PERSONAGGI IN PRIMO PIANO

VALERIO BORGHESE

il PRINCIPE
che fece inquietare tutti gli ammiragli del mondo
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"Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà; e allora l'evento storico 
non incide  che materialmente, seppure per decenni. La resa e il tradimento
hanno invece incidenze  morali incalcolabili che possono gravare per secoli 
sul prestigio di un popolo, per il disprezzo degli alleati traditi, e  per l'eguale 
disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente di accordarsi. 
Non mi sembra che tali ideali e convincimenti abbiano un'impronta fascista.
 Appartengono al patrimonio morale di chiunque".
Valerio Borghese
(Da un colloquio del Principe con lo storico Ruggero Zangrandi)
( Da Storia del Fascismo di A. Petacco, Curcio Ed, pag. 1733)

Del resto cosa aveva lasciato scritto un Savoia?
VITTORIO EMANUELE II, NEL 1859 scrivendo a Napoleone III:  "La mia sorte è congiunta a quella del popolo italiano; possiamo soccombere, ma tradire mai!. I Solferino e le San Martino, riscattano tal volta le Novara e le Waterloo, ma le apostasie dei Principi sono irreparabili. Io potrò dunque restar solo nella grande lotta in cui la M. V. aveva cominciato per darmi la mano: ma io resterò. Perocché se la M. V., forte dell’ammirazione del suo popolo, non ha nulla a fare per la riconoscenza della simpatia dell’alleanza del popolo italiano, io sono commosso nel profondo dell’anima mia dalla fede, dall’amore che questo nobile e sventurato popolo ha in me riposto; e piuttosto che venirgli meno, spezzo la mia spada e getto la mia corona come il mio augusto genitore" 
 (
"Torino 28 ottobre 1859."Vittorio Emanuele II )

Il principe Junio Valerio Borghese era nato  nel 1906,  da nobile famiglia romana di lontane origini senesi (ultimo ramo Borghese-Torlonia); con tre cardinali, un Papa e la sorella di Napoleone (Paolina) fra i suoi discendenti. Il giovane rampollo  avviato come tradizione alla carriera militare divenne nel ventennio ufficiale  nella Regia Marina. Capitano di corvetta, specialista in armi subacquee, palombaro brevettato per grandi profondità. Una significativa esperienza di comando di sommergibili nella guerra civile spagnola.  All'inizio del conflitto come Comandante di sommergibili ottenne, nel corso dei tre anni per alcune ardimentose missioni, una medaglia d'oro al Valor Militare come comandante della Decima Flottiglia M.A.S. (che di medaglie d'oro ne prese ventisei -di cui dieci alla memoria di "eroici italiani" che ne facevano parte; questo apprezzamento in corsivo non è di un nostalgico ma é del "nemico" inglese: Cunningham, comandante in capo della Flotta del Mediterraneo nell'ultimo conflitto mondiale).
( vedi poi le pagine della X MAS a fondo pagina)


 Dopo l'8 settembre 1943, il giorno 12,  Borghese prese la sofferta decisione di restare al fianco dell'alleato tedesco, diventando subito uno dei personaggi di maggior spicco del periodo repubblichino (anche se non era mai stato fascista; alla decorazione per la medaglia d'oro rifiutò perfino la tessera; "Sono un soldato io, non un politico".)
Tre giorni prima, mentre l'Italia viveva moltiplicata per dieci la sua "Caporetto", Borghese aveva riunito i suoi uomini: "Chi vuole rimanere resti e chi vuole andarsene, vada". Ma con lui rimasero molti giovani, gli altri non li trattenne, gli firmò il regolare congedo e li mandò a casa.
Fu quindi uno dei primi reparti che si costituirono ancor prima da quella organizzazione statuale che prenderà poi il nome di RSI.  Per uno spontaneo moto di reazione, come quando accade quando una collettività rifiuta una soluzione politica che conduce alla distruzione dei valori, non politici, ma fondamentali per la dignità dell'uomo. 
Tutti questi soldati non obbedirono infatti ad un ordine superiore (tutti in fuga)  ma ognuno compì una libera scelta ("chi vuole se ne vada") in base a valutazione che trascendevano gli interessi e gli egoismi personali...Avvertirono che l'onore, l'avvenire, l'esistenza stessa della Patria restavano ormai affidati solo ed esclusivamente al coraggio ed all'iniziativa dei singoli.

Inoltre in quel preciso istante, a parte l'ambiguo proclama di Badoglio, nel vero e proprio armistizio esistevano dei dubbi sulla sua validità; era perfino privo di certezza il valore giuridico della dichiarazione di guerra comunicata l'11 ottobre 1943 dal Governo del Sud alla Germania, giacchè tale Governo agiva non autonomamente e nell'esercizio della propria sovranità; era un "organo" delegato dalle autorità "alleate" e coi soli poteri giurisdizionali da questi assegnatigli"

Infatti all'articolo 22 dell'" Armistizio Lungo" si affermava "il Governo e il popolo italiano...eseguiranno prontamente ed efficacemente tutti gli ordini delle Nazioni Unite".

Del resto proprio lo stesso Badoglio confessava " Io e il mio governo siamo davvero ridotti ad essere semplici strumenti ed esecutori delle decisioni alleate" (Augenti - Martino Del Rio - Carnelutti, Il dramma di Graziani, cit.,pp 290).
Il 16 Novembre il "governo tecnico" badogliano aveva iniziato a operare in un grave disagio morale. "...ministri comandati senza riguardo da ufficialetti inglesi e americani...un caporale inglese, se non un soldato, poteva imporsi ad un ministro italiano" (Degli Espinosa, in Il Regno del Sud, pag. 237).

Lo stesso BADOGLIO ammetteva: "...Persino nelle province, anche il più modesto funzionario alleato poteva sospendere o neutralizzare provvedimenti adottati dalle massime autorità italiane...."  (cioè lui! Ndr.)- "...Per ordine del comando supremo alleato, il governo italiano non poteva comunicare direttamente con nessuna potenza alleata o neutrale; ma doveva solo comunicare per tramite della commissione di controllo" (Augenti- Mastino Del Rio - Carnelutti, Il dramma di Graziani, pag. 281, 289).

Sul valore giuridico del governo Badoglio ci viene in soccorso proprio lo stesso Roosevelt. Giusto tre anni prima, il 24 ottobre 1940;  infatti c'era un precedente creatosi con la situazione armistiziale francese, e il Presidente così scriveva a Churchill.

"...Secondo il Governo degli Stati Uniti, il fatto che il Governo francese affermi di essere sotto costrizione e che esso, conseguentemente, possa agire secondo la propria volontà soltanto in grado molto limitato non può in alcun senso essere considerato come una giustificazione da parte di un Governo francese che fornisse assistenza alla Germania ed ai suoi alleati nella guerra contro l'Impero Britannico. Il fatto che un governo sia prigioniero di guerra di un'altra potenza non giustifica tale prigioniero a servire il suo vincitore contro il suo ex alleato... Se il Governo francese ora permette ai Tedeschi di usare la flotta francese in operazioni ostili contro la flotta britannica, tale azione costituirà una flagrante e deliberata violazione dei propri impegni.... L'accordo tra Francia e la Germania distruggerebbe in modo assolutamente definitivo la tradizionale amicizia fra i popoli francesi e americani, eliminerebbe permanentemente  ogni possibilità che questo Governo (ossia gli Stati Uniti) sarebbe disposto a dare ogni assistenza al popolo francese nelle sue difficoltà e solleverebbe un'ondata di amara indignazione contro la Francia da parte dell'opinione pubblica americana" (Loewenheim-langley Jpnas, Roosevelt and Churchill, cit., p. 117, documento n. 29).

A posteriori è facile giudicare, ma non va dimenticato che, in quei paradossali frangenti, se gli Anglo-Americani affermavano di voler liberare l'Italia dai Tedeschi, altrettanto i Tedeschi affermavano di voler liberare l'Italia dagli Anglo Americani. E gli italiani  -mentre il territorio si stava trasformando in un campo di battaglia- metà caldeggiavano per uno e l'altra metà per l'altro, "occupante".
Spesso anche dentro la stessa famiglia. Chi scrive, da ragazzino, abitava a Chieti, a Palazzo Mezzanotte, dove il 9 settembre si rifugiarono i  "nobili" "fuggiaschi" di Roma. Il giorno dopo il palazzo diventò la sede operativa di Kesselring e di Rommel per creare la Linea Gustav e fronteggiare l' 8a armata di Montgomery sul Sangro. Da Tollo alcuni parenti per sfuggire agli americani sfollarono a Chieti a casa nostra, ma poi dopo pochi giorni ( il 21 dicembre del '43) dovendo sfollare noi stessi da Chieti, la sofferta decisione fu quella se andare a nord o a sud. Andammo a sud e paradossalmente diventammo noi ospiti dei parenti a Tollo. Ma proprio nel momento (22-23 dicembre) che Montgomery aveva deciso di scatenare l'inferno. Il 24, ad Arielli-Tollo con lui celebrammo il Natale e anche il Capodanno, ma non convinse  i miei nonni e zii e ce ne ritornammo a Palazzo Mezzanotte a Chieti, sede del comando tedesco, e con la presenza del più acerrimo nemico di Montgomery, cioè Rommel arrivato in quei giorni con la sua XXVI Panzer Division. Coabitammo con loro dieci mesi in attesa degli sviluppi. Le novene e le preghiere in chiesa intanto causavano perfino liti in famiglia. Chi voleva pregare per uno chi per l'altro.
I miei nonni erano filo-fascisti, gli zii antifascisti. Io avevo 8 anni, e mi ricordo perfettamente di questi "imbarazzi" in casa.

Torniamo all'8 settembre.

Pochi giorni prima a Bologna, nella villa di proprietà di Luigi Federzoni, era avvenuto un ennesimo incontro italo-tedesco, al quale parteciparono, per l'Italia, i generali Roatta e Francesco Rossi e, per la Germania, il maresciallo Rommel e il generale Jodl. Durante il colloquio, assai teso, in risposta a una domanda di Jodl riguardante la verità a proposito dell'atteggiamento italiano, Roatta rispose "risentito": "Noi non siamo sassoni, non passiamo al nemico durante la battaglia".  Un accenno storico fuori posto, poiché al nemico in (gran - ?) segreto c'erano già passati.

 Giorni prima, anche il maresciallo Badoglio aveva recitato ai tedeschi un altro brano della sua commedia. Fin dai giorni che precedettero il 25 luglio non volle "sporcarsi le mani" nel preparare la trappola a Mussolini; fino all'ultimo preferì fingere di non sapere, poi fu chiamato subito dopo dal Re.
E pochi giorni prima del 8 settembre con il solito stile -cogliere tutte le occasioni ed avere sempre un'uscita di sicurezza- si comportò allo stesso modo.

Aveva convocato il generale Enno Von Rintelen, addetto militare tedesco, e si era mostrato risentito per la sfiducia dimostrata da Berlino verso il suo Governo e in particolare nei suoi confronti, e, mettendosi la mano sul cuore, disse: "Da vecchio soldato mai verrò meno alla parola data!".

Poi insistette anche con l'ambasciatore Rahn che "nulla, nei rapporti fra Roma e Berlino, era mutato". Dopo che già a Cassibile, fin dal 3 era stato firmato l'armistizio, il maresciallo, ricevendo l'ambasciatore del Reich, gli disse: "lo sono il maresciallo Badoglio, uno dei tre più vecchi marescialli d'Europa. Sì, Mackensen, Petain e io siamo i più vecchi marescialli d 'Europa. La diffidenza del Reich nei riguardi della mia persona mi riesce incomprensibile. Ho dato la mia parola e la manterrò. Vi prego di avere fiducia...". Mancavano solo poche ore al suo famoso annuncio alla radio.

A Rastenburg, in Prussia Orientale, dove aveva il suo Quartier Generale, Hitler era furibondo. A Keitel e a Ribbentrop, convocati d'urgenza, disse con la voce alterata dall'ira: "Un RE e un maresciallo d'ltalia hanno mentito spudoratamente. Non più tardi di poche ore fa, hanno impegnato la loro parola d'onore sapendo che era falsa. Un tradimento simile non ha precedenti nella storia dei popoli. L'Italia è passata al nemico in pieno campo di battaglia!...".

Fu l'inizio di uno dei periodi più oscuri e avvilenti della storia italiana. I responsabili, terrorizzati (ma da chi? dagli anglo-americani? o dai tedeschi?) fuggirono.  L'Esercito andò in briciole. L'intera Nazione finì allo sbando. I "padri della Patria" abbandonavano i figli come "vecchie ciabatte".

Eppure suo nonno Vittorio Emanuele II aveva affermato  1859: "La mia sorte è congiunta a quella del popolo italiano; possiamo soccombere, tradire mai! ... I Solferino e San Martino, riscattano tal volta le Novara e le Waterloo, ma le apostasie dei Principi sono irreparabili. Io potrò dunque restar solo nella grande lotta in cui la M. V. aveva cominciato per darmi la mano: ma resterò. Perocché se la M. V., forte dell’ammirazione del suo popolo, non ha nulla a fare per la riconoscenza della simpatia dell’alleanza del popolo italiano, io sono commosso nel profondo dell’anima mia dalla fede, dall’amore che questo nobile e sventurato popolo ha in me riposto; e piuttosto che venirgli meno, spezzo la mia spada e getto la mia corona come il mio augusto genitore" (Carlo Alberto, quando abdicò e parti per l'esilio nel 1849. Ndr.)


Così descrisse Borghese quelle fatidiche ore:


"L' 8 settembre, al comunicato di Badoglio, io piansi. Piansi e non ho mai più pianto. E adesso, oggi, domani, potranno esserci i comunisti, potranno mandarmi in Siberia, potranno fucilare metà degli Italiani, non piangerò più.
Perchè quello che c'era da soffrire per ciò che l'Italia avrebbe vissuto come suo avvenire, io l'ho sofferto allora.
Quel giorno io ho visto il dramma che cominciava per questa nostra disgraziata nazione che non aveva più amici, non aveva più alleati, non aveva più l'onore ed era additata al disprezzo di tutto il mondo per essere incapace di battersi anche nella situazione avversa. Non ci si batte solo quando tutto va bene"


" Anch'io, in quei giorni del settembre 1943, fui chiamato ad una scelta. E decisi la mia scelta. Non me ne sono mai pentito. Anzi, quella scelta segna nella mia vita il punto culminante, del quale vado più fiero.
E nel momento della scelta, ho deciso di giocare la partita più difficile, la più dura, la più ingrata. La partita che non mi avrebbe aperto nessuna strada ai valori materiali, terreni, ma mi avrebbe dato un carattere di spiritualità e di pulizia morale al quale nessuna altra strada avrebbe potuto portarmi."


Sempre stato molto autonomo dalla gerarchia militare, la sua abilità di comandante ed il grande carisma che aveva Borghese, lo portarono ad essere l'unico punto di riferimento di quell'esercito che si era ricostituito; con  uomini che in lui avevano piena fiducia, al punto tale di venire più volte in contrasto con i gerarchi della neonata  R.S.I., gelosi del suo potere fatto solo di prestigio e non di osceno servilismo; gelosi! forse temendo anche qualche intrigo per destituire Mussolini. Da parte sua Borghese poteva però contare (ma perchè lo temevano anche loro - di esempi ve ne sono - come la difesa dell'Istria con accordi segreti proprio con il Governo del Sud) sulla fiducia dei tedeschi e l'ammirazione e grande rispetto di uno dei più influenti ammiragli di Hitler: il comandante in capo della marina del Reich, Doenitz. Ma anche dello stesso Cunningham comandante della Flotta del Mediterraneo, cioè il "nemico".
Le ardimentose imprese di Borghese facevano ormai parte dell'immaginario collettivo di tutti i marinai del mondo, nemici o alleati, perchè erano azioni di grande audacia. 
L'ultima impresa Borghese non ebbe tempo di portarla a compimento; ed era clamorosa! Un attacco al porto di New York.


(vi rimandiamo per le imprese a fondo pagina )


Arriviamo alla disfatta. Al fatidico 25 aprile di Milano. Anche qui (e lo potrebbe fare) Borghese non fugge, non scappa, non abbandona i suoi 700 uomini alla caserma di piazzale Fiume. Con Pavolini e con altri gerarchi che stanno mettendosi in viaggio verso Como e il confine, è perfino sprezzante: "io non scappo, io mi arrendo, ma alla mia maniera" e se ne ritorna in caserma.  Alle 15 del pomeriggio del giorno dopo a Milano,  Borghese riunisce tutti i suoi uomini, ufficiali e marinai, ed è di poche parole. "La Decima non si arrende, nè scappa; smobilita solo". Fa suonare tre squilli di tromba per onorare i camerati caduti, fa consegnare ai suoi uomini sei mesi di paga, li scioglie dal giuramento (si fa così !!) e dà il rompete le righe. 
Sono presenti i comandanti Mario Argenton e Federico Serego del Cvl; in accordo con gli alleati garantiscono libertà di movimento e l'immunità a tutti i suoi uomini. Poi Borghese si consegna volontariamente. Viene affidato ai comandanti partigiani Sandro Faini e Corrado Bonfantini che lo nascondono a Milano fino al 11 maggio. Poi viene sottratto alla giustizia milanese (con troppi esaltati giustizieri in circolazione) e viene scortato a Roma dal capitano Carlo Resio e da James Angleton dei servizi segreti e da un influente americano: l'ammiraglio Wheeler Stone, governatore militare in Italia. Un uomo influente che si era innamorato  di una giovanissima nobile romana, che poi sposò nel '47 nonostante trenta anni di differenza. Ambizioso di nobiltà, fu in questo caso provvidenziale per Borghese per riparare a Roma, prima ospitato nel campo di concentramento di Cinecittà, poi trasferito al penitenziario di Procida in attesa di giudizio.

Dopo essere stato degradato e imprigionato, il processo intentato a Borghese, si concluse il 17 febbraio 1949 con una condanna a dodici anni per "collaborazionismo" ma per nessuna colpa grave. 
Gli fu riconosciuto il suo valoroso passato, le attività svolte per salvaguardare le industrie e i porti del Nord e per la difesa della Venezia Giulia che era stata concordata (questo pochi lo sapevano) con il Governo del Sud. Gli furono così condonati nove anni.
 Scarcerato dopo la sentenza per i tre anni trascorsi in carcere, Borghese aderisce  al MSI e ne diventa persino presidente onorario nel 1951. Ma giudicandolo troppo debole all'azione, abbandona il partito e  nel 1968 fonda il Fronte Nazionale, con l'aspirazione di creare uno Stato forte, disciplinato, forse fatto di veri "comandanti" come lui e non di mezze tacche che poi vedremo. Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 (vedi anno 1970) tentò un (fantomatico) colpo di stato alla guida di un gruppo di fedeli. A seguito del fallito golpe, ricercato dalla polizia, si rifugiò in Spagna dove morì, a Cadice, il 26 agosto 1974, anche se dal 1973 la giustizia italiana aveva già revocato  l'ordine di cattura (ma della giustizia italiana Borghese non si fidava: "non mi fregano più!").

In Italia ci rientrerà solo morto, per essere sepolto nella cappella di famiglia, nella basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma.
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dalle pagine di "STORIOLOGIA" anno 1943

IL 19 NOVEMBRE 1943 - E' da Mussolini ricostituita la Milizia Fascista, poi successivamente aggregati i componenti all'Esercito della nuova Repubblica di Salo' (che il 25 diventerà la RSI) 100.000 volontari si riversano nelle sue file.
Circa 10.000 sono quelli che andranno invece a costituire la X MAS (un reparto comandato dal Principe Borghese e da un gruppo di ex ufficiali decorati di medaglia d'oro - 
ventisei medaglie d'oro di cui dieci alla memoria) che compie imprese ardite, colpi di mano, incursioni. Associati i reparti al comando tedesco, pur essendo marinai, questi li impiegarono in azioni terrestri, ognuno con un proprio comandante a loro disposizione. Lo stesso Wolf chiese a Borghese di impiegare le sue truppe per la guerra ai ribelli.
Assunte dimensioni incontrollabili, la X Mas così suddivisa, diede vita a sotto "cellule" che, in breve tempo acquisirono una certa indipendenza dal reparto madre, e in progressione trasformeranno  le azioni comandate dai tedeschi, in azioni "forti" contro la guerriglia partigiana, che non era questa meno "fanatica", visto che alcuni reparti della resistenza si resero responsabili di altrettanti atti di violenza sfuggiti anche questi ad ogni controllo dei comandanti partigiani (Biellese, Astigiano, Friuli, Ferrarese, Chiapovano, Porzus, Casali Nenci, ecc. e per finire col il massacro di Schio, dopo due mesi che era finita la guerra! ecc).

Diventarono così alcune di queste "cellule", applicando la impulsiva giustizia sommaria. Ma era ormai la regola da entrambe le parti; un terrore reciproco: attacchi e rappresaglie, rappresaglie e attacchi. Una lotta fratricida di italiani contro italiani; anche se parlare di "guerra civile nazionale" è esagerato. Nella popolazione la partecipazione fu marginale, e negli uffici, o dentro le prefetture, nei tribunali, nelle alte sfere, non era mutato proprio nulla, nè mutò durante e dopo il 25 aprile. A loro nessuno torse un capello, anche se tutti avevano ricevuto le "generose" cariche dal regime. E molti senza alcun merito. "Erano 45 milioni di fascisti gli italiani, all'improvviso erano tutti antifascisti" commentò un americano.
Ogni uomo rimase al suo posto, in una "continuità dello Stato". Gli istituti del fascismo  cambiano nome e sono il "nuovo Stato", ma gli organismi, le gerarchie, gli addetti; quindi magistratura, Polizia, Finanza, impiegati ministeriali, insegnanti, provveditorati, presidi, parastatali, restano al loro posto operando un trasformismo contro ogni logica; e non è quello che viene presentato come il "Nuovo Stato Riformato" scaturito dalla (ma quale?) partecipazione e volontà popolare. 
Traditi e di traditori  vanno a braccetto pur di accaparrarsi un posto.
Nel Sud l'altro "Nuovo Stato" non era migliore, semmai di molto, ma di molto peggiore; al degrado morale si aggiungeva lo sfacelo pressochè totale dell'organizzazione militare e la stagnante miseria economica  di questo territorio chiamato Repubblica del Sud. E in queste condizioni rimase fino a 1945 inoltrato.

Insomma la transizione dal fascismo alla democrazia liberale diventa  una "commedia",  una pura e semplice restaurazione fatta dai soliti "squali", a Nord come a Sud si approfitta della situazione.
Questo per quanto riguarda la politica, mentre in quella economica, che era la più importante (per non far cadere il paese in un baratro di miseria- e nel sud questa era già una realtà)  alcune jene pasteggiarono su migliaia di enti, banche, industrie, associazioni.
 Ancora nel 1950 nessuno sapeva fare un elenco delle imprese italiane legate al "grande carro"; quelle delle partecipazioni statali, ma anche quelle private che si erano satollate di denaro pubblico con le commesse di guerra o con le congrue sovvenzioni di Stato. (vedi a proposito BENEDUCE - LA GRANDE ABBUFFATA) degli "squali".

Non si toccò nemmeno il Testo unico di Pubblica Sicurezza del 6 Nov 1926, non si toccò il Codice Penale del 18 Giu. 1931 (Codice Rocco) e non si toccò tutta la spina dorsale che aveva tenuto insieme il fascismo. Il tanto disprezzato "tubo vuoto" lo si prese invece "pieno".
"Via i prefetti" aveva tuonato LUIGI EINAUDI  il 25 aprile rientrando da Parigi; "via tutti i suoi uffici e le sue ramificazioni. Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata. Il prefetto se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde. Per fortuna, di fatto oggi (!?) in Italia l'amministrazione centralizzata é scomparsa...questa  macchina oramai guasta e marcia. L'Unità del Paese non é data da prefetti e da provveditorati agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni romane. L'unità del Paese é fatta dagli italiani". Non specificò chi erano questi italiani. Troppo vago.

Retorica. Parole al vento. Solo buoni propositi. C'é invece l'incapacità di realizzarli dentro un sistema che non é cambiato in nulla, ha solo cambiato "la camicia", la facciata. Lui stesso (ma proprio lui !!!) LUIGI EINAUDI nominato Presidente della Repubblica nel 1948, riconfermerà molti vecchi inetti prefetti del regime (22) e (proprio lui !!) ne farà degli altri che con il vecchio regime avevano iniziato la carriera, non certo per le qualità che vantavano. Sopravviveranno perfino gli "Enti autarchici territoriali" che ricorderanno al presidente il fallimento delle sue speranze di riforme. Una assurdità! 
Deduzione finale: o prima non c'era il marcio; oppure se c'era -visto che fu riconfermato- il marcio rimase.
Gli italiani (i poveracci, i disgraziati) non avevano contato prima, nè contarono dopo. Ma per spingerli uno conto l'altro c'erano riusciti. Questo era l'obiettivo. Confondere le acque.


In alcune brigate partigiane piemontesi c'era l'esaltazione e il furore, il delirio e l'entusiasmo, la giustizia e la vendetta; in sostanza un miscuglio di irrazionalità, e spesso - vivendo alla macchia - reagivano come  animali braccati; cioè azzannando se scoperti, e spietati anche loro se colpiti. Non mancarono perfino al loro interno lotte, rappresaglie, ritorsioni, oscure eliminazioni (come quella di Porzus), contrasti politici e ideologici all'interno della Resistenza stessa destinati poi a esplodere apertamente nel dopoguerra con la dialettica più sguaiata, da una e dall'altra parte.


E se a Nord gli "italiani"  sparavano su altri "italiani" e se nel Friuli  partigiani "italiani rossi" sparavano su partigiani "italiani bianchi", nel Sud  in quello che doveva essere il Nuovo Regno dell'Italia "liberata" dai nemici le cose non andarono meglio. La polizia "italiana" (badoglina e ancora regia)  anche qui sparò su altri "italiani", a Palermo, il 19 ottobre '44, su cittadini (non ribelli, banditi, killer) che reclamavano  la mancanza solo del pane. Sul terreno rimasero 30 morti e 150 feriti, tutti poveri disgraziati che avevano soltanto fame.

Anche nella X Mas, in alcuni reparti, il fanatismo per l'onore era molto alto, e il reparto per le sue gesta audaci venne guardato con ammirazione dai soggetti pronti a tutto (ma questo gli avevano insegnato i loro padri in venti anni). A comandare questo reparto (fatto esclusivamente di volontari, nulla a che vedere con la imposta coscrizione della RSI, il cui effettivo comando era tedesco), che si ammanta al suo interno di una cupa leggenda (detta del "principe nero"), e dove sono attirati soprattutto quei giovani che non erano mai stati messi in luce dai precedenti gerarchi "parolai", c'e' lui, il principe, JUNIO VALERIO BORGHESE.

Un valoroso soldato, decorato di medaglia d'oro, con poche simpatie per il fascismo. Fu perfino accusato di fare una sua guerra privata, una sua crociata, di preparare un golpe, di essere un traditore (non aveva mai voluto la tessera fascista)  fino al punto che il 22 gennaio del '44, fu arrestato su ordine di Mussolini;  poi il Duce temendo una reazione dei suoi seguaci -che già si erano subito ammutinati- fu rilasciato.
Perchè allora, proprio lui e 300 ex ufficiali dello sbandato esercito italiano, scesero   in campo così agguerriti?
E' importante soffermarsi subito su questo comportamento per capire il clima nazionale. - C'erano le tradizioni risorgimentali ancora vive nella borghesia,  c'erano gli ideali etico-politici (anche se solo una piccola minoranza a questa etica era stata veramente e seriamente "avvezzata") e c'era in una parte di soldati italiani (molti proprio nei reparti  di Borghese, che ci viveva cameratescamente a contatto) la tradizione di alcuni valori;  anche se erano questi frutti forse di una emotività  che  la propaganda di regime aveva sovradimensionato e non certo nel modo più positivo (ricordiamoci le "esibizioni"  e i "vangeli" di Starace! e gli uomini chiamati "baionette" e non soldati).  Comunque tutto aveva, piaccia o non piaccia, contribuito a una nascente unità nazionale. Il fascismo nel periodo d'oro in qualche modo c'era riuscito (sport, imprese spettacolari, lavori ciclopici, nazionalizzazioni di banche e imprese (oggi gioielli venduti a peso d'oro) ecc. ecc. Ricordiamoci  i pentimenti di autorevoli avversari del fascismo, esuli, che rientravano in Italia a chiedere perdono. E nel '40 troveremo persino alcuni di questi a incitare l'entrata in guerra!). 
Mussolini era riuscito perfino nella "Questione Romana"; una mossa dove avevano fallito tutti i precedenti politici  in settant'anni;  non dimentichiamo nel '29 i Patti Lateranensi - Fascismo e Chiesa  iniziarono a camminare - non sappiamo chi più ipocritamente dell'altro-   a braccetto; ma se per Mussolini era puro opportunismo (lui noto anticlericale) per la Chiesa invece non c'erano dubbi:  a compiere il "miracolo" era stato merito "suo", dell'"Uomo inviato dalla Provvidenza"  nel giorno della Madonna di Lourdes (11 gennaio - la data fu scelta appositamente per la firma. Se andava bene, "quello" sarebbe stato per sempre ricordato come un "miracolo").

Insomma  la dignità e il patriottismo di Borghese facevano parte di una cultura dove vigente era ancora la massima "al primo colpo di cannone un popolo deve far tacere tutti i suoi contrasti e fondersi in un unica volontà per la difesa della patria, abbia essa ragione o torto, é la patria". Per molti invece (l'8 settembre) queste sacrosante parole  valevano nulla,  non esistevano, erano pura retorica; infatti dandosi alla fuga a costoro nemmeno gli sfiorò la mente che così comportandosi davano la palese prova che tutta la loro vita precedente era stata una farsa; vissuta  nell'ipocrisia; e in prima fila nella fuga (che disonore!) anche la più alta gerarchia delle tre Armi e il Re, Capo delle Forze Armate.. 
Ufficiali, sottufficiali e soldati avevano giurato a lui, e lui invece scappava nell'ora più critica.
Il Maresciallo d'Italia alle 19,45 alla radio fece mettere su il disco del discorso (era un disco, Badoglio non parlò alla Radio) che diceva che "le forze italiane di ogni luogo reagiranno ad eventuali attacchi" e mentre il disco girava lui e gli altri si preparavano a scappare. Insomma!!

Eppure pochi giorni dopo fu pronto a salire nuovamente sul carro del vincitore "in un modo o nell'altro". Ma anche perchè la fuga a Chieti (e non a Pescara di cinque minuti, ma a Chieti con sosta di 18 ore) non è stata ancora mai raccontata. Si tace "l'indegno doppio gioco". Non è conveniente, nè ai vinti nè ai vincitori. (leggi il 1943)

Ritorniamo all'atteggiamento di Borghese. Lo abbiamo letto,  era già  una "bestia nera" dentro il fascismo, con non pochi nemici per la sua indipendenza dalle "infide" alte (non per meriti) gerarchie militari, che Borghese disprezzava "in blocco". Ed aveva ragione! Scapparono tutti "in blocco"! A Chieti in quella famosa notte del 9 settembre c'erano proprio tutti! Ma non lui, il principe BORGHESE! (e chi scrive c'era, i fuggiaschi erano tutti a casa mia. A Palazzo Mezzanotte).

A La Spezia  dalla Capitale (dato i legami con quella nobiltà che si era messa con ignominia in fuga con il sovrano) sicuramente Borghese fu informato, quindi il mantenimento di quel giuramento "sacro" non fu dovuto ad aver fede (!?) nel Re, ma era unicamente legato ai "sacramenti" dei suoi valori e a quelli etici di un popolo e di una nazione. Prima dell'uomo soldato c'era l'uomo intellettuale, di una certa cultura,  messo di fronte a un tremendo evento storico che era al di sopra di tutti gli interessi politici.

Confesserà Borghese a fine guerra  la frase che abbiamo riportato sopra all'inizio: "Io piansi....".

Non dimentichiamo che BORGHESE alla notizia dell'armistizio dell'8 settembre, come tanti altri comandanti di reparto, era rimasto privo di ordini e di indicazioni. Il suo superiore, il duca AIMONE D'AOSTA, cugino del re, era uno dei tanti dileguatisi  assieme al sovrano e a tanti altri suoi nobili e "non nobili" colleghi.
Borghese pur appartenendo come loro a una famiglia principesca non seguì i "traditori", rimase legato ai suoi doveri di ufficiale con le sue responsabilità;  e la più importante era quella di salvaguardare non solo l'onore della bandiera, ma prima di tutto i suoi uomini. Senza di lui gli uomini del suo reparto avrebbero fatto la stessa fine degli altri lasciati allo sbando;  catturati e deportati in Germania (come quelli di Bolzano) o massacrati dai tedeschi (come quelli a Cefalonia, a Creta) e tanti, tanti altri.

In questo periodo storico più che mai solo, "comandante" e non "principe" (i principi scappavano ed erano impegnati più a salvare i gioielli che l'onore),  BORGHESE si barricò con la sua X Mas a Lerici pronto a difendersi  a una imposta disonorevole e infamante resa ai tedeschi.  Dichiarerà in seguito al processo "Se un tedesco avesse tentato di disarmare il mio reparto io avrei dovuto difendermi;  in questa circostanza se fossi stato ucciso, cosa probabile, oggi sarei considerato un eroe della Resistenza". (come Gandin a Cefalonia)
Questo sentimento di vergogna e le conseguenze di quella resa umiliante, la provarono in molti, per gli stessi elementari motivi di "dignità di soldato" e di "onore". Chi in un modo, chi in un altro, molti fecero la stessa scelta (e chi poteva giudicare in quel momento quale fosse quella giusta? Eppure molti la vorrebbero giudicare oggi). Gli altri, quelli più deboli, di scelte non ne fecero; né potevano! Interi reparti anche con molti uomini,  capaci come numero di riprendere in mano la situazione (forse fin dal 25 luglio) dopo  l'annuncio,  furono lasciati allo sbando e dovettero alzare le mani davanti a uno sconcertato ex amico diventato improvvisamente "nemico" di molto inferiore come  numero, che quasi non credeva ai suoi occhi. "Non pensavamo che sarebbe stato così facile!" diranno i tedeschi.(Che dal 25 luglio all'8 settembre ebbero tutto il tempo di far affluire oltre il Brennero 22 divisioni, preparandosi all'invasione "Piano Alarico)


Carlo Mazzantini
scriverà "Non credo di compiere un arbitrio stabilendo un parallelo di sentimenti e motivazioni etiche fra queste unità che formarono il primo nucleo dell'esercito repubblicano e quelle formazioni partigiane che sorsero dalla dissoluzione di quei reparti militari che non si arresero ai tedeschi e furono denominate "autonome", perchè non riconducibili a un partito politico o a una precisa ideologia.....Scattò in alcuni un istintivo soprassalto di ribellione contro lo sfacelo, un sentimento di non accettazione della miseria morale in cui era sprofondato il paese, il bisogno di dissociarsi dalle viltà, dalle fughe, dall'abbandono; che si manifestarono nel cercarsi fra coetanei, nell'impulso a unirsi, a fare gruppo"  (C. Mazzantini, "I balilla andarono a Salò", Marsilio, 1975).

Mazzantini dice il vero, anche perchè, nei reparti di Borghese non erano assenti alcuni elementi di orientamento socialista, fuoriusciti politici, perfino (come lui) noti ribelli al regime fascista. 

Coerente ai suoi princìpi, BORGHESE lo fu anche alla resa a Milano del 25 aprile del '45; non volle infatti, darsi alla (seconda) "grande fuga" con gli altri gerarchi; anzi sprezzante disse a Pavolini "noi non scappiamo, noi restiamo, ci arrenderemo, ma a modo nostro";  e dopo una sorta di trattative private con gli alleati e con lo stesso CLN, riuscì a far garantire prima di ogni altra cosa la vita a tutti i suoi soldati; poi si fece arrestare.

Inoltre basterebbe questo particolare. Quando in seguito gli americani dovettero organizzare in Italia delle strutture (segrete o non segrete) comunque antibolsceviche, proprio loro che avevano combattuto contro il fascismo, i capi di queste strutture, i più fidati, li scelsero proprio in quelle file che avevano prima di tutto l'orgoglio di difendere il suolo italiano da eventuali golpe di sinistra.
Dei voltaggabbana non ne volevano sapere. E la frase era molto lapidaria "Chi ha tradito una volta tradisce un'altra volta". 
Per questa testimonianza non occorrono documenti, la testimonianza è dell'autore, che dalla seconda metà degli anni cinquanta, era proprio dentro un reparto speciale della Nato.

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INNO ALLA GLORIA DEI VINTI
Walt Whitman
 (Abbiamo rintracciata questa poesia del vate americano,
e siamo certi che è in tema
con le frasi di Borghese)
«Io vengo con sonora musica,
con trombe e con tamburi,
non per sonar le marce dei vincitori illustri,
ma per cantar la Gloria
degli uomini vinti e Caduti.
Vi hanno detto che era bene
vincere la battaglia?
Io vi dico che è bene altresì
soccombere, e che le battaglie
si vincono e si perdono
con identico cuore!
Io faccio rullare i tamburi
per tutti i Morti, e per Essi
faccio squillare le trombe
in tono alto e lieto!
Viva coloro che caddero,
viva chi perde i propri vascelli!
Viva coloro che affondano con
essi e non perdono l'onore!
Viva tutti i generali sconfitti
e tutti gli Eroi schiacciati
cui la sconfitta
non può togliere la Gloria!»

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 "Si può cedere una fortezza, la fortuna in guerra è instabile, si può venir vinti. Si può cader prigionieri. Può capitare domani a me. Ma l'onore! Sul campo di battaglia ci si batte, mio caro signore, e se invece si capitola vilmente, si merita di essere fucilati... Un soldato deve saper morire. Come suddito avete compiuto con la vostra capitolazione un delitto, come generale una sciocchezza, come soldato una viltà, come francese avete disonorata la gloria !  Non comparite mai più davanti ai miei occhi". (Napoleone, a un generale che in campo aperto aveva capitolato dandosi alla fuga, e che osò dopo sei mesi spudoratamente apparigli ancora dinanzi -  (Dal Memoriale di Napoleone, Originale)



La storia, fatalmente, ha sempre due volti
( qui: due interventi )


L'8 settembre 1943 l'Italia  si divise in due Stati nemici. 
E i militari, come i civili, furono costretti a una tormentosa scelta di campo

LA DECIMA MAS

di Paolo Deotto


"... All'alba del 26 marzo (1941, ndr), avemmo una batosta, quando il porto di Suda fu attaccato da sei veloci barchini esplosivi. L'incrociatore York fu danneggiato gravemente... Anche la nave cisterna Pericles (8324 tonn.) fu colpita... Il nostro unico incrociatore con cannoni da 203 era così eliminato. Mi ha sempre colpito quanto gli italiani erano bravi in questo tipo di attacchi individuali. Avevano certo uomini capaci delle più valorose imprese... Prima che la guerra finisse, dovevamo subire ulteriori perdite di questo genere per la coraggiosa iniziativa individuale di italiani".

Chi parla è un cronista d'eccezione, nientemeno che l'ammiraglio inglese Cunningham, comandante in capo della Flotta del Mediterraneo nell'ultimo conflitto mondiale. Nel suo libro di memorie, A sailor's odyssey (pubblicato nel 1951) l'alto ufficiale inglese riconosceva, da vero gentleman, le non comuni doti dei suoi agguerritissimi e singolari avversari: i marinai italiani della DECINA FLOTTIGLIA MAS

E Frank Goldsworthy, ufficiale del servizio segreto navale inglese, ebbe a dire (intervista del 25 dicembre 1949 al Sunday Express), parlando degli attacchi italiani a Gibilterra, condotti sempre dagli incursori della Decima, che "ognuna (delle incursioni) richiese da parte degli attaccanti tanta audacia e resistenza fisica da suscitare il rispetto di qualsiasi marina del mondo".

Diamo ora la parola a un religioso, Don Domenico Cibrario, parroco di Cuorgnè, un paesino collinare del Canavese, in provincia di Biella. Nel suo diario il parroco annota: "... arrivano la mattina del 31 luglio (1944, ndr) quasi tremila uomini, la Decima Flottiglia Mas, che lascerà tristissima memoria in tutto il Canavese... incominciano tosto le rappresaglie nelle famiglie dei partigiani. Tre mesi si fermano i soldati della Decima e la caserma rigurgita di prigionieri civili. I familiari dei giovani alla macchia sono quasi tutti imprigionati... Fra i primi perseguitati sono i parroci, accusati di collaborazionismo coi partigiani.... Il tenente Bertozzi e il sergente Schininà sono le anime nere della caserma. Vi sono camere di tortura, e parecchi escono malconci dalla caserma, per essere ricoverati in ospedale... Alla fine di ottobre, finalmente, la Decima se ne va, esecrata in tutto il Canavese".

Le testimonianze che abbiamo appena letto sono così contraddittorie tra loro, da far sorgere immediatamente alcune domande: come si è passati dalle gesta eroiche che hanno strappato l'applauso di nemici come gli inglesi (tutt'altro che inclini a trovare pregi negli stranieri... ) ad atti di crudeltà contro la popolazione inerme? E cosa ci faceva un reparto di marina militare sulle colline del Canavese, a caccia di partigiani? Cosa accadde, nell'arco di tre anni, alla Decima Flottiglia Mas?

O la Decima che nel 1944 infierisce contro la popolazione civile è solo un reparto che usa abusivamente il nome di quella flottiglia che nel 1941 è temuta e rispettata dall'ammiraglio Cunningham? Cerchiamo insieme una risposta a queste domande, ripercorrendo la storia di questa formazione militare; una storia emblematica del travaglio che visse l'Italia in guerra, una storia ora cavalleresca e ora crudele, ma di sicuro appassionante e che merita di essere conosciuta.

La storia della Decima può essere definita come assolutamente anomala, almeno per il panorama militare italiano. Le sue radici affondano lontano, nella Grande Guerra, quando alcune "teste matte" (Il tenente medico Paolucci - divenuto in seguito chirurgo di fama mondiale e il maggiore del Genio Navale Rossetti) progettano, e realizzano, l'impresa di Davide contro Golia.

La notte del 31 ottobre 1918 i due ardimentosi, partiti da Venezia sulla torpediniera 65 PN (agli ordini del capitano di vascello Costanzo Ciano) si gettano in mare all'imbocco del porto di Pola e, trainati da un propulsore per siluro ad aria compressa, applicano allo scafo della corazzata austriaca Viribus Unitis due torpedini da 170 kg di tritolo ciascuna, che aderiscono alla nave nemica grazie a due supporti magnetici (mignatte).

L'alba del 1° novembre vede la fine della superba unità, che affonda squarciata dall'esplosione degli ordigni a tempo. Paolucci e Rossetti, che, eludendo tutti i servizi di vigilanza del porto, erano riusciti a giungere fino alla Viribus Unitis lottando contro il freddo intenso, le correnti avverse e i vari sbarramenti passivi, avevano avuto un predecessore nel comandante Pellegrini, che già aveva tentato di forzare il porto di Pola col Grillo, un motoscafo silurante dotato di cingoli atti a superare gli sbarramenti protettivi. L'impresa non era andata a buon fine, perché Pellegrini era stato catturato proprio nella fase critica del passaggio delle ostruzioni, né era riuscito a lanciare i siluri di cui era dotato il Grillo.

Ma il suo fallimento era servito di lezione a Paolucci e Rossetti, perché comunque dava la possibilità di valutare fino in fondo il tipo e la natura degli ostacoli che si frapponevano alla forzatura del munitissimo porto di Pola. Sappiamo come la Grande Guerra non risolse i problemi degli equilibri europei, creando anzi, in buona parte, le premesse per la seconda conflagrazione mondiale.

Nel 1935 l'Italia fascista si muove verso l'Africa Orientale e l'interrogativo più grosso non è certo rappresentato dall'esito, alquanto scontato, della guerra coloniale, bensì dall'atteggiamento che deciderà di assumere la Gran Bretagna, al tempo assoluta dominatrice del mare. Il rischio che l'Italia si trovi assediata nel Mediterraneo è tutt'altro che fantasioso, né la nostra flotta, per quanto in via di potenziamento, sarebbe in grado di contrastare efficacemente lo strapotere marittimo britannico, determinato non solo dalla superiorità di forze, ma anche da un potenziale industriale ben più grande del nostro.

Si fa quindi strada tra alcuni ufficiali della Marina Militare, ispirandosi alle imprese sopra ricordate della Grande Guerra, una dottrina militare assolutamente originale: bisogna creare dei nuovi strumenti bellici che permettano, con un impiego improvviso e tempestivo, di infliggere subito, all'inizio delle ostilità, forti riduzioni alla forza navale nemica, mettendoci così in grado di affrontare le successive fasi della guerra in condizioni di parità o, quantomeno, di minor svantaggio. Questi nuovi strumenti bellici saranno efficaci solo se la loro realizzazione sarà coperta dal più assoluto segreto e il loro impiego adottato subito in massa su diversi obiettivi. Infatti, esaurita la sorpresa iniziale, il nemico sarà in grado di approntare le sue difese. Due giovani ingegneri del Genio Navale, Teseo Tesei ed Elios Toschi, entrambi direttori di macchina su sommergibili, iniziano così, alla caserma sommergibili di La Spezia, la progettazione di quello che diverrà il Siluro a Lenta Corsa (SLC), il famoso maiale, che già abbiamo descritto sulle pagine della nostra rivista: in sostanza, si trattava di un siluro pilotato su cui trovavano posto, a cavalcioni, due uomini (ufficiale pilota e secondo); la testa del siluro, facile da sganciarsi, era carica di esplosivo, destinata ad essere agganciata sulla parte sommersa delle navi nemiche. Un congegno a tempo determinava il momento dell'esplosione.

Contemporaneamente veniva messo a punto dal comandante Giorgis e dall'ingegner Cattaneo, su progetto iniziale dell'ammiraglio Duca Aimone d'Aosta, un altro mezzo bellico, che prenderà il nome definitivo di Motoscafo Turismo Modificato (MTM), detto barchino esplosivo: un piccolo motoscafo a fondo piatto, dotato di un motore molto potente (Alfa Romeo 2500). La testa del natante contiene 300 kg di esplosivo, con sistema di scoppio ad urto. Il barchino è pilotato da un solo uomo, che lo porta in prossimità dell'obiettivo, blocca il timone, mette il motore a tutta forza e subito si lancia in mare. Il barchino esplode all'impatto con la nave nemica.

In un bacino di carenaggio dell'arsenale di La Spezia avvennero le prime prove del prototipo del Siluro di Tesei e Toschi. L'ammiraglio Falangola, inviato dal ministero, diede parere favorevole alla costruzione dei primi cinque esemplari, mentre si formava l'embrione della futura flottiglia, con un gruppo di ufficiali che si offersero volontariamente per l'addestramento sul nuovo mezzo bellico.

Dicevamo prima che la storia della Decima è una storia anomala nel panorama militare italiano. E' anomala perché, in un clima di faciloneria, sia politica che militare, fin troppo diffuso, e che avrebbe portato al disastro militare un'intera nazione, fa specie vedere un pugno di uomini capaci di progettare con lungimiranza nuovi mezzi che permettano al paese di affrontare una situazione internazionale in grave deterioramento. Ed è anomala anche perché, si badi bene, le novità, gli studi, partono dal basso, partono cioè dall'iniziativa dei due giovani ingegneri Tesei e Toschi, mentre logica avrebbe voluto che fossero partiti dall'alto, essendo compito dell'autorità politica valutare le situazioni e predisporre le misure necessarie per affrontarle efficacemente. E invece l'autorità si fece viva da subito con un comportamento tutt'altro che anomalo: nulla è più sacro per un militare (di quelli in poltrona... ) del regolamento! E quindi a Tesei e Toschi viene imposto di riprendere la loro attività di direttori di macchina, mentre essi reclamavano legittimamente l'onore di essere i primi piloti delle nuove macchine da loro progettate.

Infatti il regolamento recita che il comando di unità navali è prerogativa degli ufficiali di vascello; il siluro a lenta corsa è a tutti gli effetti un'unità della Marina; ergo, non può essere comandata da ufficiali del Genio Navale. Ai burocrati con le stellette non passava neanche per la testa che i nuovi mezzi erano alquanto diversi da una tradizionale unità navale. Erano cose della Marina che andavano in acqua, e tanto bastava. Abbiamo voluto citare questo piccolo episodio perché significativo di un clima in cui si muoverà a lungo il personale della Flottiglia, tutto costituito da volontari: il contrasto tra chi si rendeva conto che la guerra sarà brutta, ma, se si fa, va trattata come una cosa seria e chi, dalle scrivanie romane, impartiva ordini che spesso non avevano alcuna attinenza con la realtà. E infatti un ordine cretino arrivò con la rapida fine della guerra d'Africa: smobilitazione del piccolo reparto dei mezzi speciali, nel quale, oltre all'impiego dei SLC e MTM, ci si andava addestrando anche con le cimici (piccole cariche esplosive magnetiche portate da sommozzatori) e con una versione maggiorata di esse, i bauletti esplosivi.

Abbiamo parlato, senza alcun rispetto, di ordine cretino, e lo ribadiamo: perché rimandare agli originari reparti di appartenenza tutto il personale che si stava addestrando voleva dire soffrire di cecità politica, non rendersi conto che, anche se la Gran Bretagna aveva allentato le sue pressioni, la situazione europea nel suo complesso andava verso un progressivo deterioramento, né l'Italia poteva sperare di restare a lungo alla finestra, anche se all'epoca (siamo alla fine del 36) era tutt'altro che chiaro chi fossero realmente i nostri futuri alleati e avversari.

Per oltre due anni i mezzi speciali restarono chiusi nei magazzini: solo alla fine di luglio del '39 lo Stato Maggiore Marina si risvegliava, prendeva atto di una certa minaccia di guerra in Europa, e disponeva che la Prima Flottiglia Mas, al comando del capitano di fregata Paolo Aloisi, provvedesse ad "eseguire l'addestramento di un nucleo di personale all'impiego di alcuni mezzi speciali, effettuando prove e messe a punto dei mezzi medesimi... ". Alla caserma di La Spezia ritornarono così, ai primi del 1940, gli uomini che avevano fatto le prime esperienze sui nuovi strumenti bellici. Conservavano però le loro destinazioni d'imbarco e di conseguenza gli addestramenti, che si svolgevano in gran segreto nella tenuta dei duchi Salviati, alle foci del Serchio, avevano ancora carattere saltuario. La burocrazia aveva imposto i suoi regolamenti, ma già era qualcosa di meglio, rispetto ai mezzi lasciati ad arrugginire nei magazzini.

I nomi degli uomini che costituirono questo primo nucleo resteranno nella Storia: Toschi, Tesei, Stefanini, Catalano, Centurione, De Giacomo, Di Domenico, Birindelli, Vesco, Bertozzi, De la Penne, e lo stesso Aloisi.
Fu nel settembre di quel 1940 che entrò negli organici della Flottiglia l'uomo che ne sarebbe divenuto in seguito il simbolo, JUNIO VALERIO BORGHESE. Nato nel 1906, principe di antica nobiltà romana, capitano di corvetta, specialista in armi subacquee, palombaro brevettato per grandi profondità, aveva già maturato una significativa esperienza di comando di sommergibili nella guerra civile spagnola, a bordo dell' Iride.

Dopo aver frequentato, nell'agosto del 40, la scuola tedesca del Mar Baltico per sommergibili oceanici, gli fu offerto il comando del sommergibile Scirè, a disposizione del Reparto mezzi d'assalto della Marina (questa era la denominazione assunta dal reparto, che nel frattempo si era distaccato dalla Prima Flottiglia).

Il nome di Decima Flottiglia Mas, che resterà poi invariato fino alla fine del conflitto, nasce, come nome di copertura, il 15 marzo del 1941, su iniziativa del capitano di fregata Vittorio Moccagatta, nuovo comandante del gruppo, che viene suddiviso in due reparti: reparto subacqueo, al comando di Borghese, e reparto mezzi di superficie, al comando del capitano di corvetta Giorgio Giobbe.

Il gruppo continua a vivere in quella anomalia di cui parlavamo addietro: con un proprio comando, segreteria e ufficio piani, rappresenta forse l'unico caso, nel secondo conflitto mondiale, di decentramento in una struttura militare in cui dottrine antiquate imponevano, con i brillanti risultati che si sarebbero visti, un rigido accentramento anche in sede operativa.

La storia operativa fino all'otto settembre del 1943 della Decima Flottiglia Mas si riassume brillantemente nel suo medagliere: ventisei medaglie d'oro (di cui dieci alla memoria), una medaglia d'oro allo stendardo della Flottiglia e un'altra allo stendardo del sommergibile Sciré fanno della Decima Flottiglia Mas il reparto militare italiano più decorato, insieme al Terzo Reggimento Bersaglieri. Se volessimo narrare tutte le imprese della Decima non ci basterebbe tutta la rivista, e rimandiamo quindi gli amici lettori alla bibliografia, invitandoli ad approfondire l'argomento.

Limitiamoci qui a ricordare, in una veloce cronologia, le imprese più clamorose, quelle che appunto suscitarono l'ammirazione anche del nemico, come ricordavamo in apertura. Ottobre 1940: inizia l'assedio della Decima a Gibilterra. Un pugno di uomini terrà in scacco per tre anni la munitissima base inglese.

25 Marzo 1941: l'incrociatore York affonda nel porto di Suda (Creta), colpito dai barchini esplosivi portati in avvicinamento dai cacciatorpediniere Crispi e Sella. 26 luglio 1941: attacco a Malta con i barchini esplosivi. L'attacco fallisce e solo una parte di un viadotto viene distrutta. Grande stupore degli inglesi per la sorpresa e per l'ardimento mostrato dagli incursori, che hanno in questo attacco 14 morti.

20-21 settembre 1941: primo successo a Gibilterra. Nuotatori d'assalto affondano due piroscafi inglesi con i bauletti. 19 dicembre 1941: le corazzate Valiant e Queen Elizabeth vengono affondate nel porto di Alessandria grazie all'impiego di SLC portati in zona dal sommergibile Scirè. Primavera 42: i barchini continuano l'assedio a Malta, con diverse azioni che non vanno a buon fine, soprattutto per la mancanza di un coordinamento con l'aviazione, che più volte dovrebbe effettuare, e non effettua, bombardamenti di preparazione all'attacco dal mare.

Estate - autunno 42: continua l'assedio a Gibilterra. Nuove imprese dei nuotatori che affondano altri 5 piroscafi inglesi facenti parte di convogli di rifornimenti. Sul finire del 42 e fino al fatale otto settembre del 43 l'azione della Decima si sposta prima sul fronte africano e poi sulle coste italiane, quando la minaccia di sbarco alleato inizia a farsi sempre più consistente.
Il 1° maggio del 43 il comando della Decima Flottiglia Mas viene assunto dal principe Borghese. La Flottiglia era divenuta nel frattempo una grande unità, nella quale si erano venute a concentrare tutte le attività offensive della Marina. E queste erano le uniche possibili in una situazione in cui la supremazia alleata era ormai definitiva, e si poteva solo, con rapide puntate offensive, ritardare lo sbarco inevitabile, che avverrà, come sappiamo, il 10 luglio del 43 in Sicilia e il 9 settembre a Salerno.

Volendo chiudere questa parte che ha riguardato la storia della Decima fino all'8 settembre, vorremmo soffermarci un attimo solo sull'impresa di Alessandria, e non perché le altre imprese non meritino di essere ricordate, ma perché ci sembra che nel comportamento dei nostri uomini ad Alessandria si sintetizzi brillantemente un modo di fare la guerra davvero speciale.

De la Penne, ufficiale pilota, e Bianchi copilota, vengono catturati non appena tornano alla superficie dopo aver applicato le cariche esplosive sullo scafo della corazzata inglese Valiant. Il comandante della nave, capitano di vascello Morgan, al rifiuto di De la Penne di rivelare il punto di aggancio delle cariche, lo fa rinchiudere in una cala sotto la linea di galleggiamento. Quando mancano dieci minuti all'esplosione De la Penne chiede di parlare con Morgan, gli fa presente che ha il tempo per mettere in salvo l'equipaggio, perché dopo dieci minuti le cariche brilleranno.

Al rinnovato rifiuto di rivelare il punto esatto di aggancio, il comandante Morgan dà ordine di sgombero a tutta la gente di bordo, mentre fa rinchiudere nuovamente De la Penne e il suo secondo, Bianchi, nella cala. I due italiani si salveranno per miracolo, e nessun marinaio inglese troverà la morte nell'esplosione, mentre la Valiant resterà irrimediabilmente danneggiata. I due italiani, che al ritorno dalla prigionia riceveranno per questa azione la medaglia d'oro, hanno dato al nemico la possibilità di salvarsi. Il loro obiettivo principale era la distruzione della corazzata, e per adempiere alla missione affidata offrivano tranquillamente la propria vita, non solo nella parte offensiva dell'azione, che già richiedeva doti di coraggio personale fuori dal comune, ma anche una volta catturati, rifiutando di fare qualsiasi rivelazione che potesse portare al fallimento la missione.

E dimostravano, coi fatti, di rispettare la vita nel nemico, pur nella tragica situazione che è, in sé stessa, la situazione di guerra. Se vogliamo parlare di cavalleria, nel senso più classico del termine, qui ne abbiamo un esempio eccezionale. Per questo parlavamo di modo peculiare di fare la guerra. Si possono inviare stormi di fortezze volanti e sterminare tranquillamente popolazioni inermi; si possono vessare le popolazioni dei paesi occupati; si può dimostrare la propria superiorità annientando con ordigni atomici due città. O si può fare la guerra forse un po' da folli, con imprese individuali ai confini dell'incredibile, ma salvando il senso di dignità e di umanità che è possibile salvare anche in guerra.

E un'altra caratteristica da sottolineare ci sembra questa: l'operatore che lancia il barchino esplosivo contro la nave nemica, o i due piloti del Maiale che forzano un porto e arrivano fin sotto la chiglia di una corazzata, o il nuotatore che trascina la mignatta esplosiva, tutti costoro sono individui che devono avere doti individuali fuori del comune; non parliamo solo di coraggio, ma anche di freddezza, autocontrollo, lucidità. Non scordiamoci che le missioni, che noi raccontiamo in poche righe, si svolgevano in lunghe ore (soprattutto quelle con i SLC e con le cimici o le mignatte), introducendosi in acque nemiche vigilatissime, nelle quali il minimo movimento sbagliato poteva rappresentare la fine.

Ricordiamoci anche che tutti questi combattenti erano volontari, che avevano scelto liberamente di portare la distruzione in campo nemico con il massimo rischio personale: quasi una sfida alla morte di combattenti d'altri tempi, che scelgono di fare la guerra con un piglio che definiremmo, e non crediamo di essere offensivi (ché anzi il nostro intento è proprio l'opposto), sportivo. Un'ultima considerazione: si sono paragonati, da parte di alcuni, gli incursori di Marina agli arditi della Grande Guerra.
Ci sembra un accostamento del tutto sbagliato, se pensiamo a tutti i guasti morali che causò il fenomeno dell'arditismo (che non a caso fu uno dei principali serbatoi di uomini per le squadre d'azione fasciste). L'ardito era fondamentalmente un violento incanalato e legittimato, mentre ci sembra che le considerazioni fatte sopra rendano inapplicabile questa definizione all'incursore.

Torniamo ora al 1° maggio del 1943, quando il principe Borghese assume il comando della Decima Flottiglia Mas. Il brillante sommergibilista, anch'egli Medaglia d'Oro, non ancora trentasettenne, è già conosciuto e stimato in patria e all'estero. Con lo Scirè ha fatto cose impossibili, è passato e ripassato a Gibilterra beffando gli inglesi, ha portato ad Alessandria i protagonisti dell'impresa che ricordavamo prima.

Forte personalità, entusiasta, è amatissimo dai suoi uomini, con quel vincolo tutto speciale che si forma tra la gente di bordo, ancora più accentuato in un microcosmo qual è un sommergibile; questo tipo di rapporto si trasferirà su tutto il personale della Decima, facendo sì che il Reparto si identifichi sempre più con il Comandante. Borghese ha allo studio una nuova azione a Gibilterra e un'incursione con sommergibili oceanici contro gli Stati Uniti, quando arriva la data fatale dell'otto settembre. L'armistizio viene appreso per caso, accendendo la radio in caserma a La Spezia. Nessun organo superiore aveva dato comunicazione, anche e soprattutto perché gli organi superiori erano stati i primi a sbandarsi.

E qui vorremmo sostare un attimo, per riflettere sul dramma che l'otto settembre fu per molti italiani. Se indubbiamente tutti desideravano, in qualche maniera, di uscire da una guerra già persa, le modalità di annuncio dell'armistizio (comunicato dal generale Eisenhower alle 18.15 da Radio Algeri, nella totale assenza di notizie da parte delle autorità italiane), il fatto di averlo stipulato all'insaputa dell'alleato tedesco, la penosa figura di un Re e di un governo in fuga, lo sbandamento della gran parte dei comandi militari, tutti questi fattori contribuirono senza dubbio a creare un enorme turbamento nelle coscienze. Restando nell'ambito della Marina, all'alba del 9 settembre una flotta di 21 navi, tra cui tre corazzate (Roma, Italia - ex Littorio e Vittorio Veneto) e tre incrociatori, fa rotta per Malta, dove si consegnerà agli Alleati, in osservanza dei patti armistiziali. Solo la Roma non giungerà alla meta, centrata in pieno da un aereo tedesco, che sperimenta per la prima volta sugli ex alleati la nuova bomba radioguidata FX 1400.

La reazione tedesca al voltafaccia italiano è stata insomma immediata, per mare e così anche per terra. A La Spezia i soldati della 305° divisione di fanteria tedesca entrano il mattino del 9 e rapidamente sopraffanno le divisioni Alpi Graie e Rovigo, arrestando anche il comandante della piazza, generale Carlo Rossi. I tedeschi impongono il coprifuoco dalle ore 20 alle 6 del mattino e catturano centinaia di soldati italiani che cercano di andarsene. Sulla caserma della Decima Mas invece continua a sventolare il tricolore, e le sentinelle montano, regolarmente armate, la guardia. Il comandante Borghese ha fatto le sue scelte, e le comunica in assemblea ai suoi uomini: "Chi vuole andare in licenza illimitata è libero. Io resto".

E con questa scelta inizia la seconda parte della storia della Decima Flottiglia Mas: Borghese, come un antico capitano di ventura, si mette direttamente in contatto con i tedeschi. Il suo prestigio, la sua amicizia personale con il comandante della Marina tedesca, Donitz, e con l'ammiraglio Meendsen-Bohlken, gli consentono di stipulare direttamente un patto con i tedeschi, sancito in un documento che porta le firme del tenente di vascello Max Berninghaus, in rappresentanza del generale SS Karl Wolff, plenipotenziario tedesco per l'Italia del Nord e dello stesso Borghese. In questo singolare contratto si prevede che:
1. La Decima Flottiglia Mas è un'unità complessa appartenente alla Marina Militare Italiana, con piena autonomia in campo logistico, amministrativo, organizzativo, della giustizia e disciplinare;
2. è alleata delle FF.AA. germaniche con parità di diritti e di doveri;
3. batte bandiera da guerra italiana;
4. con riconosciuto a chi ne fa parte il diritto all'uso di ogni arma;
5. è autorizzata a recuperare ed armare, con bandiere ed equipaggi italiani, le unità italiane che si trovano nei porti italiani; il loro impiego operativo dipende dal comando della Marina da guerra germanica;
6. il comandante Borghese ne è il capo riconosciuto, con i diritti e doveri inerenti a tale incarico.

L'accordo entra subito in vigore, al di fuori di ogni interferenza con le nuove gerarchie fasciste che ancora non esistono e che si formeranno poi nell'effimera struttura della Repubblica di Salò. Ai tedeschi la Decima piace, perché è un'isola di efficienza nel pressappochismo abituale. Il comandante Borghese ha un piglio autoritario di tipo prussiano e dice che non vuole ammainare la bandiera e buttare a mare la sua esperienza e quella della Flottiglia. E questa fu, forse, la grande illusione di Borghese. Perché la Decima Mas non avrebbe più rivisto il mare, se non in sporadiche e marginali azioni di qualche Mas e dragamine. Perché Borghese fece questa scelta? Come ufficiale era legato dal giuramento al Re, ma non ci scandalizza il fatto che molti si sentissero svincolati da un giuramento fatto a un Re che aveva dimostrato di non meritare fedeltà.

Non possiamo dire che Borghese fece questa scelta perché era fascista. Il patto con i tedeschi fu stipulato quando ancora non esisteva alcuna nuova struttura fascista, né Borghese (che peraltro rifiutò la tessera offertagli dal Partito in occasione del conferimento della Medaglia d'Oro) manifestò mai, precedentemente, un filofascismo superiore a quello che avevano tutti gli italiani cresciuti e allevati dal fascismo, ma dal fascismo portati anche in una guerra disastrosa.

E nella Decima Mas il giudizio sul fascismo repubblicano fu in genere tutt'altro che tenero tanto che, come vedremo, Borghese fu anche sospettato di aspirazioni golpiste. Verso i tedeschi Borghese manifestava ammirazione, ma più da tecnico, che da politico. Non fu mai, per intenderci, un fanatico filonazista alla Farinacci o alla Pavolini.

Piuttosto ci sembra che la molla fu un'altra: nello sfascio del Paese e delle Forze Armate la Decima Mas, che Borghese viveva come una propria creatura e un proprio regno, era l'isola da salvare. Il turbamento dell'otto settembre, di cui parlavamo prima, agì nel giovane comandante spingendolo a cercare l'avventura, a ricostruire ancora quel clima che definiremmo da sommergibile, dove un pugno di uomini forma una sola volontà ferrea e determinata.

Non pretendiamo che la nostra analisi sia indiscutibile, ma ci pare legittima, anche alla luce del comportamento di Borghese, difensore strenuo dell'autonomia e della peculiarità della Decima Mas nei confronti delle autorità fasciste di Salò, quasi che la Decima fosse una cosa sua, che non doveva rispondere ad altri.

Borghese credeva nella possibilità di una vittoria? Difficile dirlo; ma probabilmente no: l'uomo era troppo intelligente per non capire che l'unico interrogativo era il quando della disfatta inevitabile. Ma in situazioni assolutamente anomale come quella dell'Italia dopo l'otto settembre, non furono pochi i comportamenti e le scelte crepuscolari, anche da parte di uomini di valore morale e intellettuale.

Parlavamo della grande illusione di Borghese. I tedeschi, veri padroni dell'Italia repubblichina, non avevano alcuna intenzione di ricostituire una Marina italiana, che veniva considerata tout court un inutile dispendio di risorse, senza alcun beneficio. Peraltro favorirono ampiamente l'arruolamento di volontari nella Decima, consentendo anche a Borghese (24-26 settembre 1943) un giro di propaganda tra i marinai italiani internati in Germania, perché la Decima era comunque alle loro dirette dipendenze e il principe era uno dei pochi ufficiali italiani in cui i tedeschi riponessero fiducia.

La fiducia era comunque vigilante e Wolff piazzò alle costole di Borghese, in qualità di ufficiali di collegamento, il capitano SS Max Wenner e il maggiore SS Koehler. La Decima Flottiglia Mas conobbe un fenomeno raro nella Repubblica Sociale: l'arrivo di un gran numero di volontari. Mentre Graziani a fatica rastrellava uomini per ricostituire l'esercito, la Decima cresceva a dismisura, sotto la spinta di giovani affascinati dal reparto guidato da un uomo che non aveva ammainato la bandiera, che non imponeva il giuramento di fedeltà alla Repubblica Sociale, che aveva formulato un nuovo regolamento che prevedeva, tra le altre novità, rancio unificato per ufficiali e truppa. Ma la grande crescita rappresentò anche la fine della Decima Flottiglia Mas, che ormai conservava solo un nome marinaresco, ma che si sviluppava su reparti di terra che venivano via via costituiti nei luoghi dove, in accordo coi tedeschi, appariva più opportuna la loro dislocazione. Tra il settembre 43 e il febbraio 45 si costituirono 15 battaglioni (di cui uno alpino), tre distaccamenti, tre compagnie autonome, un reggimento di artiglieria, due batterie contraeree, una scuola sommozzatori e una flottiglia mas. In questa incredibile frammentazione, cosa restava della originaria Decima Flottiglia Mas?

Probabilmente nulla; tagliata fuori da ogni impiego marittimo, la Decima era un insieme di reparti, perlopiù usati dai tedeschi nella guerra contro i partigiani, con lo scopo preciso e dichiarato di proteggere le retrovie dell'esercito germanico, o utilizzati con cinismo sul fronte di battaglia, come il Battaglione Fulmine, immolato a Selva di Tarnova, col compito di fermare l'avanzata del IX Corpus jugoslavo (comuniste di Tito. Ndr.)

E in questa incredibile frammentazione di reparti, che Borghese cercava di tenere uniti viaggiando di continuo in automobile da una sede all'altra, facendo di fatto più l'ispettore che il comandante, poteva esserci di tutto. Ci furono i figuri già citati, che seminarono terrore nel Canavese, ma ci furono anche gli uomini del battaglione N.P. (nuotatori paracadutisti) che desideravano combattere al fronte e si rifiutarono di partecipare ad operazioni antipartigiane: l'episodio accadde nella caserma di Valdobbiadene alla fine del dicembre 44, con un ammutinamento in piena regola.

Ci fu la partecipazione con le truppe germaniche al terribile rastrellamento in Friuli, dal 27 settembre al 22 ottobre del 44, contro le posizioni tenute dalla divisione partigiana Garibaldi-Osoppo in quella che era stata battezzata Zona Libera Orientale e che comprendeva 55 comuni sulle due rive del Tagliamento. E ci furono anche le strane proposte di collaborazione lanciate dalla Decima all'organizzazione Franchi di Edgardo Sogno e alla Brigata Garibaldi per costituire una forza comune tra partigiani non comunisti e formazioni della Decima per frenare l'avanzata da Est delle truppe di Tito.

Potremmo andare avanti citando altre diecine di esempi, ma ci pare abbastanza chiarita la nostra affermazione di prima: nella Decima ormai c'era tutto e il contrario di tutto. Ma nel frattempo nella Repubblica Sociale non mancava chi, preoccupato dell'autonomia del principe Borghese, temeva che questi meditasse un colpo di stato: dal 13 al 24 gennaio del 44 il comandante, insieme ai capitani Ricci e Paladino, viene rinchiuso nel carcere di Brescia.

La liberazione avviene su precisa disposizione tedesca, e serve per far capire a Mussolini che la Decima non si tocca. Con profonda coerenza, l'uomo arrestato per sospetto di cospirazione, pochi mesi dopo viene nominato sottocapo di Stato Maggiore della Marina. In questa occasione Borghese rifiuta la promozione ad ammiraglio offertagli da Mussolini.

Il regolamento della Decima prevedeva infatti il congelamento di tutte le promozioni, tranne quelle ottenute per merito di guerra sul campo. Comunque il duce non perde la sua sfiducia e ordina due inchieste su Borghese. La prima, affidata alla Banda Koch, esclude che il principe romano abbia mire golpiste; la seconda, effettuata dall'ufficio investigativo della Guardia Nazionale Repubblicana, si sofferma, in mancanza di meglio, su pettegolezzi da portineria, raggiungendo vertici di ridicolo laddove si afferma che Borghese era ormai incapace di esercitare un comando perché debilitato dai suoi eccessi sessuali.
E nel gennaio del 45, quando ormai tutto sta andando allo sfascio, la pubblicazione della rivista della Decima, L'Orizzonte, contenente articoli decisamente anticonformisti, provoca le ire del Ministro della Cultura Popolare, Mezzasoma, che cerca di far sequestrare le copie in tipografia, e la reazione di Borghese, che ne dispone il ritiro dalla tipografia manu militari e la vendita per Milano con strilloni improvvisati, protetti dai mitra degli uomini della Decima. Dalla scelta che avevamo definito da capitano di ventura, si è passati, in un anno e mezzo, a un guazzabuglio politico-militare di cui è difficile capire appieno il senso.

Di sicuro la Decima Flottiglia Mas, la formazione degli ardimentosi incursori che avevano suscitato l'ammirazione della marina inglese, non c'è più. E di sicuro, purtroppo, anche Borghese ha perso quello spirito di avventura che lo aveva spinto alla scelta drammatica nel giorno drammatico dell'otto settembre. Già dalla fine del 44 il generale Wolff aveva avviato in Svizzera negoziati segreti con gli alleati, per salvare la propria vita e quella del suo amico e collaboratore Borghese. Il 30 aprile del 45, dopo due giorni di arresto a domicilio, Junio Valerio Borghese (chiede prima garanzie per i suoi uomini, agli alleati e allo stesso CLN e fa concedere loro perfino la paga di sei mesi. Ndr.) si allontana da Milano su una jeep guidata dal maggiore inglese Jim Angleton, indossando (per evitare certi esaltati "giustizieri") una divisa da tenente americano .

Supera così senza difficoltà tutti i controlli partigiani e a Roma, dopo un interrogatorio da parte dei servizi segreti americani, viene consegnato al ministro della marina, ammiraglio De Courten.

(Dopo essere stato degradato e imprigionato, il processo intentato a Borghese, si concluse il 17 febbraio 1949 con una condanna a dodici anni per "collaborazionismo" ma per nessuna colpa grave.
Gli fu riconosciuto il suo valoroso passato, le attività svolte per salvaguardare le industrie e i porti del Nord e per la difesa della Venezia Giulia che era stata concordata (questo pochi lo sapevano) con il Governo del Sud. Gli furono così condonati nove anni.
Scarcerato dopo la sentenza per i tre anni trascorsi in carcere, il suo nome ricompare nelle cronache nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 (vedi anno 1970) per un fantomatico colpo di stato. A seguito del fallito golpe, ricercato dalla polizia, si rifugiò in Spagna dove morì, a Cadice, il 26 agosto 1974, anche se dal 1973 la giustizia italiana aveva già revocato l'ordine di cattura (ma della giustizia italiana Borghese non si fidava: "non mi fregano più!").(Ndr.)


di PAOLO DEOTTO

Bibliografia
La Decima Mas, di Ricciotti Lazzero, ed. Rizzoli, Milano 1984
Decima Flottiglia Mas, di Junio Valerio Borghese, ed. Garzanti, Milano 1967
L'Italia della Guerra Civile, di Indro Montanelli e Mario Cervi, ed. Rizzoli, Milano 1983
Fucilate gli ammiragli, di Gianni Rocca, Mondadori, Milano 1988

Ringrazio per l'articolo
FRANCO GIANOLA,
direttore di Storia in Network


rispondono quelli della X MAS

"...ritengo corretto dar voce anche alla versione di coloro i quali vedono la complessa e drammatica vicenda della Decima in modo diverso dal precedente articolo. La storia, fatalmente, ha sempre due volti e perciò mi sento in dovere di far conoscere ai nostri lettori anche il secondo volto. Affinché essi traggano un proprio giudizio consultando altri libri oltre quelli indicati nella bibliografia del primo testo" .

"NOI DELLA DECIMA MAS CHE COMBATTEMMO
PER L'ONORE D'ITALIA"

di EMILIO MALUTA - MARINO PERISSINOTTO
KARL VOLTOLINI

Alzi la mano chi non ricorda quando l'insegnante di storia, decideva per l'interrogazione a sorpresa, e guardandovi quasi beffardo chiedeva: "Raccontami di D'Annunzio, e della Beffa di Buccari!" Eh sì, ci siamo passati tutti, o quasi. Pochi però ricordano che i piccoli natanti utilizzati in quella particolare azione erano dei MAS, motoscafi armati di due siluri e modificati in modo da superare silenziosamente le difese dei porti austroungarici. 

Qui tracceremo la storia di uomini e donne che ripresero, per mare e per terra, lo spirito di quegli incursori notturni: ed allora facciamo un po' di storia, partendo dal principio. Nell'occasione di eventi bellici l'uomo ha sognato di realizzare dei mezzi piccoli ed economici, ma armati ed operanti in modo tale da affondare grandi navi senza la necessità del confronto diretto fra le flotte. Il sogno si realizza all'inizio del XX secolo, con i sommergibili. 

Allo scoppio della prima guerra mondiale, per combattere questi incursori un cantiere navale veneziano, lo SVAN, fornisce alla Regia Marina il primo MAS (Motobarca Armata Svan) ( D'Annunzio interpreterà la sigla con il motto "Memento Audere Semper" 'Ricordati di osare sempre; ndr'). Che cos'era il MAS ?: un motoscafo armato di cannone da 57mm, 3 mitragliatori e bombe antisommergibile destinato a scorrazzare sui mari in velocità ed agilità, abbastanza piccolo da non costituire bersaglio facile da colpire ma sufficientemente armato per provocare seri danni ai suoi avversari subacquei. Venne così costituita, in seno alla Regia Marina, la prima squadriglia MAS ove la sigla però si muta in Motoscafo Anti Sommergibile; un ruolo tipicamente difensivo per un mezzo economico nella costruzione e nell'impiego. 
Il C.V. Costanzo Ciano intuisce ben diverse possibilità per queste veloci imbarcazioni, e riesce ad armarle con due siluri.
Che abbia visto giusto lo si vedrà nel giugno 1918, quando Luigi Rizzo, con un solo lancio, affonda al largo di Premuda la corazzata Szent Istvan. Ma Ciano e l'ammiraglio Paolo Thaon di Revel, sviluppano ulteriormente la loro idea. 
  I MAS subiscono ulteriori adattamenti che li rendono idonei a forzare i porti avversari. Ossia, navigando lentamente ed in modo silenzioso, si infilano dentro le basi navali avversarie senza farsi scorgere, superando le ostruzioni e riuscendo a non attrarre l'attenzione dei posti di guardia.

È nato un nuovo modo di guerreggiare per mare, quello degli assaltatori. I buoni risultati conseguiti nel 1916 fanno in modo che l'anno successivo si studino mezzi non più adattati, come erano i MAS, ma appositi: i primi mezzi d'assalto. All'arsenale di Venezia si provano imbarcazioni a remi e scafi elettrici, dotati di cingoli per superare le ostruzioni. C'è anche un medico militare, il dottor Raffaele Paolucci, che si allena a nuotare in acque fredde per lunghe distanze e trainandosi dietro un galleggiante. Nei suoi piani, questo rimorchio simula una carica esplosiva da applicare alla carena della nave avversaria. A Venezia compie i suoi esperimenti anche il Cap. G.N. Raffaele Rossetti; con un operaio militare, di nome Sanna, ha pensato ad un siluro navigante a pelo d'acqua, guidato da un operatore, con a prua delle cariche esplosive da attaccare, grazie ad un magnete, sulle lamiere della nave nemica. Infine il Ten. G.N. Belloni prende in esame, per la prima volta, le operazioni subacquee, pensando a degli incursori trasportati da un sottomarino entro il porto nemico, e che vi fuoriescano sott'acqua per attaccare i possibili bersagli. Nella Grande Guerra solo alcuni di questi mezzi sono provati, con alterno successo. Il miglior risultato lo consegue la Mignatta, il siluro a lenta corsa inventato da Rossetti.
Egli stesso, con Raffaele Paolucci, la notte del 1° novembre 1918 forza il porto di Pola, e riesce ad attaccare una testata esplosiva sotto la corazzata Viribus Unitis. Quindi i due, stremati e scoperti, sono catturati e trasferiti a bordo della stessa unità avversaria. Poco dopo l'ordigno esplode, e la nave affonda. Ma non basta; la mignatta, senza più controllo, prosegue il suo moto sino ad arrestarsi sotto il piroscafo Wien, esplodendo e colando a picco pure questo involontario bersaglio. 
Il dopoguerra fa dimenticare i mezzi e le tecniche nuove per quasi quindici anni.

Nel 1935, per la probabilità di un conflitto con la Gran Bretagna, riprendono gli studi e le proposte. Due ufficiali di Marina, Teseo Tesei ed Elios Toschi, partono dalla mignatta per realizzare un mini sommergibile, con equipaggio di due uomini e propulsione elettrica, armato con una testata esplosiva amovibile, da appendere alle alette antirollio dell'unità scelta come bersaglio. Il nuovo mezzo viene chiamato, per motivi di riservatezza, siluro a lenta corsa. Le sue scarse doti di manovrabilità gli guadagnano il nome con cui è più famoso: Maiale. 

Lo stesso anno la neonata 1ª Flottiglia MAS è incaricata di organizzare i Mezzi d'Assalto della Regia Marina. Nel 1936 l'Amm. Aimone di Savoia-Aosta inventa gli MTM (Motoscafi da Turismo Modificati), dei barchini veloci con la prua imbottita da 300 Kg di esplosivo. Il pilota si lancia ad una velocità di 30 nodi verso il bersaglio, eiettandosi poco prima della collisione assieme ad un galleggiante. Lo scafo, al contatto con la fiancata, è tagliato in due da piccole cariche esplosive. Ad otto metri di profondità detona quella principale. La famiglia dei Mezzi d'Assalto si arricchisce così di un terzo componente oltre ai MAS ed agli SLC. Poco dopo, iniziano a Livorno, sotto la guida dell'ingegner Belloni, le esperienze dei Guastatori Subacquei, i Gamma, che marciando sul fondo marino debbono trasportare un ordigno sin sotto le navi avversarie.

Con lo scoppio del 2° conflitto mondiale i Mezzi d'Assalto iniziano la loro carriera operativa, in particolare dei Maiali, trasportati presso gli obiettivi da sommergibili come lo Scirè, comandato da un "certo" T.V. Junio Valerio Borghese, che diverrà successivamente il Comandante della Xª MAS. Nell'estate del 1940 una spedizione nel porto di Suda (Creta) porta 6 MTM ad affondare l'incrociatore pesante inglese York e a danneggiare la petroliera Pericles.

Sorte diversa ottiene l'operazione "B.G.3" su Gibilterra il 15 maggio 1941. Qui la missione è più volte tentata con esito negativo, per una serie di inconvenienti e di contrordini.
Nel marzo del 1941 La 1ª Flottiglia MAS diviene la Xª Flottiglia MAS, un'organizzazione segreta destinata a sperimentare ed usare le nuove armi d'assalto, con Borghese al comando dei mezzi subacquei. Il nome è scelto nel ricordo della Decima Legione, prediletta dall'imperatore Giulio Cesare. Nel luglio del 1941 arriva il disastro con l'operazione "Malta2", progettata in grande stile con l'impiego di MAS, MTM e SLC, per l'attacco al porto della Valletta.

Gli inglesi infatti, oltre che avere installato uno dei primi prototipi di radar nella base, sono in grado di decifrare i messaggi in codice della marina tedesca grazie alla cattura, avvenuta qualche mese prima, di un sommergibile germanico nel cui interno era custodita la macchina decodificatrice "Enigma".
Quel sommergibile era stato considerato, dallo stato maggiore tedesco, affondato senza possibilità di recupero, e solo negli anni 70 venne rivelata la verità. Il suo immediato ricupero da parte degli alleati permise loro di primeggiare sui mari per gran parte del conflitto. 

L'attacco a Malta prende il via il 25 luglio 1941 e trova l'avversario in allarme; il fuoco sui mezzi italiani lascia sul mare 15 morti, 18 prigionieri ed affonda 2 MAS, 2 SLC e 8 MTM. Dopo questa esperienza negativa avviene una riorganizzazione della Decima, dalla quale nasce, per l'intuizione del Com. Eugenio Wolk, una nuova specialità : i "nuotatori d'assalto" o uomini "Gamma", subacquei sprezzanti del pericolo che a nuoto si incaricano di collocare esplosivo sotto le chiglie delle navi nemiche.
Di lì a poco una nuova missione giunge al successo, è la "B.G.4": obiettivo Gibilterra, data il 20 settembre 1941. Gli SLC affondano 2 navi cisterna (la Fiona Shell e la Denbydale") e la motonave "Durban", ed è di nuovo vittoria. Il migliore risultato (e più famoso) viene raggiunto il 18 dicembre 1941 nel porto di Alessandria; l'impiego degli SLC porta al serio danneggiamento della petroliera Sagona e di due importanti corazzate, la Valiant e la Queen Elizabeth. I danni impediranno alle navi di rivedere il mare prima della fine del conflitto. 

Lo stesso Churchill affermerà : "L' Inghilterra ha perso, con la perdita delle navi affondate, la supremazia della flotta in Mediterraneo; prepariamoci a subirne le conseguenze". In tutto il 1942 si susseguono diverse missioni con ottimi risultati, molte con il coinvolgimento degli uomini "Gamma". Il 1° maggio 1943 Junio Valerio Borghese assume il comando dell'intera Xª Flottiglia MAS. 
Poi arriva il tragico 8 settembre 1943. Se l'armistizio porta le forze armate terrestri ed aeree italiane allo sbando più totale, per la Marina la cosa è diversa. Le navi da battaglia, gli incrociatori, il grosso della flotta è ancora in piena efficienza. E queste navi si consegnano senza combattere ad un avversario divenuto improvvisamente amico. È una resa senza condizioni, mascherata col nome di armistizio. Una bella figura di marinaio, il comandante Carlo Fecia di Cossato, si ucciderà per questo, lasciando in una lettera alla madre, testimonianza di sentimenti condivisi da moltissimi altri marinai. I tedeschi intanto calano dal nord, catturano e disarmano intere divisioni rimaste senza ordini, occupano di fatto l'Italia. Nelle basi della Decima tutto rimane normale. Il comandante Borghese apprende casualmente dell'armistizio.

Dopo aver cercato invano ordini, ed aver superato una gravissima crisi morale, decide che continuerà a combattere a fianco dell'alleato tedesco, e con i colori italiani. Quando la Kriegsmarine lo contatta, egli offre la propria alleanza alle sue condizioni e la ottiene con un trattato, siglato il 14 settembre, che permette alla Decima di continuare a combattere al fianco della Germania battendo bandiera italiana, con le proprie uniformi, con propria disciplina ed una relativa, ma ampia, autonomia.
 Questo ancora prima che si potesse pensare alla nascita della Repubblica Sociale Italiana. 

Borghese in quei primi giorni non pensa ad altro che a ricostruire il piccolo reparto d'assalto capace, con pochi mezzi, di colpire duro.
Accade però qualcosa che lo costringe a rivedere i suoi piani. A La Spezia affluiscono sempre più numerosi volontari per arruolarsi. La fama della formazione, il suo desiderio di combattere per l'onore d'Italia, senza marchi e neppure sponsor politici, fanno in modo che in poco tempo tutte le scuole per le varie specialità navali siano di nuovo attive. Intanto arriva anche buona parte del battaglione Nuotatori Paracadutisti: è una forza d'élite della Marina, madre degli attuali incursori ed allora paragonabile forse solo all' SBS britannico. La Decima diventa anche una forza terrestre. I volontari giungono a ritmo serrato, e alla fine dell'ottobre 1943 nasce un primo battaglione di fanteria di
marina, il Maestrale. Un mese dopo viene formato il secondo, il Lupo. Questo successo e l'autonomia di Borghese (conviene sottolinearlo, la formazione da lui comandata è ufficialmente alleata della Kriegsmarine, quasi fosse una nazione sovrana), proprio mentre la RSI cerca di racimolare uomini per le sue Forze Armate, portano ad una serie di scontri e tentativi di inglobamento.

Gli uomini della Decima si sentono dei rivoluzionari, e vi si oppongono sfiorando il colpo di stato. Lo stesso Borghese è arrestato a Brescia, nel febbraio del 1944; ma dopo pochi giorni è rilasciato, e la sua Decima può cominciare la seconda fase di espansione. Ma perché la Decima è rivoluzionaria? Gli uomini che vi sono accorsi si danno delle regole semplici. Sono lì per l'onore, e coscienti per la gran parte di combattere una guerra persa. Ma vogliono perderla bene, e rinunciando a molti orpelli propri della tradizione militare.

Una sola divisa per ogni occasione, ed uguale per tutti, come uguale per tutti è il cibo. Promozioni, solo per merito di guerra. Disciplina autoimposta ma semplice: chi diserta, ruba, saccheggia o commette violenza è passato per le armi. In quei primi mesi l'atmosfera nei battaglioni e nei reparti ricorda molto quella dei soviet, o dei kibbutz. Ed intanto, continuano a giungere giovani da tutta Italia. Nel febbraio 1944 gli alleati sbarcano ad Anzio; la Decima ha il battesimo del fuoco per mare e per terra. Fiumicino ospita una base "segreta", peraltro nota all'avversario perché segnalata da un bandierone enorme, da cui ogni notte i piccoli MTM e SMA (dei motoscafi siluranti con un equipaggio di due persone) partono per gli agguati alla flotta nemica. Molti di questi gusci di noce sono distrutti dal fuoco dell'avversario, qualcuno colpisce. La sproporzione di forze è grossa, ma lo spirito delle azioni è legato ad una frase pronunciata dal comandante Salvatore Todaro: 
"L'importante non è affondare una nave che il nemico può ricostruire. L'importante è dimostrare al mondo che ci sono degli italiani disposti a rischiare la vita, e se necessario a perderla, per schiantarsi con l'esplosivo contro la nave nemica. Perché per noi la morte in battaglia è una cosa bella, profumata". Questa frase ispira anche lo stemma della formazione: uno scudetto portato con orgoglio al braccio, dove un teschio sorridente tiene tra i denti una rosa.

Intanto a marzo il battaglione Maestrale, ribattezzato Barbarigo, entra in linea a Nettuno. Milleduecento ragazzi, poche armi, e tanto coraggio. Lo dicono i loro avversari, gli incursori della First Special Service Force, il miglior reparto speciale alleato della seconda guerra mondiale. Il Barbarigo a Nettuno tra morti, feriti e dispersi subisce circa il 50% di perdite. Nasce un nuovo tipo di eroismo per la Decima, passata in pochissimi giorni da piccolo gruppo scelto di assaltatori (circa 3-400 persone) ad un completo e sfaccettato apparato militare di oltre 18.000 persone. Ma perché così tanti giovani si presentano per l'arruolamento volontario?
Come mai questo non succede e non succederà né per l'esercito della R.S.I. né per il ricostituendo Regio Esercito al Sud? Guardiamo più in dettaglio a quelli che sono gli scopi della Decima Flottiglia M.A.S. dopo l'8 settembre. Borghese ha scelto di rimanere in armi non tanto per favorire l'alleato tedesco, ma per difendere l'Onore d'Italia di fronte al tradimento perpetrato dal Re Vittorio Emanuele III e dal suo stato maggiore nei
confronti degli accordi presi. 
Così scriverà lo stesso Borghese ripensando alla sua scelta : "In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo."

Sono finiti i tempi del "vincere e vinceremo", questo lo sanno tutti, ma i volontari vedono nella Decima il mezzo per riscattare il proprio paese dalla vergogna, andando al fronte a combattere contro quelli che per 3 anni sono stati i nemici, e lo devono rimanere, pur nella consapevolezza che la vittoria è oramai un lontano miraggio. Lo stesso Eisenhower darà ragione a questi uomini scrivendo, dopo la fine del conflitto : "La resa dell'Italia fu uno sporco affare.

Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l'Italia è la sola ad aver perduto questa guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della R.S.I." 
Un'altra peculiarità della Decima Flottiglia M.A.S. è l'apoliticità. L'iscrizione a qualsiasi partito è vietata per i marò, dato che si combatte per il proprio paese e non per un leader politico, un'ideologia od un partito. Borghese manderà nelle Brigate Nere un veterano di Nettuno, Rinaldo Dal Fabbro, solo perché si fregia del distintivo di squadrista. E Dal Fabbro capirà, ed andrà a morire al fronte col battaglione d'assalto Forlì. In questo reparto si uniscono volontari appartenenti alle fedi politiche più disparate, compresi quelli nati in famiglie di storico orientamento socialista. Un esempio per tutti: la terza compagnia Volontari di Francia aggregata al Battaglione Fulmine. La formano figli di emigrati, rientrati in patria per difendere l'onore del paese dei propri padri. Ed in molti casi erano dei fuoriusciti politici, ribelli al regime fascista. 

Nell'autunno del 1944 tocca al Btg. Lupo essere schierato sul fronte del Senio; e i suoi marinai lo giudicano un premio. Poi lo raggiungono gli NP e il Barbarigo. Il Lupo starà in linea per lunghi mesi, contrastando al meglio delle sue possibilità la pressione del nemico e non dimenticandosi mai i principi alla base della Decima. Cosa vogliamo dire con questo ? Ecco un esempio : un giorno, al di là delle trincee sul fiume, un gruppetto di reclute inglesi inesperte passeggia allo scoperto, senza rendersi conto del pericolo, e qualche decina di metri più in là stanno gli uomini della Decima in armi. Un marò, imbracciato il suo M.A.B., spara un raffica in aria: i malcapitati, spaventati, riguadagnano posizioni sicure.
Perché? Ha sbagliato mira? Come ha potuto non centrare un bersaglio così semplice? Così ha risposto quel marò ad un suo compagno "sarebbe stato facile colpirli, ma ho pensato che anche loro avevano una madre che li aspettava". Con questo non si vuole dire che la Decima praticava la non violenza, ma dimostrare che la forza contro avversari leali era usata solo quando strettamente necessario; colpire quei giovani che non stavano partecipando al fuoco sarebbe stato contrario al codice d'Onore di quel marò e di molti altri come lui.
Non solo questi reparti partecipano alla guerra contro gli alleati anglo americani, è tutto il resto della divisione Decima ad essere schierato a fine '44 sul fronte orientale, per arginare la spinta sempre più insistente delle truppe titine comuniste del IX Corpus, e tentare di proteggere la popolazione italiana, spesso trattata barbaramente da queste ultime.

In questo settore la Decima affronta un problema sentito da più parti, comprese alcune formazioni partigiane ed il governo del sud. Per salvaguardare queste terre ed i suoi abitanti, si arriva anche a progetti combinati fra le due Italie, del nord e del sud, come il famoso Piano De Courten, che prevede una collaborazione nord-sud attraverso l'intermediazione della Decima, e dovrebbe portare allo sbarco di truppe regie nel triestino per rinforzare la difesa della zona.
Od ancora alla trattativa con la brigata partigiana Osoppo, per la nascita di un reparto misto Decima-Osovani da impiegare attivamente a difesa della frontiera e dei territori orientali. 

Delle due iniziative purtroppo nessuna si concretizza. Ma la notizia delle trattative basta a scatenare la strage di Porzus, in cui è decimato lo stato maggiore della Brigata Osoppo. (tra gli uccisi figura anche il fratello di Pier Paolo Pasolini). Del ciclo operativo nel goriziano restano i sacrifici del Battaglione Fulmine a Tarnova della Selva, ove per tre giorni resiste, arroccato nel paesino, all'attacco del IX Corpus con una proporzione di 200 uomini contro oltre mille appoggiati dall'artiglieria; del Battaglione Sagittario accerchiato a Casali Nenci, e liberato dagli NP che caricano allo squillo di una tromba; del Barbarigo che a Chiapovano resiste e ripiega incolume all'assalto di forze almeno doppie delle sue.

Di questi e di altri eroi, degli altri battaglioni e dei reparti naviganti che portarono a termine con successo molte azioni contro la flotta alleata nel Tirreno, oggi nessuno parla più. Perché la Decima era formata da rastrellatori, almeno ufficialmente. Già, perché si deve ora aprire un capitolo importante nella storia della Decima Flottiglia M.A.S.: la sua partecipazione alla guerra civile. 
Una cosa pensiamo sia stata chiarita finora, la Decima non è una forza politicizzata e non viene creata né per fornire manovalanza ai tedeschi, né per ridare vita ad un governo fascista. Semmai, opera dove possibile, di concerto con la Regia Marina del sud, ed invitiamo a leggere gli ampi resoconti dei colloqui ed incontri segreti avuti, nelle opere del comandante Sergio Nesi e del guardiamarina Bertucci. I suoi fini strategici sono la difesa dei territori orientali, delle grandi strutture industriali e dei porti italiani. Obiettivi, vale la pena ripeterlo, stabiliti assieme ad agenti venuti dal sud; obiettivi perseguibili, ed in parte raggiunti, proprio grazie all'autonomia ed all'efficienza della Decima. La Decima vuole combattere al fronte per l'Onore d'Italia, ma purtroppo si ritrova coinvolta, suo malgrado, nella guerra civile.

Espressamente create per contrastare il movimento partigiano sono altre forze militari o paramilitari, come la Guardia Nazionale Repubblicana, le Brigate Nere, il CARS, il COGU. 
La Decima Flottiglia M.A.S nel vortice della guerra fratricida tra compatrioti ci si ritrova involontariamente. Ma vuole la Decima combattere contro i partigiani? Sino all'estate del 1944 decisamente no, e successivamente solo per quanto è necessario a garantire la sua sicurezza, e con molte eccezioni, come è per le citate trattative con l'Osoppo, avvenute fra il settembre ed il dicembre del 1944. Quando la Decima è costretta a prendere l'iniziativa di operazioni antiguerriglia, il Comandante Borghese permette, a chi non è d'accordo, di chiedere il congedo, con regolare saldo della retribuzione.

In pochi se ne vanno, e molti restano nella convinzione che non avrebbero comunque operato inutili rastrellamenti e rappresaglie; sbagliando solo in parte. In qualunque località la Decima si rechi, il primo tentativo è sempre quello di contattare i vertici partigiani locali per stabilire un reciproco patto di non belligeranza; "la Decima è qui perché sta attendendo di andare al fronte, quindi se voi non sparate a noi, noi non vi spareremo", questo è il senso degli accordi proposti, e raggiunti con successo in molte zone.

E c'è chi si scandalizza nel vedere partigiani e marinai discutere pranzando in una trattoria: succede in Val d'Aosta, nell'estate del '44. Oppure nel sentire che un disertore,  partigiani; questo capita in Piemonte, nel settembre del 1944. Questa è la norma, con le sue eccezioni. La guerra civile non conosce pietà. Devono però essere ricordati tutti i morti, come gli undici uccisi ad Ozegna, dove il colpevole di furto, è stato condannato e giustiziato da una formazione mista di marinai e
C.C. 
Bardelli, comandante della Divisone Decima, mentre tenta di raggiungere un accordo con i partigiani locali, è ucciso senza pietà assieme a parte della sua ridotta scorta.
O la cinquantina di NP massacrati a Valdobbiadene nel maggio 1945, dopo essersi arresi a formazioni partigiane. Od ancora i marò del distaccamento di Torino, ammazzati a Sommariva Perno.

Qui ci ferma la pietà, per gli uni e gli altri. Ricordiamo le parole di John Donne: "Nessun uomo è un'isola, chiusa in se stessa, ogni uomo è parte del continente, una parte del tutto. Se una zolla è strappata dal mare, l'Europa è più piccola, così come il promontorio, la casa del tuo amico, la tua stessa casa: la morte d'ogni uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell'umanità, e quindi non chiedere mai per chi suona la campana; essa suona per te ". 

La Decima non è stata una forza atta alla crudele repressione quotidiana, senza rispettare anziani, donne e bambini, come si è scritto dalla fine della guerra ad oggi. Molti sono i marò uccisi dopo la fine della guerra, quando deposte le armi su formale promessa partigiana di aver salva la vita, vengono seviziati e trucidati e le loro salme fatte sparire, dopo aver resa impossibile la loro identificazione. 
Il codice internazionale di guerra considera delitti tali esecuzioni. Ma gli autori vengono esaltati come eroi della resistenza. Il Comandante Borghese, a Milano nel momento cruciale della fine della guerra, esce in divisa per le strade della città. Non fugge, e viene processato. Passa in prigione alcuni mesi prima del processo che gli viene fatto. Viene degradato per aver collaborato con i tedeschi, ma nessuna altra colpa gli viene attribuita. E' costretto ad andarsene quando la giustizia "ingiustizia" vuole imprigionarlo per un supposto e ipotetico "golpe". Muore in esilio. 

La Decima è stata in realtà una formazione costituitasi sulle fondamenta eroiche di un gruppo di arditi assaltatori, con l'intenzione di combattere per il proprio Paese e la salvaguardia del suo prestigio. Purtroppo la storia la scrivono i vincitori, ma questo non può impedire che dopo ben 55 anni, piano piano, la verità ed il rispetto per questi Italiani che scelgono di perdere una guerra per espiare una vergogna non loro, ritorni alla luce del giorno.

di EMILIO MALUTA - MARINO PERISSINOTTO
KARL VOLTOLINI
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( * ) Membri dello staff di www.decima-mas.net
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