AVIAZIONE

Nel dicembre del 1941 i giapponesi con 183 aerei attaccarono la base americana
mentre i due governi stavano trattando per evitare la guerra.

   PEARL HARBOR 
DOVE I SAMURAI
PERSERO L'ONORE

 

di GIACOMO PACINI 

C'era una grande tranquillità la domenica mattina del 7 dicembre 1941 nella base navale americana di Pearl Harbour, nelle Hawaii. Sulle navi si svolgeva il canonico rito dell'alzabandiera, a terra iniziava la funzione domenicale, la maggior parte dei soldati si svegliava per vivere un'altra giornata di ordinaria routine. La sorveglianza era molto allentata ed approssimativa. Nelle settimane precedenti più volte la base era stata in allerta dato che veniva considerata un possibile bersaglio per un eventuale attacco giapponese.
Tuttavia in quel periodo fra USA e Giappone si stavano svolgendo colloqui diplomatici che sembravano far presagire ad una risoluzione pacifica dei contenziosi che da tempo dividevano le due potenze, in passato amiche, e divenuti molto aspri soprattutto dopo la totale invasione della Cina e l'occupazione dell'Indocina da parte del Giappone. Il 20 novembre dall'Impero del Sol Levante era stata inviata una nota diplomatica agli USA (il cosiddetto "memorandum") da parte del capo del governo giapponese, in carica da poche settimane, generale Tojo, in cui ci si dichiarava disposti solo ad una evacuazione della zona meridionale dell'Indocina. 

Agli Usa ciò non bastava, ne volevano lo sgombero totale, e tuttavia quella nota di Tojo fece ancora ritenere possibile arrivare ad un accordo. Ma si fini' con l'ignorare che per Tojo quella era la conditio sine qua non: se gli Americani accettavano non ci sarebbe stato problema, altrimenti i colloqui sarebbero arrivati ad un punto morto. E soprattutto negli USA si era all'oscuro che prima ancora di ricevere una risposta i Giapponesi avevano cominciato dal loro punto di vista, a tutelarsi radunando nelle isole Kurilii un complesso navale con quasi 400 aerei imbarcati pronto ad attaccare proditoriamente una base americana, secondo un piano pensato da tempo. Unita' navali che dalle semisconosciute Kurilii vennero fatte partire il 26 novembre, direzione: Pearl Harbor, Hawaii. Era pero' stabilito che in caso di un eventuale punto di intesa trovato con gli USA, il complesso navale sarebbe stato fatto rientrare.

Proprio nella giornata del 26 Cordell Hull, Segretario di Stato americano, invio' a Tojo la attesa risposta (i cosiddetti "10 punti" di Hull). In sostanza gli USA con toni fermi, ma ancora disposti al dialogo si dichiaravano convinti che fosse necessario che il Giappone abbandonasse in toto sia l'Indocina sia la Cina.

Hull concludeva dicendosi fiducioso in una risposta nipponica. Ma questa volta i Giapponesi risposero con 389 aerei contro le Hawaii. Infatti le proposte di Hull vennero giudicate come un "ultimatum", il Giappone non avrebbe continuato i colloqui se gli Americani non rivedevano le loro posizioni; e cosi' le navi proseguirono il loro viaggio verso Pearl Harbor.

Il 1° dicembre la Conferenza Imperiale Giapponese dette poi il definitivo placet all'azione militare. Tuttavia alle Hawaii il clima era di generale ottimismo, tante volte in passato si era stati in allerta e tante volte niente era successo. Ci si illudeva che ancora un accordo fosse piu' che probabile, vi era una generale e gravissima sottovalutazione del pericolo, l'errata convinzione che questa volta la guerra sarebbe rimasta un affare europeo. 

Così quella mattina del 7 Dicembre le protezioni che normalmente dovevano essere attivate non c'erano. Batterie contraeree non si trovavano in posizione, le navi stavano ormeggiate senza alcuna consistente artiglieria a bordo, le stazioni di tiro e i depositi di munizioni erano incustoditi.
Sulla base c'erano oltre 300 aerei tenuti ala contro ala e percio' impossibilitati ad un decollo fulmineo in caso di improvviso pericolo. Solo poche decine si trovavano in posizione pronta al decollo. Inoltre il sistema di protezione dato dai radar era ancora incompleto.
Eppure verso le 6.45 della mattina, 2 operatori radar posizionati sul monte Opana scorsero l'avvicinarsi di una non meglio identificata squadriglia aerea proveniente da nord. Il loro superiore, tenente Tyler, saputo dell'avvistamento non ritenne di doversi preoccupare troppo. Da giorni a Pearl Harbor si attendevano 12 fortezze volanti amiche che sarebbero giunte dall'America, sicuramente il rilevamento radar si riferiva a loro....

E tuttavia i due giovani ...gli operatori vedevano con chiarezza che quelle presunte fortezze volanti americane venivano da nord, come potevano giungere direttamente dagli USA? E soprattutto non sembravano davvero essere solo 12!. Ma non fu dato alcun allarme, in fin dei conti gia' troppe volte in passato ci si era agitati per nulla, perche' guastare quella domenica mattina, di norma adibita al riposo per i soldati?

Peccato pero' che quelli fossero tutt'altro che aerei amici e che tantomeno fossero 12. Erano bensì 183 aerei giapponesi (43 caccia Zero, 40 aerosiluranti, 51 bombardieri in picchiata e 49 bombardieri in quota) decollati da 6 portaerei arrivate indisturbate nei pressi di Pearl Harbor. Era la prima ondata di attacco giapponese, sotto il comando del capitano Fuchida. Alle 7.55 in punto furono sopra la base, riuscendo, come da sempre auspicato, a cogliere di sorpresa il "nemico". 

Ma come fu possibile che il Giappone lanciasse un simile guanto di sfida alla massima potenza planetaria? A questo punto e' necessario fare un passo indietro ed esaminare, brevemente, gli sviluppi politici del Giappone dopo la prima guerra mondiale.

Alla fine del conflitto il Giappone era ormai diventato una potenza economica tale da incutere preoccupazione negli USA, timorosi di perdere posizioni nel fruttuoso mercato asiatico. All'interno del Giappone si registrava intanto un progressivo affermarsi di partiti ultranazionalisti, con l'obbiettivo, neanche troppo celato, di creare un "nuovo ordine economico" in Oriente sotto la stretta tutela giapponese.

Questo perche' il dinamismo commerciale nipponico era fortemente limitato dalla concorrenza occidentale e specialmente americana, generando un grosso malcontento in patria. Oltretutto i Giapponesi ritenevano insufficiente quanto ottenuto alla fine della guerra ed enorme insoddisfazione provoco' la Conferenza Navale di Washington del 1921, dove gli USA imposero al Giappone una forte riduzione del suo potenziale militare navale limitandone duramente la flotta.

Intanto col passare del tempo il ruolo dei militari in Giappone comincio' a crescere, parallelamente allo sviluppo di numerose "societa' patriottiche" spesso di ispirazione similfascista con connotati fortemente nazionalisti ed imperialisti ed insofferenti dei "diktat" americani. La nuova Conferenza navale del 1930, a Londra, se consentì al Giappone di avere una flotta sottomarina pari a quella degli USA, ne limito' di nuovo le restanti unita' navali, cosa che contribuì ad agitare ancor di piu' le tensioni. Era ora, si disse, che negli USA ci si rendesse conto che il tempo del Giappone come potenza di secondo ordine era finito. 
Le ripercussioni della crisi economica del 1929 fecero poi il resto, l'imperatore Hirohito e la sempre piu' potente cerchia militarista si convinsero che la sopravvivenza del Giappone come potenza economica era sempre piu' legata alla creazione di un vasto impero. Così si cominciarono ad infrangere gli accordi ed ad iniziare una considerevole politica di riarmo con fini espansionistici. La prima vittima della politica aggressiva nipponica fu la Manciuria: il Giappone la attacco', la conquisto' e creo' un governo fantoccio. Fu il primo gravissimo (e celebre) strappo che si verifico' all'interno della Societa' delle Nazioni. La condanna internazionale verso il Giappone fu unanime ma all'atto pratico nessun provvedimento fu preso (decisione che doveva essere gravida di conseguenze per il futuro: da lì a poco la SDN ando' in pezzi ed il mondo precipito' nell'abisso di una nuova guerra mondiale). 

Intanto l'esaltazione nazionalista crebbe a dismisura; nel 1932 poi un manipolo di ufficiali arrivo' addirittura ad uccidere il primo ministro perche' ritenuto ancora troppo filo-occidentale. Da questo momento il dominio dei militari sulla vita politica giapponese fu pressoche' incontrastato.

Nel 1933 il Giappone uscì dalla SDN, nel 1934 rinnego' tutti gli accordi delle conferenze di Washington e Londra preparandosi all'attacco alla Cina, la cui occupazione totale comincio' a partire dal 1937.
Inizialmente sembrava prevalere una corrente detta "continentalista" che prevedeva l'espansione in Cina andando poi a minacciare da vicino gli interessi dell'URSS. Tuttavia in una serie di conflitti con le truppe sovietiche lungo il confine della Mongolia, i Giapponesi subirono pesanti rovesci e cio', unito a considerazioni di carattere economico, fece emergere una nuova tendenza espansionistica.

Nacque cosi' la cosiddetta corrente "navalista"; da adesso l'espansione si sarebbe diretta verso il sud-est asiatico e principalmente contro le ricche colonie olandesi ed inglesi e minacciando sempre piu' gli interessi economici statunitensi.(Nel 1941 poi il Giappone, entrato gia' nel Patto Tripartito con Germania ed Italia, volle tutelarsi stipulando un importante Patto di non aggressione con l'Urss; nella seconda guerra mondiale infatti mai il Giappone attacco' i sovietici impedendo così all'Armata Rossa di trovarsi impegnata su due pericolosissimi fronti). Cosi' la nuova strategia di espansione si espresse a partire dall'accordo che il Giappone trovo' con il regime filonazista francese di Vichy e che consenti' ai nipponici di occupare l'Indocina francese installando pericolosissime basi aeree ad Hanoi e Saigon. Ora l'America non poteva piu' stare a guardare, il Giappone era diventato una minaccia sia militare sia economica contro la quale si rendevano necessari provvedimenti. 

Gli USA per far recedere l'impero del Sol Levante dai suoi propositi sempre piu' aggressivi decretarono l'embargo delle esportazioni verso il Giappone e dichiararono "congelati" i fondi giapponesi nelle loro banche.

La tensione tra i due paesi salì a dismisura; e tuttavia da questo momento entro' in gioco il lavoro della diplomazia. Iniziarono lunghe trattative perche' si arrivasse ad un accordo ma, come abbiamo visto in precedenza, sulla questione del ritiro giapponese dalla Cina e dall'Indocina le trattative naufragarono e dopo i 10 punti di Hull, il Giappone scelse di rispondere con l'azione militare. Va precisato che l'attacco a Pearl Harbor in realta' doveva essere nelle intenzioni nipponiche una sorta di manovra diversiva, si voleva con quell'atto mettere fuori uso la temuta Flotta Americana del Pacifico impedendo così un suo eventuale intervento nelle terre del sud-est asiatico che il Giappone aveva intenzione di invadere. Era stato pure pensato di attaccare Pearl Harbor con un congruo numero di piloti suicidi che con i loro aerei dovevano andare a schiantarsi contro le navi ormeggiate sulla rada, ma poi si ritenne essere un danno troppo grave perdere decine di abilissimi piloti in quel modo, anche perche' la certezza della piena riuscita dell'azione non c'era.

La mente di una nuova strategia fu l'ammiraglio Idoruko Yamamoto, comandante supremo della flotta nipponica. Egli ritenne che la strategia piu' efficace era quella che comportava l'utilizzo di portaerei ed un numero piu' grande possibile di velivoli imbarcati. A convincere Yamamoto della bonta' di un'azione condotta da portaerei era stato l'importante attacco aerosilurante inglese contro la base italiana di Taranto avvenuto l'11 novembre 1940. Quel giorno dalla portaerei inglese Illustrius decollarono 20 biplani Swordfish che con una manovra decisa, ed a sorpresa, riuscirono ad eliminare la corazzata Cavour e a danneggiare gravemente altre unita' italiane. Naturalmente ben piu' difficoltoso sarebbe stato attaccare Pearl Harbor. Ogni giorno, anche nel periodo in cui fra USA e Giappone si svolgevano trattative, e per svariati mesi i piloti giapponesi eseguirono continue ed estenuanti esercitazioni in patria nella base di Kagoshima che agli occhi di Yamamoto aveva delle caratteristiche molto simili a Pearl Harbor. E contemporaneamente alle Hawaii un fondamentale lavoro di spionaggio veniva svolto da un personaggio un po' pittoresco ma che ebbe un ruolo centrale, ovvero Takeo Yoshikawa.

Egli trasmise in patria, avendo sempre l'accortezza di mutare ogni volta ufficio postale, importantissime informazioni sull'esatta conformazione della base e sulla posizione degli obbiettivi cruciali. Fu proprio Yoshikawa a segnalare che a partire dalla fine dell'estate di quel 1941 la vigilanza era allentata e che le trattative in corso avevano generato un clima di confortante ottimismo; il momento giusto per cogliere la base di sorpresa stava giungendo. Oltretutto Yoshikawa suggeri' di agire di domenica , giorno festivo in cui si era accorto che tutte le navi erano in porto e che al largo non si svolgeva nessuna esercitazione. 

Cosi' gli alti comandi giapponesi scelsero il 7 dicembre come giorno dell'attacco. Per l'azione vennero selezionate con estrema cura quelle che si reputavano le migliori unita'. 6 furono le portaerei: l'Akagi, la Kaga, le gemelle Shokaku e Zuikaku, la Soryu e la Hiryu. In tutto sui ponti di lancio c'erano 389 aerei fra bombardieri (in picchiata ed in quota), aerosiluranti e caccia Zero. Vennero poi scelte altre due corazzate (Kirishima e Hiei), due incrociatori pesanti (Chikuma e Tone), 9 cacciatorpediniere piu' altre navi in appoggio. In tutto erano 31 unita' navali alle quali si aggiunsero le navi petroliere per garantire il rifornimento . Ma i Giapponesi radunarono pure 27 sommergibili i quali avevano il compito di creare una sorta di cordone nelle acque intorno a Pearl Harbor andando a colpire le eventuali navi americane che fossero sfuggite al fuoco degli aerei salpando dalla base. All'interno di 5 di tali unita' sottomarine vi erano poi altrettanti piccoli sommergibili (detti "tascabili") che dovevano portare l'insidia alle navi nemiche piu' da vicino possibile. Il complesso navale fu affidato al comando supremo dell'ammiraglio Nagumo e rimase vari giorni nascosto nelle acque intorno alle isole Kurilii in attesa dell'ordine operativo. Il 26 novembre fu il giorno stabilito per la partenza, quando, come abbiamo visto, ancora si attendeva la risposta americana alle proposte di Tojo.

Il 1° Dicembre, giudicate inadeguate le offerte statunitensi, la Conferenza Imperiale dette il suo definitivo sì all'attacco. Yamamoto trasmise a Nagumo il messaggio, che quest'ultimo ritrasmise alla flotta: "Si scali il monte Niitaka", frase convenzionale con la quale si era stabilito di sancire il definito si all'inizio delle ostilita'. Da questo momento Yoshikawa intensifico' la sua opera di spionaggio segnalando con estrema cura l'esatta posizione e le caratteristiche delle navi e soprattutto delle portaerei statunitensi. Infatti proprio quest'ultime costituivano il principale obbiettivo giapponese, se gli aerei del Sol Levante fossero riusciti ad affondarle il colpo inflitto agli Americani sarebbe stato durissimo da assorbire. Ma per una fortuita coincidenza che neppure Yoshikawa poteva prevedere la mattina del 7 dicembre le 3 portaerei della flotta americana del Pacifico non si trovavano piu' alla base di Pearl Harbor. Proprio dopo la decisione definitiva del Giappone di sferrare l'attacco infatti, il caso volle che dagli USA giungesse la disposizione alle portaerei di dirigersi verso le basi di Midway e Wake dove erano state incaricate di trasportare alcuni velivoli. 

Questa missione per cosi' dire "minore" si rivelo' di importanza capitale; gli americani in maniera fortuita evitarono così qualsiasi danno alla grande portaerei Lexington (33000 tonnellate), alla Saratoga (utilizzata poi nelle battaglie navali durante la campagna di Guadalcanal) e soprattutto alla Enterprise che nel giugno 1942 ebbe un ruolo preminente nella grande battaglia delle Midway, allorche' gli statunitensi inflissero la prima vera sconfitta ai Giapponesi. Se malauguratamente gli USA avessero perso quelle 3 portaerei l'esito futuro della guerra sarebbe potuto essere molto diverso. Così il 7 dicembre 1941 a Pearl Harbor si trovavano in tutto 94 navi fra cui 8 corazzate che, in mancanza appunto delle portaerei , diventarono i principali obbiettivi dei velivoli giapponesi. Inoltre nei 4 piccoli aeroporti della base erano presenti 349 aerei la maggior parte dei quali, come detto in precedenza, impossibilitata ad un decollo rapido visto che erano stati posizionati ala contro ala. Il piano giapponese era di attaccare la base con 2 ondate successive di aerei: la prima composta da 183 velivoli e comandata da Fuchida, la seconda da 167 e comandata da Shimazaki. Alle 6 in punto del mattino dalle portaerei nipponiche si alzarono i primi 183 aerei che giunsero sulla base 1 ora e 55 minuti piu' tardi scatenando l'inferno . Eppure questa prima ondata 2 operatori radar l'avevano rilevata. E nei giorni successivi all'attacco si venne a conoscenza di un altro sconcertante episodio avvenuto durante la notte del 7 dicembre. Poco prima delle 4 del mattino infatti 2 navi americane in normale pattugliamento notturno intorno all'isola avevano avvistato con chiarezza 2 piccoli sommergibili dall'oscura nazionalita'.

Facevano parte delle 5 unita' "tascabili" che i Giapponesi avevano intenzione di impiegare per colpire da vicino le navi americane. Ed alle 6.43, quasi parallelamente all'avvistamento fatto dal monte Opana degli aerei nipponici scambiati per velivoli amici, un cacciatorpediniere americano (il Ward) addirittura attacco' ed affondo' uno dei due sommergibili. Ma l'allarme che venne lanciato dal Ward non fu valutato in tutta la sua gravita' , ma anzi si invitarono i piloti del cacciatorpediniere ad accertarsi meglio di cio' che realmente era avvenuto e di cosa davvero si fosse colpito. Si riteneva del tutto impossibile che potesse trattarsi dell'affondamento di una unita' nemica. E così 5 minuti prima delle 8 furono i primi missili giapponesi a risvegliare la base dal torpore ed a gettarla nel panico piu' totale. L'addestramento dei piloti giapponesi era perfetto, tutti sapevano con estrema precisione dove e come colpire. Erano tutti veterani della guerra contro la Cina e nei mesi precedenti il 7 dicembre innumerevoli erano state le simulazioni effettuate nella base di Kagoshima. Gli strateghi nipponici avevano studiato con una quasi maniacale precisione le traiettorie di ogni aereo per evitare il piu' possibile il rischio di collisione fra velivoli amici. Gli aerosiluranti agirono d'avanguardia attaccando le navi attraccate alla rada con i loro siluri a pelo d'acqua, dopo di essi entrarono immediatamente in azione i bombardieri in picchiata ed in quota che dovevano lanciare le loro bombe, naturalmente piu' potenti dei siluri, sulle navi gia' menomate per metterle definitivamente fuori uso.

Ai caccia spettava invece il classico compito dell'abbattimento di eventuali aerei nemici alzatisi in volo. Come previsto il fuoco giapponese ando' a concentrarsi principalmente contro le corazzate: tutte e 8 vennero colpite e la sorte peggiore tocco' alla Arizona che venne definitivamente affondata. Cosi' pochi minuti dopo l'inizio dei bombardamenti il Colonnello Fuchida pote' entusiasticamente lanciare alla portaerei Akagi il messaggio convenzionale, divenuto poi celeberrimo: "Tora, tora, tora", che stava a significare la riuscita dell'impresa di cogliere alla sprovvista il nemico. Sulla base dopo l'iniziale sconcerto i militari americani cercarono di reagire, pur con tutte le difficolta' derivanti da una spaventosa grandine di bombe e siluri. Numerosissimi furono quelli che si immolarono in un tentativo disperato di difesa cercando di correre verso le stazioni di tiro e i depositi di munizioni colpevolmente lasciati incustoditi in precedenza. Da piste secondarie della base decollarono, senza essere abbattuti, solo 7 aerei che comunque ottennero il non secondario risultato di riuscire ad eliminare i 4 sommergibili tascabili giapponesi (uno di essi come detto era stato affondato alle 6.43 del mattino). Anche la reazione degli equipaggi delle navi fu prontissima e di sicuro valse ad evitare un disastro ancora maggiore: in pochi minuti si cercarono di attivare le batterie contraeree e di rivolgerle contro i velivoli nipponici e soprattutto, come i Giapponesi avevano previsto, si cerco' di far fuggire piu' navi possibili al largo. Fu cosi' che numerose unita' americane si salvarono, perche' lo sbarramento sommergibilistico giapponese non dette il risultato auspicato ed anzi non era ancora completo. La prima ondata di attacco resto' sopra Pearl Harbor per 35 minuti, al suo ritiro gli Americani avevano di fatto perso definitivamente solo una corazzata (la Arizona) ma numerose erano le unita' gravemente danneggiate.

Tuttavia i Giapponesi, come vedremo, ritennero erroneamente che tali unita' fossero ormai perdute quando in realta' molte di esse pur menomate non sarebbero mai affondate visti i bassi fondali dell'isola. Alle 8.54 furono scagliati su Pearl Harbour altri 167 aerei al comando di Shimazaki. Erano 54 bombardieri in quota, 78 in picchiata e 35 caccia. Non vi erano aerosiluranti; i giapponesi ritennero, e probabilmente non sbagliarono, che un nuovo attacco a pelo d'acqua degli aerosiluranti sarebbe stato inutile e molto difficoltoso considerando gli incendi che inevitabilmente sarebbero divampati sulle navi americane colpite dopo il primo attacco. La nuova ondata nipponica resto' per un'ora sulla base incontrando pero' una maggiore resistenza degli Americani. Cosi' anche i Giapponesi dovettero subire perdite aeree (alla fine furono 29 gli aerei nipponici non tornati alle portaerei). Tuttavia per la corazzata Oklahoma, gia' danneggiata dagli aerei di Fuchida, e per la nave bersaglio Utah non ci fu niente da fare; vennero definitivamente eliminate. Queste si rivelarono pero' le sole vere ed irrimediabili perdite navali per la flotta del Pacifico statunitense. I Giapponesi ebbero l'errata convinzione di aver , nonostante non le avessero viste affondare, messo fuori uso tutte le navi colpite (che in totale furono 18). Ma gli Americani , nelle ore dopo l'attacco, decisero che quelle navi, pur devastate da bombe e siluri, potevano, anzi dovevano, essere recuperate. Alla resa dei conti dunque le perdite navali furono meno tragiche di quanto si poteva pensare.

Molto piu' gravi furono invece le perdite aeree ch erano a terra; ben 188 velivoli vennero distrutti costituendo, per la loro disposizione ala contro ala, dei bersagli molto facili per il preciso tiro giapponese. E pesante fu pure il bilancio dei morti fra i militari e i civili della base: 3405 ai quali andavano aggiunti oltre 1000 feriti. Di sicuro sotto un profilo strategico l'attacco giapponese era stato un capolavoro, pochissimi furono i colpi non andati a segno, nei 95 minuti di fuoco gli Americani evitarono la totale distruzione della base grazie alla immediata reazione dei soldati (molti dei quali sacrificarono la vita in disperati tentativi di difesa), ma ugualmente a caro prezzo venne pagata la troppa leggerezza dei giorni precedenti il 7 dicembre. Così a poche ore dal ritiro degli aerei attaccanti il primo ministro giapponese Tojo in un esaltato discorso radio affermo' che l'intera flotta americana del Pacifico era stata distrutta. Ma tuttavia non era cosi'. Intanto, come accennato, i sommergibili giapponesi non dettero il risultato auspicato. I nipponici poi avevano concentrato il loro fuoco quasi esclusivamente sulle navi ormeggiate e sui 4 piccoli aereoporti di Pearl Harbour lasciando del tutto intatti i cantieri navali dell'isola. E gli Americani, come detto, superato l'iniziale sconcerto, capirono che non tutte le imbarcazioni erano da considerare perdute. Fu così che ben 15 unita' che i Giapponesi avevano ritenuto distrutte furono in poco tempo rimesse in sesto: fra di esse c'erano 6 corazzate. Il lavoro dei tecnici cantieristi fu eccezionale e le operazioni di recupero ebbero anche un importantissimo effetto psicologico sia sui soldati che verso la stessa opinione pubblica americana rimasta scioccata dopo il proditorio attacco giapponese. L'America doveva ora dimostrare che la riscossa sarebbe presto iniziata, che la flotta del Pacifico era stata colpita ma non distrutta; Tojo si sarebbe dovuto rimangiare le parole, quasi di scherno, pronunciate dopo l'attacco.

E in quel 7 dicembre oltre a non pensare di distruggere i cantieri navali, i giapponesi commisero un altro errore non meno grave: sulla base c'erano enormi depositi di carburante del tutto incustoditi, che potevano costituire un bersaglio molto facile anche per un ristretto numero di aerei. Ma vennero ignorati sia dagli aerei di Fuchida sia da quelli di Shimazaki. L'eventuale distruzione di quei depositi poteva veramente costituire un dramma per gli USA, a quel punto molta meno importanza avrebbero avuto le "eroiche" azioni di recupero delle navi colpite. Senza piu' carburante Pearl Harbor poteva diventare una base pressoche' inutilizzabile. L'unica soluzione sarebbe potuta essere quella di inviare un cospicuo numero di navi petroliere direttamente dagli USA a rifornire la base, le quali pero' sarebbero state un bersaglio piuttosto facile per eventuali attacchi nipponici. Ma, per fortuna degli Americani, tale eventualita' non si verifico'. L'8 dicembre poi, in un ormai famoso discorso pronunciato al Congresso degli Stati Uniti, il presidente Roosevelt, accuso' il Giappone di infamia e vilta' per quel "deliberato attacco". 

IL DISCORSO DI ROOSEVELT

"Ieri, 7 Dicembre 1941, una data segnata dall'infamia, gli Stati Uniti d'America sono stati improvvisamente ed intenzionalmente attaccati dalle forze aeree e navali dell'Impero del Giappone.
Gli Stati Uniti erano in pace con questo paese, e su richiesta del Giappone, erano ancora in contatto con il suo Governo e il suo Imperatore nel tentativo di mantenere la pace nel Pacifico. In realtà, un'ora dopo che le squadriglie aeree giapponesi avevano iniziato il bombardamento a Oahu, l'Ambasciatore giapponese negli Stati Uniti e il suo collega hanno consegnato al Segretario di Stato una risposta formale al recente messaggio americano.
Sebbene questa risposta affermava che sembrava inutile proseguire i negoziati diplomatici in corso, non conteneva alcuna minaccia o accenno di guerra o di attacco armato. Tenuto conto della distanza delle Hawaii dal Giappone risulta evidente che l'attacco è stato intenzionalmente pianificato con molti giorni se non addirittura settimane di anticipo.
Nel frattempo, il Governo Giapponese ha intenzionalmente cercato di ingannare gli Stati Uniti facendo dichiarazioni false ed esprimendosi al favore del proseguimento della pace. L'attacco di ieri alle Isole Hawaii ha arrecato un grave danno alle forze militari e navali americane. Un numero ingente di vite americane sono state perse.
E' stato inoltre comunicato che le navi americane sono state attaccate con siluri in alto mare tra San Francisco e Honolulu .

Ieri il governo Giapponese ha attacato anche Malaya.
Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato Hong Kong.
Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato Guam.
Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato le Filippine.
Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato l'Isola di Wake.
Questa mattina i giapponesi hanno attaccato l'Isola di Midway.
Pertanto,il Giappone ha intrapreso un'offensiva a sorpresa estesa a tutta l'area del Pacifico.
Gli accadimenti di ieri parlano da soli. Il popolo degli Stati Uniti si è già fatto un'idea ed è ben conscio delle implicazioni per la stessa vita e la salvezza della nostra nazione.
In qualità di Comandante in Capo dell'Esercito e della Marina, ho dato disposizioni affinché venissero adottate tutte le misure per le nostra difesa.
Rimarrà per sempre nelle nostre menti l'attacco furioso nei nostri confronti. Non importa quanto tempo occorrerà per riprenderci da questa invasione premeditata, il popolo americano con tutta la sua forza riuscirà ad assicurarsi una vittoria schiacciante.
Ritengo di farmi interprete della volontà del Congresso e del popolo quando affermo che non solo ci difenderemo fino all'ultimo ma faremo quanto necessario per essere sicuri che questa forma di tradimento non ci metta mai più in pericolo. Le ostilità esistono.Siamo coscienti del fatto che il nostro popolo, il nostro territorio i nostri interessi siano in serio pericolo.
Accordando fiducia alle nostre forze armate, e con la sconfinata determinazione del nostro popolo, raggiungeremo l'inevitabile vittoria, in nome di Dio. Chiedo che il Congresso dichiari lo stato di guerra tra gli Stati Uniti e l'Impero giapponese, a seguito dell'attacco non provocato e codardo del Giappone di Domenica 7 Dicembre 1941
- Franklin Delano Roosevelt - CASA BIANCA -8 Dicembre 1941


Il Congresso, da sempre neutralista, supero' ogni remora e dichiaro' guerra al Giappone. Tre giorni dopo furono Germania e Italia (alleate col Giappone nel Patto Tripartito) a dichiarare guerra agli USA. Ora si poteva davvero parlare di guerra mondiale. Con le sue parole Roosevelt volle mettere in evidenza il cinismo nipponico, rivelando come solo ad attacco iniziato l'ambasciatore giapponese negli USA avesse consegnato la nota con la quale la sua nazione rispondeva alle proposte del 26 novembre di Hull. "Solo un'ora dopo l'inizio dei bombardamenti" disse, "e' stata consegnata al nostro Segretario di Stato la risposta alle nostre ultime proposte. Quella giapponese era una risposta che dimostrava che era ormai inutile proseguire nelle trattative, ma non conteneva nessuna dichiarazione di guerra e nessun preannuncio di attacco armato". 

Tuttavia oggi sappiamo che i servizi segreti americani avevano intercettato la nota diplomatica giapponese, cui Roosevelt si riferiva, molte ore prima che l'ambasciatore nipponico la consegnasse ufficialmente. Infatti fin dalla sera del 6 dicembre gli Stati Uniti si erano preoccupati di mettere in allerta tutte le loro basi, Pearl Harbor compresa. Ma il segnale d'allerta arrivo' alle Hawaii 5 ore dopo il ritiro degli aerei giapponesi. Perche' questo gravissimo ritardo? Non a caso l'episodio, unito alla troppa superficialita' con la quale si era agito nell'isola prima dell'attacco giapponese, ha fatto sorgere il sospetto che in realta' Roosevelt sapesse della decisione nipponica di colpire Pearl Harbor e che non avesse fatto nulla per evitarla. In questo modo Roosevelt, da tempo preoccupato per le vittorie naziste in Europa, per le sorti dell'Inghilterra oltre che chiaramente per le difficolta' nel trattare col Giappone, accettando dolorosamente la morte di migliaia di soldati, avrebbe messo il Congresso, contrario all'entrata in guerra, di fronte ad un fatto compiuto. Il che , come accadde, gli avrebbe consentito di superare ogni opposizione all'ingresso nel conflitto.

Ma di tutto cio' non esistono prove, queste restano solo illazioni. Il segnale di allerta giunse con grave ritardo alle Hawaii per un comprovato intasamento alle stazioni di trasmissione dell'Esercito e della Marina, costringendo cosi' gli USA ad utilizzare linee telegrafiche commerciali. Così la comunicazione arrivo' mischiata ad altri messaggi, senza avere la priorita' assoluta, quando la si lesse era ormai troppo tardi. La maggiore responsabilita' per l'attacco subito ando' cosi' a gravare su quelle che erano le massime autorita' militari alle Hawaii, ovvero l'ammiraglio Kimmel, comandante della Flotta del Pacifico, e il generale Short, responsabile della difesa della base. Vennero richiamati in patria , posti sotto processo e successivamente degradati. (curioso notare come invece il tenete Tyler, ovvero colui che piu' di tutti trascuro' l'avvistamento che due operatori radar avevano fatto della prima ondata aerea giapponese, venne interrogato ma fini' col non essere ritenuto responsabile (ed anzi a fine guerra era riuscito a raggiungere pure il grado di colonnello). 

Nei 6 mesi che seguirono quel 7 dicembre, i Giapponese mieterono una impressionante serie di vittorie, arrivando nel maggio 1942 ad aver sotto il proprio controllo la Malesia, le Filippine, Hong Kong, Singapore, la Birmania oltre a numerose colonie inglesi ed olandesi. (spaventose furono le atrocita' commesse dai soldati nipponici nella conquista di questi territori, specie nella battaglia delle Filippine, ma questa e' un'altra storia). A un primo arretramento il Giappone fu costretto proprio nel maggio 1942, nella penisola di Papua, ma fu nel giugno che avvenne la svolta della guerra nel Pacifico, con l'importante battaglia delle Midway, la prima vera sconfitta subita dal Giappone (4 portaerei usate a Pearl Harbor vennero affondate dagli americani). Dall'agosto al febbraio 1943 poi, vi fu la sanguinosa, ed oggi quasi leggendaria, lotta nella giungla di Guadalcanal, conclusasi con lo sgombero dei giapponesi. Nell'estate del 1943 gli americani poterono cominciare la controffensiva e, in una lunga serie di violentissime battaglie, riprendere i territori occupati dai Giapponesi. E tuttavia per domare la tenace resistenza nipponica si dovette arrivare al lancio delle bombe atomiche su Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto). In Europa la guerra era finita da tre mesi. 

  Testo di GIACOMO PACINI 
Per Storiologia e Cronologia

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Ma (analizzato dai maligni) l'episodio, unito alla troppa superficialità con la quale si era agito nell'isola prima dell'attacco giapponese, ha fatto sorgere il sospetto che in realtà Roosevelt sapesse della decisione nipponica di colpire Pearl Harbor e che non avesse fatto nulla per evitarla. In questo modo Roosevelt, da tempo preoccupato per le vittorie naziste in Europa, per le sorti dell'Inghilterra oltre che chiaramente per le difficoltà nel trattare col Giappone, accettando dolorosamente la morte di migliaia di soldati, avrebbe messo il Congresso, sempre contrario all'entrata in guerra, di fronte ad un fatto compiuto. E questo (come in effetti accadde) gli avrebbe consentito di superare ogni opposizione all'ingresso nel conflitto.
Ma di tutto ciò non esistono prove, queste restano solo illazioni.



Ma che fosse una sorpresa no !!!!
L'attacco a Pearl Harbor, era stato previsto nei minimi particolari sedici anni prima !!!!

UNA SORPRESA NON SEMBRAVA PROPRIO - UN GENERALE ERA STATO CHIARO il 10 ottobre del 1924, in una memorabile conferenza-stampa. Il generale di brigata William Mitchell che da quattro anni si batteva accanitamente perché l'Aeronautica militare degli Stati Uniti godesse di maggiori appoggi governativi e fosse autonoma rispetto all'Esercito, pronunciò queste frasi profetiche:

«Le sorti della prossima guerra mondiale dipenderanno in snodo primario dalle forze aeree. Oggi le nostre capacità di offesa dall'aria sono irrisorie, ma ancor più trascurabili sono le nostre possibilità di difesa dagli attacchi dall'aria, specialmente nelle Basi navali. Quella di Pearl Harbor, che rappresenta la chiave del dominio del Pacifico, è completamente sguarnita. Ebbene, signori, io prevedo che un giorno i bombardieri in quota, i bombardieri in tuffo e gli aerosilurante di una Potenza straniera, decoIlati da una flotta di portaerei a circa 200 miglia di distanza da questa nostra base, coleranno a picco senza colpo ferire tutte le navi alla fonda e distruggeranno al suolo ogni installazione. L'attacco sarà sferrato senza preavviso la mattina di una domenica (!!) e la Potenza a cui alludo sarà sicuramente il Giappone (!!) ».

Alcuni mesi più tardi, Mitchell accusò di «incompetenza, faciloneria criminosa, negligenza che sfiora l'alto tradimento» il Dipartimento della Guerra. Per tali accuse fu deferito e convocato dinanzi alla corte marziale e la sentenza di condanna fu ratificata dal Presidente Coolidge.

Ma quando, all'alba del 7 dicembre 1941 i bombardieri e gli aerosiluranti giapponesi decollarono dalla portaerei e annientarono la Flotta americana del Pacifico, furono in molti a chiedersi se, quindici anni prima, Billy Mitchel non fosse stato giudicato un po' troppo affrettatamente"

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Nell'apprendere l'attacco a Pearl Harbor, Churchill  si era fregato le mani 
"bene adesso devono anche loro entrare nella stessa barca"
.
La sera stessa, subito dopo l'attacco, Churchill  parla con Roosevelt , ma il presidente piuttosto titubante cosa fare,
vuole sentire il giorno dopo il Congresso. Churchill gli assicura che avrebbe agito subito dopo. 
Finora gli Usa erano rimasti in disparte con una opinione pubblica non interventista sul conflitto europeo. Ora l'opinione pubblica veniva scossa da quella che era la cruda realtà. Il "male" che il premonitore ROOSEVELT andava predicando da anni era scoppiato con tutta la sua virulenza. E poi lui aggiunse: "si è perso fin troppo tempo per contrastare Hitler diventato ormai il pericolo pubblico mondiale numero uno".

Churchill da grande "volpone" che era, andava dicendo da tempo (soprattutto dall'8 agosto quando era scoppiata la "pace" fra Usa, Urss, e Gran Bretagna ) e prometteva, ogni volta che apriva bocca, che se gli Stati Uniti fossero stati attaccati, "entro un'ora la Gran Bretagna sarebbe andata in loro aiuto".
Per il fuso orario, Roosevelt solo al mattino riuscì a riunire il Congresso per ottenere l'appoggio
.

Ma Churchill non aspettò il responso del Congresso Americano, la dichiarazione di guerra al Giappone lui la anticipò di sei ore. Annunciò alla radio che la Gran Bretagna dichiarava guerra al Giappone, e concluse   "come ricorderete ho dato la mia parola "entro un'ora", quindi come potete vedere, non abbiamo perso tempo, e in realtà siamo in anticipo rispetto ai nostri obblighi, e non c'e bisogno di aspettare la dichiarazione del Congresso".
Anche nell'ipotesi di un NO al Congresso, a quel punto gli Usa non potevano più tirarsi indietro; mica l'Inghilterra era la loro tutrice! (le stesse considerazioni furono fatte nel 1917).

Il Congresso americano, da sempre neutralista, sotto l'indignazione della popolazione, superò ogni remora nell'appoggiare il Presidente, e dichiarò guerra, ma solo al Giappone. 
Ci furono per tre giorni indugi se dichiararla anche alla Germania e all'Italia, crucciando non poco Churchill, lui che voleva gli Usa al suo fianco in Europa, perchè -nonostante gli ingenti aiuti economici- lui da solo (con Londra sempre sotto i bombardamenti) mica poteva lui da solo aprire un fronte occidentale. 
A togliere d'imbarazzo Roosevelt ci pensò poi Hitler che l'11 DICEMBRE fece lui pervenire la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, ma non per i fatti giapponesi ma per "provocazioni statunitensi nell'Atlantico". Per alcune navi mandate a picco dagli Usa.

 

 

Comunque quando fu letta la dichiarazione di guerra a tutto l'Asse, l'opinione pubblica americana era ormai a favore della guerra sia in Giappone come in Europa, e felici anche i comunisti americani, finalmente esultanti nell'apprendere che si portava aiuto alla amata Russia bolscevica. 
Altrettanto in Inghilterra: gli "insopportabili  comunisti" di Churchill era dal mese di agosto che sfilavano con i cartelli "apriamo un secondo fronte a ovest". Ma Churchill era ancora solo, e l'Europa non era l'Africa. Insomma se non ci fosse stata una Pearl Harbour, Churchill avrebbe dovuto inventarsene una lui per dare finalmente una scossa agli americani.

(il primo bombardamento sul Giappone (Tokio), fu poi compiuto da "Missione segreta" il 18 aprile dell'anno seguente. VEDI QUI L'IMPRESA > )

Per come andarono le cose Churchill poteva ritenersi soddisfatto. E Stalin pure! 
Stalin un sorrisetto sotto i baffi indubbiamente lo fece, la scesa in campo degli Usa gli semplificava le cose con i tedeschi; questi  nell'apprendere l'attacco agli Usa dell'alleato nipponico esultarono; così in Italia  Mussolini  che imita subito i tedeschi nel dichiarare guerra agli americani (!!!!). 
Non si erano ancora resi conto Hitler e Mussolini che i nipponici (loro alleati) avevano fatto un grande favore ai russi. E quando i tedeschi  se ne resero conto, stavano già andando a mettersi dentro la sacca di Stalingrado con davanti i russi e con davanti un altro inverno con 40 gradi sotto zero, prologo di un dramma e di una cocente disfatta.  


11 DICEMBRE -
Gli Stati Uniti, che finora formalmente non avevano partecipato direttamente alla guerra (proprio come nella Grande Guerra) pur sostenendo gli inglesi con imponenti mezzi sia economici che militari, entrano nel conflitto ufficialmente da questa data.
L'attacco a Pearl Harbor e la dichiarazione di guerra della Germania e Italia, permette agli USA di intervenire anche in Europa, e da questo momento il conflitto diventa mondiale, coinvolgendo direttamente e indirettamente quasi tutti gli Stati del mondo.
43 nazioni partecipano alle eliminatorie della grande "olimpiade della morte".
Dopo questo attacco agli Usa, quasi tutto il pianeta fu coinvolto nel conflitto.

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Ma siamo sicuri
che gli USA non erano già intervenuti prima?

E' abbastanza singolare questa analisi fatta pochi mesi prima in Italia pubblicata su "Il Gazzettino del Popolo" (e poi su un inserto a parte il 7 aprile 1941 - che possediamo in originale). Con un titolo abbastanza curioso:
"Gli Stati Uniti contro l'Inghilterra", firmato da Ezio M. Gray.

"Quando tra due gruppi di Potenze in conflitto una terza Potenza fornisce, a uno solo di questi gruppi, navi da guerra, aeroplani, munizioni e materie prime, mi sembra ozioso e ingenuo domandarsi ogni giorno se quella Potenza intende o meno intervenire nel conflitto. E' più semplice prendere atto che essa è già intervenuta ed è più utile esaminare le ragioni del suo intervento e i possibili risultati.
Fino a qualche mese fa Roosevelt giustificava la sua politica interventista con due argomenti: la difesa del Continente americano da una preordinata aggressione delle Potenze dell'Asse e la difesa della causa democratica.
Nel messaggio del 6 gennaio Roosevelt, sensibile una volta tanto al ridicolo, ha abbandonato la tesi delle necessità di proteggersi da una aggressione d'oltre oceano. Prendiamo atto, anche se i vari Cordell Hull osano insistere.
Resta dunque unica ragione dell'interventismo rooseveltiano, l'asserita necessità di difesa della democrazia pericolante.

Senonchè su questo terreno Roosevelt ha commesso una grave imprudenza polemica. Volendo coonestare la propria ingiustificabile aggressione egli ha creduto di poterla innestare su una tradizione di antagonismo storico tra Democrazie e Stati totalitari dichiarando che già venti anni fa gli Stati Uniti erano entrati in guerra per difendere l'ideale democratico. Sarò bene precisare come e quando la democrazia stellata sentì venti anni fa l'incoercibile imperativo dell'ideale democratico. La guerra scoppia il 2 agosto 1914; l'America interviene il 2 aprile 1917; debbono dunque passare tre lunghi anni prima che gli Stati Uniti si accorgano che il Belgio democratico è sommerso, che la Francia democratica è svenata e che l'Inghilterra democratica è agli estremi. Tre anni dunque, di insensibilità politica, ma tre anni di lucrosissime forniture all'Intesa. Insensibilità che non era stata scossa nemmeno dall'affondamento del Luisitania nella quale - 7 maggio 1915 - centoquattordici sudditi americani avevano trovato la morte. Solo quando la guerra sottomarina imperversa falciando anche la marina mercantile americana (impedendo i lucrosi affari a nemici e amici), solo allora Wilson alza la voce e nel gennaio 1917 dichiara al Senato che la guerra mette in costante pericolo i diritti (quelli di vendere) degli Stati neutrali. Egli però non indice la crociata per il trionfo della Democrazia, ma insinua la proposta di una pace bianca, senza vincitori e senza vinti. Lo muove l'interesse, non la commozione di calpestati ideali. Poi continuando gli affondamenti di naviglio americano, il 2 aprile 1917 l'America finalmente vota la guerra e soltanto allora sciamano per il mondo i messaggi democratici contro l'imperialismo austro-tedesco. Su ciò che accadde dopo, sullo sfacciato trionfo patrocinato da Wilson dei più cinici e ingordi imperialismi, sulle rivelazione americana circa gli inauditi lucri (nella guerra e poi nel dopoguerra) realizzati dagli Stati Uniti nelle forniture all'Intesa, sul tramonto della democratica sterlina a vantaggio del dollaro sarebbe ozioso il ricordo e fare della ingenua ironia.

Se dunque Roosevelt vuole ora giustificare il proprio interventismo come un atto tradizionale della politica americana egli non deve richiamarsi all'idealismo nebuloso e demenziale del professor Wilson, ma alla brutale realtà dell'affarismo americano in quella famosa Grande Guerra.
Noi non neghiamo il fatto che i Regimi fascista e nazista provichino in lui un autentico furore.... Ma è anche più vero - ECCO IL PUNTO - che per il signor Roosevelt e per la pluotocrazia che lo manovra il vero scopo dell'intervento attuale futuro è ben diverso da quello che esso ostenta: il vero scopo è rappresentato dalla distruzione della potenza inglese. Paradossale? Assurdo? No! Domina segretamente in Roosevelt un pensiero. Ed è questo:
Quando per assurdo l'inghilterra dovesse uscire dal conflitto, non diciamo vittoriosa, ma anche soltanto in condizioni di potersi rifare, proprio in questa Inghilterra anche più aspramente catapultata verso una ripresa egemonica di rappresaglia, gli Stati Uniti troverebbero l'avversario fatale pericoloso e vicino per il loro avvenire. Perciò se agli effetti della propaganda nel Paese e del dovuto ossequio alla banda plutocratica imperante, Roosevelt assume le Potenze dell'Asse come falso scopo ideale della sua combattività, in realtà il suo sforzo interventista mira ad alimentare la resistenza britannica col più usuraio contagocce, non affinchè l'Inghilterra possa vincere ma al contrario affinchè il prolungamento della guerra porti l'Inghilterra stessa a dissanguarsi irreparabilmente. Il gioco è in pieno sviluppo cinico e matematico. Attraverso le rinnovate e progressive cessioni di possedimenti imperiali, attraverso l'ammainamento della bamdiera inglese tra Atlantico e il Pacifico, attraverso il fantastico indebitamento per forniture e per crediti, l'Inghilterra sta per essere totalmente eliminata dalla posizione di tradizionale rivale degli Stati Uniti.
Il giorno poi in cui l'Inghilterra sarà caduta, le sue spoglie oceaniche saranno state assorbite dall'impero americano, e la classe dirigente inglese sarà stata accolta in funzione di parente povero e di nobile decaduto nella comunità anglosassone, quel giorno il signor Roosevelt, freddo e cinico realista dietro il paravento dell'ideale, non tarderà a riconoscere che la nuova Europa unitaria potente solvibile, autarticamente rafforzata dal riorganizzato Continente africano, è ancora il miglior complesso di forze con cui convenga convivere, discutere e possibilmente riprendere gli affari.
In sostanza, se in Europa e in Africa si svolge un duello mortale tra la giovane Europa e la vecchia inghilterra antieuropea, sugli oceani che bagnano le terre della bandiera stellata un duello dissimulato ma ugualmente mortale è ingaggiato dalla spietata volontà degli Stati Uniti contro la imbarazzante sopravvivenza transoceanica dell'Inghilterra.

Una prova? In questi ultimi mesi, approfittando della paralisi inglese nel campo degli scambi internazionali, gli Stati Uniti intensificano l'antica lotta intesa ad espellere metodicamente l'Inghilterra dai mercati sud-americani. Stanno infatti fallendo tutte le missioni economiche inglesi nel Paraguay, nel Cile, come recentemente è già fallita quella in Uraguay e in Argentina. Su questi mercati l'America intende smaltire 1390 milioni di dollari di prodotti non smaltiti perchè mancanti le ordinazioni europee. Un miliardo e mezzo di dollari in pericolo?! La solidarietà anglosassone, la solidarietà democratica sono pregate di ripassare domani.

"Noi sosterremo l'Inghilterra con tutte le nostre forze" dice Roosevelt. Dichiarazione esattissima: basta pensare come la corda sostiene l'impiccato".

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Per come andrà a finire l'Inghilterra a fine guerra, noi oggi lo sappiamo già: "Ridimensionata!" per non dire "Spacciata". In America i "maligni" (rifacendosi all'arrogante passato dei loro cugini) hanno iniziato dal 1945 a considerarla l'Inghilterra una loro "colonia" in Europa). E' quasi vero: dal dopoguerra saranno gli Inglesi a fornire appoggi alle varie guerre degli Stati Uniti, ingaggiate anche queste in ogni parte del mondo per difendere (seguiteranno a dire, spesso facendo anche carte false) l'ideale democratico in altri Paesi.
IL 29 DICEMBRE 1945 - a Londra, l'autorevole settimanale Observer, terminata la Conferenza a Mosca dei TRE GRANDI, definì quella pace con questo titolo:
"Un compromesso tra gli Stati Uniti e la Russia. 
 La Gran Bretagna è stata esclusa,  e i Tre Grandi, stanno per diventare due".

(con Churchill già mandato in pensione una settimana prima della -
risolutiva per la fine della seconda Guerra Mondiale - bomba atomica in Giappone).

Page, ambasciatore degli Stati Uniti a Londra dopo la Grande Guerra, era stato preveggente, aveva già visto molto lontano, quando chiedeva:
"Che cosa ne faremo di questa vecchia Inghilterra....
quando saremo noi a dirigere tutta la razza anglosassone?".


L'inghilterra non ha mai voluto confessare alla Storia che la sua dominante posizione europea era nata da un equivoco e si era consolidata (da Elizabetta e Drake in poi) con l'arbitrio. E la Storia è spietata verso chi ha cercato di illuderla e di tradirla.
Più che uno Stato Europeo, l'Inghilterra (che non ha mai collaborato al nuovo ordine europeo) è stata oggi relegata a essere nel vecchio continente una modesta succursale degli Stati Uniti. Il suo secolare predominio economico-industriale sull'Europa: avvilito. La sua presunzione messianica (dovuta al suo gigantismo coloniale (e quindi alla facile e gratuita opulenza): era finita nel cono d'ombra statunitense. Sta ancora in piedi solo perchè esiste sull'isola il feudalesimo bancario; in grado purtroppo di gestire il Club dell'Euro anche senza aver pagare l'Inghilterra la sua quota di socio.
Infatti a quanto pare in Gran Bretagna gli 11 Paesi che il 1° maggio 1998 hanno raggiunto la sofferta intesa di una moneta unica adottando l'Euro, sono "Stranieri". Lo ha detto chiaro e tondo La Mont "Dannoso adeguarci a culture straniere. Dio salvi la sterlina!".

L'assurdo per gli americani é che il padrino del battesimo dell' Euro é un Paese che non fa parte degli 11: ed é ancora più assurdo che saranno proprio gli inglesi a Londra che concentreranno le attività di negoziazione dei titoli e dei relativi derivati della moneta "straniera".
Galbraith ha perfino sulla stampa americana ironizzato:
"L'intesa è solo una prova della vanità della vecchia Europa, convinta di poter ridiventare il centro del mondo"
.
Paul Samuelson il decano Nobel di Economia e professore al MIT, ha invece così commentato:
"Non é ancora chiaro che cosa succederà a questi 11 Paesi che resteranno diversi, per lungo tempo, pur avendo la stessa moneta".

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Torniamo ai fatti del dopo Pearl Harbor. In Oriente sotto i colpi giapponesi, cadono uno dopo l'altro tutti gli stati coloniali inglesi, la Malesia, Singapore, Hong Kong, le Filippine, le Isole Midway, Giava, Sumatra, Nuova Guinea, le Isole Salomone, a rischio anche l'Australia e infine la Birmania dove i giapponesi sono a un passo dall'India.
I successi dei giapponesi all'inizio sono considerevoli. (loro non lo sanno ancora ma stanno facendo un utile bel lavoro per gli americani!).

Tuttavia è nata la grande alleanza bellica delle tre Potenze schierate  per distruggere le speranze giapponesi di una loro "Nuova Grande Asia"; per distruggere le speranze  tedesche di un "Impero del Reich" dalla Spagna agli Urali; per distruggere le speranze italiane di "Un nuovo Impero Romano" dalle Alpi alle Piramidi. 
Su quest'ultima speranza - e mancano solo pochi giorni al tracollo dell'Asse sia in Russia che in Africa - Mussolini ci crede e ci spera ancora. 
Anche se nello stesso giorno gli inglesi ma con gli aiuti americani hanno liberato Tobruck
Anche se nello stesso giorno i sovietici hanno liberato 400 località intorno a Mosca e di
strutto  17 divisioni tedesche, di cui 7 corazzate e 3 motorizzate. 
MUSSOLINI INVECE COSA FA?

11 DICEMBRE 1941

Mentre Hitler al Reichstag ha già parlato e ha annunciato la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, in Italia Mussolini segue immediatamente il suo alleato.
Al popolo radunato a Roma  in piazza Venezia il Duce annuncia la "decisione solenne".

DICHIARAZIONE DI GUERRA DELL'ITALIA AGLI STATI UNITI

"E' questa un'altra giornata di decisioni solenni nella storia d'Italia, e di memorabili eventi destinati ad imprimere un nuovo corso nella storia dei continenti. Le potenze del Patto d'Acciaio, l'Italia fascista e la Germania nazionalsocialista, sempre più strettamente unite, scendono oggi a lato dell'eroico Giappone contro gli Stati Uniti d'America.
Il Tripartito diventa un'alleanza militare che schiera, attorno alle sue bandiere, 250 milioni di uomini, risoluti a tutto pur di vincere. Né l'Asse né il Giappone volevano l'estensione del conflitto: uo uomo, un uomo solo, un autentico e democratico despota, attraverso una serie infinita di provocazioni, ingannando con una frode suprema le stesse popolazioni del suo paese, ha voluto la guerra e l'ha preparata, giorno per giorno, con diabolica pertinacia.
I formidabili colpi che sulle immense distese del Pacifico sono stati già inferti alle forze americane mostrano di quale tempra siano i soldati del Sol Levante.
Io dico e voi lo sentite che è un privilegio combattere con loro.

Oggi il Tripartito nella pienezza dei suoi mezzi morali e materiali è uno strumento poderoso per la guerra, è il garante sicuro della vittoria: sarà domani l'artefice e l'organizzatore della giusta pace tra i popoli.
Italiani e italiane! Ancora una volta in piedi!
Siate degni di questa grande ora.

Vinceremo! Mussolini

Mussolini è soddisfatto, dichiara con tanta superficialità che ne è anzi "felice"; da tempo andava dicendo che "con l'America si doveva farla finita, che le potenze dell'Asse dovevano impartire una lezione agli Stati Uniti".

Mentre il commento che fece subito dopo il  giornalista Giovanni Ansaldo, direttore del Telegrafo, fu sarcastico: "Ma il duce l'ha visto mai l'elenco dei telefoni di New York?"

Solo a New York i telefoni  erano 6 volte superiori a quelli dell'intera penisola italiana. 
Riportiamo dai libri di geografia del 1937 in uso nelle scuole italiane:
 "A New York ci sono installati 1.702.889 apparecchi.
 I Telefoni in Italia sono 333.007 (1,02% del mondo), in USA 21.679.000 (59%)"


Poi il resto: USA 133.000.000 abitanti. Italia 41.000.000
produzione frumento qli. 250.000.000.  It. 63.000.000
produzione mais 600.000.000. It. 32.000.000
bovini 57.000.000. It. 7.090.000
Ferrovie 401.000 Km. It. 17.017. 
E del petrolio nemmeno parlarne, l'America aveva i rubinetti in casa.

Insomma Mussolini si era "dimenticato" che doveva sostenere un confronto con la maggiore potenza industriale del mondo.  Un Paese che in un solo mese era in grado di produrre l'intera potenzialità bellica che disponeva l'Italia nel 1941 (dopo ancora meno); in una sola settimana estraeva da sotto i suoi piedi  il carburante che l'Italia consumava in un anno; aveva a disposizione il 58% delle risorse alimentari del pianeta contro l'1% dell'Italia; e vi circolavano e si muovevano verso il mare e i monti in spensierate vacanze circa 30 milioni di auto, contro le 166.000 italiane ferme nelle città e le 56.000 che si trovavano in guerra ferme anche queste, perchè senza carburante o pezzi di ricambio.
Gli USA
possedevano e in funzione 250 acciaerie, mentre l'Italia ne aveva 2 (due) e per farle funzionare doveva chiedere il carbone a Hitler.  

Nelle Vie d'Italia del 1940, era riportato il Censimento Mondiale degli autoveicoli (da pag.105 a 109). "Negli Stati Uniti  sono concentrati gli 88 centesimi degli autoveicoli esistenti in tutto il mondo, cioè 26.697.398 di automezzi  su 35.805.632 di quelli esistenti sul pianeta..
Nell'arco di 48 ore si immatricolano lo stesso numero di auto  che si producono in un anno in Italia.
 

Il 6 gennaio '42, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia agli Stati Uniti, Roosevelt chiede al Congresso USA uno stanziamento straordinario che consenta agli Stati Uniti di produrre materiale bellico. Una previsione di spesa pari a 20 miliardi di dollari.
"... 20.000 milioni di dollari!!! Una divisione corazzata la si equipaggia con 34 milioni, una di fanteria con 11. Tradotti in questi termini il valore in dollari basterebbe per equipaggiare 588 divisioni corazzate o 1818 divisioni di fanteria.....Cifre da vertigini, specie in un paese come il nostro che non è riuscito a tenere in campo più di una o due divisioni corazzate"
"Vertiginoso il programma d'armamento impostato: 125.000 aerei, 75.000 carri armati, 35.000 cannoni, 8 milioni di tonnellate di naviglio". (Giorgio Bocca in Storia d'Italia)

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