ANNI 526 - 536 d.C.

AMALASUNTA E TEODATO

REGGENZA DI AMALASUNTA - SUA POLITICA INTERNA ED ESTERA - AMALASUNTA E GIUSTINIANO - MORTE DI ATALARICO - TEODATO - POLITICA DI GIUSTINIANO - BELISARIO - FINE DEL REGNO DEI VANDALI - DIFFICOLTÀ DI AMALASUNTA E MALCONTENTO DEI GOTI - TEODATO RE DEGLI OSTROGOTI - FINE DI AMALASUNTA - SPEDIZIONE BIZANTINA NELLA DALMAZIA E NELLA SICILIA - BELISARIO IN ITALIA - ASSEDIO DI NAPOLI - UCCISIONE DI TEODATO ED INNALZAMENTO AL TRONO DI VITIGE
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AMALASUNTA - GIUSTINIANO 
 FINE DEL REGNO VANDALICO


Teodorico il re ostrogoto, prima di morire aveva designato come suo successore il nipote , ma data la tenera età di ATALARICO (10 anni), assunse la reggenza, come tutrice sua figlia AMALASUNTA. Grave era la situazione interna del regno e non meno grave quella l'esterna. 
L'armonia tra Italiani ed Ostrogoti -lo abbiamo visto nel precedente capitolo- non esisteva che di nome, di fatto sotto la cenere covava il fuoco, alimentato dagli ultimi avvenimenti che avevano funestato il regno di Teodorico. Si aggiunga che neppure tra i dominatori regnava la concordia e pochi erano tra loro quelli che volevano si seguisse la politica conciliante del defunto re, mentre la
maggioranza era propensa - e cominciavano a metterla in pratica - ad una politica di violenze e di rapine. 
Fuori c'erano la guerra, ormai dichiarata con i Vandali, il contegno minaccioso dei Bizantini e dei Gepidi del Danubio; e la pericolosa vicinanza dei Franchi che mostravano chiaramente il proposito di volere riprendere la politica espansionistica di Clodoveo.

In una situazione così grave era proprio pericoloso il governo di una donna. Amalasunta, che ci è rappresentata bella di corpo e forte di animo, aveva avuta un'educazione romana, parlava, oltre la propria lingua, il latino e i1 greco e aveva appreso molto, senza dubbio, alla scuola del padre, ma era una donna che per giunta non godeva interamente la fiducia dei Goti, specie di quelli che non volevano una politica di tolleranza e di conciliazione.
Per rafforzare e in certo qual modo legalizzare la posizione del figlio, che non aveva il riconoscimento dell'imperatore, Amalasunta fece giurare dai Romani e dai Goti fedeltà ed obbedienza al nuovo re, il quale dal canto suo giurò agli uni e agli altri di volerli governare seguendo le orme del nonno, mantenendo cioè ai primi le proprie leggi ed istituzioni e ai barbari i loro privilegi e i loro capi.

Non fu un giuramento inutile. Memore del desiderio e delle raccomandazioni del padre, Amalasunta mostrò fin dall'inizio della sua reggenza di voler seguire la politica di Teodorico, temperando gli abusi ed eliminando fin dov'era possibile le cause di dissidio tra i due popoli. Il Senato ebbe assicurazioni che sarebbe stato trattato con ogni riguardo, protezione fu promessa ai curiali dalle angherie dei potenti e disposizioni vennero prese contro gli abusi dei Goti a danno dei provinciali.
Di Amalasunta scrisse Procopio che "...durante il suo governo, non inflisse mai pene pecunarie e corporali ai Romani ed impedì ai Goti di commettere atti d'ingiustizia
verso gl' Italiani"
Ed è verità; ma è vero che essa non ebbe il coraggio o la possibilità di punire chi era stato la causa dei misfatti avvenuti negli ultimi anni di regno del padre pur mostrandosi giusta con i figli delle vittime. Infatti, se furono restituiti ai figli di Boezio e di Simmaco i beni confiscati e furono messi in libertà i Romani imprigionati da Teodorico perché insospettì di congiure, CIPRIANO fu innalzato al patriziato ed OPILIONE, un altro degli accusatori, fu fatto conte delle sacre elargizioni.

Da questi atti risulta chiaramente che Amalasunta voleva tenere una via di mezzo, far dimenticare il passato, proteggere gli oppressi, ingraziarsi gli Italiani e nello stesso tempo a non suscitare con una politica troppo rigida il malcontento dei Goti intransigenti.
Anche con la Chiesa Amalasunta fece politica amichevole: sotto di lei la posizione dei vescovi anche nelle faccende civili crebbe di autorità e fu reso obbligatorio ai laici di ricorrere al tribunale ecclesiastico prima che a quello di stato nelle cause tanto civili che penali.
Se in un certo modo potè rendere meno grave la situazione interna, niente però Amalasunta riuscì a fare per rialzare all'estero il prestigio del regno ostrogoto. Circondata da nemici, la reggente si vide costretta a fare una politica molto prudente. Fu abbandonata l' idea di vendicare la morte di Amalafrida e solo a Dio fu lasciata la cura di far giustizia, come fu detto al re Ilderico. 

Nella Spagna e nella Gallia fu ricostituito il regno visigotico il cui trono venne dato ad AMALARICO; ma questi non seppe difenderlo dall'attacco dei Franchi guidati da CHILDEBERTO; i1 giovane sovrano, in una battaglia presso Narbona, fu sconfitto ed ucciso, e la corona dei visigoti passò all'armigero Teudis (531).

Mentre gli Ostrogoti perdevano il prestigio che Teodorico aveva acquistato ed erano costretti a cedere parte del territorio gallico ai Burgundi e ai Franchi, questi ultimi crescevano in potenza.  Teoderico, uno dei quattro figli di Clodoveo, conquistava nel 530 il regno dei Turingi e alcuni anni dopo anche quello dei Burgundi, disperatamente difeso da GODEMARO, ma cadeva sotto il potere dei Franchi, nelle cui mani ora passava quel primato dell' Europa occidentale che per tanto tempo era stato degli Ostrogoti.
Crescendo i pericoli esterni, Amalasunta vide la salvezza del suo regno nella protezione di Costantinopoli. Non le aveva detto, morendo, Teodorico di rendersi propizio l' imperatore?  Ad Amalasunta importava guadagnarsi il suo favore non per sè ma per il figlio. In nome di questo fece scrivere da Cassiodoro a Giustino un'umilissima lettera in cui s' implorava di adottare Atalarico per arma filius, ma nulla ottenne. Giustino anzi assunse un contegno così minaccioso che per impedire un attacco alle coste meridionali d' Italia
fu necessario mandare la flotta nelle acque del mezzogiorno della penisola, sotto il comando e a spese di Cassiodoro. 

Alle minacce dal sud seguirono quelle dal nord. I Lepidi, dal Dabubio, assalirono i confini del regno ostrogoto. Non ebbero però fortuna: un esercito di Amalasunta inflisse loro una sanguinosa sconfitta e, varcate le frontiere dell'impero bizantino, saccheggiò la città di Graziana.
Moriva intanto (estate del 527) Giustino e gli succedeva il nipote GIUSTINIANO che già nell'aprile era stato dallo zio associato all'impero. Giustiniano, che meditava di ricostituire sotto di sé l' impero d'Occidente e voleva cominciare con il cacciare i Vandali dall'Africa, allo scopo di servirsi per questa impresa dell'aiuto degli Ostrogoti concluse
con questi la pace e riconobbe la successione di Atalarico e la reggenza di Amalasunta. Era questo un successo politico della figlia di Teodorico, ma nessun vantaggio essa ne ricavava. 
Intanto più accanita si faceva l'opposizione dei Goti alla politica della reggente. Se non tutti la maggior parte erano malcontenti dei riguardi che venivano usati agli Italiani, disapprovavano il contegno troppo umile che la corte di Ravenna teneva verso quella di Costantinopoli e rimproveravano ad Amalasunta che il figlio fosse educato troppo alla cultura romana.

È da credere che fortissimo fosse il partito goto avverso ad Amalasunta se questa si vide costretta ad affidare Atalarico alle cure dei capi militari. Ma questa concessione non giovò né a lei né al figlio. Passato dagli studi alle armi, Atalarico si diede ad una vita dissoluta che in poco tempo ne minò la salute. Quanto alla posizione della reggente, essa non migliorò. I suoi oppositori crebbero di numero e i più accaniti tra loro cominciarono a tramare congiure per abbatterla.
Fra questi era TEODATO, nato dal primo matrimonio di Amalafrida, sorella di Teodorico. A lui, come ultimo rampollo della stirpe degli Amali, sarebbe toccata la successione se, come si temeva, fosse venuto a morte Atalarico. Teodato non era ben visto né dai Goti né dai Romani, da quelli perché aveva ricevuta un'educazione completamente romana e viveva tra i piaceri e gli studi della letteratura e filosofia latina, da questi per la prepotenza e l'avidità con le quali egli aveva conseguito il possesso di tante terre in Toscana da esser chiamato da un cronista Tusciae rex.

Tra Amalasunta e Teodato, malgrado i vincoli di parentela, non correvano buoni rapporti. Più di una volta essa aveva dovuto fare uso della sua autorità per difendere i provinciali dalle spoliazioni del cugino e questi, non sapendo come vendicarsi, si era messo in segreta corrispondenza con l'imperatore offrendogli il possesso della Toscana dietro il compenso d'una forte somma e della dignità di senatore.
Giustiniano intanto si preparava alla guerra contro i Vandali e concludeva un trattato con Amalasunta nel quale essa si obbligava di fornire vettovaglie all'armata bizantina.
Il grande imperatore era nato nella Dardania, a Tauresium, nel 482. Console nel 5121, era stato il consigliere più prezioso dello zio, insieme con la moglie Teodora, una antica mima, dotata di grandissimo ingegno e di coraggio, con la quale doveva dividere le cure dell'impero. Salito al trono, aveva saputo circondarsi dei migliori ingegni e dei più abili generali; aveva profuso somme ingenti nella costruzione di fortezze e di chiese, fra le quali è degna di menzione quella di S. Sofia, opera dei grandi architetti Isidoro di Mileto e Antemio di Tralles; aveva voluto che si raccogliessero in un solo corpo (Corpus iuris civilis) le costituzioni dei principi, da Adriano in poi (Codex constitutionum in dodici libri) e le sentenze degli antichi giuristi (Digesta o Pandectae in cinquanta libri), affidandone la compilazione ad una commissione di dotti diretta da TRIBONIANO; ed aveva vagheggiato l'ardito disegno, degno di un grande imperatore romano, di abbattere le signorie d'Africa e d'Europa, restaurare l' impero d'Occidente e ridare all' impero l'antica unità e l'antico splendore. 
Come collaboratore nella sua grande impresa egli aveva chiamato un suo conterraneo, di ventitrè anni più giovane di lui, BELISARIO, che grandi prove di valore aveva saputo dare nella guerra contro i Persiani e prove ancora più grandi doveva fornire nelle future lotte in Africa e in Italia.
Giustiniano iniziò l'attuazione del suo vasto disegno nel 523. Egli usciva da una violenta rivolta che per poco non gli era costata la vita e l'impero. Dopo essersi accaniti gli uni contro gli altri Monofisiti e Ortodossi (532), questi due partiti avevano fatto causa comune contro Giustiniano, si erano abbandonati a disordini, avevano provocato terribili incendi e innalzato un nuovo imperatore, IPAZIO.
 Belisario aveva prontamente ed energicamente spenta nel sangue la rivolta ed a Belisario ora l'imperatore affidava il comando della guerra vandalica.

Il regno dei Vandali era in piena decadenza. Nel 523 era salito sul trono Ilderico, nato da una figlia di Valentiniano III, Eudocia, iniziando una politica favorevole all'elemento romano e cattolico e provocando perciò una violenta reazione dei barbari ariani, favorita da Amalafrida. La rivolta era stata domata, la vedova di Trasimondo messa in carcere, era stata poi uccisa e Ilderico aveva potuto regnare indisturbato fino al 531. Ma in quest'anno una congiura di palazzo, capeggiata dal cugino Gelimero, lo aveva sbalzato dal trono.
I preparativi della spedizione bizantina furono fatti con tanta segretezza che i Vandali non ne seppero nulla. Mentre Belisario navigava da Costantinopoli alla Sicilia il fratello dì Gelimero si trovava con un esercito in Sardegna per domarvi una rivolta.
Belisario conduceva con sé una numerosa flotta ed un esercito di diecimila fanti e cinquemila cavalli ed era accompagnato dalla moglie Antonina e da Procopio. Dopo due mesi di avventurosa e pericolosa navigazione la flotta bizantina giunse a Catania: rifornitasi di vettovaglie, fece vela per l'Africa e giunse felicemente nelle acque della Sirti Minore, a parecchie giornate di marcia da Cartagine. L'esercito, sbarcato, pose il campo sul promontorio di Ras Khadigia. Le forze bizantine a quelle che potevano opporgli i nemici erano numericamente inferiori  ma Belisario contava sulla propria abilità, sulla disciplina, sull'organizzazione e sulla combattività delle proprie truppe e sul favore delle popolazioni alle quali egli si presentava non come un conquistatore, ma come un liberatore dal giogo dei barbari ariani.

E il favore delle popolazioni non gli mancò. La guerra non fu lunga e difficile: il 13 settembre del 533, malgrado la loro superiorità numerica, i Vandali, venuti a battaglia coi Bizantini, furono sconfitti; il 15 dello stesso mese la flotta imperiale penetrò senza incontrare difficoltà, nel porto di Cartagine e la città cadde in potere di Belisario, che festeggiò la conquista pranzando coi suoi ufficiali nel palazzo stesso del re. 
Ilderico non potò essere salvato: alla vista delle navi nemiche, il fratello di Gelimero, per impedire che la popolazione lo liberasse e lo rimettesse sul trono, lo aveva ucciso.
Gelimero si ritirò nella Numidia con il fratello Ammata e di là ritentò le sorti delle armi: ma queste gli furono avverse. Sconfitto una seconda volta e perduto il fratello, si rifugiò presso i Mauri, ma, abbattuto dalle privazioni, nel marzo del 534 si arrese.
L'Africa, la Sardegna, la Corsica e le Baleari caddero in brevissimo tempo nelle mani del vincitore. Così finiva, dopo poco più d'un secolo, il regno dei Vandali, di quei barbari che avevano saccheggiato Roma, fatto tremare l'impero d'Oriente e portata la devastazione sulle coste fiorenti d'Italia. La caduta del loro regno segnò anche la caduta dell'intero popolo. 
I Vandali che rimasero in Africa vennero spogliati dei loro beni e fatti schiavi, gli altri vennero mandati ai confini dell' impero, verso la Persia. Un buon numero fu incorporato nell'esercito bizantino.
Accusato presso Giustiniano di voler tenere per sè il trono Vandalico e richiamato a Costantinopoli, Belisario ritornò; il suo ingresso però non fu quello di un generale che la calunnia aveva colpito, ma quello d'un trionfatore. Il ricco bottino, i numerosi prigionieri e lo stesso Gelimero furono gli ornamenti migliori del trionfo. Con il vinto, Giustiniano fu generoso: lo spodestato re fu mandato in Galazia e qui si ebbe in dono terre e case.

TEODATO - BELISARIO IN ITALIA

Al buon esito della vittoria sui Vandali molto aveva contribuito Amalasunta con il dare libero accesso nei porti della Sicilia alla flotta e con le vettovaglie fornite all'esercito.

Sconfitto il nemico, lei aveva preso per sé il LILIBEO che era stato da Teodorico dato in dote ad Amalafrida e l'aveva tenuto malgrado le pretese di Belisario. Ora Giustiniano tornava direttamente alla carica chiedendo che il Lilibeo gli fosse ceduto, spettandogli di diritto dopo la vittoria sui Vandali. Amalasunta, alla quale non rimaneva che la protezione dell' imperatore, l'avrebbe ceduto, ma essa temeva del malcontento che una simile cessione avrebbe suscitato nei Goti e, non volendo rendere maggiormente difficile la sua situazione politica, rifiutò.
Però, nonostante la fermezza dimostrata nell'affare del Lilibeo, la sua posizione personale rimase difficile. Il figlio era ridotto agli estremi dagli stravizi, Teodato non cessava di osteggiarla e i Goti continuavano a brigare contro di lei.
Per disfarsi di tre dei suoi più accaniti avversari Amalasunta, adducendo a pretesto che i Franchi preparavano un'invasione, li mandò a difendere i confini delle Alpi, facendoli segretamente seguire da persone di sua fiducia con l'incarico di trucidarli. Temendo però che il colpo non riuscisse e i tre Goti si vendicassero, chiese all'imperatore che le concedesse asilo e spedì a Durazzo una nave con quarantamila aurei che aveva sottratti dalle casse dello Stato. 
Ma il colpo di far assassinare i tre invece riuscì pienamente ed Amalasunta, modificato progetto, richiamò la nave e rimase in Italia, dove continuò a governare in nome del figlio, pur mantenendosi in segreti rapporti con Giustiniano al quale, senza dubbio per tenerlo a bada, e non alienarsene la protezione, prometteva di cedere il regno.

L'uccisione di quei tre Goti valse a rafforzare la posizione della reggente, ma di lì a poco, morto Atalarico il 2 ottobre del 534, divenne disperata. Con la morte del figlio aveva termine la reggenza. Amalasunta, vietandole le leggi gotiche di assumere il titolo di regina, doveva abbandonare il potere; ma essa non voleva lasciarlo e per mantenerlo ricorse ad un espediente che doveva riuscirle fatale.
TEODATO, come  parente più vicino a Teodorico, era l'erede naturale del trono. Per impedire che il cugino facesse valere i propri diritti e, nello stesso tempo, per ingraziarsi il suo più accanito avversario, Amalasunta se lo associò nel regno, ma si fece promettere da lui che si sarebbe contentata del titolo regio e avrebbe lasciate nelle mani di lei le redini dello stato.
Teodato promise, ma nel suo animo maturava un tristo disegno che non doveva tardare ad essere attuato. Il 30 aprile del 535, sette mesi dopo la morte di Atalarico, Amalalasunta veniva spogliata delle insegne reali e relegata su un' isoletta del lago di Bolsena.
Compiuto il colpo e temendo l' ira di Giustiniano, Teodato costrinse la cugina a inviare lettere all'imperatore assicurandolo che nessun male le era stato fatto e che era contenta della sua sorte, e nello stesso tempo spedì a Costantinopoli due ambasciatori,
Liberio ed Opilione, per mezzo dei quali annunziava al sovrano bizantino che era stato costretto ad agire a quel modo da offese ricevute da Amalasunta.

Liberio ed Opilione, in viaggio verso Costantinopoli, incontravano ad Aulona, PIETRO di TESSALONICA, mandato dall' imperatore in Italia per riprendere con Amalasunta e Teodato le trattative intorno alla cessione dell' Italia, e lo informavano degli avvenimenti. Interrotto il viaggio, Pietro a sua volta informava Giustiniano delle notizie apprese e chiedeva istruzioni. Non era più il caso di riannodare trattative circa la cessione, che Teodato, venuto in possesso del regno, non avrebbe certamente più fatta. L'imperatore scrisse ad Amalasunta assicurandole la sua protezione ed ordinò a Pietro di recarsi a Ravenna a dire a Teodato che si guardasse bene dal recare offesa alla cugina.
Pietro partì, ma non giunse a tempo a salvare Amalasunta. I parenti di quei tre Goti che lei aveva fatto trucidare, temendo che la regina sfuggisse alla loro vendetta, avevano strappato al re il decreto di morte e al principio dell'estate di quell'anno lo avevano essi stessi eseguito, soffocando nel bagno l'infelice figlia di Teodorico.

Questo ci narra Procopio nella sua Storia della Guerra gotica. Nella Storia arcana però lo stesso scrittore dice che la morte di Amalasunta fu dovuta all'imperatrice Teodora, la quale, ingelosita dalla bellezza della regina ostrogota, avrebbe commesso a Pietro di Tessalonica di ucciderla.
L'uccisione di Amalasunta costituiva un ottimo pretesto per Giustiniano d' intervenire nelle faccende d' Italia e fare il secondo passo verso l'attuazione del suo programma.
Pur continuando le trattative con Teodato, l' imperatore iniziò le operazioni di guerra contro gli Ostrogoti, facendole precedere da un accordo con Teodeberto re dei Franchi.
Due eserciti furono mandati contro i Goti: uno di tre o quattromila uomini al comando del generale MUNDO doveva operare in Dalmazia per attirare in quella regione parte delle forze ostrogote, l'altro, guidato da BELISARIO, doveva, attaccare l'Italia cominciando dalla Sicilia. Poche erano le forze a disposizione del valente generale: settemila e cinquecento uomini oltre la sua guardia personale; ma l'esercito, sebbene piccolo, era ben equipaggiato ed armato, era comandato dai migliori ufficiali dell'impero, era sostenuto da una forte flotta e fornito in gran parte di cavalleria. Si aggiunga che l'organizzazione e l'addestramento dei Bizantini erano infinitamente superiori all' addestramento e all'organizzazione degli Ostrogoti e che Belisario, oltre che sul valore, sulla disciplina, sull'educazione militare delle sue truppe e sulla propria abilità di condottiero, contava sul favore delle popolazioni.

Belisario, sbarcato a Catania, in pochi mesi riuscì a impadronirsi di tutta la Sicilia, accolto come liberatore dalla popolazione. Siracusa gli venne consegnata dallo stesso comandante la piazza, Sinderito. Palermo invece oppose lunga resistenza, munita com'era di forti mura entro cui stava una numerosa guarnigione, e Belisario dovette impiegare i suoi famosi arcieri collocati sugli alberi delle navi.
La notizia della conquista dell' isola da parte dell'esercito bizantino fu un grave colpo per Teodato, il quale propose all'imperatore di cedere l' Italia dietro il compenso di un lauto stipendio. Le proposte furono accettate da Giustiniano, ma di lì a poco Teodato ruppe le trattative e trattenne presso di sé gli ambasciatori imperiali.
La causa di questa rottura è da ricercarsi nella disfatta dell'esercito bizantino in Dalmazia, che costò la vita al generale Mundo, e in un'improvvisa rivolta scoppiata in Africa, dove, approfittando del malgoverno imperiale e del malcontento delle popolazioni, un certo SUZZA si era messo alla testa di circa ottomila ribelli e marciava su Cartagine.
Questi avvenimenti avevano dato l' illusione a Teodato che la guerra dovesse prendere una piega a lui favorevole; ma la delusione venne presto. L'esercito di Dalmazia,
prontamente ricostituito e messo sotto il comando di un abile generale, COSTANZIANO, tornò alla riscossa, occupò Salona e scacciò dall' Illiria le guarnigioni ostrogote che dovettero riparare a Ravenna. 
Eguale fortuna ebbero le armi bizantine in Afríca: Belisario, lasciata in Sicilia con gran parte delle sue truppe, si recò rapidamente con duemila uomini a Cartagine, che stava per essere investita, e il suo arrivo improvviso valse a far ritirare i ribelli a cinquanta miglia dalla città; ma, raggiunti ed attaccati, vennero sconfitti e Belisario poté ritornare in Sicilia.

Qui un ordine dell' imperatore lo attendeva: passare in Italia e riprendere con maggior vigore l'offensiva contro gli Ostrogoti.
Belisario non pose tempo in mezzo: lasciati esigui presidii a Siracusa e a Palermo, radunò il grosso delle sue forze a Messina. Reggio era difesa da una guarnigione di Ostrogoti comandata da Obrimuzio, genero di Teodato; la città però cadde senza colpo ferire in potere dei Bizantini, essendosi Obrimuzio arreso, e Belisario fu in grado di iniziare la conquista della penisola.
Fu una marcia rapida e trionfale: i distaccamenti nemici si ritiravano verso il nord senza combattere e le popolazioni del Bruzio e della Lucania accoglievano i Bizantini come liberatori.
A Napoli però la marcia di Belisario ebbe una sosta. La città era ben fornita di mura e difesa da una guarnigione di ottocento Ostrogoti. Per costoro parteggiava la popolazione, specie gli Ebrei, contenti della tolleranza religiosa dei Goti e ostili a Giustiniano, di cui era nota l' intransigenza in fatto di religione. Belisario tentò di aver la città per assalto ma non vi riuscì malgrado i suoi ripetuti sforzi.
Da quasi tre settimane egli la teneva assediata ed aveva stabilito di abbandonare l' impresa e marciare su Roma, quando uno dei tremila soldati isaurici che aveva con sé scoprì che si poteva penetrare nella città attraverso un acquedotto. Belisario allora ordinò che seicento uomini entrassero di nascosto a Napoli per la via sotterranea. Egli per distrarre l'attenzione degli assediati, finse di assalire un punto delle mura. Qui difatti accorsero i difensori ma mentre questi respingevano l'assalto, i Bizantini, penetrati dall'acquedotto nella città, aprivano le porte e Napoli fu di Belisario. Ci fu un principio di saccheggio. Belisario però prontamente lo fece cessare con ordini severissimi impartiti ai suoi soldati. Il presidio ostrogoto cadde tutto in potere dell'esercito imperiale (novembre del 536).

VITIGE

Ora la via di Roma era aperta, né Teodato si sarebbe risolto ad opporsi all'avanzata di Belisario se i soldati, scontenti del contegno passivo del re di fronte all' invasione, non l'avessero costretto. Ma Teodato non era uomo da mettersi alla testa dei suoi barbari e marciare contro gli invasori: egli radunò, sì, alcune schiere di soldati, ma ne affidò il comando ad un valoroso guerriero, di nome VITIGE, cui diede l'ordine di andare verso la Campania.
Le schiere partirono, non soddisfatte certamente dalla codarda condotta del re; ma non andarono troppo lontano. A Regeta, sulla via Appia, che distava da Roma trentacinque miglia, si fermarono, dichiararono deposto Teodato e in sua vece acclamarono re Vitige.

All'annunzio della rivolta, Teodato fuggì verso Ravenna con il proposito di prendere il mare e rifugiarsi a Costantinopoli ; ma non fece a tempo. Vitige aveva lanciato dietro di lui, all' inseguimento, un manipolo di soldati tra i quali un certo OTTARI che aveva un conto personale da saldare con l'ex-sovrano che gli aveva sedotta la fidanzata.

Teodato, raggiunto a metà strada tra Roma e Ravenna, fu catturato e venne trucidato (dicembre del 536). Un suo figlio, per nome Teodigiselo, venne poco tempo dopo chiuso in carcere.

Con la fine di Teodato e l'acclamazione di VITIGE una nuova fase della guerra si apriva e il provato valore del nuovo capo era segno non dubbio che la guerra da parte degli Ostrogoti sarebbe stata condotta con grandissimo accanimento.


FINE

Con la morte di Teodato, e con BELISARIO in Italia, la guerra sembrava quasi finita, invece la proclamazione a re degli Ostrogoti di uno sconosciuto VITIGE, apre una nuovo capitolo.
Ci aspetta la nuova ostinata fase della guerra Gotico-Bizantina.
E' il periodo che va dal 536 al 555 d.C. > > >

Fonti, citazioni, e testo
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA , 
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

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