Anni 489 - 493 d.C.

GLI OSTROGOTI IN ITALIA - MORTE ODOACRE - TEODORICO

GLI OSTROGOTI NELLA PANNONIA E NELLA MESIA - TEODORICO E ZENONE - L'IMPERATORE DI COSTANTINOPOLI E L' IMPRESA DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA - PARTENZA DI TEODORICO E DEL SUO POPOLO - LA BATTAGLIA DELL'ULCA - LA SOSTA NEL TERRITORIO DEI GEPIDI - ARRIVO ALLE ALPI - BATTAGLIE DELL' ISONZO E DI VERONA -- RESA DI MILANO - TUFA - ODOACRE ALLA RISCOSSA - ODOACRE ASSEDIA TEODORICO A PAVIA - DISCESA DEI VISIGOTI - BATTAGLIA DELL'ADDA - TEODORICO CHIEDE A COSTANTINOPOLI LE INSEGNE REGIE - ASSEDIO DI RAVENNA - SORTITA DEL LUGLIO 491 - RIBELLIONE DEI RUGI - CADUTA DI RIMINI - TRATTATO DI PACE TRA TEODORICO E ODOACRE - TEODORICO ENTRA A RAVENNA - MORTE DI ODOACRE
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GLI OSTROGOTI E L'IMPERO D'ORIENTE


Sfasciatosi, come abbiamo visto, l'impero unno, gli Ostrogoti, o meglio la maggior parte di essi, si erano stanziati nella Pannonia, da dove, più tardi, spinti dal bisogno si erano spostati più ad Oriente. Sotto il regno di Vinitario, della potente stirpe degli Amali, gli Ostrogoti stipularono con l'impero bizantino un trattato di alleanza, obbligandosi, dietro compenso di un tributo annuo, a difendere dagli altri barbari le frontiere dell' impero medesimo. 

Morto
Vinitario, gli seguirono i tre figli Velamiro, Vidimato, Teodimiro, i quali rinnovarono con Leone il trattato di alleanza e gli diedero in ostaggio, Teodorico, figlio di Teodimiro, che allora contava appena otto anni (463).
Dieci anni rimase Teodorico alla corte di Costantinopoli e questo soggiorno non fu senza efficacia sull'educazione e sul temperamento del giovane principe, che crebbe alla scuola delle armi romane e della scaltra politica bizantina; scuola mirabile per un barbaro pieno d'ingegno, di audacia e di ambizione che era destinato ad un grande avvenire.
Durante il soggiorno di Teodorico a Costantinopoli cordiali rimasero i rapporti tra gli Ostrogoti e l'impero e poiché magri arano gli stipendi che l' impero pagava a questi barbari,  questi cercarono e trovarono altre risorse in guerre frequenti contro popoli vicini, in una delle quali combattuta contro gli Sciri, trovò la morte il maggiore dei tre fratelli: Velamiro. 
Prese il titolo di re Teodimiro, il quale chiese ed ottenne la restituzione del figlio. Teodorico, partito da Costantinopoli nel 472, all'età di diciott'anni, diede subito prova del suo valore, assalendo oltre il Danubio, senza che il padre impegnato contro gli Svevi ne sapesse nulla, con seimila guerrieri i Sarmati, sconfiggendoli ed uccidendo il loro re. 

Teodorico iniziava brillantemente la carriera delle armi ma mostrava nel medesimo tempo il suo spirito indipendente: difatti, volendo trarre dalla vittoria un vantaggio, teneva per sé Singinduno (Belgrado) che i Sarmati avevano sottratto all'impero bizantino. Quest'atto del giovane Teodorico causò la rottura dei rapporti tra gli Ostrogoti e Costantinopoli, che, sospendendo il pagamento del tributo, mise in grandi strettezze i barbari.
Questo spiega perchè nel 473 una parte di Ostrogoti, sotto il comando di Vidimato, passò in cerca di altri stanziamenti in Italia, ma dove Glicerio li indusse a trasferirsi in Gallia; l'altra con Teodimiro si spinse nella Mesia e vi si stabili costringendo l'imperatore Leone a rinnovare l'alleanza e gli assegni.

L'anno dopo, nel 474 mori Teodimiro e gli successe al trono Teodorico. Varie vicende ebbero i suoi rapporti con l' impero. Teodorico aveva un pericoloso concorrente in un principe dello stesso nome, Teodorico STRABONE, capo di un ramo ostrogoto stabilitosi in Tracia dopo lo sfacelo degli Unni. Con i due principi barbari ZENONE tenne una politica oscillante, molto ambigua, servendosi ora dell'uno ora dell'altro e cercando pure, senza riuscirvi pienamente, di metterli l'uno contro l'altro. 
Dei due il più pericoloso era Strabone con l'aiuto del quale BASILISCO riuscì a cacciare l'imperatore; Teodorico, pur non avendo pretese minori dell'altro, non si mise mai in aperta rottura con Zenone e più di una volta gli rese servigi preziosi, fra i quali è da ricordare l'aiuto prestatogli contro Basilisco che valse a rimettere sul trono proprio l' imperatore Zenone.

La morte di Strabone, avvenuta nel 481 e il passaggio degli Ostrogoti della Tracia sotto le insegne del figlio di Teodimiro, liberarono, sì, l'imperatore da un vicino avido e pericoloso, ma fecero crescere enormemente la potenza e le pretese di Teodorico. Questi difatti, nel 483 riuscì ad ottenere il possesso della Dacia Ripensa e della Mesia inferiore e il titolo e la carica di magister militiae praesentis, nel 484 il consolato. Nel 486, avendo aiutato l' imperatore a sconfiggere i ribelli LEONZIO e ILLO, fu ammesso agli onori del trionfo; una statua equestre gli venne innalzata nello stesso anno a Costantinopoli.
Teodorico era indubbiamente preziosissimo, come alleato nei momenti di bisogno, ma era anche erigente e vendeva a caro prezzo i suoi servigi. Questo dipendeva, più che da uno smodato desiderio di ricchezze, dal bisogno in cui si trovavano gli Ostrogoti, i quali, non essendo agricoltori e non vivendo di industrie o di commerci né, d'altro canto, potendo procacciarsi sempre bottino da guerre mosse ad altri barbari, erano costretti dall' insufficienza dei sussidi imperiali a fare scorrerie non infrequenti nello stesso territorio dell'impero. In una di queste scorrerie noi troviamo Teodorico con il suo esercito
sotto le mura di Costantinopoli. 

Correva l'anno 487. L'anno seguente, a Nova, insieme con la notizia della disfatta dei Rugi giungeva FEDERICO. Se è vero che i Rugi erano stati spinti dalla corte di Costantinopoli ad invadere il Norico, la loro disfatta rappresentava uno scacco per la politica di Zenone. Non delle più liete era la situazione di questo imperatore: entro le frontiere dell'impero egli si trovava ad avere un potentissimo barbaro, Teodorico, arrogante ed insaziabile che minacciava di diventare nell'Oriente quel che Ricimero era stato nell'Occidente. Ai confini aveva un altro barbaro, non meno potente e pericoloso, ODOACRE, il quale aveva sempre mostrato di voler governare come luogotenente imperiale ma ora annunziava a Zenone la vittoria sui Rugi offrendogli parte del bottino, ed era pur sempre colui che aveva spodestato Nepote, aveva occupato la Dalmazia, e forse si era preparato a muover contro l'Oriente.

Erano due barbari, Teodorico ed Odoacre, egualmente pericolosi per Zenone, due principi di cui volentieri l' imperatore si sarebbe sbarazzato con poco o nessun rischio. E tentò infatti di liberarsene mettendo in opera la politica più semplice ma più efficace di cui altre volte con buon risultato si era servito, quella cioè di mettere l'un barbaro contro con l'altro.
Il momento non poteva essere più propizio. Gli Ostrogoti non potevano più vivere sopra un territorio già sfruttato, essi si dibattevano in una grave crisi economica ed erano desiderosi, oltre che spinti dalla necessità, di trovarsi altre sedi meno disagiate e meno precarie. Quali territori migliori dell' Italia? Un'impresa contro Odoacre risolveva definitivamente e vantaggiosamente il disagio economico degli Ostrogoti; esaudiva il desiderio di vendetta di Federico; e rappresentava la migliore risposta al rifiuto dato da Odoacre a Teodorico quando questi aveva chiesto la liberazione di Feba e di Gisa.

L'impresa d' Italia era quindi nell' interesse di Zenone e di Teodorico e ad entrambi premevano certamente di compierla. È quindi ozioso indagare se dall' imperatore bizantino o dal re ostrogoto sia venuta l'iniziativa, e solo per curiosità si possono citare le opinioni, in apparenza discordi ma concordi nella sostanza, dei più autorevoli storici, Jordanis e Procopio. Secondo il primo, Teodorico avrebbe detto all'imperatore, proponendogli l'impresa, che non sarebbe più stato a carico dell'impero se fosse stato disfatto e, se avesse vinto, avrebbe governato in nome di Zenone; secondo Procopio sarebbe stato invece l'imperatore a proporre al re la conquista d'Italia per liberarsi degli Ostrogoti.

Se tra Zenone e Teodorico, prima della partenza di quest'ultimo, sia intervenuto un accordo non si sa; ma facilmente si può supporre che un accordo dovette essere avvenuto. Le parole di Jordanis, pur non parlando di un trattato, lo fanno credere: Teodorico si impegnava di governare l'Italia in nome dell'impero (ego si vicero vestro dono vestroque munere possidebo); Zenone manteneva, dal canto suo, i suoi diritti sull' Occidente, che si riducevano -quella di Teodorico re- ad una sovranità puramente nominale.

GLI OSTROGOTI IN ITALIA

Tornato da Costantinopoli nella Mesia, Teodorico rivolse tutte le sue cure ai preparativi. Non un esercito doveva partire, ma tutto un popolo e questo doveva trasportare tutte le sue cose nelle sedi da conquistare. Né erano soltanto Ostrogoti quelli che Teodorico ai apprestava a condurre con sé; vi erano i Rugi superstiti, vi erano gli Sciri, ma la maggioranza era composta di Goti. Fra questi c'era perfino un parente di Zenone, Artemidoro, che non sappiamo se volesse partecipare all'impresa per desiderio di avventure o forse espressamente incaricato dall'imperatore di sorvegliare Teodorico.

L'estate del 488 fu impiegata nei preparativi: le biade furono mietute e messe sui rozzi e pesanti carri su cui furono poste anche le masserizie, da ogni parte della Mesia e dalla Dacia Ripense le popolazioni affluirono a Nova e di qua ebbe inizio la spedizione.
 Circa trecentomila individui, di ogni età e d'ogni sesso, si misero in marcia nell'autunno del 488. La via che percorrevano era quella stessa che le legioni romane erano solite percorrere recandosi dall'Oriente all'Occidente e viceversa, la via che Alarico coi suoi Visigoti aveva tenuto, che toccava Sirmio, attraversava la Pannonia lungo la valle della Sava e per il Norico meridionale conduceva alle Alpi orientali. 
Il freddo era intenso e il gelo irrigidiva i capelli e la barba. La cavalleria procedeva innanzi, ai fianchi e a tergo della immensa colonna di pedoni e di quadrupedi; terminati presto i viveri, la caccia serviva ad alimentare scarsamente il popolo in marcia, che la sera si arrestava presso grandi fuochi.
Passata la Sava, gli Ostrogoti penetrarono nel territorio dei Lepidi. Qualcuno ha pensato che i Lepidi si fossero alleati con Odoacre per contrastare il passo agli invasori, ma non abbiamo prove per affermarlo. Si sa però che i Lepidi si opposero al passaggio di Teodorico forse temendo il saccheggio del loro territorio; essi si schierarono dietro un fiume chiamato Ulca e, richiesti, negarono risolutamente il passo agli Ostrogoti.

Questi allora si videro costretti a farsi strada con le armi e fu ingaggiata una battaglia accanita. Dalla descrizione che Ennodio ne ha fatta, risulta che essa durò a lungo e che i Lepidi combatterono con grandissimo valore. Essi avevano già sopraffatto gli Ostrogoti, quando Teodorico, raccogliendo i migliori guerrieri intorno a sé e incoraggiando con la voce e con l'esempio gli altri che tentennavano, si slanciò vigorosamente contro il nemico. Sfondato lo sbarramento e poi sbaragliati, i Lepidi si diedero alla fuga inseguiti dai vincitori che ne fecero strage.
Nel territorio dei Lepidi fu fatta una lunga sosta. Gli Ostrogoti erano stanchi dal viaggio, dalle fatiche e dalla battaglia; non pochi erano feriti, scarseggiavano le vettovaglie. Era necessario che si riposassero, che facessero rimarginare le loro ferite, che si rifornissero di viveri; era necessario inoltre che si lasciasse trascorrere l' inverno, non essendo prudente passare le alpi in quella stagione. Il riposo fu di alcuni mesi, il bottino sottratto ai vinti servì a rimetter in forze i vincitori e quando questi, nella primavera del 489, si rimisero in marcia forse non pochi Lepidi li seguirono.
Altre fatiche ed altri combattimenti gli Ostrogoti dovettero sostenere nella seconda parte del loro viaggio, ma infine, nell'estate del 489 giunsero alle Alpi orientali.

L'impresa alla quale Teodorico si era accinto era difficilissima, e le difficoltà non erano certo finite con il giungere alle porte d'Italia. Era questa una regione che doveva essere conquistata con la forza delle armi. Odoacre aveva, è vero, in Italia dei nemici, perché non pochi dovevano essere i malcontenti, fra i quali in prima fila i grandi latifondisti, colpiti dalla confisca del terzo delle terre, e malconteno c'era in Senato; ma con la sua prudente condotta Odoacre tuttavia si era acquistate molte simpatie e poteva contare sull'appoggio di molti. 
I Siciliani, che erano stati liberati dai Vandali, gli erano grati e fedeli; riconoscenti erano a lui le popolazioni della Liguria, delle cui condizioni egli si era vivamente interessato; il clero, che tanto contava, non poteva non essere favorevole ad Odoacre il quale, pur essendo ariano, nulla aveva fatto contro la Chiesa Cattolica. Il clero anzi, dati i rapporti non buoni che correvano tra la Chiesa di Roma e la corte di Costantinopoli, doveva vedere in Teodorico, in quanto veniva come luogotenente di Zenone, un pericoloso nemico. 
Ma la forza maggiore di Odoacre era il suo esercito agguerrito e disciplinato, uscito vittorioso da due recenti guerre, il quale avrebbe combattuto accanitamente per difendere il paese in cui si era stabilito e avrebbe potuto ricevere aiuti non indifferenti dai popoli della stessa stirpe delle vicine frontiere.
Le difficoltà a cui andava incontro non dovevano essere ignote a Teodorico. Possiamo quindi credere che prima di valicare le Alpi abbia iniziato trattative coi Visigoti, i cugini della Gallia, dai quali anni prima erano stati cordialmente accolti gli Ostrogoti di Vidimero, e pertanto abbia avuto da essi promesso di aiuto.

Nell'agosto del 489 gli Ostrogoti si accamparono al ponte dell' Isonzo e, com'era da prevedersi, si trovarono di fronte all'esercito di Odoacre.
La prima battaglia fu combattuta il 28 di agosto ed ebbe esito favorevole per gli Ostrogoti; ma non fu una vittoria decisiva, tanto è vero che Teodorico ritenne opportuno di non molestare il nemico nella ritirata che Odoacre fu costretto fare a Verona, nelle cui vicinanze egli s'accampò. Qui venne ad assalirlo Teodorico il 30 settembre del 489 e fu tutto merito del valoroso condottiero se gli Ostrogoti non subirono una irreparabile sconfitta. Dopo lungo ed accanito combattimento, infatti, avevano cominciato a vacillare e molti avevano voltato le spalle. Fu allora che Teodorico mostrò quanto grandi fossero il suo valore e il suo prestigio: riannodate le schiere dei suoi, alla testa di esse si lanciò con estrema violenza contro il nemico e, come sulle rive dell' Ulca così in quelle dell'Adige, la vittoria fu sua.
L'esercito di Odoacre subì perdite considerevoli; molti dei suoi soldati, fuggendo, trovarono la morte nelle acque del fiume, e a stento il re riuscì a scampare; ma non meno gravi furono le perdite degli Ostrogoti, che, anche questa volta, non poterono darsi all' inseguimento del nemico.

Non osando o non essendo in condizioni di passare il Po e scendere verso l' Italia centrale, Teodorico si rivolse alla conquista della Transpadana. Questa non fu difficile: Milano gli aperse le porte per tradimento - come sembra - di TUFA, magister militum, che con le milizie che comandava passò agli Ostrogoti. Dopo Milano venne la volta di Pavia. Se si deve prestar fede ad Ennodio, Epifanio, vescovo di questa città, per risparmiare agli abitanti gli orrori della guerra, pur non rompendo i rapporti con Odoacre, il prelato si recò a Milano a fare atto di sottomissione in nome dei Pavesi.

Sconfitto sotto Verona, Odoacre passò il Po e con i resti del suo esercito mosse su Roma, ma la metropoli, forse per ordine del Senato, gli chiuse le porte in faccia. Odoacre si vendicò devastando i dintorni della città, poi richiamate probabilmente le guarnigioni dell' Italia meridionale e della Sicilia, si diresse a Ravenna, che diventò la base delle sue operazioni e il luogo di raccolta delle sue forze.
Teodorico non si mosse dalla Transpadana, ma preoccupato della rinascita dell'esercito nemico, mandò alla volta di Ravenna un corpo di Ostrogoti al comando di Tufa. Questi andò a Faenza poi marciò su Ravenna, ma prima di giungervi fece ritorno a Faenza, dove lo raggiunse Odoacre.
Fra i due ebbe luogo un colloquio, e Tufa ritornò sotto l'obbedienza di Odoacre e gli consegnò gli Ostrogoti che Teodorico gli aveva affidati i quali furono condotti prigionieri a Ravenna.

L'agire di Tufa fece credere che il suo tradimento fosse stato una finzione, un mezzo cioè per servir meglio il suo signore. Sia o non sia stato simulato il tradimento del capo barbaro, dopo il suo ritorno cominciano a rialzarsi le sorti dell'esercito di Odoacre. 
Con l'esercito ricostituito lo ritroviamo ora a Cremona dove inizia l'offensiva. Milano, assalita, cade in suo potere e gli abitanti pagano a caro prezzo la precedente sottomissione a Teodorico. Il re degli Ostrogoti è costretto a chiudersi a Pavia e qui viene assediato da Odoacre. Pavia ha tali fortificazioni che non è cosa facile prenderla d'assalto, e le vettovaglie a quanto sembra, non fanno difetto. Teodorico può quindi rimanere ad aspettar gli aiuti dei Visigoti senza rischiare una battaglia in campo aperto che potrebbe riuscirgli fatale.
Per sua fortuna i cugini della Gallia passarono con numerose forze le Alpi. Il loro arrivo costituiva la salvezza per Teodorico e gli dava la possibilità di riprendere 1'offensiva.

Era l'estate del 490. Odoacre, impotente a fronteggiare il nemico, più forte di lui per le nuove truppe sopraggiunte, levò l'assedio e si diresse a Cremona, dove avrebbe potuto resister meglio. Ma Ostrogoti e Visigoti, uniti insieme, non glie ne diedero il
tempo: raggiuntolo sull'Adda, l'obbligarono alla battaglia che venne combattuta l'11 agosto. Il combattimento fu lungo e aspro e le perdite furono gravissime da ambo le parti. Fra i caduti dell'esercito di Odoacre ci fu Pierio, comes domesticorum.

La vittoria arrise a Teodorico: La Transpadana era perduta per Odoacre, né aveva più forze sufficienti per difendere il resto dell'Italia. Cremona era vicina, ma, se era un'ottima base per un generale che potesse disporre di un forte esercito, non rappresentava una piazzaforte per chi, come il vinto re, non aveva sotto di sé che truppe scarse e provate dalla sconfitta. 
Non potendo ormai più fronteggiare il nemico in aperta campagna, Odoacre decise di chiudersi in una città fortificata e scelse Ravenna, che gli offriva i più grandi vantaggi. Ravenna, difatti, per la vicinanza del mare e per le fortissime opera di difesa di cui era munita, poteva sfidare un lunghissimo assedio; di là inoltre Odoacre poteva comunicare con il rimanente della penisola e minacciare le spalle dell'esercito degli Ostrogoti se si fosse spinto nella parte centrale e meridionale d' Italia.

A Ravenna Odoacre si ritirò con il resto delle sue truppe, ma lasciò presidi a Cesena, a Rimini e in qualche altra città. Egli sperava di potere raccogliere intorno a sé nuove truppe, sperava nella fedeltà della Sicilia e dell' Italia meridionale, sperava in una prossima partenza dei Visigoti e forse nell'aiuto di GUNDOBADO, re dei Burgundi, che - come qualcuno crede - era stato sollecitato a scendere contro Teodorico. 
Effettivamente Gundobado - non si sa se alla fine del 490 o l'anno dopo - passò le Alpi, ma, invece di marciare contro gli Ostrogoti, invase e saccheggiò la Liguria e, carico di bottino, se ne ritornò nel suo regno traendosi dietro un gran numero di prigionieri.
Chiuso in Ravenna, Odoacre rappresentava un pericolo non indifferente per Teodorico, ma questi, con buona parte del suo esercito poteva, come aveva fatto Alarico una volta, scorazzare per l' Italia. 
Dell' Italia anzi oramai Teodorico si considerava padrone, il Senato si era schierato dalla sua parte, il clero si manteneva in una prudente neutralità, quelli che erano stati apertamente fautori di Odoacre, dopo averlo visto in cattive acque, si erano subito pronunziati per Teodorico, il quale si imponeva per la forza delle sue armi vittoriose e per quella che gli veniva dall'essere l' inviato del legittimo imperatore.

Dopo la battaglia dell'Adda -stando a quello che gli storici ci dicono - Teodorico mandò ambasciatori a Zenone per annunziargli le vittorie che aveva riportate su Odoacre. Fra i messi spediti c'era FAUSTO, principe del Senato. La presenza di questo ci fa conoscere che non soltanto per comunicare la notizia dei successi militari era stata mandata l'ambasceria a Costantinopoli. 
Le fatiche sostenute, le grandi difficoltà incontrate nella spedizione e le vittorie riportate avevano fatto crescere gli appetiti di Teodorico. Egli era partito dalla Mesia in qualità di luogotenente dell'impero, per cacciare dall'Italia Odoacre; ora invece desiderava prendere il posto del vinto e chiedeva di essere investito della sovranità. Odoacre, dopo la deposizione di Romolo Augustolo, si era servito del Senato per chiedere il patriziato, e così del Senato ora si serviva Teodorico per chiedere a Zenone le insegne della sovranità, sperans se vestem induere regiam (Anonimo Valesiano).

Ma la mediazione di Fausto non ebbe l'effetto desiderato: Zenone non poteva rinnovare per l' Italia uno stato di cose per distruggere il quale aveva mandato Teodorico. Egli oppose un rifiuto alle richieste del re. Contegno uguale tenne il suo successore, NASTASIO, salito al trono dopo la morte di Zenone avvenuta il 9 aprile del 491, e tale contegno non doveva mutare neppure dopo la definitiva disfatta di Odoacre.
Infatti questi resisteva a Ravenna e pare che la sua posizione non fosse cattiva. Malgrado gli sforzi di Cassiodoro i Siciliani gli si mantenevano fedeli; nella stessa Roma - come fa fede una lettera di papa Gelasio - aveva ancora non pochi fautori; le città vicine di Cesena e di Rimini in mano delle guarnigioni di Odoacre rendevano inefficace l'assedio di Ravenna; ed infine questa, aveva libere le comunicazioni con la opposta sponda adriatica e con le coste italiane e riceveva viveri e rinforzi di armati con i quali Odoacre riuscì a mettere insieme un esercito rispettabile.

Vari furono i tentativi di Odoacre di rompere l'assedio, e tutti condotti con grande energia. Uno di questi fu fatto verso la metà del luglio del 491. Uscito di notte con la maggior parte delle sue forze, Odoacre assali con grande impeto il nemico alla Pineta e al Ponte Caudiano. La battaglia fu oltremodo accanita e parve per poco che dovesse finire con la vittoria degli assediati, ma ben presto le posizioni perdute furono riconquistate dagli Ostrogoti e i guerrieri di Odoacre, decimati, dovettero rientrare in disordine a Ravenna. Fra i morti ci fu il magister militum LEVITA, che, fuggendo, perì annegato nel Ronco.
La sconfitta e le perdite di questa battaglia notturna furono così gravi che Odoacre non osò più tentare altre sortite. Non pare però che egli si sia rassegnato a subir passivamente l'assedio. Alcuni avvenimenti accaduti nel 492 nella valle del Po ci autorizzano a sospettare che Odoacre abbia tentato di rivolgere l'attenzione di Teodorico nell'alta Italia e di fare allentare la morsa in cui si era chiuso dalla parte di terra.

A Pavia era rimasto, coi suoi Rugi, FEDERICO, uomo violento e senza freno, il quale, mentre Teodorico era impegnato nell'assedio di Ravenna, desolò da vero barbaro la città e il territorio. Federico era ambiziosissimo e non poteva esser contento della parte secondaria che aveva nella guerra d' Italia; non si peccherebbe quindi di audacia pensando che Odoacre possa aver tentato con promesse allettanti di trarlo dalla sua.
Prove di trattative tra Federico ed Odoacre non si hanno, ma è certo che Federico, nel 492, si ribellò apertamente a Teodorico e che Tufa con un corpo di armati comparve nella Transpadana a spalleggiare il ribelle. Questo fatto ci conferma nel sospetto che un accordo fra Odoacre e Federico fosse intervenuto. L'accordo però non durò a lungo. Ce ne dà notizia Ennodio, il quale scrive che tra il re dei Rugi e Tufa sorsero dei gravi dissidi che provocarono la rottura ed una sanguinosa battaglia. Questa ebbe luogo nella valle dell'Adige, fra Verona e Trento, e in essa Tufa trovò la morte.

Questi avvenimenti però non distrassero da Ravenna il grosso dell'esercito di Teodorico. L'assedio continuò regolarmente; ma era un assedio senza efficacia essendo aperta agli assediati la via del mare da cui traevano rifornimenti di viveri e di armati.
La situazione cambiò quando, nell'estate del 492, Rimini cadde in potere degli Ostrogoti, perché Teodorico riuscì a mettere insieme velocemente una flottiglia di piccole navi e con queste chiuse Ravenna anche dalla parte del mare.
L'assedio entrava così nella fase risolutiva. Sebbene rigorosamente bloccato, Odoacre resistette, ancora sei mesi e fu in questo periodo che la città soffri maggiormente. Al dir di un cronista ravennate, molti di quelli che non erano periti di ferro morirono di fame, perché i viveri di giorno in giorno si facevano più scarsi e un moggio di grano lo si pagava perfino sei solidi d'oro.
Ma alla fine Odoacre - secondo quel che riferiscono gli storici - comprese che non era più possibile un'ulteriore resistenza ed avviò trattative con Teodorico per mezzo dell'arcivescovo di Ravenna, Giovanni. Il 25 febbraio del 493 TELANE, figlio di Odoacre, fu mandato come ostaggio al campo degli Ostrogoti; due giorni dopo il trattato di pace era concluso.

Molti storici hanno discusso i termini di questo trattato. Quel che vi è di certo nelle notizie a noi pervenute è che Odoacre ebbe promessa di aver salva la vita. Su questo sono concordi le fonti occidentali e le orientali. Queste ultime però riferiscono condizioni del trattato che le altre tacciono e che a noi sembrare molto strane. Secondo Procopio e Giovanni Antiocheno, Teodorico ed Odoacre si sarebbero obbligati a regnare insieme. Senza dubbio, a prima vista, la condizione della pace sembra alquanto singolare perché non pare verosimile che Teodorico, dopo tante vittorie, ridotto agli estremi il suo nemico, gli abbia concesso di averlo collega, a parità di condizioni, nel regno.

Non avendo ragioni plausibili per rigettare le notizie di Procopio e dell' Antiocheno e non potendo ammettere come dettate da generosità di Teodorìco le condizioni di cui i due storici fanno parola, dobbiamo cercarne la spiegazione nelle condizioni in cui si trovavano i due principi nel momento delle trattative. Lo stato di Odoacre non doveva essere così disperato come si vuol far credere. Se fosse stato proprio ridotto agli estremi, Teodorico non avrebbe accettato di trattare o avrebbe imposto la capitolazione incondizionata.
Dobbiamo pensare che Odoacre non fosse ridotto ancora agli estremi, e che quindi premesse a Teodorico di porre termine all'assedio. Di che cosa poteva temere il re degli Ostrogoti? Di una sortita disperata degli assediati che poteva anche avere un esito favorevole? Che gli Eruli, come minacciavano, calassero dalle frontiere in aiuto del nemico? Che l' imperatore di Costantinopoli, con cui Teodorico non era più in buoni rapporti, approfittasse dell'assedio per disfarsi dell'uno e dell'altro principe? Non lo sappiamo con precisione. Forse di tutto ciò che abbiamo detto temeva il re degli Ostrogoti. Il suo timore giustifica pienamente le condizioni del trattato di pace. Che poi il trattato fosse concluso in buona fede dall'una parte e dall'altra non possiamo credere. I fatti che seguirono autorizzano a credere che Teodorico, firmando il trattato, meditasse il colpo che doveva costar la vita al suo rivale.
Tuttavia con la stipulazione del trattato aveva termine la guerra, che era durata tre anni e mezzo; la guarnigione di Cesena posava le armi e Ravenna apriva le porte.
Il 5 marzo del 493 Teodorico fece il suo ingresso a Ravenna, accolto dall'arcivescovo e dal clero.

Alcuni giorni dopo Odoacre periva per mano di Teodorico. Qualche storico occidentale afferma che Odoacre fu ucciso per aver tramato insidie contro il re degli Ostrogoti; gli storici orientali, non sospetti, non parlano invece di insidie ed accusano Teodorico di tradimento.
Secondo essi, dieci giorni dopo l'accordo, Odoacre fu invitato dal rivale a banchetto nel palazzo del Laureto. Appena giunto, fu avvicinato da due uomini, i quali, col pretesto di porgergli una supplica, gli afferrarono i polsi. Era il segnale convenuto: alcune guardie armate accorsero, ma nessuno osò colpire il re. 
Sì avanzò allora Teodorico, che, sordo alle proteste del nemico, gli menò con la spada un terribile fendente, esclamando con truce e sarcastica compiacenza : « par che costui non abbia ossa ».

Così moriva, dopo diciassette anni di regno, Odoacre, che fu prode guerriero e politico accorto, che non volle, come si pensò, fondare una signoria propria in Italia, ma desiderò governar questa in qualità di patrizio, che non fu, come fu detto, un tiranno, ma un capo avveduto, un uomo di buona volontà, che ebbe il solo torto, di fronte alla storia, qualche volta ingiusta, di non aver saputo evitar la sconfitta.
La sua salma venne tumulata nella sinagoga giudaica di Ravenna. Alla morte di Odoacre seguì quella dei suoi familiari: il fratello Onulfo venne ucciso, la moglie Sunigilda fu messa in carcere e fatta perire di fame, il figlio Telane relegato in Gallia fu più tardi messo a morte, e la morte trovarono pure i barbari seguaci di Odoacre che erano dentro o fuori Ravenna.

Col tradimento e le stragi si chiudeva la guerra e si inaugurava la signoria degli Ostrogoti in Italia.

Inizia la signoria degli Ostrogoti,
ed è proprio il contenuto del successivo capitolo
il periodo che va dal 493 al 526 d.C. > > >

Fonti, citazioni, e testo
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA , 
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

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