ANNI 814 - 843 d.C.

BERNARDO E LOTARIO RE D'ITALIA - PATTO VERDUM  

I FATTI DI ROMA DELL' 815 - BERNARDO A ROMA - INVASIONE E SACCHEGGIO DELLE "DOMUS CULTAE" - MORTE DI LEONE III - STEFANO IV IN FRANCIA - INCORONAZIONE DI LUDOVICO I - PASQUALE I E IL PATTO CON L' IMPERATORE - L' "ORDINATIO IMPERI" - RIBELLIONE E RESA DI BERNARDO; SUA MORTE - LOTARIO IN ITALIA - SUA INCORONAZIONE - TUMULTI DI ROMA - EUGENIO II PAPA - COSTITUZIONE ROMANA DI LOTARIO - PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI -GIUDITTA DI BAVIERA - LA LOTTA PER L'UNITÀ DELL' IMPERO - L'ASSEMBLEA DI COMPIÈGNE -LUDOVICO I ALLA RISCOSSA - NUOVA DIVISIONE DEI DOMINI FRANCHI - LOTARIO, LUDOVICO E PIPINO CONTRO IL PADRE - GREGORIO IV IN FRANCIA - IL "CAMPO DELLA MENZOGNA" - DEPOSIZIONE DI LUDOVICO IL PIO; SUA RESTAURAZIONE - RITORNO DI LOTARIO IN ITALIA; SUA PACIFICAZIONE CON L'IMPERATORE - LOTARIO E VENEZIA - MORTE DI LUDOVICO IL PIO - BATTAGLIA DI FONTANET - II TRATTATO DI VERDUN E LA DIVISIONE DELL'IMPERO
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BERNARDO RE D' ITALIA


BERNARDO aveva assunto il governo d'Italia nell'813 come re alle dirette dipendenze di Carlomagno. Morto questo, continuò a tenerlo in nome del successore LUDOVICO I che fu poi detto il PIO e nella prima dieta imperiale, che si svolse ad Aquisgrana nel luglio dell'814, si recò a prestare giuramento di fedeltà allo zio. Lo stesso fece nella dieta dell'anno dopo tenuta a Paderborn e dove ebbe l'incarico dall'imperatore di recarsi a Roma per rendersi conto della situazione.

A Roma, difatti, erano avvenuti nei primi dell'815 disordini di una certa gravità il partito contrario al Pontefice, capeggiato dai parenti e dagli amici di CAMPULO e di PASQUALE (conosciuti già nel precedente capitolo) che sotto Carlomagno fin dal 799 in poi mordevano il freno, aveva ordito una congiura, ma, scoperta questa a tempo, i cospiratori erano stati condannati alla pena capitale e in numero di trecento - se prestiamo fede al cronista BENEDETTO DA SORATTE - giustiziati nel campo di Saturno.

Per Ludovico la gravità degli avvenimenti non era costituita dal numero dei condannati e dalla pena che era stata loro inflitta, ma dal diritto che si era arrogato il pontefice di giudicare e condannare in materia criminale, diritto che Carlomagno aveva riserbato per sé e per i suoi successori come patrizio e imperatore.
BERNARDO ebbe compagno e consigliere un GEROLDO, conte della Marca orientale (Ostmark), ma a Roma il re si ammalò e l'inchiesta fu eseguita soltanto dal conte, che dei risultati si affrettò ad informare l'imperatore.
Partiti Bernardo e Geroldo, papa Leone allo scopo di giustificare il suo operato inviò a Ludovico un'ambasciata di cui facevano parte il duca SERGIO, GIOVANNI di SELVA CANDIDA e il nomenclatore Giovanni, la cui missione dovette avere un felice esito visto che l'imperatore non diede più seguito a questa questione.

Ma l'inchiesta (vera o inventata del papa) non valse a pacificare gli animi e a far tornare la quiete a Roma. Essendosi il Pontefice appropriato vasti terreni pubblici e municipali e aveva formato delle masserie apostoliche ("domus cultae"), un grave malcontento si era prodotto nella campagna. Leone III si trovava infermo quando numerose compagnie d'insorti invasero le "domus cultae", ne saccheggiarono ed incendiarono gli edifici e marciarono su Roma.

Gravissimi disordini sarebbero senza dubbio avvenuti se GUINIGISO, duca di Spoleto, non fosse accorso con le sue milizie e non avesse disperso gli insorti. Ma il Pontefice non si riebbe più dalla sua infermità: cessò di vivere l'11 giugno dell'816 e dieci giorni dopo fu eletto un diacono di nobile famiglia romana, STEFANO IV, che per il suo temperamento moderato ebbe l'unanimità dei suffragi. Temendosi il rinnovarsi dei disordini, il nuovo Pontefice fu ordinato prima che arrivasse la conferma imperiale, e, perché questa scelta non indispettisse LUDOVICO, lo stesso Stefano molto opportunamente fece giurare al popolo fedeltà all'imperatore e a questo inviò ambasciatori che gli notificassero la sua ordinazione, il giuramento del popolo e il desiderio di recarsi in Francia per fargli una visita.
Noi non sappiamo il motivo che spingeva il Pontefice verso la Francia, se voleva propiziarsi Ludovico e fargli dimenticare con una visita d'omaggio che era stato ordinato senza la sanzione imperiale o se voleva (come il suo predecessore) incoronare il nuovo imperatore togliendo con quest'atto l'impressione che l'autoincoronazione di Ludovico doveva aver prodotto sui sudditi. Sappiamo però che Ludovico accolse cordialmente gli ambasciatori papali, mostrò la sua soddisfazione per il giuramento di fedeltà pronunziato dal popolo romano e, a BERNARDO - il quale allora si trovava in Francia - lo incaricò di recarsi in Italia e di accompagnare il Pontefice durante il viaggio in Francia.

STEFANO IV partì da Roma nell'agosto dell'816 con un seguito numeroso di nobili romani e di alti dignitari ecclesiastici e, incontrato nell'Italia superiore Bernardo, insieme con lui proseguì per Rheims dove l'imperatore lo aspettava. Le accoglienze riservate al Pontefice furono grandiose. Tre giorni durarono le feste e il quarto giorno, nella cattedrale, dove San Remigio aveva battezzato Clodoveo, al cospetto dei nobili franchi e romani, dei dignitari della Chiesa, e di un'immensa folla, STEFANO IV incoronò solennemente LUDOVICO I e la moglie ERMENGARDA.

Il Pontefice si trattenne a Rheims alcune settimane e, ricevuta in dono una villa nel territorio di Langres e ottenuta l'amnistia per gli esuli che erano stati condannati dopo l'attentato contro Leone III, nell'ottobre dell'816, prese la via del ritorno verso l'Italia. Trattenutosi qualche mese a Ravenna, verso la fine dell'anno si mise in viaggio per Roma, ma dopo poche settimane, il 20 gennaio dell'817, morì.
Al seggio pontificale fu innalzato PASQUALE, rettore del monastero di S. Stefano, e alla sua elezione seguì l'ordinazione, ed anche questa volta non si aspettò la conferma imperiale. Questo ci fa sospettare che i pontefici avevano in animo di liberarsi da un obbligo certamente penoso per loro. Però, al pari del suo predecessore, Pasquale I mandò all'imperatore una lettera di giustificazione ed ambasciatori. Questi avevano l'incarico di rinnovare i patti ottenuti da Leone III e da Stefano IV, e di ottenere l'abolizione del diritto imperiale di conferma. E ci riuscirono: con il "Pactum cum Paschali pontefice".
LUDOVICO confermò al Papa i privilegi di S. Pietro e rinunciò al diritto di sanzione, ma stabili che dopo l'ordinazione il Pontefice avrebbe inviato dei legati all'imperatore in segno di ossequio e di amicizia.
Sull'autenticità di questo patto furono mossi dubbi dagli storici moderni, alcuni dei quali lo dichiararono integralmente falso, altri sostennero che fu al tempo di Gregorio VIII modificato. Ma su questa controversia nessun giudizio definitivo è stato ancora dato.

Nel luglio dell'817 Ludovico riunì ad Aquisgrana l'assemblea dei grandi dell'impero e qui fece approvare quell'atto che passò a noi con il nome di "Ordinatio imperii".
Il principio su cui si basava quest'atto era l'unità dell'Impero. Vi si stabiliva che alla morte di Ludovico la dignità imperiale sarebbe passata al primogenito LOTARIO insieme con la sovranità su tutti i territori dell'impero franco; gli altri due figli avrebbero ricevuta la dignità regia: PIPINO dell'Aquitania, la Guascogna, la Marca spagnola e parte della Settimania e della Borgogna, LUDOVICO la Baviera, la Carinzia e la Marca orientale.
I due fratelli minori dovevano dipendere dal maggiore, consultarlo negli affari d'importanza, visitarlo una volta l'anno, e non potevano, senza il suo permesso, fare guerra o pace. Lotario invece aveva il diritto d'intervenire negli affari interni delle provincia soggette ai fratelli, ma aveva però l'obbligo di difenderli in caso di bisogno.

Morendo Pipino e Ludovico senza eredi legittimi, i loro paesi sarebbero passati a Lotario; ove fosse morto Lotario senza figli, la dignità imperiale sarebbe passata ad uno dei due fratelli secondo la scelta dei sudditi. Questi, con giuramento, dovevano garantire l'osservanza della costituzione, copia della quale fu inviata al Pontefice perché l'approvasse. Nella stessa assemblea, per ordine del padre, Lotario ricevette il titolo e la corona imperiale e la sua educazione affidata ad Eginardo e Pala.

Nella costituzione dell'817 di BERNARDO non fu fatta parola; dell'Italia era detto solo che alla morte di Ludovico sarebbe passata alle dipendenze dell'imperatore come era stata sotto Carlomagno e Ludovico I. Noi non sappiamo i motivi che spinsero l'imperatore a dare questo trattamento all'Italia. Che sia stato mosso da astio verso il nipote è da escludersi perché Bernardo non diede mai motivo allo zio di lagnarsi di lui e nelle diete gli giurò sempre fedeltà; pertanto dobbiamo pensare con il Malfatti che la causa di questo trattamento sia da ricercarsi esclusivamente nelle speciali condizioni dell'Italia, la quale, per i frequenti disordini di Roma e per la tendenza del Papato ad allargare il suo potere, aveva bisogno di una sorveglianza diretta ed assidua da parte dell'imperatore.

La "Ordinano imperii" non poteva certamente riuscir gradita a Bernardo, il quale non solo era escluso dalla successione all'impero cui credeva di aver diritto come figlio di Pipino, fratello maggiore di Ludovico I, ma temeva di vedersi sottratto da Lotario il governo d'Italia. Né soltanto Bernardo era scontento. Come lui, e forse più di lui, lo erano i grandi del regno, i quali dalle condizioni dell'Italia ridotta a semplice provincia dell'impero vedevano diminuire il prestigio della corte e perciò la loro potenza.

Se dobbiamo credere ai cronisti, furono appunto i grandi e parecchi dignitari della Chiesa che istigarono BERNARDO a ribellarsi e a rendersi indipendente. Fra questi troviamo il ciambellano EGINARDO, il consigliere del re, EGGIDEO, il conte REGINERIO, il vescovo di Cremona VALFOLDO e l'arcivescovo di Milano ANSELMO che vedeva minacciata la sua dignità di primate.
Ludovico ebbe notizia del proposito del nipote da ROTALDO vescovo di Cremona e da SUPPONE conte di Brescia, i quali, informando l'imperatore, esagerarono la portata dei preparativi di Bernardo e inventarono perfino che tutte le città del regno avevano fatto causa comune con il re e che i valichi delle Alpi erano già stati occupati.

Queste notizie non potevano che impressionare Ludovico, e credeva la situazione così grave che per mezzo di messi convocò l'eribanno e si recò a Chàlons dove ordinò che si riunisse un grande esercito tratto da tutti i paesi dell'impero. Questi grandi preparativi però furono resi inutili dallo stesso Bernardo, che, di fronte ai preparativi di guerra dello zio e alle diserzioni che nel suo esercito si stavano verificando, si perse d'animo e ritenne opportuno di abbandonare l'impresa e invocare il perdono dell'imperatore.

Avuta da parte dell'imperatrice Ermengarda assicurazione che sarebbe stato perdonato, Bernardo e i suoi complici si presentarono a Chàlons all'imperatore; questi però non fu generoso con i ribelli pentiti e, fatti imprigionare, li mandò ad Aquisgrana. E qui nella Pasqua dell'818 fu celebrato un doppio processo: uno a carico degli ecclesiastici, l'altro a carico di Bernardo e dei suoi complici laici. I primi furono giudicati da un concilio di vescovi che condannò il vescovo di Cremona e l'arcivescovo di Milano alla perdita dei gradi ecclesiastici ed alla clausura monastica; gli altri furono giudicati dall'assemblea dei grandi dell'impero e condannati alla pena di morte per alto tradimento.

Ludovico I fece grazia della vita ai ribelli ma, invece di seguire l'esempio del padre che aveva fatto monacare Pipino il Gobbo, ordinò che Bernardo e i compagni fossero privati della vista. La sentenza fu eseguita il 15 aprile, con tanta violenza che l'infelice re d'Italia cessò di vivere tre giorni dopo fra i più atroci dolori. Si vuole che il suo corpo sia stato -più tardi- seppellito nella basilica ambrosiana di Milano, dove tuttora si vede un'epigrafe, che però ad alcuni critici ha fatto sollevare dubbi sulla sua antichità e quindi sull'autenticità.

Lodovico si pentì ber presto della sua crudeltà e nell'821 graziò i complici di Bernardo, fra cui l'arcivescovo Anselmo che, ritornato a Milano, si chiuse nel monastero di Sant'Ambrogio dove morì l'11 maggio dell'822. In questo stesso anno, sopraffatto dai rimorsi, davanti all'assemblea convocata ad Attigny, l'imperatore fece pubblica penitenza per espiare la sua colpa mettendosi a fare per qualche tempo il mendicante, incassando elemosine per la chiesa.

LOTARIO RE D'ITALIA

Dopo la morte di Bernardo, LUDOVICO I affidò il governo d'Italia al figlio LOTARIO, che, sposata Ermengarda, figlia del conte Ugone di Tours, nell'autunno dell'822, accompagnato dalla moglie e dai suoi consiglieri, fra i quali PALA e il primo ostiario del Palazzo GERUNZIO, scese nella penisola. L'arrivo di Lotario in Italia fu una bell'occasione al pontefice PASQUALE di ripetere la "famosa" cerimonia dell'incoronazione: invitato il figlio di Ludovico, il giovane andò da Pavia a Roma dove fu accolto con grandi feste; pochi giorni dopo, il cinque aprile dell'823, giorno di Pasqua, nello stesso luogo dove ventitré anni prima, Leone aveva coronato Carlomagno, ricevette dal Pontefice la corona imperiale.

Dopo la cerimonia dell'incoronazione LOTARIO lasciò Roma e fece ritorno a Pavia; ma qui non si trattenne che pochissimo tempo: nel mese di giugno, lasciato il governo ai suoi consiglieri, cui poi si unirono il conte palatino ADALARDO e il conte di Brescia MAURINGO, partì alla volta della Francia.
Brevissimo era stato questo il soggiorno di Lotario in Italia, ma sufficiente per ridestare le ostilità tra il clero e la nobiltà romana, la quale pur di sminuire la potenza del clero parteggiava non celatamente per i Franchi.
Motivo principale di questa ripresa delle ostilità fu un moto rivoluzionario rivolto, come pare, contro la S. Sede. Capi del movimento erano due ragguardevoli personaggi, il primicerio TEODORO e il nomenclatore LEONE, suo genero, che furono poi anche le vittime della reazione ecclesiastica, pronta e violenta. Accusati del crimine di lesa maestà, furono prima imprigionati, poi accecati e infine decapitati.

Giunta in Francia la notizia del fatto, Ludovico I mandò a Roma una commissione d'inchiesta; dal canto suo il Pontefice, accusato di avere avuto parte nell'uccisione dei due, mandò ad Aquisgrana ambasciatori che dichiarassero la sua innocenza, e ripetendo la cerimonia di Leone III, presenti la commissione imperiale, trentaquattro vescovi, numerosi sacerdoti e il popolo romano, giurò d'essere estraneo all'uccisione di Teodoro e di Leone, ma sostenne che giusta era stata la loro condanna essendosi resi colpevoli di lesa maestà.

Dopo questa solenne protesta d'innocenza, diventava superflua l'opera dei commissari che dovevano giudicare. Questi, fecero ritorno in Francia per informare l'imperatore, e Ludovico ritenne opportuno di sospendere l'inchiesta e non dare più seguito alla cosa.
Ma l'anno dopo, l'11 febbraio dell'824, cessava di vivere Pasquale I ed era eletto suo successore al trono pontificale EUGENIO II, benvisto dal partito imperialista franco; del resto il suggerimento era venuto dal monaco WALA, che era il consigliere del giovane Lotario. Ovviamente il nuovo papa, fu consacrato senz'aspettar la conferma imperiale, poi si affrettò a comunicare a Ludovico la sua elezione.

La nomina del nuovo Pontefice (essendo della stessa fazione del precedente) non era avvenuta senza contrasti e ad Aquisgrana e a Pavia non a torto si temeva che anche sotto il suo pontificato potessero accadere disordini. Era necessario perciò togliere di mezzo le cause del malcontento e instaurare energicamente l'ordine a Roma. A questo scopo nell'agosto dell'824 l'imperatore mandò nuovamente in Italia LOTARIO, che giunse a Roma nell'autunno, accolto con gran pompa dal Papa.
Il primo atto da lui compiuto fu una rigorosissima inchiesta su tutti i fatti avvenuti durante i pontificati di Leone III e di Pasquale I, cui seguirono dei provvedimenti prendendosi il plauso della cittadinanza: alle famiglie di coloro che erano stati condannati a morte dal precedente Pontefice furono restituiti i beni confiscati, mentre gli autori di quelle inique sentenze furono relegati in Francia.

Da quell'inchiesta Lotario si era potuto formare un concetto esatto dei mali che affliggevano Roma e del malgoverno del clero. Per porre un rimedio alle condizioni anormali di Roma, l'11 novembre di quell'anno, nella basilica di S. Pietro, egli promulgò la famosa costituzione ("Costitutio Lotharii" o " Costitutio Romana" con la quale si fissavano i rapporti giuridici della S. Sede verso l'impero e si tutelavano i diritti dei cittadini. La costituzione costava di nove articoli; e affermava che erano inviolabili tutte le persone poste sotto la protezione dell'imperatore e del Pontefice, proibiva le depredazioni nella campagna romana e nelle terre di proprietà delle Chiese, ordinava il risarcimento dei danni commessi per il passato e istituiva a Roma due messi, uno imperiale, l'altro pontificio, che ogni anno dovevano riferire sull'amministrazione della giustizia. Inoltre erano state modificate le modalità sull'elezione papale (affermando così il diritto di controllo sull'elezione pontificia) e ammettendo anche i laici che nel 769 erano stati esclusi.

Nella costituzione non è fatta parola del diritto di sanzione spettante all'imperatore nelle elezioni del Pontefici, ma esso è riconosciuto nella formula del giuramento che Lotario fece prestare al popolo romano: "Io prometto per Iddio Onnipotente, per questi quattro sacri Evangeli, per questa croce del Signor Nostro Gesù Cristo e per il corpo del Beatissimo Pietro, principe degli Apostoli, che da questo giorno in poi sarò fedele ai nostri signori imperatori Ludovico e Lotario per tutti i giorni della mia vita, secondo le mie forze e il mio intelletto, senza frode e malanimo, salva la fede che ho promesso al signore Apostolico; e che non consentirò secondo le forze e l'intelletto mio, che in questa sede romana l'elezione del Pontefice non sia fatta secondo la giustizia e il diritto canonico, e che non consentirò che colui che sarà stato eletto con la mia approvazione sia consacrato prima che, alla presenza del messo imperiale e del popolo, abbia prestato lo stesso giuramento che il Pontefice Eugenio, spontaneamente e per la salute di tutti ha per iscritto fatto ("quale dominus Eugenius papa sponte pro conservatione omnium factum habet per sceriptum".

Lotario rimase a Roma fino al dicembre dell'824, poi si trasferì nell'Italia superiore, dove soggiornò alcuni mesi. Nel luglio dell'825 tenne a Corteolona un'assemblea del regno in cui furono pubblicati alcuni provvedimenti riguardanti la disciplina ecclesiastica e l'amministrazione. Importanza considerevole ha il primo dei "capitolari di Corteolona" in cui si deplora che l'insegnamento pubblico sia stato trascurato e destina come sedi di scuole otto città: Pavia, Torino, Cremona, Verona, Vicenza, Firenze, Fermo, Cividale ed Ivrea. A Pavia dovranno andare gli scolari di Milano, Brescia, Lodi, Bergamo, Novara, Vercelli, Tortora, Acqui, Genova, Asti e Como; a Torino quelli di Ventimiglia, Albenga, Vado ed Alba; a Cremona quelli di Reggio, Piacenza, Modena e Parma, a Verona quelli di Mantova e Trento; a Vicenza quelli di Treviso, Padova, Feltre, Asolo e Ceneda; a Firenze quelli della Toscana; a Fermo quelli del ducato di Spoleto; a Cividale quelli del Friuli e dell'Istria.

Questo capitolare, è la prova che molte disposizioni di Carlomagno sull'insegnamento pubblico non erano ancora messe in pratica. Noi pensiamo che dell'insegnamento si parlarono il Pontefice e Lotario a Roma e lo induce a crederlo il concilio romano poi convocato l'anno successivo, 826, da papa EUGENIO II allo scopo di promuovere la fondazione di scuole in tutte le sedi episcopali e nelle pievi per l'insegnamento delle lettere e delle arti liberali, "quia in his maxime divina manifestantur atque declarantur mandata".

Nell'estate dell'825 Lotario fece ritorno in Francia e un anno circa dopo il concilio romano di cui abbiamo parlato, cessava di vivere EUGENIO II (agosto dell'827), cui succedettero VALENTINO, però che morì quaranta giorni dopo l'elezione, e la nomina cadde su GREGORIO IV, di nobile famiglia romana.

L'unità dell'impero intanto correva grave pericolo per l'ambizione d'una donna. Morta nell'818 Ermengarda, LUDOVICO I aveva sposato nell'819 la figlia del conte Guelfo di Baviera, GIUDITTA, giovane bella ed ambiziosissima, la quale, quattro anni dopo il matrimonio, nell'823, aveva reso l'imperatore padre di un quarto figlio assegnandogli quel nome che doveva passare alla storia, seguito dal soprannome: CARLO il CALVO.
Ricordiamo che Ludovico, aveva già tre figli, avuti da Ermengarda.

L'ambizione di Giuditta, che desiderava di assicurare al proprio figlio una parte dei beni paterni, trovava un ostacolo grandissimo nella "Ordinatio imperii" dell'817 e nel partito imperialista franco; l'imperatrice però non si arrestò davanti all'ostacolo e seppe così bene perorare la causa del piccolo Carlo presso il marito che questi nell'assemblea di Worms dell'agosto dell'828 assegnò al figlio di Giuditta l'Alemannia, la Rezia e parte della Borgogna e, mandato in Italia Lotario, chiamò a corte il conte BERNARDO di Barcellona, che divenne tanto potente da dominare la volontà stessa dell'imperatore.

La sconfitta del partito imperialista era stata completa, ma non doveva tardar molto a muovere alla riscossa, favorito dai tre figli di Ermengarda, colpiti gravemente nei loro interessi e -davanti a quella donna che si stava dando da fare- molto incerti del loro avvenire. E poiché il nemico maggiore era Bernardo, allo scopo di nuocergli, le più gravi accuse si mossero contro di lui, si sostenne che era l'amante di Giuditta, forse anche il vero padre di Carlo, e che meditava di sbarazzarsi di Ludovico e dei tre figli maggiori, per poi sposare l'amante e quindi dare l'impero a Carlo.

Questa congiura degli imperialisti capitanati da Pala fu condotta con tanta energia e risolutezza, che l'anno dopo ottennero una vittoria clamorosa. Nel maggio dell'830 fu riunita una grande assemblea, a Compiègne e intervennero Lotario, giunto apposta dall'Italia, Pipino, Ludovico e i principali imperialisti, fra cui i conti Ugo e Matfrido, il vescovo Jesse di Amiens, l'abate Elisacar e l'arcicappellano Induino. Tutti contro l'imperatore con quelle gravi accuse, del disonore e del pericolo che correva.

L'imperatore, chiamato all'assemblea, fu messo alle corde, e dovette promettere di mantener fede alla "Ordinatio imperii" dell'817; Giuditta fu ripudiata e mandata in un monastero, Bernardo fu cacciato dalla corte e rimandato nella sua contea, il fratello di lui Eriberto fu accecato e gettato in prigione e al carcere furono condannati i principali fautori del conte; Lotario fu reintegrato nei suoi diritti.

Ludovico I, battuto in pieno, non si rassegnò alla sconfitta. Egli sapeva - e questo era il vero motivo e non quello delle corna- che gran parte dell'aristocrazia franca era contraria all'accentramento dei poteri nelle mani dell'imperatore ed all'unità, specie amministrativa dell'impero che contrastava con i loro personali interessi; sapeva anche che dissidi erano sorti tra i suoi tre figli maggiori e di tutto ciò volle trarre vantaggio per rifarsi dall'umiliazione patita a Compiègne, per riunirsi alla moglie e riacquistare l'effettivo potere perduto. Procuratosi l'appoggio dei figli Pipino e Ludovico e del clero, convocò lui questa volta a Nimega un'assemblea nell'ottobre dell'830 e qui Giuditta, dichiarata innocente, fu fatta tornare ad Aquisgrana.

Questo provvedimento non era che il principio della riscossa di Ludovico; la vittoria piena avvenne nell'assemblea tenuta ad Aquisgrana nel febbraio dell'831, dove fu fatta una nuova divisione dell'impero: l'Aquitania fu assegnata a Pipino, la Baviera a Ludovico, l'Alemannia a CARLO; mentre l'Italia fu lasciata a Lotario.

Questi, si ritirò nel suo regno, il quale aveva proprio bisogno delle sue cure. Infatti, la polizia civile ed ecclesiastica era in pieno disordine e la mancanza di protezione giuridica faceva spuntare in ogni luogo le consorterie giurate ("conspirationes per sacramentum") obbligando spesso la povera gente a mettersi a disposizione dei più ricchi e potenti per poter ottenere da loro solo i puri mezzi di sostentamento. (Stava perfino nascendo una forma di schiavismo, si compravano e si vendevano uomini; come vedremo più avanti nell'840 nel "Pactum Lotharii" che nel proibirlo, implicitamente ci conferma che esisteva. Ndr). Lotario cercò di interessarsi a tutti questi problemi, facendo approvare da un'assemblea e ripubblicando alcuni capitoli di Carlomagno e di Ludovico; e per dar loro maggiore efficacia nominò dei messi, cui diede una serie d'istruzioni per visitare, campagne, masserie, chiese, ospedali e monasteri, esaminare lo stato delle monete e delle misure e quello delle case, delle vie e dei ponti, sorvegliare la giustizia delle mercedi e frenare l'indisciplina del clero secolare e regolare (Romano)..."

Lotario rimase in Italia quasi tutto l'anno 832 e parte del successivo, ma si tenne in continuo rapporto con gl'imperialisti di Francia, che si preparavano alla rivincita. E questa volta la decisione della grande contesa non doveva essere affidata ai pacifici voti di un'assemblea, ma alle armi. Era l'aperta ribellione dei tre figli di Ermengarda che stava per scoppiare. I tre avevano trovato un potente alleato nel papa Gregorio IV, il quale desiderava che si tornasse alla costituzione dell'817 perché in essa con l'unità dell'impero vedeva assicurata la pace dell'Europa cristiana.

Nella primavera dell'833 Colmar (Kolmar, in Alsazia) vide riuniti con le loro milizie Pipino, Ludovico e Lotario. Quest'ultimo era arrivato dall'Italia nel maggio accompagnato dal Pontefice che sperava di metter la pace con la sua presenza tra l'imperatore e i figli. In Francia invece si era sparsa la voce che Gregorio IV aveva intenzione di scomunicare quei vescovi che avevano sostenuto la causa di Ludovico I, e questa voce aveva talmente sdegnati i sudditi che - secondo la notizia che ci fornisce un biografo dell'imperatore - gli mandarono a dire che se fosse venuto per scomunicare se ne sarebbe tornato scomunicato ("Si excommuniecans adveniret exeommunicatus abiret").

La contesa aveva assunto tale vivacità da una parte e dall'altra che inutili riuscirono gli sforzi fatti per comporla pacificamente e Ludovico I, che si trovava a Worms, partì con il suo esercito e giunse il 24 giugno a Rothfeld, presso Colmar, dove si accampò.

Per evitare uno scontro che avrebbe fatto spargere sangue, il Pontefice si fece mediatore di pace e recatosi nella tenda dell'imperatore dichiarò che lo scopo della sua visita era di comporre il dissidio e ridare la pace all'impero travagliato dalle discordie. Le parole del Pontefice o segreti emissari dei figli dell'imperatore provocarono nell'esercito di Ludovico numerosissime defezioni. Nella notte dal 29 al 30 giugno la maggior parte dell'esercito che aveva condotto da Worms lo abbandonò e passò al campo dei ribelli.

All'imperatore non rimaneva che una via da seguire: cedere. Avuta assicurazione dai figli che nessun male sarebbe stato fatto a lui, alla moglie e al piccolo Carlo, Ludovico I si recò al campo dei figliuoli. Ma la promessa non fu mantenuta che in parte e da ciò il nome di "Lugenfeld" ("campus mentitus") "campo della menzogna", che più tardi fu dato al campo di Rothfeld. Giuditta fu relegata in un monastero di Tortona. Carlo nel convento di Prum nell'Ardenna; Ludovico I fu internato nel chiostro di S. Médard, a Soisson, e deposto dal trono. Ma non era ancora finita la sua odissea.

Più di tre mesi dopo, nell'ottobre di quello stesso anno (833) Lotario convocò un'assemblea a Compiègne, e qui il deposto imperatore fu dichiarato reo di omicidio e di spergiuro. Qualche giorno dopo, nella chiesa di S. Médard, vestito da penitente, Ludovico faceva pubblica lettura di una carta, preparata dai vescovi, in cui c'era la confessione delle sue colpe.

Lotario trionfava: ma il suo trionfo fu di breve durata. La scena di Compiègne culminata nella deposizione di LUDOVICO, detto il PIO, da venti anni sul trono, aveva fatto una tristissima impressione sul Pontefice, che con l'animo pieno d'amarezza si era affrettato a tornare in Italia

Ma non solo a lui. L'altra scena nella chiesa di S. Médard aveva profondamente impressionato tutti, compresi Pipino e Ludovico. Questi si erano ben presto accorti che tutti, o almeno i maggiori vantaggi degli ultimi avvenimenti, erano stati a favore di Lotario e si erano pentiti di avere contribuito a creare quello stato di cose. A questo pentimento non era estranea la sorella di Giuditta, che era andata in moglie al giovane Ludovico, la quale aveva tutto l'interesse di spingere il marito contro il fratello Lotario. Si aggiunga che il partito degli imperialisti se contava uomini d'indiscusso valore aveva scarsissimo seguito nella nazione, che i grandi vedevano nell'unità dell'impero un danno gravissimo per i loro interessi particolari e un ostacolo forte alla formazione delle loro autonome signorie, ed infine, venuta a mancare l'energica mano di Carlomagno, si era indebolita la coesione delle varie nazionalità che formavano l'impero.

Interessi personali, invidie presto sorte in seno ai figli di Ludovico e quella simpatia che sempre ispira la sventura avevano provocato un serio malcontento contro Lotario che divennero atteggiamenti di seria ostilità quando questi condusse il padre ad Aquisgrana e cercò di farlo entrare in un chiostro. Il vecchio imperatore si ribellò dicendo che non avrebbe mai preso l'abito monastico finche aveva un po' di libertà ("Nunquam se facturum, aiebat, quamdiu de se nullam potestatem haberet, aliquod votum").

Allora Lotario si recò a Parigi e, chiuso il padre nel monastero di Saint-Dénis, convocò l'eribanno per far fronte ai suoi fratelli; ma pochi risposero all'appello e a quel punto, stimò che era più prudente ritirarsi a Vienne nel Delfinato ad aspettare gli eventi. Si era sul finire dell'inverno dell'834. Il primo di marzo, Pipino era giunto fino alla Senna, poi raggiunto dal fratello Ludovico, entrò a Parigi senza molte difficoltà. L'imperatore Ludovico fu liberato dal monastero di Saint-Denis, fu poi assolto dai vescovi dalla condanna ricevuta a Compiègne e con i due figli fece ritorno ad Aquisgrana dove trovava il figlio Carlo e la moglie Giuditta, liberata a Tortona da un gruppo di nobili che in Italia erano rimasti fedeli all'imperatore (di cui parleremo più avanti).

Nell'estate dello stesso anno l'imperatore, alla testa di un forte esercito, comparve a Blois insieme con i due figli e qui, nel settembre, Lotario che si era già spinto fino a Orleans con pochi uomini, cambiò le sue idee bellicose, considerò che non c'era via di scampo, e ritenne di fare la cosa più semplice e meno pericolosa se voleva conservare un regno e ancora campare, quella di fare atto di sottomissione, di chiedere perdono al padre, promettendo che sarebbe ritornato subito in Italia, e che non ne sarebbe mai più uscito se non con il permesso del padre.

FINE DELL' UNITA' DELL' IMPERO FRANCO

Lotario ritornò in Italia, seguito dai più ardenti imperialisti. Erano fra questi Wala, il conte Matfrido, Eberardo e Lamberto, ai quali il re, per premiarli della loro fedeltà, assegnò contee e vasti possedimenti. Al primo affidò il governo dell'abbazia di Bobbio e come abate WALA ci lasciò un importantissimo documento, il "breve memorationis", che più avanti tracceremo i contorni. Wala morì nell'836. Al conte MATFRIDO Lotario concesse la Valtellina che Carlomagno aveva donato al monastero franco di Saint-Dénis; ad EBERARDO - che fu il progenitore di BERENGARIO I re d'Italia - diede la marca del Friuli.

Se ricompensò questi fedeli non mancò di danneggiare coloro che avevano favorito invece in Italia Ludovico I. Fra questi erano ROTALDO vescovo di Verona, BONIFAZIO conte di Lucca e PIPINO, figlio del precedente re Bernardo e della regina Cunegonda, i quali nell'834 proprio loro avevano liberato Giuditta dal monastero di Tortona, e l'avevano accompagnata ad Aquisgrana poi erano rimasti in Francia, sollecitando l'imperatore a intervenire presso il figlio per la restituzione dei beni confiscati. Un'ambasceria composta dell'abate Ugo e del conte Adalgerio fu nell'836 spedita a Lotario, che pose certe inique condizioni per la restituzione, e che quindi non fu fatta.

Di un'altra ambasceria abbiamo notizia, mandata dall'imperatore al Pontefice. LUDOVICO I aveva deciso di scendere in Italia per visitare le tombe degli Apostoli, e nel corso del viaggio anche qualche città del regno. Lotario avvisato, aveva avuto ordine di riceverlo con grandi onori e di preparargli gli alloggi nelle varie località. Ma il vero scopo dell'imperatore era un altro: voleva affermare la sua autorità in Italia con un imponente spiegamento di forze, con la sua presenza e con quella dei suoi due figli Pipino e Ludovico e nello stesso tempo voleva proteggere la S. Sede dagli abusi di Lotario. Noi non sappiamo di quali comunicazioni fosse latore l'abate ALDREBADO di FLAVIGNY, ma già il fatto che era stato mandato segretamente a Roma dal Pontefice ci fa sospettare che fosse incaricato di una missione che non era gradita a Lotario.

Il quale -con la coscienza sporca che aveva come ingiurie e offese nei confronti del padre- qualcosa cominciò a temere, e si era allertato, prendendo le sue precauzioni. I provvedimenti che prese per impedire l'arrivo del padre furono tali da rendere inevitabile una rottura: difesa dei valichi alpini e divieto ai legati papali di oltrepassare Bologna. La rottura sarebbe avvenuta forse gi quest'anno 836, se l'imperatore non fosso stato costretto ad accorrere nella Frisia minacciata dai pirati normanni e se una febbre epidemica, improvvisamente scoppiata in Italia, non avesse causato la morte di parecchi nobili franchi propugnatori dell'idea imperialista e quindi fiancheggiatori di Lotario.

Ma se una guerra fu evitata nel 836, i rapporti divennero più tesi tra padre e figlio e peggiorarono quando, sulla fine dell'837, all'assemblea di Aquisgrana l'imperatore assegnò al figlio Carlo i territori situati tra il Weser e la Loira con Parigi come capitale. Senonchè questo regno concesso al figlio di Giuditta forni a Lotario un inaspettato alleato: suo fratello Ludovico, giustamente geloso di Carlo.

Nel marzo dell'838 Lotario e Ludovico s'incontrarono nella valle di Trento e presero accordi di cui non conosciamo il tenore ma possiamo benissimo immaginare, visto che prima erano nemici. E così li immaginò l'imperatore. La notizia dell'incontro dei due principi, quando arrivò alla corte imperiale, impressionò Ludovico I ma non abbastanza da prendere qualche provvedimento. Inoltre era in piena balia della moglie e, istigato da lei, nel settembre dello stesso anno convocò a Quierzy un'assemblea, suddivise ancora l'impero fra Lotario e l'ormai quindicenne Carlo, rivestì quest'ultimo con le armi, lo incoronò re e gli ingrandì con altre concessioni i territori precedentemente assegnati.
Due mesi dopo (10 dicembre dell'838) cessava di vivere Pipino, lasciando due figlioletti, uno con lo stesso suo nome. Una nuova divisione dell'impero si rendeva necessaria. L'imperatore e Lotario si erano intanto pacificati, volendo il primo assicurare a Carlo l'appoggio del secondo; la nuova divisione pertanto non poteva esser fatta che a danno di Ludovico. A questi, infatti, nella divisione stabilita a Worms nel giugno dell'839, fu lasciata soltanto la Baviera; il resto dell'impero fu diviso tra Lotario e Carlo. Al primo toccò, oltre l'Italia, il territorio posto ad oriente del Rodano, della Saona e della Mosa, al secondo le contee ad occidente di questi tre fiumi comprese l'Aquitania, la Guascogna e la Marca di Bretagna.

Stipulato l'atto di Worms, Lotario, che si era recato in Francia per rappacificarsi col padre, fece ritorno in Italia e qui vi restava per l'intero anno. Della sua attività durante questo periodo poche cose ci sono note, fra le quali il trattato concluso nel febbraio dell'840 con Venezia conosciuto con il nome di "Pactum Lotharii". Venezia, dopo la pace conclusa tra la corte franca e quella bizantina, era tornata sotto il dominio di Costantinopoli, dominio più nominale che effettivo. Il ducato veneziano era ormai costituito da Rialto (dov'era la sede del governo) Olivolo, Murano, Malamocco, Albiola, Chioggia, Brondolo, Fossone, Loreo, Torcello, Amianà, Burano, Eraclea, Fine, Equilio, Caorle, Grado e Cavarzere. Sotto il doge AGNELLO di PARTICIACO e dei figli Giustiniano e Giovanni (succeduti al padre come Dogi) era cresciuto in prosperità. Le sue numerose navi toccavano tutti i porti dell'Adriatico, dello Jonio, del Tirreno, dell'Egeo e si spingevano fin sulle coste della Siria e dell'Egitto e dagli attivissimi scambi traeva lauti guadagni. Strettissime relazioni commerciali esistevano tra Venezia e i paesi della terraferma, quali l'Istria, il Friuli, Ceneda, Treviso, Vicenza, Monselice, Gavello, Comacchio, Ravenna, Cesena, Rimini, Pesaro, Fano, Senigaglia, Ancona, Umana, Fermo e Penne. E proprio su richiesta di questi paesi e del doge veneziano, che nell'840, era PIETRO GRADENIGO, fu concluso l'accennato trattato "Pactum Lotharii" tra Lotario e Venezia; vi si proibiva ai Veneziani il commercio degli schiavi dentro le terre del regno italico (significa che questo commercio prosperava) e a queste si intimava a non molestare il ducato, ma era pienamente garantita la libertà di commercio e di navigazione alle due parti e Lotario confermava a Venezia i confini stabiliti nel patto tra Liutprando e Paoluccio, gli assicurava il suo aiuto in caso di guerra contro gli Slavi, il diritto di pascolo e di legnatico nei territori vicini, i1 rispetto delle chiese e dei monasteri e l'intangibilità dei depositi e delle cauzioni.

Nel giugno dell'840 moriva LUDOVICO I. Lotario, acquistata la dignità imperiale, e passava in Francia. Si apriva ora un periodo di lotte tra i tre fratelli che doveva chiudersi con il frazionamento dell'impero. Dimenticando o meglio ignorando gli impegni assunti l'anno prima a Worms, Lotario voleva far trionfare l'idea dell'unità con il ritorno alla costituzione del l'817; ma i suoi sforzi dovevano infrangersi di fronte alla coalizione dei fratelli minori.

LOTARIO cercò d'impedire che gli eserciti di Ludovico il Germanico e Carlo si congiungessero, tenendo a bada con promesse quest'ultimo e mandando contro l'altro un esercito comandato dal conte Adalberto di Metz; ma la fortuna gli fu contraria. Il 13 marzo dell'841 Adalberto fu sconfitto e Ludovico e Carlo riuscirono a congiungere le loro forze a Chàlons.
Dopo inutili tentativi di risolvere pacificamente la contesa, fatti dai due fratelli alleati, si arrivò alla battaglia decisiva che fu combattuta sanguinosissima a Fontanet (Fontenoy) il 25 giugno dell'841 e finì con la sconfitta di Lotario. Ma le perdite maggiori Lotario le subì durante la ritirata inseguito dagli eserciti dei fratelli che uccisero - se dobbiamo credere alle cifre riferite dal cronista Agnello di Ravenna - quarantamila suoi soldati.

Dopo la rotta Lotario si diede a fare preparativi febbrili per la rivincita raccogliendo armati fra i Sassoni e i Normanni e provocando una maggiore determinazione nell'alleanza tra i due suoi fratelli. Di fronte all'atteggiamento risoluto di Ludovico e Carlo che a Strasburgo, il 14 febbraio dell'842, davanti ai rispettivi eserciti avevano giurato solennemente di aiutarsi a vicenda a oltranza contro Lotario, questi smise i preparativi e propose di risolvere pacificamente la contesa.

Accettata dai fratelli la proposta, si concluse una tregua e iniziarono le trattative di pace i cui preliminari furono fissati a Magon nel giugno di quell'anno 842. Nell'agosto dell'843 fu finalmente firmato a Verdun il trattato definitivo di pace in virtù del quale quello che era stato il vasto impero di Carlomagno risultava diviso in tre regni.
LOTARIO ebbe l'Italia, la Provenza, la diocesi di Uzès e di Viviers sul Rodano, una parte della Borgogna, l'Alsazia, la Diocesi di Treviri, la Ripuaria dalla frontiera sassone alla Schelda e la Frisia dal Reno al Weser;
LUDOVICO le diocesi di Magonza, Worms e Spira alla sinistra del Reno, la Baviera, l'Austrasia, la Sassonia e la Turingia dalla frontiera slava e danese . alla foce del Weser;
CARLO l'Aquitania, la Settimania, la marca spagnola, la Borgogna ad ovest della Saona, la Neustria, la Fiandra e la Marca di Bretagna.

L'unità dell'impero era finita. Solo il titolo d'imperatore restava, e fu assegnato a Lotario, ma solo ad honorem, perché non gli dava nessun diritto d'ingerirsi nei domini dei fratelli.
I tre regni erano assolutamente indipendenti, C'era soltanto l'obbligo di vivere in buona armonia e di aiutarsi a vicenda, ma solo con nemici esterni.

FINE

Dobbiamo ora tornare indietro di qualche anno.
All'anno 827, quando la penisola italiana a sud fu messa in stato di allarme;
erano giunte le notizie che gli Arabi erano sbarcati in Sicilia
dobbiamo quindi trattare il periodo anno 827 - 871 d.C. > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (33 vol.) GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (14 vol.) Einaudi

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