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1942 . NASCE LA DEMOCRAZIA CRISTIANA
(per l'origine del termine e sul concetto "Democrazia Cristiana"
vedi le pagine di Giuseppe Toniolo > >
Nell'estate del 1942, alcuni esponenti del Movimento Guelfo (Falck, Malvestiti, Clerici ecc.), si recarono a Borgo Valsugana per coordinare con Alcide De Gasperi una azione comune per la creazione di un nuovo partito che fosse la risultanza dell'antico Partito Popolare e del nuovo Movimento Guelfo. Si raggiunse così una intesa comune, e pochi mesi dopo, nell'ottobre 1942, a Milano in un convegno clandestino svoltosi nell'abitazione dell'industriale Falk, fu fondato il partito Democrazia Cristiana.

Oltre che a Alcide De Gasperi, parteciparono tra gli altri Pietro Malvestiti, Achille Grandi, Giovanni Gronchi, Edoardo Clerici, Stefano Jacini, don Primo Mazzolari, Gioacchino Malavasi. Aderirono quasi subito molti dirigenti cattolici, come Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati, Mario Bendiscioli, Giorgio La Pira. E al suo rientro dall'esilio Don Sturzo.

Alcide De Gasperi era stato l'ultimo segretario politico del Partito Popolare nel periodo tra il 20 maggio 1924 ed il 14 dicembre 1925.
Nel 1919 quand'era nato il PPI, DON STURZO il fondatore già nel novembre del 1918, aveva esposto un progetto politico di un partito cattolico, democratico, non confessionale. In alternativa a quello del dirigente cattolico lombardo Stefano Cavazzoni che proponeva la fondazione di un partito alle dipendenze dell'Azione Cattolica. Non era cosa nuova il progetto del prete di Caltagirone: già il 3 settembre 1900 Don Sturzo e Mussi avevano fondato un partito, ma erano sorti contrasti tra cattolici modernisti e i cattolici timorati perchè legati alle alte gerarchie Vaticane.

Come don Sturzo anche ROMOLO MURRI
il
prete marchigiano - interpretando in senso radicale la Rerum Novarum- teorizzava una possibile convergenza tra dottrina sociale della Chiesa e movimento socialista e tra spirito religioso e istanza democratica. Ma apparve clamorosa la posizione assunta dal suo movimento contro la politica repressiva attuata dal governo, posizione che segnò una prima frattura con l'atteggiamento ufficiale della Chiesa, improntato allora ad un assoluto "interclassismo".
Questo perché sia Murri che Don Sturzo,
attaccando gli intransigenti conservatori sostenevano che i cattolici si dovevano impegnare concretamente nella difesa delle libertà fondamentali e dei ceti popolari "anche appoggiando alcune battaglie dell'estrema sinistra".

Murri puntò alla costituzione di un partito politico autonomo. Ciò avveniva nei primi del '900, proprio mentre il Vaticano assumeva posizioni sempre più caute nel campo della politica sociale; perciò esso non esitò ad intervenire direttamente. Nel 1901 papa LEONE XIII emanò l'enciclica Graves de Communi, con la quale vietava di attribuire qualsiasi carattere politico alla "democrazia cristiana"; nel 1904 venne sciolta l'Opera dei congressi, il cui direttore GIOVANNI GROSOLI  condivideva le posizioni di Murri. Nel 1907 quest'ultimo, che nel frattempo aveva fondato la Lega Democratica Nazionale, venne sospeso a divinis, punizione inflitta ai sacerdoti indisciplinati nei confronti della gerarchia ecclesiastica. Poi nel 1909, dopo la sua elezione a deputato con l'appoggio radicale e socialista, fu addirittura scomunicato.
Questa risposta delle massime gerarchie ecclesiastiche al movimento modernista fu di estrema chiusura. Con il decreto Lamentabili, che condannava 65 posizioni chiave del movimento e con l'enciclica Pascendi dominici grecis di Papa PIO X, entrambi del 1907, il modernismo fu condannato in blocco e definito "compendio di tutte le eresie", senza alcuna attenzione alle differenziazioni interne, che pur erano emerse.

Murri pubblicò a fine 1907 anche il famoso libro "La politica clericale e la Democrazia"; si prese la sospensione a divinis seguita l'anno dopo dalla scomunica che mise termine alla sua carriera poltica nei cattolici, mentre il prete di Caltagirone che in un certo qual senso a lui si ispirava, rinuncerà ad attuare praticamente l'idea di un partito (il PPI) come l'aveva concepito, ritenendo (con l'antimodernista Pio X sul soglio, fino al 1914 - con la sua enciclica "Sugli errori del modernismo"
) i tempi prematuri.

Don Sturzo torna però alla ribalta (era salito sul soglio Benedetto XV) nel 1915, quando viene nominato segretario dell'Azione Cattolica; attende qualche anno poi nel 1918-1919, ritorna al suo progetto. Il Vaticano - con la definitiva abolizione del
non expedit in occasione delle elezioni del novembre 1919, sciogliendo l'Unione Elettorale Cattolica, prese la decisione con l'appoggio della giunta direttiva dell'Azione Cattolica di sancire il riconoscimento pontificio del Partito Popolare di don Sturzo (ma si dovettero quasi subito pentire, quando con il fascismo mussoliniano quest'altro "prete ribelle" cominciava " a creare qualche impiccio" alla Santa Sede).


Don Sturzo, seguendo la sua originale linea- nel creare il suo partito non si fa scudo di una comoda croce (e nemmeno usa il "cristiano"), infatti afferma la necessità di non voler caratterizzare la nuova formazione politica in base alla scelta religiosa dei suoi aderenti. E aggiunse -al 1° congresso del PPI a Bologna nel giugno 1919- "E' superfluo dire perchè NON ci siamo chiamati "partito cattolico": i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, e abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione".
Insomma Don Sturzo riteneva che la Chiesa come istituzione dovesse tenersi libera e distante dalle questioni politiche (ed erano le stesse idee di GIOLITTI, di MURRI, e in modo più blando e sofferto TONIOLO).
Questa linea aconfessionale prevalse sull'altra mozione presentata al Congresso, dal direttore della rivista "Vita e pensiero" AGOSTINO GEMELLI, secondo il quale il partito doveva dichiarare esplicitamente l'impostazione cristiana del suo programma, pur confermando la scelta dell'autonomia dell'autorità ecclesiastica.


Ciò che nel 1921 fece cambiare indirizzo al PPI, e in seguito a scomparire dalla scena politica, fu il nuovo clima politico creato dal rafforzamento del fascismo, favorito in questa ascesa anche dal caotico "biennio rosso". Quando don Sturzo al III congresso del PPI a Venezia si pronunciò a favore di un'eventuale collaborazione con i socialisti e i democratici in funzione antifascista, iniziarono le prime spaccature all'interno del partito. Mussolini che aveva preso il potere, aveva formato un governo sì con l'aiuto dei Popolari ma con una corrente di destra del PPI, che non era insofferente al fascismo come don Sturzo, che al IV congresso di Torino del '23, si presentò con la
formula "né opposizione, né collaborazione". Ma se alcuni della sua corrente volevano uscire dal governo e fare opposizione, altri (la minoritaria corrente di destra del PPI) intendevano rimanere al governo e collaborare col fascismo.

Mussolini con quella formula "non ci sta", e per queste ambiguità espressa a Torino, manda a dire a don Sturzo che vuole chiarimenti "chiari, precisi, inequivocabili". Intanto forte di quella corrente minoritaria, Mussolini furbescamente fa sapere a tutta Italia che ha dalla sua parte il partito cattolico, e che la sua antipatia è solo diretta verso "quel sinistro prete". Un messaggio che è indirizzato e arriva molto chiaro anche oltre il Tevere, molto attenti ai successivi sviluppi di un partito in ascesa, il Comunismo, nato dopo la scissione dai socialisti avvenuta a Livorno nel 1921.

Mentre Don Sturzo è in quella situazione, Mussolini il 19 maggio incontra Alcide De Gasperi, e il trentino (tanto odiato da M. quand'era a Trento) non oppone rifiuto a priori ai progetti mussoliniani, compresa la riforma elettorale. Fu il colpo di grazia che mise alle corde e isolò del tutto Don Sturzo, che prima dovette dimettersi da segretario, e l'anno dopo (invitato!!!) a prendere la via dell'esilio ("per non creare problemi alle autorità ecclesiastica"). Rimarrà a Londra in esilio per ventidue anni.

Il 20 maggio 1924 Alcide De Gasperi è nominato segretario del Partito Popolare. Ma si è appena insediato, quando il 30 dello stesso mese avviene la scomparsa di Matteotti; si teme il peggio; poche settimane dopo c'è l'Aventino, e quando viene rinvenuto il cadavere di Matteotti il fascismo e quasi sull'orlo della disfatta.
A quel punto l'opposizione di De Gasperi al fascismo e a Mussolini diventa ferma decisa e risoluta anche se (con un Mussolini uscito poi indenne dalla bufera) dovette pagare lo scotto col suo ritiro dalla vita politica attiva a seguito dello scioglimento del Partito e, dopo un periodo persecutorio, un arresto, una condanna, qualche mese di galera e un domicilio coatto, si rifugiò nella Biblioteche Vaticana a fare schede, per sfuggire a ulteriori persecuzioni del fascismo.
De Gasperi inizia a uscire dalle mura leonine -come accennato all'inizio- nel 1942, quando lo ritroviamo a Milano a fondare in ottobre il nuovo partito cattolico e a presentare un primo schema programmatico della Democrazia Cristiana che verrà diffuso clandestinamente in tutta Italia con la firma di "Demofilo" (pseudonimo di De Gasperi) nel periodo della dominazione nazifascista in settentrione.
Era un primo schema programmatico dove si affermava::
"Non è questo il momento di lanciare programmi di parte, il che sarebbe impari al carattere di quest'ora solenne che reclama l'unità di tutti gli italiani".

Si accennava tuttavia a un programma ufficioso, mentre quello ufficiale sempre a firma "Demofilo" lo pubblicò clandestinamente prima "Il Popolo" , poi uscì un opuscolo intitolato "La parola ai democratici cristiani" che iniziava con questa nota dello stesso De Gasperi:

"L'ossatura di questo proclama si trovava già nel nostro primo documento, che venne compilato ancora durante il regime fascista in feconde discussioni, con la valida cooperazione di alcuni amici di provata competenza tecnica e che immediatamente dopo il colpo di Stato, venne edito sotto il titolo « Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana». Della introduzione, invece, di questo secondo documento, della nuova formulazione e dei capitoli aggiunti è responsabile Demofilo, al quale non fu sempre possibile di consultare tutti i precedenti collaboratori. Il presente testo venne scritto alla fine di ottobre, pubblicato la prima volta su Il Popolo del 2 novembre 1943 ed esce ora, gennaio 1944, con lievi aggiunte e modificazioni».
(Atti e documenti della D.C. 1943-1967 - Nov '67, Prefaz. Mariano Rumor, Ed. 5 Lune, Roma)
Per la scelta di una linea da dare al partito, De Gasperi come contenuti si ispira a Murri (anche se — secondo don Lorenzo Bedeschi (Cfr. L. Bedeschi, Murri, Sturzo, De Gasperi. Ricostruzione storica ed epistolario (1898-1906), cit., p. 111.) tacerà l’influenza di don Romolo Murri, sostituendo la figura dello scomodo sacerdote marchigiano come punto di riferimento con quella, ineccepibile dal punto di vista dell’ortodossia, di Giuseppe Toniolo, nei confronti del quale, peraltro, aveva avuto qualche parola di critica (ib. p. 114) e si ispira a don Sturzo (più volte cita le tradizioni del PPI, gli indirizzi e i concetti sociali - del resto proprio De Gasperi aveva fondato a Trento un Partito Popolare), mentre, come nome da dare al partito guarda ancora a Murri del 1900 e a Toniolo (quest'ultimo allora più ossequente verso l'autorità ecclesiastica), e, oltre che prendere il partito il nome di Democrazia Cristiana (fu proprio Toniolo a coniare questo nome e Murri a usarlo nel suo partito), il simbolo diventa proprio uno scudo con la croce; che non era però -come abbiamo visto- di certo nella tradizione di don Sturzo, che tuttavia aderì pure lui alla DC degasperiana dopo essere rientrato dal ventennale confino. Mentre il rientro di Murri a quella data non era ancora avvenuto.

La curia romana pur mostrandosi un po' sospettosa, Monsignor Tardini in un memorandum a Myron Taylor, nel dicembre del 1943, indica in De Gasperi il candidato più gradito alla Santa Sede per la guida di un nuovo governo (
E. Di Nolfo, Vaticano e Stato Uniti 1939-1952. Dalle carte di Myron Taylor, Milano 1978, pp. 60 e 279)
Tuttavia la Curia è sospettosa, perchè il partito di De Gasperi è nato dall'unione fra gli esponenti milanesi del Movimento Guelfo d'azione e da un manipolo di ex dirigenti del vecchio Partito Popolare, compreso proprio don Sturzo, capace di combinare nuovi pasticci (come quelli di Torino 1923) magari rilanciando il suo slogan di "uomini liberi e forti" del 1919.


Il sospetto della Curia era forse motivato; ricordiamo che durante il Concordato, con la vittoria clerico-fascista sulle membra del cattolicesimo democratico, De Gasperi - che non era di certo fra i conciliatoristi- era stato caustico con i suoi vecchi amici, "I cocchi dei trionfatori passano schizzando fango sui travolti che stentano a salvarsi sugli angoli della via" (
A. De Gasperi, Lettere sul Concordato, Brescia 1970, pag. 59) Era amareggiato, indignato e dissentiva
pure con Civiltà Cattolica: "Da tempo si stanno trascurando i precetti della dignità. L'educazione clericale insegna a stare in ginocchio ma dovrebbe apprendere anche a stare in piedi. Così adesso sono contenti i clerico-papalini e sono contenti i fascisti. Per Mussolini é un trionfo!".

La Curia abbiamo detto era sospettosa, perchè sempre Civiltà Cattolica mentre De Gasperi creava il suo partito, non escludeva che "tra i cattolici potessero sorgere più partiti lecitamenti discordanti". Non sbagliava Civiltà Cattolica, e la Curia aveva le sue ragioni per essere sospettosa. Infatti oltre quel partito di Guelfi e di ex del PP, era nato un movimento cristiano-sociale guidato da Gerardo Bruni (
vedi AA.VV. "Gerardo Bruni e i cristiano-sociali tra fascismo e repubblica, a cura di Parisella, Roma 1984), e si era formato addirittura un gruppo di "cattolici-comunisti" guidati da Franco Rodano e Adriano Ossicini, che più prudentemente poi chiamarono "sinistra-cristiana", ma che non servì per calmare le apprensioni al di là del Tevere. Anzi quel "sinistra" era proprio un presagio sinistro.

Dobbiamo a questo punto tornare all'inizio 1944, quando a Bari in un congresso si riunirono i comitati di liberazione (questi fatti più dettagliati li abbiamo riportati nel singolo anno 1944). Le cronache ci dicono che fu eletta una giunta permanente, composta da un rappresentante per ogni partito, per mettere in pratica la risoluzione del congresso; che era quella di proporre l'abicazione del Re e il rinvio della scelta istituzionale. Ma l'aria che tirava (con le nuove relazioni Russia-Badoglio) era quella di una eventuale partecipazione a un governo Badoglio (che poi avanzò Togliatti al suo rientro in Italia alla fine di marzo, sconcertando i comunisti italiani e lasciando sbigottiti gli anglo-americani).
Non sappiamo nè da Badoglio, nè dai comunisti cosa accadde. Lo possiamo solo immaginare quando andiamo a leggere una dichiarazione della Democrazia Cristiana del 26 gennaio
(il documento è riportato in "Atti e documenti della Democrazia Cristiana 1943-1967", presentati da Mariano Rumor, edizione 5 lune, 1967). Ecco cosa riportava la dichiarazione
"In riferimento alla dichiarazione del Partito Comunista pubblicata sul Risorgimento del 25 gennaio la Democrazia Cristiana precisa che, fra le condizioni per una eventuale partecipazione al Governo Badoglio, vi era quella della collaborazione con tutti i Partiti rappresentati nei Comitati di LIberazione, e non già con i soli Partiti Comunisti e Socialisti". ("Non già con i
soli partiti Comunisti e Socialisti" - Chi stava tramando? quel "non già con i soli" è inequivocabile)

Il 27-29 gennaio sempre a Bari la DC tenne un congresso, parallelo a quello dei C.d.L.N. Probabilmente si discusse molto. Poi alla chiusura del Congresso dei Comitati , l'O.d.G. dello stesso Comitato costituiva la Giunta Esecutiva Permanente, alla quale furono chiamati i rappresentanti designati dai partiti componenti i Comitati, onde predisporre le condizioni necessarie per il raggiungimento degli scopi discussi.
In fondo al documento vi era la firma di sei partiti: Michele Di Pietro per il PLI, , Paolo Tedeschi per il PCI, Luigi Sansone per il PSI, Adolfo Omodeo per il P.d'A., Andrea Gallo per Democrazia del Lavoro, e
infine Angelico Venuti per la DC (dunque c'era anche la DC, e spariva il "soli")
Indubbiamente le poche righe in corsivo sopra, per quanto la Santa Sede sospettosa, fecero accelerare il riconoscimento ufficiale della Democrazia Cristiana di De Gasperi; e sul suo partito (con nel simbolo la croce) la Chiesa spinse i propri credenti.

Ma poi quasi subito, Pio XII iniziò a giocare le sue proprie carte con l'uomo giusto a portata di mano, lo zelante LUIGI GEDDA. Frenetico e abile oganizzatore, lui (che ha già quarto di secolo di militanza nella AC - e che dopo il 25 luglio, caduto Mussolini e il Fascismo, offrì subito la propria collaborazione a Badoglio e gli chiese di porre uomini dell’Azione cattolica alla testa delle organizzazioni giovanili, assistenziali e culturali in precedenza guidate dai fascisti.) ogni cosa che tocca (professioni, categorie, ex associazioni, ex sindacati ecc.) la trasforma in una "Unione...x o y.... di cattolici", i medici, gli insegnanti, gli operai, i contadini, gli addetti allo spettacolo, quelli addetti alla radio, allo sport. Con gli ex balilla rimette in piedi gli scout, con questi forma gli
eserciti della fede che mobilita in adunate oceaniche al canto dell'inno della Giac "...Siamo arditi della fede, / siamo araldi della Croce, / a un tuo cenno, alla tua voce, / un esercito ha l’altar».; ed infine crea il suo capolavoro: i COMITATI CIVICI, un formidabile strumento capace di mobilitare i cattolici e gli italiani anche non cattolici (le mogli, le figlie, le sorelle, le madri dei comunisti, che in chiesa ci andavano comunque) con un’efficace martellante propaganda, in grado di opporsi al Partito Comunista Italiano.

"Fermare il Fronte Popolare di Togliatti che guardava a est e contava sull'ingresso dei carri armati di Tito e Stalin in Italia dopo la vittoria del Fronte Popolare. C'era il reale rischio che sorgesse una confederazione comunista ed atea da Leningrado a Madrid, dove gli sconfitti dal generale Franco avrebbero potuto essere stimolati alla rivincita. Le sorti non solo dell'Italia, ma dell'Europa intera, erano in gioco."
(Politica del Fronte Popolare, raccontati dal Prof. Gedda nel suo ultimo libro: "18 aprile 1948 - memorie inedite dell'artefice della sconfitta del Fronte Popolare" - Ed. Mondadori – Le Scie - Aprile 1998 - Capitolo XVI)

Gedda si muove con disinvoltura e ha grandi capacità organizzative; domina le masse cattoliche, le riunisce, le guida e le muove quando vuole lui e dove vuole lui (suscitando qualche preoccupazione in De Gasperi). Si affida ai 300.000 attivisti dei 18.000 Comitati Civici che ha creato e scatena una propaganda capillare attraverso 282 Diocesi, 25.647 Parrocchie, 66.351 Chiese, 3.172 Case Religiose Maschili, 16.248 Case Religiose Femminili, 4.456 Istituti di Assistenza e di Beneficenza con 232.571 assistiti, e 249.042 ecclesiastici, fra cui 71.072 preti, 27.107 religiosi professi e 150.843 professe. Diventano tutti ambasciatori di una direttiva esplicita ben chiara. "Demonizzare il Comunismo e i suoi rappresentanti".

Affiancate in una altrettanta penetrazione nell'ambito del nucleo familiare, ci sono tutte quelle associazioni giovanili, professionali, sportive, o di lavoratori e coltivatori, che prima (ancora dall'Opera dei Congressi con Rumor-padre tra i fondatori) o durante il fascismo (sciolte poi da Mussolini) si presentano nel dopoguerra con altri nomi.
Sono tutte associazioni usate per rinfocolare con ogni mezzo "la paura del comunismo" che é presentato come l'"impero del male", "una sventura per l'Italia qualora si insinuasse nella vita civile italiana questo cancro", "una disgrazia incalcolabile", "un salto dentro un abisso dove non esiste Dio".

Pio XII è stato esplicito: già nel discorso natalizio del 22 dicembre 1946, il suo messaggio lo termina con una invocazione che sembra una dichiarazione di guerra; che continuerà ad essere nei successivi anni ripetuto, alla radio, e nelle piazze e nelle chiese di ogni villaggio:"O con Cristo o contro Cristo".
Gedda incontra continuamente il Papa (64 udienze) e mobilita enormi masse di giovani, forma gli "eserciti della fede" con uno slogan " questa fede che abbiamo radicata in noi é fino al punto di dare per essa se necessario il sangue" . Gedda infatti giustifica questa lotta appellandosi agli antichi martiri della Chiesa contro "i senza Dio".

Già al voto del referendum Repubblica-Monarchia, De Gasperi si era espresso, in privato (lo ha ricordato la figlia Maria Romana) per la Repubblica, ma la DC clericale lascia libertà di voto a causa delle forti lacerazioni interne tra un elettorato progressista (di sinistra) ed uno conservatore (di destra e monarchico); è il primo sintomo dell’ambiguità della cosiddetta "Balena Bianca": e sarà così per tutta la prima fase della storia repubblicana.
(del resto, poi, nel 51, Pio XII
con Gedda era stato chiaro: "....consiglia di non attaccare le destre perché non diventino a loro volta anticlericali". (vedi più avanti)

Alcuni storici hanno scritto che i "Comitati Civici trasformarono il terrorismo psicologico in merce corrente della lotta politica"; così
pure "La voce di Dio"
, cioè padre Lombardi nelle piazze d'Italia, o con il suo "microfono di Dio" alla Radio, che "con le sue roventi orazioni evocava scenari apocalittici per mettere in guardia gli ascoltatori contro le infamie del comunismo" (S. Lanaro, Storia dell'Italia Repubblicana, pag. 96, Marsilio, 1992).

Legittimo invece secondo Giuseppe Vedovato: "Vi fu chi mise in dubbio la legittimità dell'azione dei Comitati Civici, come se fosse un'ingerenza delle gerarchie vaticane nella vita dello Stato repubblicano, e chi scrive avrebbe dimostrato, da deputato, nei primi mesi del 1958, allorché venne discussa una mozione comunista in questo senso (presentata da Togliatti, Gullo, Pajetta) l'infondatezza giuridica e politica dell'accusa. I Comitati civici erano costituiti da cittadini italiani legittimati ad agire liberamente come tutti gli altri, che avevano scelto di lottare per l’"anticomunismo di massa” alle elezioni, ma non si fermavano a questo, perché svolgevano una continua presenza tra le classi più permeabili alla propaganda dei comunisti".
(Giuseppe Vedovato dalla rivista “30 giorni”, anno XIX (2001) n° 10 (ottobre), pag. 92-94).

Quella sopra è un distinguo, ma ricordiamo che a causa dei Patti lateranensi (riconfermati nella nuova Costituzione) all'Azione cattolica era vietato fare politica per un partito. E l'azione dei Comitati Civici era una vera e propria propaganda politica.

Ogni vescovo, ogni prete, ogni curato anche nei più piccoli paesi (dove non esistevano gruppi di azione cattolica) già "crociato della fede", si trasforma in virtuale "crociato politico"e con i Comitati Civici ognuno di loro diventa uno zelante propagantista politico della DC.
Ecco perchè da più parti fu detto che era una ingerenza della Chiesa nelle vicende politiche. Lo capì e lo disse perfino il cattolico liberale don Luigi Sturzo: "La Dc è diventata debitrice dell'Azione Cattolica".


La vittoria ci fu, ed era forse indispensabile per l'Italia, ma mostrò e perpetuò una arretratezza politica del Paese: la dipendenza del cattolicesimo politico dalle gerarchie. E quando quest'ultime diventarono poco influenti, la prima vittima fu proprio Luigi Gedda.
Primo colpo nel 1952, quando appoggiò una operazione di una alleanza tra Dc e destre per il Comune di Roma - operazione che fu fatta fallire (parole di Sturzo del 1959) "dai comunistelli di sagrestia, da sinistri delusi, da impiegati nelle cento aziende di Mattei, dagli scrittori del Giorno".

"Il secondo colpo per Gedda fu quello fatale. Morto Pio XII nel 1958, con l'elezione di Giovanni XXIII, Gedda conobbe una progressiva eclisse. Il suo giudizio sulle scelte e sui toni di papa Roncalli non erano molti entusiasti. Finirono i tempi della mobilitazione. De Gasperi era morto già da quattro anni, e l'Italia era profondamente cambiata, era all'inizio del "miracolo economico". I produttori dovevano vendere, e i media diedero a loro un apporto non indifferente per far cadere tanti tabù degli italiani "timorati di Dio".

Infatti, il nuovo corso di Giovanni XXIII fu di apertura alle sinistre. Fanfani si diede da fare e nel 1963 crea il primo governo di centrosinistra presieduto da Moro. Gedda, che ricorda un passato tradizionalista, a quel punto deve essere messo da parte. I presidenti dell'Ac debbono essere uomini del "nuovo corso" pragmatico della DC. La metamorfosi delle associazioni cattoliche in "compagne di strada" dei comunisti non tarderà molto: Acli, Scout, Ac, scelgono il "primato dei poveri" e la "redenzione degli umili".

Nascono in questi anni le due tendenze del mondo cattolico: quella ufficiale dell'AC, aperta e forse sfondata a sinistra, come mostra il trionfo del modello dossettiano ("il bolscevico bianco") del cattocomunismo, nato e allevato proprio in AC; e quella del buon senso della maggioranza dei fedeli, indotta a continuare a votare DC "turandosi il naso" solo per la paura di quel comunismo, che non subito ma (aiutato da tangentopoli e dallo sfascio della DC) solo nel 1996 andò al governo insieme con gran parte dei dirigenti dell'AC.
(sintesi di un articolo di Gianfranco Morra da "Libero" del 28 settembre 2000).

"Terzo colpo e altra sconfitta, quando Gedda fu richiamato in servizio nel 1972 al referendum per l'abolizione del divorzio. Toccò a Gedda, al vecchio combattente organizzarlo e... perderlo. Ormai non lottava più solo contro il vecchio nemico rosso, ma contro una parte non piccola della sua AC, che aveva assunto una posizione favorevole al mantenimento del divorzio ("cattolici del no"), primo passo per collocare i suoi esponenti nelle liste elettorali del Pci.
Fu la sua ultima sconfitta. E fu la sua ultima testimonianza di coerenza e di dignità. Perchè in questi ultimi impegni, più propriamente etico-religiosi, erano ben più importanti e validi di quello che profuse per far vincere la DC nel 1948". (Ib.)

"Nel 1948, Pio XII e Gedda conquistarono democraticamente il potere in Italia. Ma la DC, che da quelle elezioni emerse come forza incontrastata, non gliene fu grata. Se ci fu un uomo odiato da molti democristiani fu appunto Luigi Gedda. Si temette infatti che egli, capo reale del popolo cattolico italiano, potesse usare questa forza per insidiare il principio del partito democratico cristiano. Gli fu ostile De Gasperi, gli furono ostili la sinistra democristiana di Dossetti e Fanfani. Ma soprattutto, è il caso più singolare, egli ebbe ostili parti rilevanti dell'Azione cattolica: gli universitari cattolici, i laureati cattolici, tutta la rete che faceva capo a monsignor Giovanni Battista Montini, che pure era sostenitore dell'appoggio della chiesa alla DC, ma che voleva che fosse il partito, e non l'Azione cattolica, a ereditare la forza politica conquistata attraverso le elezioni"...."Gedda dovette subire l'ostilità interna all'Azione cattolica, fino al punto che la stessa Giac, con Carlo Carretto, lo abbandonò e abbandonò il Papa negli anni Cinquanta contribuendo così all'isolamento di Luigi Gedda. Il suo tempo era finito"...... " Di lui neanche la chiesa cattolica conserva un ricordo, non credo che egli sarà adeguatamente commemorato e la democrazia italiana non accetta di annoverare i Comitati civici di Gedda tra i suoi fondatori, appunto per la sua cultura laica".
(articolo di Gianni Baget Bozzo da "Il Giornale" del 28 settembre 2000, commemorando Gedda)
Torniamo proprio al 1948, e a De Gasperi. Fin dall'inizio di questa mobilitazione cattolica, il clerico-moderato De Gasperi inizia ad avere aspri dissidi con Pio XII; non respinge il contributo di queste campagne elettorali, di tipo sanfediste, ma nemmeno vuole "uno smantellamento delle poche autonomie del laicato sopravvissute sotto Pio XI e un'attenzione spasmodica, multiforme, martellante, quasi ossessiva per i mezzi di comunicazione di massa" (ib. pag. 96), su cui Gedda e Pio XII hanno concentrato i loro sforzi e ne hanno fatto una direttrice di attacco.

E se De Gasperi non ha fiducia in Pio XII, Pacelli non ha fiducia nei partiti, anche se uno è ben saldo in mano a un cattolico e si chiama "Democrazia Cristiana". De Gasperi temendo di perdere lo scontro con le agguerrite legioni di Togliatti ( una possente macchina organizzativa - 2 milioni di iscritti, 36mila cellule, una galassia di sindacati, strutture organizzative, che ha aggregato
attorno a sé altri partiti della sinistra, che organizza scioperi di massa, manifestazioni di piazza, quindi capace di assestare una spallata definitiva per gettare l'Italia verso Est. ) espresse alcune preoccupazioni; ma gli dissero al di là del Tevere, che non si doveva preoccupare "per l'elettorato ci penserà Gedda con le sue "Crociate del Grande Ritorno".
Pio XII insomma non crede nella DC come "partito cristiano" e le sue speranze di una vittoria sono riposte solo nei Comitati Civici. Questi dovrebbero risvegliare nel popolo
il sentimento cristiano per renderlo capace di condizionare le vicende politiche.
Fino a quando questa collaborazione fu possibile la Democrazia Cristiana rimase piuttosto compatta, poi venne la moda di considerare
l'assurda esistenza di una sinistra e di una destra all'interno del medesimo partito, la partitocrazia, il trasformismo e il crollo di ciò che la direttiva di Pio XII, Primate d'Italia, aveva creato. (l'assurdo sarà poi una realtà nel '94)

Infatti, accadrà, iniziando dal 1953-54, che non saranno più i Comitati civici a condizionare la DC, ma sarà la potente DC "partitocratica" a fagocitarli.
Di quelle elezioni del '48, Gedda sembrò, uno dei vincitori, ma il vero vincitore fu De Gasperi, e con lui i cattolici liberali, anche se i due non furono certo i maggiori protagonisti della vittoria elettorale della Democrazia cristiana (la testimonianza di Andreotti in questo senso è esplicita).
Non dimentichiamo le aspre requisitorie in USA, con Truman e la sua "dottrina", pronta ad intervenire ovunque, quindi anche in Italia, per sostenere la libera democrazia; infine Marshall (20 marzo 1948 - a un mese dalle elezioni del 18 aprile) minacciò di far cessare gli aiuti economici all'Italia nel caso di una vittoria elettorale di comunisti e socialisti.

Ma a parte gli aiuti, economici e alimentari "....l'immaginario collettivo della popolazione era rivolto al mito americano, mentre i due maggiori partiti della sinistra, facevano critiche a questo mito, talune giuste, ma non avevano da contrapporre idee sul modello da realizzare, e del resto la preferenza per il liberismo era diffusa anche tra i pochi economisti italiani che pur si riconoscevano nei programmi della sinistra".
(Tranfaglia, La storia, l'Età contemporanea, 5 vol. pag 88, Garzanti).
"D'altra parte, Secchia, allora capo dell'organizzazione comunista, non nascondeva critiche alla posizione di Togliatti prevalente nel partito che pareva condannare i comunisti, in assenza di una scelta rivoluzionaria peraltro problematica per ragioni internazionali ma anche interne"
(Ib. pag 89).

Prima ci fu la rottura dei governi di unità nazionale, poi alla coalizione centrista, e alla Dc in primo luogo si presentarono problemi politici di una certa gravità. Nel 1952 la Dc iniziò a perdere voti al Sud, ma anche al Nord i cattolici perdevano consensi a favore dei partiti della sinistra.
Le scomuniche che arrivarono dalla Santa Sede nei riguardi dei militanti comunisti, estese ai simpatizzanti socialisti, invece di allargare il suffragio ai democristiani, inasprirono i rapporti. Situazioni tese nelle fabbriche del nord, situazioni critiche nelle campagne del Sud.

Di fronte al pericolo di aprire la strada a una maggioranza della sinistra o a una situazione di ingovernabilità (nonostante l'apporto dei liberali, dei repubblicani, dei socialdemocratici) De Gasperi si trovò di fronte a forti pressioni della gerarchia ecclesiastica che lo invitavano ad aprire alle forze di destra.
Ma l' "Esperimento Sturzo" fallì clamorosamente.

"Nell’Operazione Sturzo, il Papa avrebbe voluto la costituzione di un’unica lista per le elezioni comunali romane fra tutti i partiti anticomunisti, e incaricò don Luigi Sturzo di condurre appunto l’operazione. Il Papa l'ideatore, Gedda come al solito l'organizzatore; pronto a mobilitare le sue legioni, e a far piovere dal cielo (milioni di manifestini dagli aerei) i "messaggi della fede".

"Ma Papa Pio XII e Gedda, che nel frattempo era diventato Presidente generale dell’ACI, dovettero subire il rifiuto di tutti i Presidenti dei rami dell’ACI, e cioè
"[...] Carretto (Giac), Badaloni (Maestri Cattolici), Miceli (Gioventù Femminile) e Carmela Rossi (Donne Cattoliche), come pure la Fuci e i Laureati Cattolici; e questo perché l’operazione Sturzo coinvolgeva l’elettorato di destra. Soltanto Maltarello, presidente degli Uomini di Ac, si dichiarò favorevole" . 

"Gedda trova il Papa "molto triste" che "[...] osserva che l’Azione Cattolica collabora non con la Chiesa ma con la Democrazia Cristiana" , che gli parla di "amare scoperte" , arrivando ad affermare che "l’Azione Cattolica, per la quale sono stati fatti tanti sacrifici, non è più nostra" .
"In questo periodo matura il "ribaltamento" del pensiero di Carlo Carretto — che il 17 ottobre 1952 rassegna le dimissioni — la cui trasformazione si deve soprattutto "[...] all’influenza degli uomini della Democrazia Cristiana che lavoravano per un’intesa con i comunisti, e in particolare a Giuseppe Dossetti" .

( L. Gedda, "18 aprile 1948". Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare).

Dunque il pericolo rimaneva ed era imminente ( davanti c'erano le elezioni politiche del 7 giugno 1953). Verosimilmente ci furono pressione delle gerarchie ecclesiastiche, quando De Gasperi propose quel disegno di legge elettorale che l'opposizione battezzò "legge truffa". O forse sottovalutò il vasto movimento di opinione contrario e i dubbi sorti anche all'interno dei partiti di governo.
La legge (che ricordava un po' la legge Acerbo del '23, che fu il preludio alla dittatura di Mussolini - e don Sturzo cadde proprio perchè si era opposto a questa legge) introduceva per i partiti "apparentati" che conseguissero il 50,1 per cento dei voti un premio di maggioranza da far conquistare due terzi dei seggi.
Ma alle elezioni, per una manciata di voti (57.000) la legge non scattò.

Ad
Alcide De Gasperi si diede la responsabilità di questa sconfitta, che infatti segnò la fine della sua lunga carriera (un anno prima della morte) e segnò il tramonto di quella coalizione di centro che resse l'Italia nella prima legislatura della repubblica.
Molti affermano che il cattolico ed antifascista De Gasperi fu proprio lui a dire di no al Vaticano ed all'anziano don Sturzo opponendosi all'apertura a destra.
Il Vaticano non glielo perdonò mai ed il pontefice Pio XII non ricevette lo statista in occasione del trentesimo anniversario del suo matrimonio.
In effetti aria di fronda verso la DC c'era, visto che Gedda scriverà poi nelle sue "Memorie inedite" (Mondadori, Milano 1998) "
"Gli chiedo (a Pio XII) se dobbiamo continuare ad appoggiare la Dc con i Comitati Civici ed Egli approva questo orientamento, ma consiglia di non attaccare le destre perché non diventino a loro volta anticlericali".

E sappiamo che da quel momento, attraverso una lunga e difficoltosa transizione, la DC il maggior partito italiano, si muove, tra oscillazioni e incertezze, passi avanti e ritorni all'indietro, o verso l'incontro con una parte della sinistra ritenendo indifferibile una stagione nuova, di moderato riformismo. E più avanti, scomparso De Gasperi, concorreranno a determinare la direzione di quel processo prima di tutto fattori internazionali (destalinizzazione intrapresa da Kruscev), poi interni (ascesa di Papa Giovanni XXIII che si dedicarà più ai compiti evangelici e pastorali piuttosto che a quelli ideologici).

Nella DC degasperiana, molti nuovi emergenti personaggi iniziano ad occuparsi solo di se stessi, alcuni iniziano perfino a identificarsi con le stesse strutture della democrazia. Don Sturzo la battezza subito "partitocrazia". E criticando, criticando, diventa perfino un "rompiscatole"; ma sono critiche che dopo essere disceso nella tomba e a distanza di anni sono critiche di una grande modernità, o meglio sono delle profezie. E non aveva ancora visto nulla; lui infatti morì nel 1959.

Se nel '23 Mussolini lo aveva emarginato perchè lo temeva, nel '45 dopo il suo rientro, per le sue idee lo avevano preso per matto, un "rompiscatole", un "catto-comunista".
Persino La Pira giunse a dire che "tornando dall'esilio, Don Sturzo era rincretinito", solo perchè il prete ribelle - nel tentativo di creare in Italia una società
cristiana e socialista, seguitò a fare nei suoi ultimi anni una durissima critica allo statalismo, al demagogico populismo, a bacchettare i politici in cerca del potere per il potere.


E con Don Sturzo, "matto" era anche Dossetti (altro accusato di essere un "prete bolscevico") pure lui se non proprio emarginato, auto-emarginatosi perchè sdegnato: famosa la sua frase a un latifondista che si lamentava degli scioperi; "... ma chi spinge i braccianti a scioperare? I comunisti, o voi altri, col vostro sporco egoismo, col vostro desiderio di fare sempre più soldi sulla pelle degli altri?"


La DC in quel periodo è divisa in tre tronconi: con un centro destra moderato (ma immobile perchè sa di essere poco amato); con una sinistra che come i comunisti e socialisti bada alle istanze di giustizia sociale; ed infine un altro gruppo sempre di sinistra che però è impegnato essenzialmente a rovesciare i rapporti di forza interni al partito e a porre termine a quella che loro chiamano "dittatura degasperiana". Questa insofferenza verso il potere assoluto dell'uomo trentino era già emersa alla fine del 1948, quando a Pesaro Fernando Tambroni sbottò: "La Dc è in dominio e dittatura di 25 persone che si valgono dei richiami alla disciplina di partito per impedire manifestazioni di critica alle loro direttive".

Ma poi anche a Trento il 9 agosto del 1951 (De Gasperi dopo le dimissioni dal governo era riuscito a superare la crisi e il 26 luglio aveva formato il suo VII ministero), in un articolo
(allora era direttore dell'Adige) si fece sentire l'insofferenza di FLAMINIO PICCOLI . Evidentemente risentendo del clima particolare del momento, lui denunciava una "...certa preoccupazione, perché aspettative profonde della cattolicità non trovavano un'adeguata risposta nel mondo politico"; e denunciava che "la Dc stava per scendere a soluzioni provvisorie di determinati problemi politici, economici, amministrativi, alla stregue di un consueto buon senso comune e nell'equilibrio del buon amministratore".
E continuava: " Nel concreto non è possibile che la DC sia semplicemente l'erede di un "buon ordine" liberale e di un "andantino sociale giolittiano", perché in questo caso tradirebbe il suo nome e il suo mandato e allontanerebbe da essa quelle folle che sono attratte proprio dalla suggestione cristiana". Era insomma un attacco al suo illustre concittadino, allora al vertice del partito e al governo sette volte.


De Gasperi gli rispose indirettamente, con tatto diplomatico. Due mentalità diverse, con due esperienze molto diverse, si scontravano. Piccoli legato al reale immediato, e che obbediva alle idee e ai principi; De Gasperi legato a una universalistica visione delle cose, per la quale si poteva, anzi si doveva, sacrificare il contingente.
Ma poi venne il fallimento di Roma e quello della legge elettorale; entrambe le due cose inflissero una mazzata al prestigio personale di De Gasperi. Qualcuno brindò alla sua disgrazia. E pur avendo vinte le elezioni, De Gasperi non riuscì a ottenere la fiducia al suo VIII governo (un monocolore democristiano) per l'abbandono dei suoi vecchi alleati (263 si, 282 no, 37 astenuti).

Era il 28 luglio 1953. La DC non riuscì a trovare un accordo al suo interno, e faticò a dare una chiara indicazione; fece poi il nome del quasi anonimo Giuseppe Pella, un biellese garbato ma di doti non eccelse.
Pella forma il suo governo che ottiene una fiducia con 315 si, 215 no, 44 astenuti. Ma dopo quattro mesi è già alle corde (non prima di aver fatto un colpo di testa risolvendo un problema più grande di lui; male interpretando un discorso di Tito spedì sei divisioni alla frontiera orientale - facendo tenere il fiato sospeso a molti italiani e ovviamente alla politica internazionale).

De Gasperi che in quel suo governo si aspettava almeno un ministero, quello degli Esteri, da Pella (!?) non ebbe invece nemmeno un incarico, fu messo da parte. Poi a settembre al consiglio della Dc gli diedero un contentino: lo nominarono segretario generale del partito, ma nemmeno all'unanimità, infatti, 49 schede erano per il sì, 22 erano schede bianche.
La stessa sorte più tardi toccherà a Fanfani, poi a Rumor, per finire con l'amareggiato Moro ( il suo discorso- "una carica che conta nulla!!" ) pochi mesi prima della sua eliminazione fisica.

A Napoli, nel giugno del 1954, De Gasperi interviene al suo ultimo congresso. Riafferma l'impegno democratico e popolare della DC e il più scrupoloso rispetto di tutte le libertà. Parla ancora una volta da grande statista. Ma il 19 agosto muore improvvisamente a Sella Valsugana.

E la DC che ha fondato e che ha lasciato? Un vero "puzzle". Di correnti, di uomini, di pacchetti di tessere di questo o quell'altro, che rappresentano non le qualità del personaggio ma il potere che ha nel suo feudo.
E per andare a Roma a fare governi o il ministro, da quel momento conteranno più le tessere che le qualità di politico.
Come se le procura le tessere? Sono gli anni dove il rampante di turno, nelle province contadine, visita personalmente seminari, monache, curati, associazioni, amministrazioni comunali, per ottenere voti e tessere. Alcuni delfini, spesso solo bortaborse ma ambiziosi quanto il loro "padrino", invadono perfino il territorio del proprio benefattore, e sono loro a fare incetta di voti distribuendo i propri "santini" o elargendo benefici di ogni sorta con le amministrazioni comunali, gli enti locali o le varie associazioni.

Quanto a ideologie delle varie correnti, altro puzzle. Pochi si espongono, spesso i furbi
fanno di nascosto delle incredibili alleanze. Ai voti dei vari consigli e congressi, le schede bianche spesso sono le anonime protagoniste di quei convegni. E altri convegni alcuni li fanno nei chiusi monasteri, per far congiure, singolari alleanze, o per esautorare il collega divenuto scomodo perchè troppo potente.

Poi, nel '92, a tangentopoli, si arriverà alla resa dei conti. La DC va allo sfascio con "Mani Pulite".
Tante dichiarazioni di innocenza sulle dazioni ambientali. La più singolare "perchè lo facevano tutti" e che loro lavoravano per il bene del Paese, per il mantenimento di quella politica che promuove il pluralismo e la libera espressione
(le allegre "Partecipazioni Statali" e "l'assistenzialismo" che aprivano le voragini nei conti pubblici erano anche quelle "per il bene del Paese" !!)

Alcuni esponenti di spicco provocheranno (nello "spettacolo" offerto dalle Tv) nei cittadini (e anche nei vecchi leader storici del partito) un senso di disprezzo e di vergogna.
Cossiga in lacrime ruppe il silenzio e dal suo auto-esilio si lanciò in un'esternazione terrificante: "DC da lapidare. I dirigenti Dc? la gente li prenderà a sassate per la strada. Io non li ho buttati giù dalle scale, ma la gente non avrà i miei scrupoli."
(Da Il Secolo XIX, del 1° maggio).
La DC insomma si avviò allo sfascio. E toccò al mite Martinazzoli mettere non una ma due volte il sigillo di chiusura ad un lungo capitolo della storia politica italiana; a mettere la pietra tombale su un grande partito.

MINO MARTINAZZOLI (segretario della DC dall'ottobre '92) aveva preso a gennaio '94 atto della scissione dentro il suo partito. Se n'erano andati i neocentristi, fra cui CASINI, MASTELLA, FUMAGALLI, ONOFRIO e altri. Avevano creato il CCD intenzionati a convergere verso quelle alleanze che Berlusconi a inizio '94 stava mettendo insieme con il nuovissimo schieramento di centro-destra. Martinazzoli dalle rimanenti ceneri della DC aveva tenuto a battesimo il nuovo partito Partito Popolare e si era tornati dunque alle radici, al partito di Don Sturzo con un programma ambizioso. "Un rinnovamento politico e morale" disse mentre sugli schermi casalinghi erano ancora recenti le immagini "immorali".
Gli altri - quelli che lo lasciarono e fondarono il Ccd- si affrettarono a dire che semmai erano loro ad ispirarsi a Don Sturzo e non Martinazzoli. A chi credere non era facile.
A quel punto anche chi aveva studiato Scienze Politiche non aveva (da una parte e anche dall'altra) capito più nulla, perchè qui non si trattava solo più di piccole sfumature di "correnti", ma si parlava di un netto bipolarismo: di destra e di sinistra con gli ex democristiani un po' da una parte e un po' dall'altra. E se non capivano loro con una laurea in tasca e dopo aver fatto della Politica una professione, figuriamoci il comune elettore.
Che una piccola parte della DC potesse allearsi con la destra, questa era una ipotesi che si poteva benissimo prendere in considerazione, ma che poi metà DC emigrasse in una alleanza - se pure elettorale - con dentro i comunisti, questo da molti era ritenuta una vera e propria eresia. Dopo quasi mezzo secolo di feroce anticomunismo e con le minacce dai pulpiti con le scomuniche, questa inversione di marcia la gente normale mica poteva capirla. Sfuggiva a tutte le logiche passate e presenti.
I vecchi leader, quelli ancora in circolazione, con varie giustificazioni e motivazioni fecero nella propaganda elettorale dei veri e propri esercizi ginnici, dove predominanti c'erano le capriole, con i doppi e i tripli salti mortali, pur di ritagliarsi uno spazio politico nelle nuove formazioni e nei nuovi movimenti che nascevano in ogni angolo del Paese (311 furono i simboli alle elezioni politiche del marzo 1994); alcuni con una ideologia ben precisa (nonostante tutto conservata ad oltranza, legata alle idee e non ai singoli uomini) altri usando sotterfugi per confondere l'elettorato, e altri ancora solo per salvaguardare i propri interessi. Un monsignore a Vicenza, rivolto alle tante "sirene incantatrici" ex democristiane , sul giornale locale fu molto lapidario "....almeno abbiate il pudore di fare silenzio, e lasciateci piangere dalla vergogna in pace". Quanta amarezza deve aver provato quel prete e tanti altri preti!
MARTINAZZOLI durò poco come segretario; poco più di due mesi, 70 giorni. Quanto agli altri non è che espressero idee, la maggior parte furono solo "utilizzati" dal nuovo alleato che di Dottrine Politiche non sapeva proprio cosa farsene, lui voleva solo voti; possibilmente di coloro che ultimamente erano nella totale confusione. Ed erano tanti. A un sondaggio, a due settimane dalle elezioni, 2 su 3 italiani non sapeva ancora per chi votare. E non era facile scegliere. I partiti storici o non storici con dentro ancora qualche rimasuglio di decennali ideologie, alcuni noti loro rappresentanti, dalla sera alla mattina entravano o uscivano dai più incredibili schieramenti. Non era sicuro nemmeno l'elettore dopo aver votato ed essere uscito dalla cabina di aver aver fatto una scelta precisa. Chi infatti scelse ad esempio Tremonti per opporsi al voto di Berlusconi, ritrovò la settimana dopo il suo candidato proprio con Berlusconi. Chi senza ombre di dubbio aveva scelto l'irruente tribuno Bossi, e aveva votato Lega, si ritrovò proprio a fianco di quello che il loro stesso leader poche settimane prima aveva indicato essere un "forcaiolo fascista".
Il 27 marzo 1994, vittoria di Berlusconi, il PPI ha dunque subìto una dura sconfitta. La ex DC con lo storico simbolo ha ottenuto solo 33 seggi alla Camera e 27 seggi al Senato. Se riandiamo alle ultime elezioni del '92 con la DC ancora intera se ne contavano rispettivamente 206 e 107. Dunque una "strage" di deputati, una lunga interminabile fila di "trombati". Martinazzoli deluso, ma anche contestato (come se fosse lui il responsabile del crollo della DC), si dimette: "Lascio la politica, torno a fare l'avvocato a Brescia".
Sparita la DC, spariva anche il PPI.
Oltre Cossiga, a commentare la biasimevole uscita di scena della storica DC, troviamo proprio uno di quei fondatori, ancora in vita, AMINTORE FANFANI. Il vecchio leader, anche lui uno dei più grandi protagonisti della vita politica italiana di mezzo secolo; affermerà amareggiato: "La nostra colpa é quella di avere allevato troppi uomini mediocri". De Gasperi amareggiato lo aveva già capito nel 1953! Lui del resto era più uomo di Stato che uomo di parte e di partito.
Si stava dunque alle elezioni assistendo in Italia al declino del voto ideologico. Roma - "La ricerca del Censis mostra il declino del voto ideologico: la stragrande maggioranza degli elettori preferisce definirsi ricorrendo alle categorie: di destra (16,16), di centro (13,9), di sinistra (19,6), moderato (10,2), progressista (12,6). Soltanto il 4,4 per cento si definisce comunista e soltanto l'un per cento fascista". (Comun. Ansa).
Con queste modeste cifre, non deve far meraviglia che ognuno tentava di tirare per la giacca gli elettori di queste categorie dentro il suo partito .
Qualcuno aveva avuto il buon gusto di defilarsi, ma altri tornarono alla ribalta con le facce di bronzo. Spaccature, divorzi e "unioni" anche incestuosi non si contarono nelle varie segreterie; nel partito democristiano le separazioni, i divorzi, e i nuovi matrimoni furono i più insoliti. Gruppi che si spostavano a destra e altri che emigravano a sinistra, parroci che parlavano bene della Lega e preti che pur con tanta amarezza si buttavano nelle braccia dei verdi o dei comunisti. Perfino le monache "tinsero" di rosso le loro coscienze. Clamoroso fu lo spoglio di un seggio in una città Veneta (Vicenza) dove la presenza di suore di un grande istituto era il 90% degli elettori del seggio; i comunisti in quel seggio presero il 60%.
Il vecchio slogan del '48 "Dio in cabina ti vede, Stalin no" quel giorno non funzionò.
Se qualcuno aveva ancora dei dubbi nel 1903, nel 1919, nel 1922, e nel secondo dopoguerra, che dentro i cattolici si celasse un elettorato di destra e di sinistra, con il maremoto in atto, dal mare dell'ambiguità emersero in superficie e alla luce del sole queste due amare realtà.
Il Paese aveva solo più due colori: il ROSSO e il NERO.

FINE
( QUI una dettagliata biografia di De Gasperi )


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