ANNO 378 - 395 d.C.

da
GRAZIANO a TEODOSIO - ARBOGASTE

  GRAZIANO E VALENTINIANO II, PICCOLI IMPERATORI - TEODOSIO TORNA ALLA RIBALTA
TEODOSIO IMPERATORE D'ORIENTE - LA FIGURA DI AMBROGIO - TEODOSIO E L'EDITTO DELLA FEDE
 IL RIBELLE GALLICO MASSIMO - LA STRAGE DI TESSALONICA -
TRIONFA AMBROGIO E LA FEDE -  ARBOGASTE-EUGENIO, POI LA MORTE DI TEODOSIO
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GRAZIANO E VALENTINIANO II - I PICCOLI IMPERATORI


Valentiniano, morendo, lasciava due figli: l'uno GRAZIANO in età di sedici anni che aveva avuto da Severa, la nipote di Costantino, sua prima moglie e che — come si è detto — nel 376 era stato dal padre creato Augusto, l'altro VALENTINIANO II, in età di quattro anni, avuto dalla seconda moglie Giustina, vedova di Magnenzio. Anche il piccolo Valentiniano II, dopo la morte del padre fu proclamato Augusto ma tutto il peso del governo rimase al fratello Graziano, che fissò a Treveri la sua sede.
A lui chiese aiuti Valente  impegnato in Oriente a contrastare l' invasione gotica, e Graziano si apprestava a mandarglieli quando gli Alemanni, invadendo la Germania superiore, costrinsero il giovanissimo imperatore a non privarsi delle sue truppe e a rivolgersi contro il nemico più vicino.
Solo nel 378, dopo avere sconfitti gli Alemanni, Graziano riuscì a muoversi per portare soccorso allo zio, ma a Sirmio fu trattenuto da una indisposizione e poi dalla notizia della rotta di Adrianopoli e della tragica morte di Valente.

L'impero si trovava in una condizione gravissima: gli Alemanni si preparavano a invadere ancora la Germania superiore, i Quadi e i Sarmati, passato il Danubio, penetravano nella Pannonia, i Goti scorazzavano nella penisola balcanica e giungevano in vista di Costantinopoli, insomma l'Oriente si trovava senza Augusto e coi barbari alle porte. Da solo Graziano non si sentiva capace di far fronte a tanti nemici e di salvare l'intero impero; lui aveva 18 anni, e il fratello 6; miracoli non li potevano fare!

TEODOSIO TORNA ALLA RIBALTA

C'era due anni prima dentro nel suo esercito un prode generale di 30 anni: Teodosio, nato nel 347 in una città della Galizia. Suo padre era stato quel Teodosio che aveva vinti i barbari della Britannia al tempo di Valentiniano I. Aveva poi sconfitto Firmo nella rivolta in Africa e dopo rimasto sul posto si era dedicato a stroncare la corruzione che era poi quella che aveva provocato la rivolta. Invece del premio per tali servigi resi all'impero, il prode generale, fu accusato lui di corruzione dallo stesso governatore d'Africa (che poi era il vero capo dei corruttori), ed era stato messo a morte per ordine del giovanissimo Graziano (376), il quale aveva inoltre esonerato dal comando della Mesia il giovane figlio che portava lo stesso nome: Teodosio. Ma sembra che sia stato lo stesso Teodosio a licenziarsi perchè rimasto indignato dell'accusa infamante fatta al valoroso e onesto padre. Inoltre non poteva certo servire con onestà chi aveva firmato con tanta superficialità la sua condanna a morte; né avrebbe potuto vivere in mezzo ai soldati come figlio di un giustiziato per quell'infame accusa. Con disgusto abbandonato l'esercito si era così ritirato a vivere privatamente nella sua Spagna.
Ma nel 378 lo stesso Graziano con i suoi 18 anni al centro di una grave crisi, lo aveva richiamato presso di sé e gli aveva affidato il difficile incarico di respingere i Sarmati.

Teodosio era l'unico che potesse fronteggiare i Goti. E Graziano che era ancora un bambino ma a quanto pare  intelligente, non esitò un attimo ad affidargli il difficilissimo compito e, per dargli maggiore autorità, il 19 gennaio del 379 lo creò Augusto assegnandogli l'Oriente con la Mesia e la Dacia.

Teodosio pose il suo quartiere generale a Tessalonica e, preso al suo servizio un certo numero di Goti, iniziò la guerra contro il resto dei barbari su cui riportò qualche successo. Caduto gravemente ammalato verso la fine del 379, le operazioni guerresche dovettero essere sospese. Purtroppo ricominciarono nel 380 le devastazioni gotiche nella penisola balcanica malgrado i rinforzi inviati da Graziano agli ordini di Bautone e Arbogaste.
Fritigerne con le sue orde si gettò sulla Tessaglia, sul'Epiro e sull'Acaia e intanto dalla Mesia superiore i capi Ostrogoti Alateo e Safrace invadevano la Pannonia,  infine ATANARICO, forse premuto dagli Unni, entrava anche lui nel territorio dell' impero.

La morte di Fritigerne e l'abile politica di Teodosio posero fine alla guerra gotica dopo due anni di devastazioni. L'imperatore seppe attirare a sé Atanarico: l'11 gennaio del 381 invitato a soggiornare a Costantinopoli, quando vi entrò gli fece magnifiche accoglienze ed essendo il re goto morto pochi giorni dopo gli fece fare splendidi funerali ed ordinò che le ceneri avessero posto nel mausoleo imperiale. I Goti ne vedere tanto riguardo per il loro re furono presto guadagnati alla causa di Teodosio e degli ottimi alleati. Furono stanziati nella Mesia, nella Dacia, nella Tracia, nella Pannonia, si dedicarono all'agricoltura e si impegnarono a fornire milizie all'impero per la difesa della frontiera. (MA VEDI NEI PARTICOLARI QUESTO FAMOSO TRATTATO DI PACE 
NELL'ANNO 382).

Un trattato dove non emerge più la supremazia dell'Impero ma già la sua debolezza.


LA FIGURA DI AMBROGIO
TRIONFO DEL CATTOLICESIMO 

Sotto l'impero di Graziano e di Teodosio il Cattolicesimo trionfa. Graziano è un cristiano devoto, seguace del simbolo di Nicea e fa una politica decisamente cattolica. Nel 377 esonera dalle pubbliche cariche tutti i sacerdoti, nel 378 espropria le chiese ariane e sostituisce i vescovi ariani con i vescovi cattolici. Suo ispiratore è AMBROGIO, il grande vescovo milanese, nato a Treveri da nobile famiglia romana, che aveva dato all'Impero molti funzionari, e lui stesso Ambrogio era un funzionario.
AMBROGIO a Milano non era un prete, ma era un'alta autorità civile, prefetto dell'Italia settentrionale, ossia in pratica governatore della Lombardia, dell'Emilia e della Liguria, inviato dall'imperatore con sede nella capitale lombarda. Era figlio orfano del prefetto della Gallia (Francia e Germania) fin da giovane avviato negli studi della giurisprudenza per una promettente carriera politica e che a Milano si era compiuta;  non aspirava di certo alla dignità episcopale, questo non era nei suoi programmi. A Milano dove era giunto da due anni, dal 372, con la carica di prefetto si fece subito conoscere come uomo di carattere autorevole ma anche appassionato di giustizia. Una vera garanzia le sue virtù per chi doveva ricorrere alla giustizia per vari motivi civili e penali. Dopo un suo giudizio perfino quello che era stato condannato ringraziava il cielo per averlo avuto come giudice, altrimenti sarebbe andata peggio.

Milano era allora divisa da una grave discordia di carattere religioso. Una parte era Cattolica ortodossa, un'altra per l'Ariana. Le due fazioni si disputavano il controllo della città.
La seconda, avendo il vescovo ariano in mano questo controllo, sia politico che religioso, dopo la sua morte avvenuta nel 374  la popolazione si radunò per eleggere il successore, e con i dissidi che c'erano si trasformò quasi in una lotta civile.  Ognuno invocava il nome di un valido successore di questa o quell'altra religione. Purchè onesto e con il senso della giustizia.
Secondo la tradizione, dalla folla, si levò il grido di un ragazzino: "Ma allora... perché non facciamo vescovo Ambrogio?". Atterrito da questa grande responsabilità al di fuori delle sue aspirazioni di altro genere, che non erano certo quelle episcopali, Ambrogio si defilò, fuggì via da Milano travestito. Ma non andò molto lontano, fu riconosciuto e la folla agguantatolo lo portò subito in trionfo anche se lui seguitava a dire che non avrebbe mai accettato, e che del resto non era un prete. Intervenne l'imperatore che gli ordinò di accettare la carica. Ambrogio, nonostante fosse assai colto anche in materia religiosa, fece presente che non era un prete e nemmeno cristiano. Non fu un problema. Fu battezzato, ordinato diacono, sacerdote e quindi vescovo: tutto nel breve arco di una settimana.
Un'esperienza senza precedenti. AMBROGIO resse la diocesi per 23 anni, sino al 397, anno della sua morte. E come la resse! Lasciò il segno nei secoli. (vedi più avanti)


TEODOSIO E L'EDITTO DELLA FEDE

Fervente cattolico era diventato nel frattempo Teodosio che dopo la malattia che l'ha colpito a Tessalonica ha aderito alla fede cristiana, che ormai professa dopo il battesimo ricevuto da Acolio.
Il 3 agosto del 379 i due imperatori proibiscono con un editto tutte le eresie; il 27 febbraio dell'anno successivo lanciano il famoso editto in cui si dice di volere unificare la Chiesa secondo la dottrina di Nicea: «Noi vogliamo che tutti i popoli governati dalla clemenza nostra seguano la religione che il santo apostolo Pietro rivelò ai Romani e che il pontefice Damaso e il Vescovo Pietro d'Alessandria professano. Noi crediamo che il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo formino un sola divinità sotto un'eguale maestà e una pia trinità. Pertanto ordiniamo che tutti quelli che seguono questa fede si chiamino Cristiani cattolici, e, poiché crediamo che gli altri siano dementi e insani, vogliamo che essi subiscano l'onta dell'eresia e che i loro conciliaboli non abbiamo più il nome di chiese. Oltre la condanna della divina giustizia, essi riceveranno le severe pene che la nostra autorità, guidata dalla celeste sapienza, vorrà infliggere loro ».

Il 10 gennaio del 381 dichiarano la confessione nicena la sola ortodossa; nel maggio del 381 è convocato un concilio di centocinquanta vescovi dell'Oriente, che riconferma il simbolo di Nicea e assegna alla chiesa di Roma il primo posto e il secondo a quella di Costantinopoli; un altro concilio è tenuto nello stesso anno ad Aquileia, che condanna il vescovo ariano Ursicino, quelli della Mesia e della Dacia e impone al clero cattolico di pregare ogni giorno per gli imperatori.
Per assicurare il trionfo del Cattolicesimo vengono presi altri provvedimenti: si proibisce agli eretici di tenere assemblee e predicare le loro dottrine, si vieta agli Ariani d'innalzare chiese, e si toglie il diritto di intestare ed ereditare beni agli apostati. Ai provvedimenti contro i Cristiani che non professano il Cattolicesimo seguono quelli contro il paganesimo. Verso la fine del 381 si minacciano pene a chi compie cerimonie o professa culti pagani. Nel 382 si fa togliere dal Senato di Roma l'altare della Vittoria, che dopo la battaglia di Azio Ottaviano aveva fatto innalzare nella Curia. Si sopprimono le rendite di cui godono i templi pagani, se ne confiscano i beni, si vietano i legati in loro favore e ai sacerdoti e alle vestali si tolgono i privilegi. Gli imperatori lasciano il titolo e la carica di pontefice massimo. _

IL RIBELLE GALLICO MAGNO CLEMENTE MASSIMO

Nel 383 un pretendente al trono sorge in Britannia: MAGNO CLEMENTE MASSIMO; questi riesce a trarre dalla sua parte i presidi romani dell' isola e si proclama imperatore, poi opera un audace sbarco in Gallia, sconfigge in qualche combattimento le truppe di Graziano e si rende padrone di buona parte della provincia. 
Graziano, che non gode troppa popolarità fra i soldati, è abbandonato dai suoi, che passano al nemico; Graziano allora corre nella Gallia meridionale, dove spera di poter entrare in Italia per raccogliere un esercito da contrapporre al rivale. Ma a Lugdunum il magister equitum Andragazio, dopo averlo ascoltato e invitato ad un banchetto, lo fa trucidare (25 agosto del 383).

Massimo diventa così padrone della Gallia, della Britannia e della Spagna. Suo desiderio era senza dubbio, di spodestare anche Valentiniano II, ma non osò, sapendolo ben visto dalle truppe e ben difeso dal generale Bautone. Tentò di farlo cadere in una insidia, inviandolo con la madre Giustina a Treveri col pretesto di trattar la pace, ma non vi riuscì. 
Teodosio avrebbe voluto portare soccorso a Graziano, ma la fine di costui fu così improvvisa che l'imperatore dall'Oriente non ebbe il tempo di muoversi e, siccome temeva una invasione dei Persiani, stabili di non vendicare subito la morte del collega; anzi con una mossa tattica, riconobbe Massimo come imperatore delle province usurpate.

A Valentiniano II rimasero l'Italia, l'Africa e le province del Danubio. Teodosio nel 382 aveva creato Angusto Arcadio, il maggiore dei suo figli che allora contava sei anni; Massimo in Gallia lo imitò conferendo la dignità augustale al proprio figlioletto Vittore.
Della morte di Graziano, che era il protettore del Cattolicesimo in Occidente cercarono di trarre profitto i Pagani e gli Ariani. Roma rimaneva la città del paganesimo e il Senato, in gran parte pagano, era il paladino più forte della religione degli avi. Pagano ardente era il prefetto del pretorio Vettio Agono Pretestato il quale ruscì a strappare a Valentiniano un editto che lo incaricava di ricercare gli ornamenti di cui erano stati  spogliati gli edifici pubblici. Era un tentativo molto abile di far tornare i templi in possesso dei loro oggetti preziosi. Pagano non meno ardente era Aurelio SIMMACO  prefetto della città, che qualche anno prima era stato mandato a Graziano con una deputazione di senatori per far revocare il decreto che ordinava la rimozione dalla Curia dell'altare della Vittoria. Ma i vescovi Ambrogio e Damaso avevano vivamente protestato e Simmaco non era stato neppure ricevuto. Ora Simmaco per desiderio del Senato, tornò alla carica e ai tre Augusti Teodosio, Valentiniano II ed Arcadio inviò una dotta relazione, in cui, facendo l'apologia del paganesimo, invocava fra l'altro che venisse rimesso nella Curia l'altare. Era l'ultima voce del paganesimo agonizzante contro la quale tuonò Ambrogio. Ma quella voce non ebbe eco nel cuore degli Augusti

Anche gli Ariani d'Italia e specialmente quelli di Milano, protetti da Giustina che professava la loro confessione, tentarono la riscossa, chiedendo che per l'esercizio del loro culto si desse loro la basilica Porzia (S.Vittore ad Corpus) fuori le mura. Ambrogio oppose un rifiuto. Giustina allora chiese per gli ariani una basilica dentro la città e a un nuovo e più energico rifiuto del vescovo, citò il prelato davanti al consiglio imperiale e poi fece occupare con la forza la basilica. Ma il popolo protestò tumultuando,  la Corte, per evitare una rivoluzione, cedette (Pasqua del 385) e Valentiniano dovette recarsi dal vescovo per ottenere la conciliazione. Ma l'anno seguente l'imperatore pubblicò un editto (25 gennaio 386) col quale concedeva agli Ariani l'esercizio del loro culto. Tornava in campo la richiesta della cessione della basilica; ma anche questa volta Ambrogio si rifiutò di darla e il popolo vi rimase in armi per più giorni e più notti deciso ad opporsi con la forza ad un possibile intervento delle milizie. Ambrogio, minacciato d'esilio, ebbe l'ordine di recarsi alla corte per sostenere un contradittorio con il vescovo ariano; ma lui non andò e rispose che non riconosceva, in materia religiosa, altra autorità che quella dei concili.
Mentre Valentiniano, spinto dalla madre, lottava per rialzare le sorti dell'Arianesimo, Magno Clemente Massimo faceva una politica apertamente cattolica. Egli sperava di ingraziarsi i cattolici d'Italia e sbalzare dal trono Valentiniano. Scrisse difatti a Siricio, nuovo vescovo di Roma, professandosi difensore del Cattolicesimo e protestò contro il collega di Milano per la politica contraria ai Cattolici, poi alla testa d'un esercito passò le Alpi.
Valentiniano, impreparato ad una guerra, fuggì con la madre e la sorella a Tessalonica (ottobre del 387) per chiedere aiuto a Teodosio. Non poteva questi tollerare che Massimo, dopo avere usurpato il trono di Graziano, usurpasse anche quello di Valentiniano. D'altro canto difendere i diritti di Valentiniano significava schierarsi in favore di un principe ariano contro un imperatore cattolico. 

Ma di lì a poco Giustina morì e Valentiniano - libero dal plagio materno- si convertì al Cattolicesimo. Teodosio, rimasto vedovo, sposò nello stesso tempo la sorella e la causa di Valentiniano II e, mandato il cognato a Roma, con un forte esercito si pose in marcia verso l'Italia.
Magno Clemente Massimo si scontrò con Teodosio a Sciscia (Sisech), nella valle della Sava, e fu sconfitto; altra sconfitta subì a Petovio (Petau) nella Pannonia e si ritirò in Emona (Lubiana); ma disperando di potervi resistere per le numerose diserzioni dei suoi, con le poche truppe rimastegli si diresse verso Aquileia. La forte città, che aveva eroicamente aveva resistito a Massimino, non fu certo il rifugio più sicuro per Massimo: nel luglio del 388 le milizie vittoriose di Teodosio entrarono ad Aquileia, e l'usurpatore, caduto in mano del nemico, fu messo a morte.

Rimaneva il figlio VITTORE che si trovava in Gallia, ma questi non sopravvisse lungamente al padre: gli diede la caccia, fu catturato e ucciso dal generale franco ARBOGASTE, che Teodosio mandò in quella provincia per governarla in nome di Valentiniano II (Arbogaste lo ritroveremo ancora più avanti)
Valentiniano ebbe così nuovamente tutto l'Occidente; ma non contava neppure diciannove anni e di fatto, se non di nome, era Teodosio ormai padrone di tutto l'impero.
Con la morte di Massimo e la conversione di Valentiniano, l'Arianesimo d'Occidente riceveva un gravissimo colpo e il Cattolicesimo diventava potentissimo. 

Diventava così potente da far dire ad Ambrogio vescovo di Milano: Imperator enim intra Ecclesiam non supra Ecclesiam est. L'imperatore è dentro nella Chiesa non sopra la Chiesa.

La Chiesa cominciava a ingerirsi negli affari dell'impero e per mezzo dei propri gerarchi cercava d'imporre al principe la propria volontà. Della potenza della Chiesa cattolica e del principio proclamato da Ambrogio che essa non era al di sotto dell' imperatore ebbe a fare esperimento Teodosio stesso. A Callinicum, città dell' Eufrate, il vescovo aveva fatto distruggere una sinagoga.

Poiché il culto ebraico era permesso, Teodosio ordinò che il vescovo ricostruisse a sue spese la sinagoga e gli autori della distruzione fossero puniti. A prender le difese del Vescovo di Callinicum insorse Ambrogio che, scrivendo all' imperatore, così si esprimeva: « Io ti scrivo perché tu mi ascolti nella reggia ed io non sia costretto forse a farmi ascoltare nella Chiesa ». Teodosio non si lasciò intimidire dal linguaggio dell'audace prelato, ma, quando questi sospese per lui le funzioni religiose, cedette.

LA STRAGE DI TESSALONICA

Era una grande vittoria della chiesa questa cui doveva seguirne un'altra, clamorosissima. A Tessalonica, nel 390, la popolazione si era ribellata per i soprusi ingiuriando il governatore Boterico Questi in previsione dei giochi annuali, una specie di olimpiade, volle vendicarsi e con il pretesto dell'ordine pubblico non fece scendere in lizza gli atleti della città. Nacquero discussione, poi tumulti, ci furono scontri sempre più incontrollabili, fin quando si passò alle vie di fatto, e messe le mani su Boterico, qualcuno gridò "a morte", gli inferociti gli saltarono addosso e messogli una corda al collo lo impiccarono a un albero e con lui qualche altro malcapitato della milizia.

Teodosio informato ordinò una rappresaglia (senza specificare come e in quale misura) e le milizie, forse perchè erano stati uccisi dei loro colleghi , andarono forse sopra le righe di quell' ordine, che forse riferendosi agli assassini diceva "li voglio tutti morti". Le milizie e i soldati dopo alcuni giorni dal misfatto, con un pretesto di una gara di bighe, fecero entrare nel grande circo quasi tutta la popolazione della città, poi sbarrarono le porte e si misero a fare la strage dei Tessalonicensi. Si narra che le vittime furono 7.000, l'arena trasformata in un lago di sangue. Il "campione" del giorno in quei Giochi, fu un solo uomo: il criminale TEODOSIO.

TRIONFA AMBROGIO E LA FEDE

AMBROGIO venuto a sapere l'efferato delitto "barbarico" di TEODOSIO, prese a pretesto una indisposizione e partì da Milano per destinazione ignota, non volle più ricevere  ne' più incontrarsi con il"mostro" TEODOSIO. AMBROGIO era affranto, angosciato, sconvolto, travolto da uno sdegno che lo mortificò nel profondo dell'anima per giorni e giorni. Fin quando prese penna e calamaio e scrisse di proprio mano una lettera privata all'imperatore. Esigeva che a un tale crimine dovesse seguire un profondo e sincero pentimento pubblico.
E fino a quel giorno - gli scrisse Ambrogio - in presenza sua non avrebbe mai più celebrato il sacrificio della Messa, lui non era degno di Dio; lui con questa colpa infame non era nemmeno degno di vivere. E ci avrebbe pensato Dio, perchè l'angoscia l'avrebbe perseguitato per sempre in una vita d'inferno fino a soccombere.
Teodosio in effetti stava già soccombendo perchè l'orrendo delitto stava offuscando il suo prestigio imperiale e perfino la sua dignità di uomo, in ogni angolo dell'impero dove la mostruoso notizia si sparse in un baleno ed era ascoltata e commentata con raccapriccio. Nessun "barbaro" aveva mai commesso un così spietato delitto e per una banale lite sportiva.

Teodosio capì che non c'erano altre alternative. Alla fine di dicembre del 393 si recò quindi a Milano con il suo seguito, si spogliò della porpora, entrò nella Cattedrale di Milano con i vestiti di un comune cittadino, si avvicinò all'altare dove c'era AMBROGIO si prostrò umilmente ai suoi piedi e gli depose sui gradini le sue insegne. Più che ad Ambrogio chiese perdono alla maestà offesa del cielo, voleva acquietare la sua coscienza in pena. Ed era quello che voleva l'umile prete di Milano.
Questo evento sancisce d'ora in avanti  il potere della Chiesa sul potere temporale. Da quel 393 lo Stato non era più dipendente di un sovrano ma condizionato da un uomo della Chiesa. 
La sottomissione di Teodosio è emblematica: l'autorità morale prendeva il sopravvento su quella temporale.

Il gesto di umiltà voluto da Ambrogio al cospetto del pubblico (quindi un notevole fatto politico e sociale - oltre che nella sua essenza simbolica puramente religiosa) affermava la potenza e l'autorità della Chiesa cristiana, così come l'aveva concepita Ambrogio. La sua  non era una insubordinazione all'autorità politica: più semplicemente voleva affermare che "la legge morale deve presiedere qualsiasi azione, anche le attività politiche e le decisioni dell' IMPERATORE; un uomo che per Ambrogio non aveva nessun potere nel decidere la vita e la morte di un uomo; questo appartiene per diritto solo a Dio. 
Quella sottomissione fu dirompente nell'immaginario collettivo e sconvolse gli equilibri del potere. Non era mai accaduto prima, né tanto meno era accaduto al vertice dell'impero.

Teodosio inginocchiandosi al cospetto del popolo, sulla soglia della cattedrale, recitò le parole del Salmo: « L'anima mia giace nella polvere. Signore, confortami secondo la tua parola».
A confortarlo non c'era di persona Dio ma c'era il suo ministro: Ambrogio.
Ambrogio in precedenza ogni volta che voleva imporre la sua autorità a quella dell'imperatore, seguitava a ripetergli "L'autorità non è mia, io sono un nulla, sono solo il ministro di Dio".
Ma quel giorno l'autorità era una sola: quella di Ambrogio. Un uomo capitato per caso a Milano, poi a furo di popolo fatto vescovo quando non era nè un prete e nemmeno era un cristiano.

Ricordiamo che dopo questa vittoria di Ambrogio, Teodosio emanò un provvedimento di assoluto divieto del culto pagano prima a Roma, poi lo estese l'anno dopo a Costantinopoli.
Ed è il trionfo di Ambrogio e il trionfo del cristianesimo


ARBOGASTE-EUGENIO POI LA MORTE DI TEODOSIO

Mentre l'imperatore si sottomette alla Chiesa e il Cattolicesimo trionfa, il Paganesimo tenta per l'ultima volta di muovere alla riscossa.
Primi ad iniziarla sono i pagani dell' Egitto. Un tempio di Bacco, con i nuovi provvedimenti emanati da Teodosio, è stato trasformato in una chiesa cristiana. È la prima scintilla di un incendio: i seguaci, ancora numerosi, dei vecchi dèi insorgono e si asserragliano dentro il tempio di Serapide. Al moto di rivolta succede la rappresaglia imperiale; i templi pagani dell'Egitto vengono rasi al suolo e sulle rovine di quello di Serapide viene eretta una chiesa. Né questo è tutto: l'elemento cristiano scende in campo a render più grave la rappresaglia del principe e dà origine a tumulti violentissimi. I pagani reagiscono, le vie di Alessandria si trasformano in un campo di battaglia e il sangue scorre.
Il paganesimo ha però contro di sé l'imperatore è perciò la lotta è impari. Ma un avvenimento improvviso gli procura un alleato validissimo. Il 15 maggio del 392 l'imperatore Valentiniano II viene trovato impiccato ad un albero del suo giardino di Vienna.. Si crede a un suicidio e non si tratta invece che di un delitto.
Autore è, indubbiamente il generale ARBOGASTE, uomo autoritario e violento, che, avuto il governo della Gallia, ha saputo respingere una invasione di Franchi e, cresciuto la sua ambizione e forte del prestigio che gode tra i soldati, venuto in aspro dissidio con l'imperatore, gli ha prima strappato in faccia l'ordine col quale Valentiniano gli dava congedo, poi ha fatto sopprimere l'infelice principe. Compiuto il misfatto, Arbogaste non prende la porpora ma offre l'impero ad una sua creatura, EUGENIO, che viene riconosciuto nella Spagna, nella Gallia, nella Britannia e, poiché è Cristiano, non trova opposizioni in Italia. Ma il vero imperatore è Arbogaste, pagano, il quale, sia per rialzare le sorti della religione che professa, sia per trovare tra i pagani un appoggio nella lotta che inevitabilmente scatenerà a Teodosio, tenta di guadagnarsi l'animo dei suoi correligionari. Dietro suo consiglio Eugenio concede ai pagani libertà di culto, ridà ai templi le rendite confiscate e fa ricollocare nella Curia l'altare e la statua della Vittoria. In Roma si sospendono per tre mesi tutti i pubblici affari per purificare la città, tornano ad essere celebrate con solennità le feste pagane e si cerca con la persuasione e con le minacce di far tornare i Cristiani al Paganesimo.

È così minaccioso l'atteggiamento dei pagani d'Italia e di Arbogaste che il battagliero Ambrogio, appena sa che Eugenio si prepara a passare le Alpi, abbandona Milano e si reca a Firenze.
Ma il Paganesimo ed Arbogaste hanno un nemico che non può rassegnarsi a vedere il rifiorire della religione degli antichi dèi e non può tollerare la prepotenza del generale franco. Questo nemico è Teodosio, il quale dopo lunghi preparativi, raccolto un fortissimo esercito in cui sono numerosi Goti, Alani, Unni, Iberi e Saraceni, si affianca due famosi generali di stirpe barbara., STILICONE ed ALARICO, e nella primavera del 394, innalzato alla dignità di Augusto il figlio minore ONORIO, si mette in marcia verso l'Italia.

La linea delle Alpi è debolmente difesa da Flaviano, e viene facilmente passata dalle milizie di Teodosio. Queste si scontrano con l'esercito di Eugenio (figlio), comandato da Arbogaste (padre), il 5 settembre del 394 nella valle del Frigidus (Vippacco). La giornata, iniziata con uno scontro sanguinosissimo, e termina con il vantaggio di Eugenio; numerosi Goti giacciono sul campo, ma l'esercito di Teodosio è ancora in grado di affrontare il nemico. Durante la notte il passaggio di alcuni corpi di milizie, corrotti dal denaro, dal campo di Arbogaste a quello di Teodosio annulla i successi del primo. La battaglia è ripresa il giorno dopo; un vento gelido e furioso (bora) tormenta le schiere di Eugenio che sono costrette a volgere il viso verso la bufera e che, indebolite dalla diserzione della notte, vengono sbaragliate.
Eugenio viene catturato  e messo a morte; Arbogaste riesce a prender la fuga, ma due giorni dopo, disperando di fuggire alla spietata caccia che gli danno i nemici, si uccide.
Sul Vippacco il Paganesimo riceve il colpo di grazia. Esso sarà ancora professato, ma la sua importanza è finita per sempre e la sua magra vita non avrà più alcun influsso sulla società.

Il Paganesimo muore, ma non muore solo: Teodosio era affetto già di idropisia, ma a Vippacco, nell'accalorarsi per gli eventi che si svolgevano davanti ai suoi occhi, il vento gelido della bora lo avvolse nelle sue spire e quando lo abbandonò gli lasciò addosso una broncopolmonite.
Per curarsi megli fu portato a Milano, ma qui il 17 gennaio del 395 Teodosio muore  e con lui scompare l'ultimo degli imperatori cui sia stato concesso di vedere ancora, prima di chiudere gli occhi, intatti i confini del grande impero dopo l'unità che era riuscita nuovamente a creare.
 Ma con lui la storia dell'impero si chiude. L'unità finisce. Inizia il periodo tragico dell'agonia, durata ottant'anni e a tratti illuminata da bagliori eroici, alla quale seguirà la catastrofe. 

FINE PERIODO 378 - 395

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Fonti, citazioni, e testo
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA , 
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

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