CHARLES DARWIN - ORIGINE DELL'UOMO

CAPITOLO XXI.
Sommario generale e conclusione.

Conclusione fondamentale che l’uomo discende da qualche forma inferiore - Modo di sviluppo - Genealogia dell’uomo - Facoltà intellettuali e morali - Scelta sessuale - Osservazioni conclusive.

 

Basterà qui un breve riassunto per richiamare alla mente del lettore i punti più eminenti di quest’opera. Molte delle opinioni che sono state esposte sono grandemente speculative, e senza dubbio alcune si mostreranno erronee, ma in ogni caso ho riferito le ragioni che mi hanno indotto a pensare in un modo anzichè in un altro. Sembrava meritasse la pena investigare fin dove il principio di evoluzione fosse per illuminare alcuni dei problemi più complessi della storia naturale dell’uomo. I fatti falsi sono dannosissimi al progresso della scienza, perchè sovente si tollerano a lungo, ma il modo di vedere falso se non è sostenuto da qualche prova, reca poco danno, perchè ognuno si prende un salutare piacere di dimostrarne la falsità; e quando ciò viene fatto, si chiude un sentiero che conduce all’errore e la strada del vero viene sovente nel tempo stesso dischiusa.
La conclusione principale ottenuta in questa opera, ed ora sostenuta da molti naturalisti benissimo competenti a formare un solido giudizio, si è che l’uomo sia disceso da qualche forma meno altamente organizzata. I fondamenti su cui riposa questa conclusione non saranno mai scossi, perchè l’intima somiglianza fra l’uomo e gli animali sottostanti nello sviluppo embriogenico, come pure in numerosissimi punti di struttura e di costituzione, tanto di grande quanto di lieve importanza, - i rudimenti che conserva, e gli anormali ritorni a cui è talvolta soggetto, - sono fatti che non si possono contrastare. Essi sono stati conosciuti da lungo tempo, ma fino a poco fa non ci davano nessuna spiegazione intorno all’origine dell’uomo. Osservati ora col lume delle nostre cognizioni intorno al mondo organico, il loro significato non può essere disconosciuto. Il grande principio di evoluzione sta evidente e fermo, quando questi gruppi di fatti sono considerati in rapporto con altri, come le mutue affinità dei membri dello stesso gruppo, la loro distribuzione geografica nei tempi passati e presenti, e la loro geologica successione. Non si può credere che tutti questi fatti abbiano un significato falso. Colui il quale non si contenta di credere, come un selvaggio, che i fenomeni della natura, non abbiano un legame fra loro, non può credere per nulla che l’uomo sia l’opera di un atto separato dalla creazione. Egli dovrà per forza ammettere che l’intima somiglianza dell’embrione umano con quello, per esempio, di un cane - la costruzione del suo cranio, delle sue membra e di tutta la sua impalcatura, - indipendentemente dagli usi a cui possono essere destinate le varie parti, secondo lo stesso disegno di tutti gli altri mammiferi - la ricomparsa eventuale di varie strutture, per esempio di parecchi muscoli distinti, che l’uomo non possiede normalmente, ma che sono comuni ai quadrumani, - ed una folla di fatti analoghi - tutto conduce nel modo più piano a conchiudere che l’uomo è il condiscendente con altri mammiferi da un progenitore comune.
Abbiamo veduto che l’uomo presenta incessantemente differenze individuali in tutte le parti del suo corpo e nelle sue facoltà mentali. Queste differenze o variazioni sembrano essere indotte dalle medesime cause generali, ed obbedire alle stesse leggi come negli animali sottostanti. Nei due casi prevalgono leggi consimili di eredità. L’uomo tende a moltiplicarsi molto al di là di quello che permettano i suoi mezzi di sussistenza; in conseguenza egli va soggetto eventualmente a una dura lotta per l’esistenza, e la scelta naturale avrà operato tutto ciò che sta nella sua cerchia. Perciò non è per nulla necessaria una successione di variazioni fortemente spiccate di consimile natura; lievi differenze oscillanti nell’individuo basteranno per l’opera della scelta naturale. Possiamo essere certi che gli effetti ereditati dall’esercizio lungamente continuato, o dalla mancanza di esercizio delle parti avranno operato per lo stesso scopo colla scelta naturale. Modificazioni primieramente importanti, sebbene non più di nessun uso speciale, saranno lungamente ereditate. Quando una parte viene modificata, altre parti muteranno pel principio di correlazione, del quale abbiamo esempi in molti casi curiosi di mostruosità correlative. Si può attribuire qualche cosa all’azione diretta e definita delle condizioni circostanti della vita, come abbondanza di nutrimento, caldo, od umidità; ed infine, molti caratteri di poca importanza fisiologica, alcuni invero molto importanti, sono stati ottenuti mercè la scelta sessuale.
Senza dubbio, l’uomo, come pure qualunque altro animale, presenta strutture che da quanto possiamo giudicare colle nostre poche cognizioni, non sono ora di nessuna utilità per esso, nè gli sono state utili durante nessun periodo primiero della sua esistenza, sia in relazione colle sue condizioni generali di vita, o di un sesso verso l’altro. Cosiffatte strutture non possono essere attribuite a nessuna forma di scelta, od agli effetti ereditati dall’esercizio o dalla mancanza di esso nelle parti. Sappiamo tuttavia che molte strutture particolari, strane, e fortemente spiccate appaiono eventualmente nei nostri prodotti domestici, e se le ignote cause che le hanno prodotte fossero state per agire con maggior uniformità, esse sarebbero divenute comuni a tutti gli individui della specie. Possiamo inoltre sperare di comprendere alcunchè intorno alle cause di queste eventuali modificazioni, specialmente allo studio delle mostruosità: quindi i lavori degli sperimentatori come quelli del signor Camillo Dareste, sono pieni di promesse per l’avvenire. Nel maggior numero dei casi possiamo dire soltanto che la causa di ogni lieve variazione e di ogni mostruosità sta molto più nella natura della costituzione dell’organismo che non nella natura delle condizioni circostanti; sebbene le nuove e mutate condizioni abbiano certamente una parte importante nel promuovere ogni sorta di mutamenti organici.
Mercè i mezzi testè specificati, e l’aiuto forse di altri non ancora scoperti, l’uomo si è elevato al suo stato presente. Ma dacchè egli ebbe raggiunto il posto di uomo, egli si è diviso in razze distinte, che molto più probabilmente si potrebbero chiamare sotto specie. Alcune di queste, per esempio il nero e l’europeo, sono tanto distinte che, se ad un naturalista fossero stati presentati alcuni esemplari senza nessuna informazione precedente, egli le avrebbe senza dubbio considerate come vere e buone specie. Contuttociò tutte le razze concordano in tanti particolari poco importanti di struttura ed in tante particolarità mentali, che queste possono venire attribuite soltanto alle eredità da un progenitore comune; ed un progenitore così caratterizzato avrà molto probabilmente meritato il posto di uomo.
Non bisogna supporre che la divergenza di ogni razza dalle altre razze, o di tutte le razze da uno stipite comune, possa essere rintracciata fino ad ogni coppia di progenitori. Al contrario, in ogni stadio del processo di modificazione, tutti gli individui che erano in qualche modo meglio adatti per le loro condizioni di vita, sebbene in gradi differenti, avranno sopravvissuto in numero maggiore che non i meno acconci. Il processo sarà stato simile a quello che l’uomo segue, quando egli non sceglie con intenzione certi individui particolari, ma fa allevamenti con tutti gli individui superiori eliminando gl’individui inferiori. Egli in tal guisa modifica lentamente ma sicuramente la sua razza, e senza saperlo forma una nuova schiatta. Quindi per ciò che riguarda le modificazioni, acquistate indipendentemente dalla scelta, e dovute a variazioni derivanti dalla natura dell’organismo e dall’azione delle condizioni circostanti, o dal mutamento negli usi della vita, nessuna singola coppia sarà stata modificata in un grado molto maggiore che non le altre coppie che abitavano lo stesso paese, perchè saranno state continuamente mescolate mercè il libero incrociamento.
Considerando la struttura embriologica dell’uomo - le omologie che presenta cogli animali sottostanti - i rudimenti che conserva, ed i ritorni a cui va soggetto, possiamo in parte richiamarci alla mente la primiera condizione dei nostri primi progenitori; e possiamo approssimativamente collocarli nella loro propria posizione nella serie zoologica. Noi impariamo così che l’uomo è disceso da un quadrupede peloso, fornito di coda e di orecchie aguzze, probabilmente di abiti arborei, e che abitava l’antico continente. Questa creatura, quando un naturalista ne avesse esaminata tutta la struttura, sarebbe stata collocata fra i quadrumani, colla stessa certezza quanto il comune è ancora più antico progenitore delle scimmie del vecchio e del nuovo continente. I quadrumani e tutti i mammiferi più elevati derivano probabilmente da qualche antico animale marsupiale, e questo per una lunga trafila di forme diversificanti, da qualche creatura rettiliforme od amfibiforme, e questa del pari da qualche animale pesciforme. Noi possiamo scorgere, nella fosca oscurità del passato, che il progenitore primiero di tutti i vertebrati deve essere stato un animale acquatico, fornito di branchie, coi due sessi riuniti nello stesso individuo, e cogli organi più importanti del corpo (come il cervello ed il cuore), imperfettamente sviluppati. Questo animale sembra essere stato più simile alla larva della nostra esistente Ascidia di mare che non a qualunque altra forma conosciuta.
La più grande difficoltà che si presenta, quando siamo tratti alla sovra esposta conclusione intorno all’origine dell’uomo, è il livello elevato di potenza intellettuale e di disposizione morale cui egli è giunto. Ma chiunque ammette il principio generale di evoluzione, deve vedere che le potenze mentali degli uomini più alti, che sono dello stesso genere di quelle dell’uomo, sebbene tanto differenti nel grado, sono suscettive di progresso. Così l’intervallo fra le potenze mentali di una delle scimmie più elevate e quelle di un pesce, o tra quelle di una formica e quelle di un acaro è immenso. Lo sviluppo di queste forze negli animali non presenta nessuna difficoltà speciale; perchè nei nostri animali domestici, le facoltà mentali sono certamente variabili, e le variazioni sono ereditate. Nessuno pone in dubbio che queste facoltà siano di una estrema importanza per gli animali allo stato di natura. Perciò le condizioni sono favorevoli pel loro sviluppo mercè la scelta naturale. La stessa conclusione può venire estesa all’uomo; l’intelletto deve essere stato importantissimo per esso, anche in un periodo remoto, dandogli la facoltà di adoperare il linguaggio, di inventare e fare armi, ordegni, trappole, ecc.; e con questi mezzi, uniti ai costumi sociali, egli da lungo tempo è divenuto la più dominatrice di tutte le creature viventi.
Un grande progresso nello sviluppo dell’intelletto sarà seguito, appena mercè un naturale avanzamento precedente, la semi-arte ed il semi istinto del linguaggio saranno venuti in uso; perchè l’uso continuato del linguaggio avrà prodotto un effetto ereditato; e questo a sua volta avrà reagito sul miglioramento del linguaggio. La grande mole del cervello dell’uomo, in paragone di quello degli animali sottostanti, relativamente alla mole del loro corpo, può essere per la maggior parte attribuita, come ha bene osservato il signor Chauncey Wright, all’uso primiero di qualche semplice forma di linguaggio - quel meraviglioso congegno che applica segni ad ogni sorta di oggetti e di qualità, e promuove il legame del pensiero che non potrebbe mai nascere dalla sola impressione dei sensi, e se nascesse non potrebbe essere continuato. Le forze intellettuali più alte dell’uomo, come il raziocinio, l’astrazione, la consapevolezza, ecc., avranno avuto origine dal continuo miglioramento di altre facoltà mentali; ma senza una notevole coltura della mente, tanto nella razza quanto nell’individuo, è dubbio se queste alte potenze avrebbero potuto esercitarsi, e così pienamente svilupparsi.
Lo sviluppo delle qualità morali è un problema interessantissimo e difficile. Queste facoltà si fondano sugli istinti sociali, che comprendono i legami della famiglia. Questi istinti sono di natura sommamente complessa, e nel caso degli animali sottostanti producono tendenze speciali verso certe azioni definite; ma gli elementi più importanti per noi sono l’amore e la distinta emozione della simpatia. Gli animali dotati di istinti sociali si compiacciono della compagnia del loro simile, si difendono a vicenda dal pericolo, si aiutano fra loro in molti modi. Questi istinti non si estendono a tutti gli individui della specie, ma solo a quelli della medesima comunità. Siccome essi sono sommamente benefici alla specie, sono stati molto probabilmente acquistati per opera della scelta naturale.
Un essere morale è quello che può riflettere sulle sue azioni passate e sui motivi di esse, di approvarne alcune e disapprovarne altre, ed il fatto che l’uomo è quella tal creatura che certamente può essere in cosiffatto modo indicata è la più grande di tutte le distinzioni fra lui e gli animali sottostanti. Ma nel nostro terzo capitolo ho cercato dimostrare che il senso morale deriva, prima, dalla natura persistente e sempre presente degli istinti sociali, nel qual rispetto l’uomo concorda cogli animali sottostanti; secondo, dal poter egli apprezzare l’approvazione e la disapprovazione dei suoi simili, e terzo da ciò che le sue facoltà mentali sono sommamente attive e le sue impressioni dei passati avvenimenti vivacissime, nel qual rispetto egli differisce dagli animali sottostanti. A cagione di questa condizione di mente, l’uomo non può evitare di guardare dietro e innanzi a sè, e comparare le sue passate impressioni. Quindi dopo che qualche temporaneo desiderio o qualche passione hanno vinto i suoi istinti sociali, egli rifletterà e comparerà la impressione ora indebolita di quei passati impulsi, cogli istinti sociali sempre presenti; e sentirà allora quel senso di scontento che tutti gli istinti insoddisfatti lasciano dietro. In conseguenza egli si determina ad agire differentemente in avvenire - e questa è la coscienza. Qualunque istinto che è permanentemente più forte o più persistente che non un altro, origina un sentimento che noi esprimiamo dicendo che deve essere obbedito. Un cane pointer se fosse capace di riflettere alla sua passata condotta, direbbe a se stesso, io avrei dovuto (come invero diciamo di lui) postare quella lepre e non aver ceduto alla fuggitiva tentazione di saltar su e darle caccia.
Gli animali sociali sono spinti in parte da un desiderio di porgere aiuto ai membri della medesima comunità in un modo generale, ma più comunemente a compiere certe azioni definite. L’uomo è spinto dallo stesso desiderio generale di assistere i suoi simili, ma ha pochi o non ha affatto istinti speciali, Differisce pure dagli animali sottostanti per la facoltà che ha di esprimere i suoi desideri colle parole, che così divengono la guida dell’aiuto richiesto ed accordato. Il motivo di dare aiuto è parimente molto modificato nell’uomo; esso non consiste più soltanto in un cieco impulso istintivo, ma è grandemente spinto dalla lode o dal biasimo dei suoi simili. Tanto l’apprezzare quanto l’accordare la lode ed il biasimo riposano sulla simpatia; e questo sentimento, come abbiamo veduto, è uno degli elementi più importanti degli istinti sociali. La simpatia, sebbene acquistata come istinto, è pure resa più forte dall’esercizio o dall’abitudine. Siccome tutti gli uomini desiderano la propria felicità, si dà lode o biasimo a quelle azioni ed a quei motivi secondo che conducano a quello scopo; e siccome la felicità è una parte essenziale del bene generale, il principio della più grande felicità serve indirettamente come un livello quasi sicuro del bene e del male. Man mano che le potenze del ragionamento progrediscono e si acquista esperienza, si scorgono gli effetti più remoti di certe linee di condotta intorno al carattere dell’individuo, ed al bene generale; e allora le virtù personali venendo entro la cerchia della pubblica opinione, ricevono lode, e le opposte vengono biasimate. Ma nelle nazioni meno civili la ragione sovente erra, e molti cattivi costumi e basse superstizioni vengono nella stessa cerchia; ed in conseguenza sono stimate come alte virtù, e la loro infrazione come enormi delitti.
Le facoltà morali sono in generale stimate, e giustamente, come molto superiori alle potenze intellettuali. Ma dobbiamo sempre aver presente che l’attività della mente nel richiamare con vivacità le passate impressioni è una delle basi fondamentali sebbene secondarie della coscienza. Questo fatto somministra l’argomento più forte per educare e stimolare con ogni possibile mezzo le facoltà intellettuali di ogni creatura umana. Senza dubbio un uomo di mente torpida, qualora le sue affezioni e simpatie sociali siano bene sviluppate, sarà indotto a compiere buone azioni, e può avere una coscienza pienamente sensitiva. Ma qualunque cosa che renda l’immaginazione degli uomini più viva e rinforzi l’abito del ricordare e del comparare le passate impressioni, renderà la coscienza più sensitiva, e può anche compensare fino a un certo punto gli affetti e le simpatie sociali più deboli.
La natura morale dell’uomo è giunta al più alto livello ottenuto, in parte per progresso delle forze del ragionamento ed in conseguenza di una giusta opinione pubblica, ma specialmente per ciò che le simpatie sono divenute più dolci e più estesamente diffuse per gli effetti dell’abitudine, dell’esempio, dell’istruzione e della riflessione. Non è improbabile che le tendenze virtuose, mercè una lunga pratica, possono essere ereditate. Nelle razze più incivilite, il convincimento dell’esistenza di una Divinità onniveggente ha avuto un’azione potente sul progresso della moralità. Infine l’uomo non accetta più la lode o il biasimo del suo simile come guida principale, sebbene pochi sfuggano a questa azione, ma le sue convinzioni abituali governate dalla ragione gli somministrano la regola più sicura. Allora la sua coscienza diviene il suo giudice o mentore supremo. Nondimeno il primo fondamento o la prima origine del senso morale si basa sugli istinti sociali, compresa la simpatia; e questi istinti senza dubbio vennero primieramente acquistati; come nel caso degli animali sottostanti, per opera della scelta naturale.
La credenza in Dio è stata sovente posta come non solo la più grande ma anche la più compiuta di tutte le distinzioni fra l’uomo e gli animali sottostanti. È tuttavia impossibile, come abbiamo veduto, asserire che questa credenza sia innata od istintiva nell’uomo. D’altra parte una credenza in agenti spirituali onnipotenti sembra essere universale; e da quanto pare deriva da un notevole progresso nelle potenze di ragionamento dell’uomo, e da un ancor più grande progresso delle sue facoltà immaginative, la curiosità e la meraviglia. So che l’asserita credenza istintiva in Dio è stata addotta da molte persone come un argomento per la sua esistenza. Ma questo è un argomento ardito, perchè saremmo così obbligati a credere nell’esistenza di molti spiriti crudeli e maligni, che posseggono appena un po’ più di potere dell’uomo; perchè la credenza in essi è molto più generale che non quella in una Divinità benefica. L’idea di un benefico ed universale Creatore dell’universo non sembra nascere nella mente dell’uomo, finchè questa non siasi elevata per una lunga e continua coltura.
Colui il quale crede che l’uomo proceda da qualche forma bassamente organizzata, chiederà naturalmente come questo possa stare colla credenza nell’immortalità dell’anima. Le razze barbare dell’uomo, come ha dimostrato sir J. Lubbock, non hanno una chiara credenza di tal sorta, ma gli argomenti derivati dalle primitive credenze dei selvaggi non hanno, come abbiamo veduto testè, che poco o nessun valore. Poche persone provano qualche ansietà per l’impossibilità di determinare in quale preciso periodo nello sviluppo dell’individuo, dalla prima traccia della minuta vescicola germinale al bambino prima o dopo la nascita, l’uomo divenga una creatura immortale; e non vi può essere nessuna più grande causa di ansietà, perchè non è possibile determinare il periodo nella scala organica graduatamente ascendente.
Sono persuaso che le conclusioni a cui sono giunto in questo lavoro saranno da tal uno segnalate come grandemente irreligiose; ma colui che le segnalerà è obbligato di dimostrare perchè sia più irreligioso spiegare l’origine dell’uomo come una specie distinta che discenda da qualche forma più bassa, mercè le leggi di variazione e la scelta naturale, che spiegare la nascita dell’individuo mercè le leggi della riproduzione ordinaria. La nascita tanto della specie come dell’individuo sono parimente parti di quella grande fila di avvenimenti che le nostre menti rifiutano di accettare come l’effetto cieco del caso. L’intelletto si rivolta ad una tale conclusione, sia che possiamo o no credere che ogni lieve variazione di struttura, - l’unione di ogni coppia in matrimonio, - la disseminazione d’ogni seme, - ed altri cosiffatti eventi, siano stati tutti ordinati per qualche scopo speciale.
La scelta sessuale è stata estesamente trattata in questo volume, perchè, siccome ho cercato di dimostrare, essa ha avuto una parte importante nella storia del mondo organico. Siccome in ogni capitolo si è fatto un riassunto, sarebbe qui superfluo aggiungere un particolareggiato sommario. So bene che molte cose rimangono ancora dubbie, ma ho cercato di dare una buona veduta di tutto il complesso. Nelle divisioni più basse del regno animale la scelta sessuale sembra non aver operato nulla; certi animali sono spesso attaccati per tutta la vita allo stesso luogo, od hanno i due sessi riuniti nello stesso individuo, o ciò che è ancor più importante, le loro facoltà percettive ed intellettuali non sono sufficientemente avanzate da permettere sensi di amore e di gelosia, o l’esercizio di una scelta. Tuttavia quando veniamo agli artropodi ed ai vertebrati, anche delle classi più basse di questi due grandi sottoregni, la scelta sessuale ha avuto gran parte, e merita di essere notato che qui noi troviamo le facoltà intellettuali sviluppate ma in due linee distintissime, al più alto livello, cioè negli imenotteri (formiche, api, ecc.), fra gli artropodi e nel mammiferi, compreso l’uomo, fra i vertebrati.
Nelle classi più distinte del regno animale, nei mammiferi, negli uccelli, nei rettili, nei pesci, negli insetti, ed anche nei crostacei, le differenze fra i sessi seguono quasi esattamente le medesime regole. I maschi sono quasi sempre gli amanti conquistatori, ed essi soli sono forniti di armi speciali per combattere coi loro rivali. In generale sono più forti e più grandi che non le femmine, e son forniti delle qualità richieste di coraggio e d’indole bellicosa. Sono muniti, sia esclusivamente o in grado molto più alto che non le femmine, di organi che producono musica vocale o strumentale, e ghiandole odorifere. Sono ornati di appendici infinitamente svariate, e dei più vivaci e brillanti colori, spesso disposti in fogge eleganti, mentre le femmine rimangono disadorne. Quando i sessi differiscono in strutture più importanti, si è il maschio quello che è fornito di organi speciali dei sensi per rintracciare la femmina, di organi locomotori per raggiungerla e sovente di organi di prensione per tenerla ferma. Queste varie strutture per assicurarsi della femmina o per allettarla sovente si sviluppano nel maschio durante una parte sola dell’anno; vale a dire nella stagione delle nozze. In molti casi sono stati trasmessi in un grado più o meno grande alle femmine, e in quest’ultimo caso appaiono in esse come semplici rudimenti. Vengono perduti dai maschi in seguito alla castrazione. In generale non si sviluppano nel maschio durante la prima gioventù, ma appaiono un po’ prima dell’età della riproduzione. Quindi nella maggior parte dei casi i giovani dei due sessi si somigliano; e la femmina somiglia per tutta la vita alla sua prole giovane. In quasi ogni grande classe si presentano alcuni pochi casi anomali nei quali vi è stata una trasposizione quasi compiuta dei caratteri propri ai due sessi; assumendo le femmine caratteri che appartengono propriamente ai maschi. Questa sorprendente uniformità nelle leggi che regolano le differenze fra i sessi in tante e tante separate classi, si comprende se ammettiamo l’azione in tutte le più alte divisioni del regno animale di una causa comune, cioè la scelta sessuale.
La scelta sessuale dipende dalla riuscita d’individui rispetto ad altri dello stesso sesso in relazione colla propagazione delle specie; mentre la scelta naturale dipende dalla riuscita dei due sessi, in tutte le età, in relazione colle condizioni generali della vita. La lotta sessuale è di due sorta; una è la lotta fra individui dello stesso sesso, generalmente del sesso maschile, onde scacciare od uccidere i rivali, le femmine rimanendo passive; mentre nell’altra, la lotta è pure fra individui dello stesso sesso onde allettare od eccitare quelli del sesso opposto, in generale le femmine che sono più passive, ma scelgono i compagni più piacevoli. Quest’ultima sorta di scelta è intimamente analoga a quella che l’uomo compie inconsapevolmente, sebbene efficacemente, nei suoi prodotti domestici, quando per un tempo lungo continua a scegliere gli individui più belli e più utili, senza nessun desiderio di modificare la razza.
Le leggi di eredità determinano se i caratteri acquistati mercè la scelta sessuale di ogni sesso saranno trasmessi allo stesso sesso, ovvero ai due sessi; come pure all’età in cui saranno sviluppati. Sembra che le variazioni le quali vengono tardi nella vita sono comunemente trasmesse ad un solo e medesimo sesso. La variabilità è la base necessaria dell’azione della scelta, ed è al tutto indipendente da quella. Quindi segue da ciò che le variazioni della medesima natura generale si sono vantaggiate e si sono accumulate mercè la scelta sessuale in relazione colla propagazione della specie, e mercè la scelta naturale in relazione cogli scopi generali della vita. Quindi i caratteri sessuali secondari, quando vengono ugualmente trasmessi a due sessi, possono essere distinti dai caratteri specifici ordinari solo col lume dell’analogia. Le modificazioni acquistate mercè la scelta sessuale sono spesso così fortemente pronunciate, che i due sessi sono stati di frequente classificati come specie distinte, o anche come generi distinti. Cosiffatte differenze fortemente spiccate debbono in qualche modo essere importantissime; e sappiamo che in certi casi sono state acquistate non solo a prezzo di qualche inconveniente, ma col rischio di attuale pericolo.
La credenza nel potere della scelta sessuale riposa principalmente sulle seguenti considerazioni. I caratteri che abbiamo ogni miglior ragione per supporre siano stati acquistati in tal modo sono limitati ad un sesso; e questo solo rende probabile che in certo modo abbiano relazione coll’atto della riproduzione. Questi caratteri in un numero infinito di casi si sviluppano pienamente solo all’età adulta: e sovente solo durante una parte dell’anno, che è sempre la stagione delle nozze. I maschi (lasciando in disparte alcuni pochi casi eccezionali) sono più attivi nel corteggiamento; sono i meglio armati, e sono resi in vari modi i più attraenti. Giova osservare specialmente che i maschi spiegano le loro attrattive con gran cura in presenza delle femmine; e che raramente e mai ne fanno pompa, tranne nella stagione degli amori. Non si può credere che tutta questa mostra possa non avere uno scopo. Infine abbiamo prove distinte in alcuni quadrupedi ed uccelli che gli individui di un sesso possono provare una forte antipatia o preferenza per certi individui del sesso opposto.
Tenendo presenti alla mente questi fatti e non dimenticando i risultati spiccati della scelta inconsapevole operata dall’uomo, mi pare, quasi certo che se gli individui di un sesso durante una lunga serie di generazioni preferissero di unirsi con certi individui dell’altro sesso, caratterizzati in qualche modo particolare, la prole andrebbe lentamente ma sicuramente modificandosi nello stesso modo. Non ho cercato di nascondere che, tranne quando i maschi sono più numerosi che non le femmine, o quando prevale la poligamia, è dubbio il modo in cui i maschi più attraenti riescono a lasciare un maggior numero di figli per ereditare la loro superiorità negli ornamenti o in altre attrattive che non i maschi meno belli; ma ho dimostrato che ciò viene operato probabilmente dalle femmine - specialmente da quelle femmine più robuste che sono pronte per la riproduzione prima delle altre, e che preferiscono i maschi non solo più attraenti, ma anche i più robusti e vittoriosi.
Sebbene abbiamo una qualche certa prova: che gli uccelli apprezzano gli oggetti belli e brillanti, come le Clamidere dell’Australia, e quantunque apprezzino certamente la potenza del canto, tuttavia confesso pienamente che è un fatto meraviglioso questo che le femmine di molti uccelli e di alcuni mammiferi siano forniti di sufficiente gusto per ciò che, da quanto pare, è stato effettuato dalla scelta sessuale; e questo è anche più sorprendente nel caso dei rettili, dei pesci e degli insetti. Ma noi in realtà non conosciamo che pochissimo intorno all’intelligenza degli animali sottostanti. Non si può supporre che i maschi degli uccelli di paradiso o dei pavoni, per esempio, avrebbero tanta cura di sollevare, allargare e far vibrare le loro belle piume agli occhi delle femmine senza uno scopo speciale. Possiamo ricordare il fatto riferito da una eccellente autorità in uno dei primi capitoli, cioè, che varie pavonesse, quando furono separate da un maschio loro preferito, rimasero vedove per una intera stagione piuttosto che accoppiarsi con un altro maschio.
Nondimeno non conosco nella storia naturale un fatto più meraviglioso di quello che la femmina dell’Argo possa apprezzare la squisita sfumatura degli ornamenti ad occhio e l’elegante modello delle penne delle ali del maschio. Colui il quale crede che il maschio sia stato creato come esiste oggi, deve riconoscere che le grandi piume, che impediscono alle ali di volare, e che, come le penne primarie, sono spiegate in un modo al tutto particolare a questa sola specie durante l’atto del corteggiamento, ed in nessun altro tempo, gli furono state date per servir di ornamento. Se questo è il caso egli deve pure ammettere che la femmina venne creata e fornita della facoltà di apprezzare cosiffatti ornamenti. Io differisco solo in ciò che credo che il maschio del fagiano Argo acquistò graduatamente la sua bellezza, per ciò che le femmine ebbero preferito per lo spazio di molte generazioni i maschi meglio ornati; la facoltà estetica delle femmine avendo progredito per l’esercizio e l’abitudine nello stesso modo come il nostro proprio gusto è andato graduatamente migliorando. Nel maschio fortunatamente pel fatto che alcune poche penne non sono state modificate, possiamo vedere distintamente in qual modo certe semplici macchie con una lieve ombreggiatura fulva da un lato possano essersi sviluppate per piccoli e graduati stadi in meravigliosi ornamenti ad occhio; ed è probabile che vennero attualmente in tal modo sviluppate.
Chiunque ammetta il principio di evoluzione, e tuttavia senta grande difficoltà ad ammettere che le femmine dei mammiferi, degli uccelli, dei rettili e dei pesci possano avere acquistato l’alto livello di gusto che si può dedurre dalla bellezza dei maschi, e che coincide in generale col nostro proprio gusto, rifletterà che in ogni membro delle serie dei vertebrati le cellule nervose del cervello sono i germogli diretti di quelle possedute dal progenitore comune di tutto il gruppo. In tal modo diviene intelligibile che il cervello e le facoltà mentali possano essere in condizioni consimili di un corso quasi uguale di sviluppo, ed in conseguenza di compiere quasi le medesime funzioni.
Il lettore che si è dato la pena di scorrere i vari capitoli dedicati alla scelta sessuale, potrà giudicare fino a qual punto le conclusioni cui sono giunto siano sostenute da sufficienti prove. Se accetta queste conclusioni, egli può, credo, estenderle con certezza al genere umano; ma sarebbe qui superfluo ripetere ciò che ho detto infine sul modo in cui la scelta sessuale ha, da quanto pare, operato tanto dal lato del maschio quanto da quello della femmina, facendo in guisa che i due sessi differiscano nell’uomo tanto nel corpo quanto nella mente, e le varie razze differiscano fra loro nei vari caratteri, come dai loro antichi e bassamente organizzati progenitori.
Colui il quale ammette il principio della scelta sessuale, sarà indotto alla notevole conclusione che il sistema cerebrale non solo regola la maggior parte delle funzioni esistenti del corpo, ma ha un’azione indiretta sul progressivo sviluppo di varie strutture corporali e di certe qualità mentali. Il coraggio, l’indole bellicosa, la perseveranza, la forza e la mole del corpo, le armi di ogni sorta, gli organi musicali, tanto vocali quanto strumentali, i colori vivaci, le strisce e le macchie, le appendici adornanti, sono state indirettamente acquistate da un sesso o dall’altro, dall’azione dell’amore e della gelosia, mercè l’apprezzamento del bello nel suono, nel colore o nella forma, e mercè l’esercizio di una scelta; e queste potenze della mente dipendono evidentemente dallo sviluppo del sistema cerebrale.
L’uomo investiga scrupolosamente il carattere e la genealogia dei suoi cavalli, del suo bestiame, e dei suoi cani prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo proprio matrimonio, raramente o non mai si prende tutta questa cura. Egli è spinto quasi dagli stessi motivi come gli animali sottostanti quando son lasciati liberi nella scelta, sebbene egli sia stato superiore a quelli da apprezzare moltissimo le virtù e le grazie della mente. D’altra parte la ricchezza e il grado soltanto lo attirano grandemente. Tuttavia egli potrebbe colla scelta fare alcunchè non solo per la costituzione corporale dei suoi figli, ma anche per le loro facoltà intellettuali e morali. I due sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio qualora fossero in qualsiasi evidente grado deboli di corpo o di mente; ma queste speranze sono utopie e non si compiranno mai neppure in parte finchè le leggi di eredità non siano pienamente note. Chiunque coopererà a questo intento renderà un buon servigio. Quando i principii della razza e dell’eredità fossero meglio compresi, non udremo certi membri ignoranti della nostra legislatura respingere disdegnosamente un progetto per accertarsi con mezzi agevoli se i matrimoni fra consanguinei siano o no di danno per l’uomo.
Il progresso della prosperità del genere umano è un intricatissimo problema; tutti quelli che non possono evitare una grande povertà pei loro figli dovrebbero astenersi dal matrimonio, perchè la povertà non è soltanto un gran male, ma tende ad aumentarsi producendo la negligenza nel matrimonio. D’altra parte, come ha notato il sig. Galton, se i prudenti si astengono dal matrimonio, mentre i negligenti si sposano, i membri inferiori delle società tenderanno a soppiantare i membri migliori. L’uomo, come qualunque altro animale, ha senza dubbio progredito fino alla sua condizione attuale mercè una lotta per l’esistenza, frutto del suo rapido moltiplicarsi; e se egli deve progredire ed elevarsi ancora di più, deve andar soggetto ad una dura lotta. Altrimenti egli in breve cadrebbe nell’indolenza, e gli uomini altamente dotati non riuscirebbero meglio nella battaglia della vita che non i meno bene dotati. Quindi la nostra media naturale di accrescimento, sebbene produca molti mali evidenti, non deve essere per nessun mezzo molto diminuita. Vi deve essere aperto pieno contrasto per tutti gli uomini; e le leggi e i costumi non debbono impedire i più abili dal riuscire meglio e dall’allevare un numero più grande di figli. Per quanto importante la lotta per l’esistenza sia stata e sia ancora tuttavia per quello che concerne la parte più elevata dell’umana natura, vi hanno altri agenti più importanti. Perchè le qualità morali hanno progredito, sia direttamente od indirettamente, molto più per opera degli effetti dell’uso, delle potenze del ragionamento, dell’istruzione, della religione, ecc., che non per opera della scelta naturale; sebbene si possano con certezza attribuire a quest’ultimo agente gl’istinti sociali, che somministrano la base nello sviluppo del senso morale.
Mi fa rincrescimento pensare che la principale conclusione a cui sono giunto in quest’opera, cioè che l’uomo sia disceso da qualche forma bassamente organizzata, riescirà sgradevolissima a molte persone. Ma non vi può essere guari dubbio che noi discendiamo dai barbari. Non dimenticherò mai la meraviglia che provai nel vedere la prima volta un gruppo di indigeni della Terra del Fuoco raccolti sopra una selvaggia e scoscesa spiaggia; ma mi venne subito alla mente che tali furono i nostri antenati. Quegli uomini erano al tutto nudi, e imbrattati di pitture, i loro lunghi capelli erano tutti intricati, la loro bocca era contorta dall’eccitamento, ed il loro aspetto era selvaggio, sgomentato e sgradevole. Non avevano quasi nessuna arte, e come gli animali selvatici vivevano di quello di cui potevano impadronirsi; non avevano alcun governo, ed erano senza misericordia per chiunque non fosse stato della loro piccola tribù. Chi abbia veduto un selvaggio nella sua terra nativa non sentirà molta vergogna, se sarà obbligato a riconoscere che il sangue di qualche creatura più umile gli scorre nelle vene. In quanto a me vorrei tanto essere disceso da quella eroica scimmietta che affrontò il suo terribile nemico onde salvare la vita al suo custode; o da quel vecchio babbuino, il quale sceso dal monte, strappò trionfante il suo giovane compagno da una folla attonita di cani - quanto da un selvaggio che si compiace nel torturare i suoi nemici, offre sacrifizi di sangue, pratica l’infanticidio senza rimorso, tratta le sue mogli come schiave, non conosce che cosa sia la decenza, ed è invaso da grossolane superstizioni.
L’uomo va scusato di sentire un certo orgoglio per essersi elevato, sebbene non per propria spinta, all’apice della scala organica; ed il fatto di essere in tal modo salito, invece di esservi stato collocato in origine, può dargli speranza per un destino ancora più elevato in un lontano avvenire.
Ma non si tratta qui nè di speranze, nè di timori, ma solo del vero, fin dove la nostra ragione ci permette di scoprirlo. Ho fatto del mio meglio per addurre prove; e dobbiamo riconoscere, per quanto mi sembra, che l’uomo con tutte le sue nobili prerogative, colla simpatia che sente per gli esseri più degradati, colla benevolenza che estende non solo agli altri uomini, ma anche verso la più umile delle creature viventi, col suo intelletto quasi divino che ha penetrato nei movimenti e nella costituzione del sistema solare - con tutte queste alte forze - l’Uomo conserva ancora nella sua corporale impalcatura lo stampo indelebile della sua bassa origine.

FINE

 

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