto; Burro mandò a Nerone i tribuni militari e i centurioni per congratularsi con lui dello scampato pericolo, Seneca scrisse al Senato che Agrippina aveva attentato ai giorni dell' imperatore e, non essendo riuscita, si era data la morte. Il Senato volle prestar fede a quella versione che della fine della vedova di Claudio veniva data e decretò ringraziamenti agli dèi. Chi non volle credervi fu il senatore Trasea Peto, oppositore costante di Nerone, che, mentre si leggeva la lettera di Seneca, in segno di protesta, si allontanò dalla Curia.

Nerone, ritornato a Roma, vi fu accolto trionfalmente, ma il giorno dopo si trovarono scritti sui muri di certe case i nomi dei matrici Alcmeone ed Oreste e nel Foro si vide la statua dell'imperatore con il sacco di cuoio dei matrici al braccio destro. Ciò mostra che c'era in città della gente che non credeva alla favola del suicidio ed accusava Nerone come autore del delitto.
Non furono però quelle proteste anonime che gli tolsero la pace dell'anima, bensì i rimorsi. Scrive SVETONIO: «Malgrado le congratulazioni del Senato, del popolo e dei soldati, non riuscì né allora né dopo sfuggire al rimorso di un così orrendo delitto. Confessò che dal quel giorno l'immagine della madre lo perseguitava e che le Furie lo percuotevano con delle fiaccole ardenti. Cercò di evocare e di placare i Mani di lei con un sacrificio e nel suo viaggio in Grecia non ebbe il coraggio di farsi iniziare ai misteri Eleusini, atterrito dalla voce del banditore che era noto nell'ordinare agli empi e ai sacrileghi di allontanarsi ».

POPPEA IMPERATRICE - MORTE DI OTTAVIA

Eliminata Agrippina, non rimaneva a Nerone che di disfarsi di Ottavia per poter condurre al talamo imperiale Poppea. Burro, che non a torto temeva l'ambizione e l'invadenza di costei, sconsigliava all'imperatore il divorzio, si narra anzi che un giorno, insistendo Nerone nel suo proposito di divorziare, il prefetto dei pretoriani gli dicesse di restituire ad Ottavia l'impero che in dote gli aveva portato. Ma Nerone era troppo innamorato della moglie di Otone per dare ascolto ai consigli di Burro e poiché questi contrastavano con i disegni dell'imperatore questi ben presto si sbarazzò anche del suo consigliere.
Burro mori nel 62 di una malattia alla gola, ma corse voce -e non si hanno motivi di ritenerla falsa- che la sua morte fosse causata da un veleno fornito a Burro, in luogo di una medicina, dallo stesso Nerone.
A Burro successero nella prefettura del pretorio Perno Rufo e Sofonio Tigellino, uomo tristissimo quest'ultimo, il quale si adoperò molto in favore di Poppea e a danno di Ottavia.
Nerone ripudiò l'infelice moglie col pretesto di sterilità e la confinò in Campania. Dodici giorni dopo il ripudio di Ottavia, Poppea Sabina divenne imperatrice e si ebbe il titolo di Augusta. Non contenta di avere raggiunto il suo scopo sacrificando la rivale, la fece mettere sotto processo per adulterio, ma la sfortunata donna risultò innocente. Allora il popolo commosso dalla sorte dell'onesta Ottavia, cui erano stati uccisi il padre, il fratello e la madre e in età di vent'anni, per la male arti d'una donna impudica, veniva cacciata dal talamo e dal trono, e tumultuò in suo favore.

Spaventato dal contegno del popolo, Nerone ordinò che Ottavia fosse richiamata dall'esilio. Il popolo applaudì all'imperatore e manifestò il suo sdegno contro Poppea abbattendone la statua; ma la nuova imperatrice, per nulla atterrita, volle immediata vendetta: costrinse il marito a far cacciare e frustare coloro che abbattevano le statue di lei e fece mettere nuovamente sotto processo Ottavia.
Chi si prestò a infangarla fu sempre quell'Aniceto, il quale inventò dinanzi ai giudici di essere stato l'amante di Ottavia. All'accusatore, che si rivelava nel medesimo tempo colpevole, venne data una punizione che fu però un premio: infatti venne mandato in esilio in Sardegna, dove ebbe però grandi ricchezze; mentre Ottavia fu confinata nell' isola di Pandataria e poco dopo fu dato ordine che si uccidesse.

Sulla fine di lei scrive TACITO : «Quando si conobbe la sua nuova condanna, nessuna donna esiliata strappò agli astanti maggior copia di pianto che lei. Si ricordavano Agrippina esiliata da Tiberio e Giulia da Claudio; ma queste erano in età matura ed avevano goduta la vita. Per Ottavia invece lo stesso giorno del matrimonio era stato un funereo giorno, e il palazzo in cui venne ad abitare non le offrì che immagini dolorose: il padre avvelenato, il fratello ucciso allo stesso modo, lei dimenticata per una schiava e poi ripudiata. Da ultimo un'accusa più terribile della morte stessa. E questa giovane, a venti anni, circondata da centurioni e da sicari, vedeva che la fine della sua vita si approssimava ma non aveva la quiete della morte. Però quando le giunse da Roma l'ordine di morire, non seppe rassegnarsi a lasciare la vita sebbene per lei fosse stata un continuo tormento. Scongiurò Nerone come sorella più che come moglie, invocò i comuni ricordi da Germanico ad Agrippina; ma invano. Le si aprirono le vene e poiché il sangue, agghiacciato dalla paura, veniva fuori lentamente, essa venne messa in un bagno caldo, i cui vapori la soffocarono. Per imperdonabile eccesso di crudeltà, la sua testa fu tagliata e mandata a Poppea e per questa morte vennero decretati doni e ringraziamenti alle divinità, che si era soliti ringraziare per ogni condanna all'esilio o alle morti volute dall' imperatore ». (Tacito)

Ma Poppea Sabina doveva godere per poco del suo trionfo. Essa diedé una figlia al marito, Claudia Augusta, che gli fu grato, ma tre anni dopo, nel 65, pagò il fio dei suoi misfatti. Trovandosi incinta, rimproverò un giorno l'imperatore di esser tornato tardi da una corsa di cocchi e in risposta si ebbe un calcio nel ventre che la uccise.
Alla estinta furono rese esequie solenni. Lo stesso imperatore dai rostri ne lesse l'elogio e la proclamò madre di una figlia divina. Ma il ricordo di lei ben presto si cancellò dall'animo di Nerone, il quale, innamoratesi di Antonia, figlia di Claudio, cui aveva ucciso il marito, la chiese in sposa. Ma Antonia lo rifiutò e venne fatta morire. Lo accettò come marito, invece, Statilia Messalina, pronipote di Tauro, donna corrotta al pari di lui, sposa del console Attico Vestine, il quale, rappresentando un ostacolo al matrimonio dell' imperatore, venne messo a morte dallo stesso Nerone che oramai era diventato un mostro inarrivabile di crudeltà (sempre se crediamo agli storici del tempo!)

SENECA - IL PRINCIPE ISTRIONE

Nel 62 l'anno in cui moriva Burro, L. ANNEO SENECA, temendo di fare la medesima fine sebbene l'imperatore lo avesse una volta rassicurato col dirgli: «io preFerirei morire che farti del male » ed essendo la sua posizione molto critica, si ritirava dalla vita politica e si chiudeva nell'intimità della sua casa sorrretto dal conforto dei suoi studi e dall'amore della moglie Paolina.
Seneca era nato a Cordova da quell'Anneo Seneca, maestro di eloquenza, detto il Vecchio; venuto presto a Roma, aveva studiato filosofia sotto lo stoico Attalo e il pitagorico Sozione, poi si era dato alla carriera forense, rivelandosi un valentissimo oratore. Nel 39, avendo recitato in Senato una magnifica orazione, aveva messo in pericolo la sua vita; infatti Caligola roso dall' invidia, ne aveva decretata la morte. Ma una favorita del principe, la quale assicurava che Seneca sarebbe morto presto perché era molto malato, lo aveva salvato. 
Nel 41, travolto dal processo contro Giulia Livilla provocato da Messalina, era stato relegato in Corsica, dove era rimasto per otto anni; richiamato a Roma nel 49 per intercessione di Agrippina, era stato creato pretore e nominato maestro di Nerone. Per cinque anni egli era stato l'educatore dell'anima e della mente dell'erede di Claudio: la mente gliela aveva educata con l'esercizio della declamazione che era poi il "pascolo intellettuale" del tempo e che Nerone, ambizioso, invidioso com'era si lasciò plagiare. L'anima invece aveva cercato di preparargliela  alle funzioni di futuro principe
Se l'educazione impartita da Seneca all'augusto discepolo non sortì i risultati cui tendeva il maestro, a Seneca non va data tutta la colpa, ma alla natura dell'alunno e all'ambiente corrotto della corte; ma per amore della verità bisogna riconoscere che qualche buon frutto essa diede e che non poche furono le benemerenze dell'opera politica del filosofo.

Dal 64 al 62, per un periodo cioè di otto anni, Seneca ebbe effettivamente se non ufficialmente la direzione politica dell'impero. L'impero aveva bisogno di una buona politica, di una politica che facesse dimenticare le malefatte dei passati governi, bisogno di un governo basato sull'equità, sull'umanità e sulla concordia tra il principe e i sudditi. Questi princìpi Seneca li riportava nel trattato De Clementia scritto nel 65 ed essi sono come l'annunzio dell'indirizzo politico che voleva si inaugurasse col principato di Nerone, il quale doveva distinguersi dai precedenti in specialmodo per la clemenza. Per fortuna Nerone non aveva vendette da compiere quando fu assunto all'impero. Le vendette vennero dopo, quando il desiderio di indipendenza e gli istinti malvagi ebbero il sopravvento e lo allontanarono dalla via tracciata da Seneca. L'opera del filosofo lasciò una traccia non lieve nella vita politica dell' impero e a quella si deve senza dubbio tutto quello che di buono ci fu nei primi anni del governo di Nerone. 

La casa imperiale fu separata dallo Stato, fu data libertà ed autorità al Senato e ai consoli, i quali conservarono le loro attribuzioni, e, perché il governo fosse il risultato di una collaborazione tra Senato e principe e diarchia e non una monarchia assoluta, fu dato un gran colpo all'invadenza e alla potenza che si erano sviluppate con i liberti e le donne della corte. Ma da questo indirizzo dato da Seneca alla politica nacquero i primi dissidi tra l'imperatore ed Agrippina.
All'amministrazione dell'erario furono preposti due prefetti scelti fra coloro che avevano esercitato la pretura; provvedimenti furono presi per impedire gli abusi fiscali; furono esentate dalle imposte le navi mercantili; fu ridotta a un quarto la ricompensa ai delatori fissata dalla legge Papia; ai senatori poveri venne assegnata una pensione annua; fu provveduto perché non venissero alterati e falsificati i testamenti; pene furono comminate contro coloro che dopo aver provocato processi ritirassero l'accusa; si stabilì un deposito per quelli che si appellavano al Senato; e si cercò di migliorare la posizione dei liberti insidiata dal conservatorismo del patriziato. Fra le cose buone del governo di Nerone, diretto da Seneca, va messa la rigorosa vigilanza sotto la quale fu tenuta l'opera dei governatori delle province.
 Dal 66 al 61 otto governatori vennero processati: di questi tre furono assolti, uno, Publio Celere, governatore della provincia d'Asia, morì prima della discussione, quattro vennero condannati: Vipsaio Lenate, governatore della Sardegna, Comiziano Capitone, della Cilicia, Tarquizio Rosco, della Bitinia, e Pedio Bleso. Quest'ultimo venne anche espulso dal Senato.

Con la morte di Burro e il ritiro di Seneca, uomini che ebbero pur essi dei difetti -Seneca fu accusato di predicar bene e razzolar male e di aver messo da parte una fortuna di trecento milioni di sesterzi- Nerone rimase in balìa di tristi consiglieri e dei suoi istinti, privo di due preziosi ministri, i quali, se non gli avevano impedito due delitti come l'uccisione di Britannico e di Agrippina, anzi avevano cercato di giustificarli, pure avevano saputo esercitare un gran freno sull'imperatore.
Ora Nerone da sfogo a tutte le malvagie qualità della sua natura. La storia del mondo non conosce forse un uomo così depravato come Nerone. 

"Dapprima -scrive SVETONIO- si diede solo per gradi e nascostamente al disordine, al libertinaggio, al lusso, all'avarizia e alla crudeltà, come se questi fossero difetti di gioventù, ma anche allora nessuno dubitò che quelli fossero vizi della natura di lui, non dell'età. Dopo il tramonto si copriva con un cappello o un berretto e faceva il giro delle taverne e dei vicoli rumoreggiando e oltraggiando la gente; era solito battere coloro che tornavano dalle cene e, se facevano resistenza, ordinava che fossero bastonati e immersi nelle fogne; devastava e saccheggiava le botteghe e vendeva a casa il bottino. Spesso nelle risse fu in procinto di lasciarci gli occhi o la vita e per miracolo non fu ucciso da un senatore, sulla cui moglie aveva messe le mani; in seguito a questo incidente quando usciva di sera si faceva scortare alla lontana dai tribuni. Di giorno si faceva portale in teatro in lettiga chiusa e dal proscenio guardava e incoraggiava le sommosse eccitate dai pantomimi; e quando il pubblico veniva alle mani e spaccava ogni cosa e gettava pezzi di panche, anch'egli ne scagliava sulla folla. Perì così un pretore alla testa. Ben presto però i suoi vizi si fecero più gravi e numerosi e furono messi da parte gli scherzi e le finzioni. Stava a banchettare da mezzogiorno fino a sera; sovente faceva bagni caldi. Talora pranzava in un luogo pubblico che faceva chiudere, nel Campo Marzio o nel Circo Massimo, facendosi servire da meretrici e da cantatrici di tutta la città. 
Ogni volta che sul Tevere scendeva ad Ostia o navigava nel golfo di Baia ordinava che sulle rive fossero innalzate piccole capanne abitate da matrone dell'alta società, le quali imitando le mercantesse, lo chiamavano e lo invitavano. Ordinava cene ai suoi amici e uno di questi, in una vivanda composta di miele, spese quattro milioni di sesterzi; in un'altra cena una bevanda di rose costò di più. Tacendo del suo infame commercio, con i giovani liberi e dei suoi amori adulterini, dirò che violò una vestale, di nome Rubria. Fu in procinto di sposare la sua libertà Atte e indusse dei consolari a giurare che essa era di sangue reale. Come per cambiargli sesso, fece evirare un giovinetto chiamato Spora e lo sposò con dote e velo e con gran pompa lo condusse a casa e lo tenne in luogo di moglie. In quell'occasione qualcuno disse molto a proposito che sarebbe stata una fortuna pel mondo se Domizio, padre di Nerone, avesse avuta una simile moglie» (Svetonio)

Ne a queste si limitarono le oscenità di Nerone: prese il liberto Doriforo come marito, ebbe in animo, ma ne fu dissuaso dai consiglieri, di unirsi incestuosamente con Agrippina e diede prova insuperabile di libidine nelle numerose orge in cui passava il giorno e la notte. Nerone non era soltanto un uomo depravato. Volendo imitare i Greci, prostituì la sua dignità di principe ed abbassò quella del Senato, dei patrizi e dei cavalieri con la partecipazione ai giucohi e agli spettacoli. Egli stesso partecipò con l'auriga, e indusse quattrocento senatori e seicento cavalieri a combattere come gladiatori in un anfiteatro di legno appositamente fatto nel Campo Marzio; e costrinse i più ricchi e reputati cittadini a misurarsi con le fiere dell'arena e una matrona ottantenne a ballare sulle scene fra i lazzi e le risa degli spettatori.

Appassionatissimo degli spettacoli, istituì i giuochi giovenali, i giuochi da lui detti neroniani, da celebrarsi a spese dello stato ogni cinque anni, e gare di musica e di poesia. Nella prima di queste gare a Nerone venne assegnata la palma dell'eloquenza e della poesia.
Ma ancor più che degli spettacoli era appassionato della musica, del canto e della poesia. Era convinto di essere un grande artista, ma la voce l'aveva rauca ed era un mediocre compositore di versi, tuttavia volle cantare sulle pubbliche scene e le sue poesie fece incidere a lettere d'oro e le dispose nel tempio di Giove Capitolino; pretese lodi ed applausi e invidiò e perseguitò coloro che credeva suoi rivali.
Questi era l'uomo che reggeva le sorti del più vasto impero del mondo (sempre secondo quegli storici che ne hanno scritto tutto il male, dopo però. Anche perchè Nerone capitò proprio mentre si cercava un capio espiatorio ad ogni cosa ritenuta corruttrice: feste, balli, giuochi, inni alla sensualità o alla ricchezza, ai lascivi sport, alla letteratura profana, al godimento della vita terrena. 

* LE GUERRE DI NERONE
* INCENDIO DI ROMA - * PERSECUZIONI CRISTIANI
* LA CONGIURA CONTRO NERONE
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