IL CARISSIMO RICORDO DI UN NIPOTE

( un eroe ai più quasi sconosciuto ma quanti
a Chieti come a Pescara gli devono un pezzo di pane !!!!! )


... qui lui era il mago della Tipografia Moderna
quanti drammatici manifesti abbiamo stampato insieme lì dentro !!
notte e giorno, con io a dargli una mano a soli 8-9-10 anni

manifesti come questi... terribili...
che poi io - avendo imparato già a leggere a 4-5 anni
le forme le scomponevo e con i caratteri ne facevamo altre




.... come questo..... ultra drammatico....
con Chieti che già ospitava oltre 100.000 sfollati
provenienti da Pescara e da ogni paese dei dintorni


.... ma anche nel dramma della guerra mio zio fu fantastico !!
Essendo ben piantato i tedeschi davano la caccia non solo agli uomini che l'8 settembre si erano ecclissati a fare i partigiani o si erano nascosti per non essere aggregati ai nazisti, ma davano la caccia a tutti gli uomini abili per i vari lavori. Ovviamente se scoprivano poi che avevano qualche simpatia per gli antifascisti oppure mantenevano clandestinamente i contatti con quest'ultimi, li arrestavano e non si sapeva più che fine facevano.

Ci fu un giorno un famoso rastrellamento: lo fecero di domenica all'uscita dalla messa di mezzogiorno in Cattedrale sulle scale; all'interno perché avvertiti ci fu un fuggi fuggi verso la cripta e da qui da un altra piccola porticina che portava al seminario, poi dietro il duomo in via Arniense vicino all'Ospedale. Alcuni si salvarono precipitosamente in questo modo.
Quel giorno e nei seguenti dal terrore di essere catturato pure lui, mio mio zio si nascose in una specie di abbaino dietro il letto matrimoniale dei miei nonni che aveva un grande capezzale che copriva una piccola porticina. Dietro al letto mio nonno falegname mise un grande foglio di compensato, per non che i perquisitori abbassandosi per vedere sotto il letto scoprissero le fessure della porticina.
Per non che mi scappasse qualche imprudente parola con quelli che venivano a perquisire le case mi chiusero dentro con lui. Questo perché era già accaduto qualcosa di spiacevole; un mezzogiorno appena avevo lasciato ed ero fuori la tipografia, due persone mi chiesero dove abitava un amico di mio zio dove qualche volta io portavo dei manifestini clandestini; quelli che stampavamo con il cuore in gola.
Quella mia involontaria imprudente risposta costò cara all'amico di mio zio, perchè non lo vedemmo più, ne so ancora oggi che fine abbia fatto .

I tedeschi non scherzavano, in più avevano dei complici che o per ideologie o per denaro facevano i delatori. Uno in particolare allora famoso era un certo Cascatella, che lavorando in Comune era in possesso dei componenti delle famiglie. Sapeva chi era militare, chi disertore si era dato alla fuga per fare il partigiano o chi era rimasto a casa per vari motivi.

Mio zio era uno di questi, ma lui non aveva fatto il militare nè era andato in guerra solo perchè aveva i genitori molto anziani e una sorella non proprio perfetta nella sua costituzione fisica.
Ma mio zio era ben piantato e i tedeschi avevano bisogno di braccia come le sue per i mille lavori. Questo era un motivo per nascondersi. Eppure aveva lavorato in tipografia fino a pochi giorni prima, stampando perfino i manifesti che i tedeschi o il Podestà ordinavano, ma questo impegno non era un valido motivo per evitare la cattura di chi era ancora libero. Visto che si portavano via anche i maturi maestri delle scuole, come il mio nella scuola che era li accanto alla tipografia, il San Camillo.
Calmatisi un po' le acque mio zio ebbe un'idea geniale. Durante i giorni che si era nascosto dentro nell'abbaino - questo a mia nonna serviva anche per metterci delle cose vecchie - fra queste trovò una vecchia carrozzella e una protesi in gesso che era servita molto tempo addietro per una gamba rotta di mia nonna. Da qui l'idea geniale. Mettemmo in giro la voce (non ci si poteva fidare di nessuno - - che mio zio cadendo dalle scale si era rotto un gamba ed era appena uscito dall'ospedale.

Un pomeriggio calmo uscito dal nascondiglio, fasciatosi ben bene una gamba, ci sparse sopra con delle bende un po' di gesso, poi montò sulla carrozzella da invalido e io spingendolo sgaiattolammo rasentando i muri di via Arcivescovano fino ai ruderi Romani, poi guardinghi da dietro entravamo in tipografia. Ma non era certo sufficiente solo la carrozzella e la messinscena se qualcuno avrebbe un po' indagato, visto che in giro c'erano altri come il Cascatella.

Mio zio entrato in tipografia andò subito a rovistare certe carte (in tipografia di ogni stampato si conserva sempre un esemplare) e fra quelle trovò l'originale di un vecchio stampato quello che usano gli ospedali per fare i post-referti traumatolgici e quant'altro. Mio zio ne fece una copia mise il suo nome, date e altro e così falsamente si creò un vero e proprio lasciapassare.
Al lavoro operava su una gamba sola, ma io che ero piuttosto sveglio lo aiutavo. E lo dovevo poi aiutarlo sia il il mattino che alla sera
per andare e venire alla Tipografia spingendolo sulla carrozzella .
Ma - pur con questi accorgimenti - non è che eravamo molto tranquilli. Avevamo sempre il cuore il gola, soprattutto quando ci fermavano e volevano vedere i documenti.

Il paradosso fu che un giorno andammo a stampare anche questo minaccioso ... manifesto
stando lui solo su una gamba e a lui gli tremava pure questa.

 

 

Tuttavia questo stratagemma fu sufficiente per farlo passare ogni giorno dai severi controlli in atto. E così pure nelle improvvise perquisizioni fatte in tipografia, quando cercavano manifestini clandestini compromettenti che indubbiamente sapevano che da qualche tipografia questi uscivano e quindi le perquisivano, soffermandosi perfino sulle forme - non ancora scomposte - che erano sui banchi per vederne il contenuto.

Ecco perché con lui sempre su una gamba, gli ero sempre accanto, anche nelle stesse macchine tipografiche o a macinare gli inchiostri con le spatole, a preparare le risme di carta, fare e disfare le matrici, le forme.
Noi a tarda sera (con grave pericolo) facevamo proprio dei manifestini clandestini; questi appena composte le forme, le poche copie le stampavamo in un banale torchio a mano (Quello normalmente usato per fare le poche copie dei manifesti dei morti) poi io stesso - ormai ero diventato esperto - subito scomponevo i caratteri della matrice, per non farci sorprendere da una improvvisa ispezioni che erano molto frequenti anche di sera quando vedevano le luci dentro la tipografia. Ci andò sempre bene.
Certe volte proprio per il pericolo di una improvvisa visita mentre lui era intento a stampare quei foglietti scottanti, mi faceva mettere all'angolo della piazzetta con un pallone ma non per giocarci ma fermo ai piedi. Se vedevo arrivare qualcuno, il pallone correndo poi lo calciavo contro la tipografia, e questo era il segnale per avvertire mio zio.
Ma oltre i rischiosi manifestini clandestini, stampavamo -sempre rischiando- anche altro di nascosto. Ed erano le "Tessere false". Anche di queste noi avevamo le matrici quando stampavamo quelle che solitamente rilasciava il Comune.
Questa volta - come il falso referto - l'idea geniale fu del Podestà Gasbarri che anche se era un fascista, si comportava come uno che non lo era. Si dava infatti molto da fare per i suoi concittadini, ma anche per le migliaia di sfollati che erano giunti a Chieti che erano affamati perché non avevano alcuna tessera. Lui inoltre si adoperava anche per risparmiare vite umane fornendo dati del comune anagrafici falsi, così facendo evitava ai giovani la cattura, e anche la fucilazione per diserzione; e nei casi estremi intercedeva presso il Comando germanico per ottenere vari atti di clemenza.
Quando in seguito stampammo anche il manifesto degli sfollamenti Gasbarri si era opposto proprio come l'Arcivescovo Venturi all' ordine di evacuazione della città. Lui temporeggiò con mille scuse questi sfollamenti soprattutto per favorire i vecchi e gli ammalati o chi non voleva abbandonare la sua casa e i suoi averi.
Questi atteggiamenti disturbavano i tedeschi con accanto gli inguaribili fanatici fascisti, per la troppa folla che si era riversata su Chieti (eravamo 130.000 - e prima della guerra Chieti aveva 30.000 abitanti), ma disturbava anche gli angloamericani - che paradossalmente pensavano che a trattenere tutta quella gente era solo una scusa dei tedeschi fatta per coprirsi loro.
Gli angloamericani invece volevano la città svuotata di cittadini e sfollati solo per poter meglio bombardare i tedeschi visto che Chieti era diventata la base militare piena di strateghi, di soldati e di armi naziste. Quando da febbraio in poi furono molto impegnati a Montecassino in tre grossi combattimenti, i 10.000 feriti li portarono tutti a Chieti. E non solo i feriti, ma anche loro stessi vi si rifugiavano perché continuamente incalzati.
Poi sì - finalmente - acconsentirono a fare di Chieti una "Città Aperta", ma solo a maggio quando ormai i tedeschi erano spacciati. E se prima il diniego era stato per non fare rifornire i tedeschi di armi, a maggio questi rifornimenti erano ormai del tutto cessati, e quindi o chiuse o aperte le porte della città, non servivano proprio a nulla.

L'ho conosciuto Gasbarri personalmente ed era una persona molto gentile. In gran segreto veniva più volte in tipografia, dove mio zio (rischiando perché i tedeschi gli sfollati li volevano mandare via) gli stampava le migliaia di tessere "false" (truccate con lo stesso numero, fermando il contatore automatico che altrimenti gira ad ogni copia che si stampa. -
E dato che bastava (per il pane) presentare solo i bollini, li si staccava dalla tessera e prima la mamma, poi la sorella, poi il figlio si presentavano ai fornai. Così il pane non mancava mai a noi e agli sfollati che così si sfamanano pure loro come (falsi residenti) abitanti di Chieti.

Mio zio aveva sì prima stampato già 52.000 tessere alimentari per i nuovi sfollati (erano prima per i chietini solo 30.000). Ma per averle gli altri 50.000, dovevano farne richiesta in Comune e non tutti le richiedevano perchè bisognava dare le proprie generalità e indirizzo, e molti temevano poi di essere rintracciati e fatti allontanare con un foglio di via.
Ed ecco il buon cuore di Gasbarri con quelle tessere false e come suo complice mio zio.
Quanti riuscirono ad avvantaggiarsi da questa singolare ma anche pericolosa complicità?

Migliaia e migliaia, anche se erano ignari di questo sotterfugio che solo Gasbarri sapeva visto che le tessere le distribuiva in Comune personalmente solo lui, non si fidava di chi gli era attorno; come il citato famigerato Cascatella (lui era un impiegato del Comune) che se lo avesse scoperto, avrebbe avvertito i nazisti e Gasbarri e mio zio sarebbero finiti in un campo di concentramento.

Paradossalmente a uno di questi ci finì poi proprio Gasbarri dopo la Liberazione - la sua colpa - solo perché era stato fascista; venne arrestato e finì in un campo di concentramento vicino a Salerno. Ma pochi mesi dopo fu riabilitato. Tante erano a Chieti le testimonianze a suo favore. Poche quelle del discredito anche se prima lui era stato un uomo del Fascio.
Quanto ai manifestini clandestini antifascisti e antinazisti, ovviamente Gasbarri nulla sapeva. Ma mio zio seguitava a stamparli, - pur rischiando grosso; anche qui minimo l'arresto e la deportazione in Germania.
Manifestini che io stesso nella mia cartella di scuola, messi dentro un grosso quaderno andavo poi a distribuire ad alcuni indirizzi che lui mi diceva, dove non sapevo nemmeno chi ci abitava. Ma mi diceva mio zio cose del genere "tu vai lì con noncuranza appoggiati a quel vaso che vedrai a destra all'entrata e dimentica a terra il quaderno, poi vieni via senza fermarti".
Solo in seguito ho poi saputo che in una certa casa dove qualche volta c'ero già stato - vicino alla chiesa del Sacro Cuore, vi erano riunioni di alcuni partigiani della "Banda Palombaro"; in una retata un decina di loro imprevidenti li arrestarono, e finirono tutti fucilati nei pressi di Pescara, i cadaveri messi dentro una grotta fatta poi saltare con la dinamite.

A fine guerra, recuperati i cadaveri, li rivedemmo a Piazza San Giustino ma dentro 10 bare.


Ma forse chissà quanti altri si avvantaggiarono o ebbero salva la vita con quei nostri banali foglietti dentro un quaderno che io mi sfilavo dalla cartella !!!
Facendo il "partigiano" già a 8 anni!!
Noi eravamo informati di ogni cosa. Primo perché abitavamo quasi dentro Palazzo Mezzanotte dove c'era il comando tedesco. Secondo avevamo e ascoltavamo la clandestina "Radio Londra". Terzo eravamo i primi a sapere - dal Comando - i contenuti dei vari manifesti che dovevamo stampare e affiggere. Così potevamo informare in anteprima - come detto sopra - chi correva dei gravi rischi.

Ma tutte quelle ore notte giorno in tipografia, usando i mezzi non usuali, a mio zio gli furono poi fatali. E non solo per la mole di quanto stampava.
Finita una stampa, la forma (così si chiama in tipografia), cioè la matrice che poi esce o dalla macchina o dal torchio (e i più li facevamo con questo) bisogna p
ulirla subito per non che si secchi il denso inchiostro tipografico che altrimenti incrosta duramente i caratteri. Per fare questa pulizia con una spazzola, prima si usava una soluzione apposita. Poi - per la crisi di ogni cosa, compreso il petrolio - non avendo più quella soluzione si usava un solvente a base di benzolo (bicarburetted hydrogen) e con questo si spazzolavano le forme e quindi i caratteri.
Fare quella detergenza in quel modo era non solo fastidioso ma anche poco sano per i vapori di acido benzoico che si sprigionavano. Faceva mancare il respiro. Ma oltre questo con le malefiche esalazioni e con il fiato grosso si ingerivano anche tutte quelle particelle di piombo dei caratteri che si volatizzavano assieme al solvente. E il piombo non si smaltisce nell'organismo ma seguita ad accumularsi nei polmoni formando una micidiale crosta.

Come tante altre incombenze un lavoro così semplice l'avrei potuto farlo anch'io. Ma mio zio mi proibì di detergere i caratteri proprio per la non salubrità dell'operazione ed anche perchè avendolo fatto una sola volta io quasi non respiravo più.


 

Alla fine pagò solo lui. Quest'eroe sconosciuto ai più, compresi quelli che oggi sono ancora viventi. Non lo ricordano perchè ignorano quel suo pericoloso lavoro.
Lui appena finita la guerra iniziò ad avere i primi sintomi, forse non gli diede molta importanza, anche se in alcuni momenti faceva fatica a respirare; morì pochi anni dopo - proprio per intossicazione di piombo - non ancora 45enne. Lui finita la guerra si era anche sposato, gli erano nate anche due belle bambine e che ancora adolescenti non ebbero più accanto una padre così straordinario. Che soprattutto per me era stato più che un padre. Un mago di sapienza e come esempi un mago della intraprendenza.
Le due bambine in tenerissima età rimasero solo con la madre (un'altra eroina) che con gran coraggio, facendo in casa la sartina, riuscì non solo con tanto amore ad allevarle, ma riuscì a mandarle perfino all'università.

Questo eroe sconosciuto ai più, morì infatti - come detto - con i polmoni intasati dall'intossicazione di piombo tipografico che non perdona.
Ma chiamarlo improvvisato eroe è poco, visto che ciò che faceva non era l'improvvisazione di un giorno, ma un costante cosciente operare, che svolgeva in silenzio, nei pericoli; e non per un attimo, ma in giorni e giorni e per di più sempre con l'ansia e l'acqua alla gola per le perquisizioni, e che oltre che l'acqua in gola purtroppo ingeriva anche il piombo.
CIAO ZIO !!! FRA NON MOLTO CI RIVEDREMO !!!

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qui - ancora nel '41, io a 5 anni con i nonni, le mie zie, e LUI mio Zio Cesare

La cattedrale San Giustino é di fronte il palazzo Mezzanotte
e questo confinava con un piccolo muretto divisorio con la nostra casa
al n. 6 di Via Arcivescovado (oggi non esiste più, c'è un condominio)


1 ) Palazzo Mezzanotte - 2) casa nostra
dove vidi riparare l'8 settembre i fuggiaschi sabaudi e tutto il governo
che poi fuggiti loro divenne subito dopo la sede del Comando tedesco...

.... e proprio per questo gli agloamericani oltre che in città...

prendevano di mira proprio questo palazzo....
bombe e cannonate che poi cadevano in città e anche nella stessa cattedrale,
nel palazzo arcivescovile, alla Banca d'Italia, alla Cassa di Risparmio, al Palazzo di Giustizia,
a largo Valignani, alla chiesa Mater Domini ....

... ed infine toccò proprio al Palazzo Mezzanotte e quindi alla nostra casa accanto...
che ebbe molti più danni che non il possente palazzo
la nostra abitazione fu completamente scoperchiata,
era rimasto solo il cielo come soffitto
le scale che conducevano all'appartamento non esistevano più.
Le bombe iniziavano alle 7-8 di sera; e normalmente ci si rifugiava al primo colpo,
ma quella sera eravamo appena scesi al rifugio quando sentimmo il boato.
Mio zio che si era attardato nello scendere le scale,
mia nonna già si disperava, quando ad un tratto comparve lui
bianco come un mugnaio, per i calcinacci che aveva addosso.

.... rimasti senza casa ci rifugiammo per un paio di mesi da un agricoltore giù nella Ripa. Lui da tempo durante la carestia, ci forniva spesso qualcosa da mangiare. Era questa la Fattoria del Di Bartolomeo

aveva tre belle figlie, mio zio durante l'ospitalità, si innamorò di una: Ines
ci si fidanzò e poi a fine guerra nel '48 la sposò.
Purtroppo come detto morì lasciando in tenerissima età le due figlie.

Tutti quei giorni e notti a stampare migliaia di manifesti e migliaia di tessere
non solo con l'acqua alla gola, ma in gola anche il piombo gli fu fatale.
Per il suo comportamento meriterebbe una medaglia al valore.
Fece anche lui il "combattente" sfamando migliaia di persone del tutto anonime.

E quanti notti ad ascoltare la clandestina "Radio Londra"
Fino al giorno che apprendemmo la "Liberazione".

 

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Il palazzo Mezzanotte fu poi anche sede
del Comando anglo americano, i "liberatori"

liberatori sì,
ma che ci avevano terrorizzati fino a pochi giorni prima....
.... perfino con un caccia che spesso volava a raso terra mitragliando...
... lungo tutto il Corso Marrucino, dalla Villa, fino a San Francesco
era chiamato "il pippetto" .... seminava il terrore in pieno giorno.
E un giorno.....
... proprio all'altezza di San Francesco il solito caccia era sceso per mitragliare pure noi
ragazzini che in un pomeriggio stavamo giocavamo in piazza a pallone.
Non avendo scampo, ci buttammo a terra come ci avevano insegnato
Ci indirizzò una sventagliata di proiettili, che ci rimbalzavano attorno, ma non avendoci colpiti
questo lazzarone riprese quota e virò sul Palazzo di Giustizia, per riprovarci
ma nella virata con un'ala toccò il campanile e si sfracellò quasi proprio davanti a noi.

Mi vergogno a dirlo ma facemmo festa attorno al quel cadavere...che ancora boccheggiava
infierendo, sputandogli addosso, gridando di gioia come degli ossessi,
Eravamo diventati "pazzi" anche noi bambini!!
Del resto questo ci avevano insegnato
i "grandi", i "saggi" i cosidetti "uomini superiori".

Ci dicevano in chiesa di pregare per gli "amici" nazisti e fascisti,
poi "contrordine" bisognava pregare per quelli che erano stati fino allora i "nemici".
Gli stessi che fino al giorno prima ci bombardavano e ci mitragliavano.
.....................

Venne infatti la tanto attesa "liberazione"
con io il "festoso fanciullo" a correre per tutto il Corso a gridare la notizia.
("arrivano, arrivano, gli americani sono già alla Villa")
Uno dei primi a capire cosa stava succedendo ero stato proprio io;
la sera precedente io che ero quasi sempre nel cortile accanto ai tedeschi
dove spesso nelle sere assieme cantavamo quella quasi nenia Lillì Marlen >>>>
quella sera dell'8 giugno vi era un gran trambusto,
tutti indaffarati a smobilitare e darsi alla fuga precipitosa con ogni mezzo.
In breve il palazzo era diventato un deserto.
Io solo soletto rientrando a casa dissi a casa la grossa "novità".
Mio zio corse dal curato Don Muffo, che abitava davanti a noi a riferire.
Passammo una notte nell'angoscia, non sapevamo cosa stava succedendo.
Poi la mattina dopo loro due si precipitarono da Venturi a dire ciò che era avvenuto
nella tarda serata precedente. Cioé il fuggi fuggi dei tedeschi.
Venturi che anche lui come mio zio ascoltava la radio clandestina "Radio Londra"
qualcosa sapeva ma nulla di preciso.
Passammo da lui ancora verso mezzogiorno;
questa volta ci disse -ma vagamente- che gli "alleati" erano in marcia per liberare Chieti.
Alle ore 18, terminato il lavoro, ripassammo ancora da Venturi; che questa volta fu un po' più preciso,
ci confermava l'arrivo dei "liberatori" ma non sapeva ancora quando;
poi pochi minuti dopo proprio mentre eravamo ancora da lui gli giunse una telefonata.....
......che gli americani erano già a Chieti, erano quasi alla Villa.
A quel punto - "io, il festoso fanciullo" quasi invasato - mi precipitai fuori,
e correndo per tutto il Corso gridavo a destra e a manca
"stanno arrivando gli americani, stanno arrivando, solo già quasi alla Villa".
Tutta Chieti si riversò sul Corso. Quando io giunsi alla Trinità loro vi erano già arrivati.
Ma sorpresa, non erano americani, ma Italiani !!! (altri particolari in CHIETI 1 >>>>>>

L'Arc. Venturi alla Messa di Ringraziamento del giorno dopo, non dall'altare
ma dal Pulpito dov'era salito per celebrare il suo discorso sulla liberazione
non solo citò il "festoso fanciullo" che aveva corso lungo il Corso con la notizia,
ma volle, per dare un alone di maggior commozione al rito della Messa,
che proprio io dovevo dall'alto della gradinata dell'altare.....
(cosa mai fatta da nessuno)
(ma lui sapeva che con il turibolo io ci sapevo fare, nella varie funzioni)
.... di incensare tutti i fedeli radunati nella navata.
Mi tremavano le gambe dalla grande emozione, quando,
dovetti alzare il turibolo e incensare la folla a destra a sinistra e a manca
Mia nonna - mi raccontò mio zio e zia presenti nella navata
scoppiò a piangere a dirotto dalla commozione
e a chi la guardava sopreso lei disse "scusate, ma quel bambino è mio nipote!!"


Poi piazza Grande fu invasa dai nuovi venuti.

 

Sì... ci avevano "liberati" ma prima si erano divertiti a radere al suolo mezza Chieti.
Furono colpiti 120 edifici; obiettivi civili in pieno centro, per nulla strategici militari.
Il motivo era "terrorizzare, terrorizzare, terrorizzare". (By Churchill)
Nella notte del 25-26 febbraio, i bombardamenti erano stati 25 !!!
L'Arcivescovo Venturi era costernato, affranto!!

Come detto io e i miei familiari uscimmo vivi,
ma imprecammo per l'orrore dei tanti altri morti meno fortunati di noi.
Di cui uno ho un ricordo perenne, struggente.
Nel rione Sant'Anna colpirono un palazzo di 3 piani, metà del palazzo era rimasto in piedi squarciato
mettendo in mostra desolatamente i quadri appesi alle pareti mentre sotto le macerie
c'era un famiglia intera con due bambini della mia età.
Non li conoscevo ma rimasi scolvolto dalla loro madre che si era invece salvata,
che con altri scavava con le mani nude e insanguinate nelle macerie
e quando ne trovò uno, con il pigiamino ancora addosso
ridotto a un fagotto di sangue
lo prese in braccio e camminando come un automa imprecava verso il cielo

"maledetti, maledetti, maledetti"


Quel giorno perfino la morte dentro il vicino cimitero S.Anna si era vergognata
.
Mentre quel pilota assassino che aveva sganciato la bomba chissà com'era felice di essersi sostituita a lei.
Magari lo premiarono pure, come premieranno quel pilota che sganciò l'atomica in Giappone.
Già, ma la legge degli uomini intelligenti ha decretato che
" se uccidi un uomo sei un assassino se ne uccidi 100.000 sei un eroe !!!

Poi quando entrarono prima i Paracadutisti italiani della Nembo
poi gli angloamericani (quasi tutti indiani) distribuirono
a noi bambini straccioni e affamati caramelle, cioccolate, Chewing Gum.
Loro si divertivano molto a vederci accapigliare


Palazzo Mezzanotte e le sue cantine sotto casa nostra
furono riempite da ogni ben di Dio, farina, cioccolata, latte in polvere,
zucchero, scatolame, montagne di cibo di ogni genere.
Piazza Grande fu un brulicare di camion, di macchine, di uomini.


Chieti quella sera del 9 giugno 1944 si risvegliò da un incubo.
Ma la cosa più bella - cessato il coprifuoco e i pericoli - fu il poter
nuovamente passeggiare finalmente sul Corso e alla Villa.
Dove mio zio mi accompagnava, anche se
era insieme ai grandi compagni coetanei.
E questo mi inorgogliva tanto. Ma lui mi trattava sempre come un principino
e sapeva che mi piaceva ascoltare ogni cosa.
(di questi miei curiosi interessi l'artefice era stato
un singolare professore di latino greco
che racconto in altra parte su CHIETI 3 >>>
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Due mesi dopo nell'agosto del '44 ritornammo tutti anche al mare..
Ma ricordammo con angoscia quelle vacanze fatte nell'agosto del '43....


.... a Francavilla a Mare, lì avevamo trascorso l'intero mese di agosto...
in una casetta prospiciente il mare, io assieme ai nonni e zii...

....quel martedì del 31 agosto 1943 stavamo vivendo il nostro ultimo giorno di vacanze al mare,
quando proprio dal mare mentre eravamo ancora a pranzo
preannunciato da un rombo incessante apparvero
tre ondate di B 24, 46 bombardieri "liberator" (sic!)


che andarono a seminare morte e tanta distruzione nella vicina Pescara

 

La sventrarono, 1250 case completamente distrutte,
1135 gravemente danneggiate, mentre 2150 subirono lesioni.
Causò quasi 2000 vittime ed altrettanti furono i feriti.
Gli altri salvatisi - ca. 20.000 - ma senza casa sfollarono tutti a Chieti.
Altri rimasero. Ma poi con l'8 settembre credettero tutti che la guerra era finita.
Tedeschi e italiani si abbracciavano pure.

La guerra stava invece per l'Italia cominciando, e proprio a Pescara
il 12 e 14 settembre ci furono altri 2 bombardamenti
e non ci fu scampo chi non era sfollato. Ci furono altri 1.000 morti.
Nel lungo viale dalla stazione fino al mare tutte la case in macerie.
Qui sotto, dove poi divenne Piazza Salotto era diventata una "piazza" di macerie.

In seguito anche la stessa Francavilla non solo fu quasi mezza distrutta
ma nella ritirata i tedeschi minarono e fecero saltare in aria le ville, i palazzi, gli alberghi,
la stazione, il Mulino, la Sirena, e il Convento Michetti.

in quest'ultimo mio zio e la nonna pochi giorni prima mi avevano accompagnato
spiegandomi chi era Michetti e i soggiorni che qui vi faceva D'annunzio.
Per una ragione semplice: nella ns. casa di Chieti nel corridoio vi era la riproduzione di un grande quadro
di Michetti ed era "La figlia di Iorio" quello che ispirò a D'annunzio la sua tragedia omonima.

Inoltre i miei due nonni il
23 giugno del 1904 proprio a Chieti, al Teatro Marrucino,
avevano assistito alla prima nazionale proprio de “La figlia di Iorio” dello stesso D'annunzio.
Per l'occasione mi raccontarono ci fu una memorabile cena in casa
dello scrittore teatino G. Mezzanotte, e poi balli alla "Cassinetta"
proprio in via Arcivescovado dove i miei nonni abitavano.

In più - sempre di Michetti - mia nonna aveva la riproduzione di un quadro, con una ragazza
che lei diceva gli rassomigliava quand'era una giovane come la ragazza del quadro.

Nei successivi mesi ci fu poi un intero anno di guerra, di miserie, di lutti, di drammi...
e con l'arrivo di 100.000 sfollati da sfamare....
Con il terrore che Chieti da un momento all'altro avrebbe fatto la fine di Pescara
non di notte ma anche in pieno giorno, senza allarmi.
( altri particolari nelle pagine di CHIETI > > > )


Ma poi infine a Chieti venne un raggio di luce.
Anche se in casa dei miei nonni e zii non mi era mai mancato.
Finalmente a fine '44 celebrammo il primo natale con l'albero e le luci
nel piazzale proprio davanti alla tipografia.

Mio ZIO CESARE !!
si dimostrò un "padre" fantastico, che oggi io considero un EROE
io che a 11 anni non avevo ancora conosciuto mio padre.

Quando poi questo avvenne, tornando a Biella, provai una delusione,
mio padre era un "vinto", 4 anni di prigionia in sud Africa
lo avevano reso un uomo apatico, sempre silenzioso;
con una forte depressione, sempre serio e stanco di vivere.
Gli fecero anche un grosso torto, pur essendo finita la guerra.

Una guerra fascista che era stata anche implacabile.
Accusavano mio padre di aver disertato fin dal 1940.
(e infatti mia madre a Biella durante la guerra non riceveva nessun sussidio)
Nel '40 lo avevano richiamato, ma lui era assente, perché viveva e lavorava fin dal '36 all'Asmara con una sua impresa di autotrasporti.
Qui poi con la guerra in Africa non solo gli requisirono i suoi camion
ma lo aggregarono ai combattenti e con loro
(ma senza avvertire il comando Militare di Biella)
combattenti che poi si arresero in Tunisia.
E da lì finì per 4 anni prigioniero degli inglesi in Sud Africa.

Potete immaginare quale sconforto.
Aveva perso tutto più gli davano del disertore.
Riconobbero poi l'errore, ma non gli diedero i sussidi che spettavano
a mia madre dicendogli "che lui era stato con vitto e alloggio gratis dagli inglesi".

Altro che depressione, infatti morì pochi anni dopo, avvilito.
Proprio lui che dalle fotografie che mi inviava nei bei tempi me l'ero sempre
raffigurato un eroe, un uomo coraggioso, spericolato, sempre sorridente.

(una ragione l'aveva: lui era partito nel 1936 per impiantare
con un Ing. un azienda di trasporti a Massaua
dove con il nato Impero si erano già trasferiti 30.000 operosi italiani
Una città che ancora oggi è la più moderna dell'Africa grazie proprio agli italiani.
Vi operò con grande successo per 2 anni; nel '38 ci fece una visita a Biella, poi ripartì
"faccio ancora un paio d'anni, ingrandisco l'azienda, poi vi mando a chiamare tutti".
Purtroppo nel '40 allo scoppio della guerra, come detto sopra, gli requisirono i camion
e lui stesso fu aggregato all'esercito.
Fu poi fatto prigioniero in Tunisia nel 42. Tornò a casa nel '46. Distrutto, costernato, avvilito.
In Africa aveva perso ogni cosa, un patrimonio fatto di uffici, capannoni, mezzi e denaro
che prima di allora il tutto era pari al valore di 10 case.
Solo nel '49 gli restituirono i soldi che lui aveva depositato nelle banche di Massaua
ma che per fortuna era gestita da una banca qui in Italia.
Ma con la svalutazione le 280.000 lire restituite, che se nel '40 si compravano in Italia 10 case
nel '49 non valevano in Italia nemmeno per comprare una sola casa.
Lo vidi disperato piangere sopra quei soldi. 10 anni buttati al vento da un infame destino..


Nel vedere mio padre così abbattuto mi crollava un mito.
A quel punto con quel clima di rassegnazione e apatia,
che non era certo il tempertamento acquisito da mio zio a Chieti
a 12 anni scappai di casa in bicicletta;
una pazzia il voler fare 700 km per ritornare a Chieti proprio da mio zio.
Mi ripresero i carabinieri dopo aver percorso già 100 km e mi riportarono a casa.
Poi a 14 anni quando ormai "già" lavoravo in.... una tipografia (!) ...
... i miei mi fecero un grosso regalo - un viaggio a Chieti per rabbracciare mio zio.
Purtroppo fu l'ultimo abbraccio. Il destino fu poco dopo anche per lui crudele.

Proprio lui che stava per impiantare una tipografia tutta sua.
(aveva già messo su una cartoleria e a rate aveva acquistato una stampante).
Purtroppo anche lui ebbe un destino come quella di mio padre.
Mi restò dei due solo un gran rimpianto.
Ma entrambi mi lasciarono una grossa eredità.
* Da mio padre venne il DNA del coraggio, dell'azione, dell'intraprendenza,
(che esercitai nel paracadutismo, ascensioni, nell'antiterrorismo in un reparto speciale
e poi nel lavoro fino a diventare per 10 anni Ispettore di una multinazionale per tutta Italia)


* Da mio zio venne l'imprinting di base nel periodo più critico dell'educazione
infondendomi la voglia di sapere, apprendere e agire con la determinazione.
(che poi esercitai, riuscendo nel lavoro e a fare il pioniere dell'informatica
insegnando i computer perfino nelle università, nelle banche, nell'industria
e - per primo - a venderne quasi 6000 in tutta Italia.

Un "Sapere" che ho - pionierismo anche qui - in 25 anni poi riversato in rete con "Storiologia".
Che fino ad oggi ha superato i 2,2 milardi di visitatori >>>
Mio zio ne sarebbe orgoglioso !!


Qui ancora io a 5 anni nel '41 con mio zio. Il mio EROE.
Quando da poco ero arrivato a Chieti

qui sotto alla Villa


...nel 1944..... ormai quasi un ometto

... nel 46 quando partii da Chieti.... e nel '50... a 14 anni quando ci ritornai.

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se vuoi continuare vedi le pagine
con dentro ancora il dramma di Chieti
e qualcosa ancora su CESARE DI PAOLO
CHIETI >>>>

 

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