Prima di intraprendere la trattazione dell'argomento di questo capo, debbo fare alcune osservazioni preliminari sul modo con cui la lotta per l'esistenza si fonda sul principio della elezione naturale. Nel capo precedente abbiamo veduto che fra gli esseri organici allo stato di natura riscontransi variazioni individuali; e per vero io credo che ciò non sia mai stato messo in dubbio.

Poca importa che una moltitudine di forme dubbie siano collocate fra le specie, sottospecie, o varietà; nè fa d'uopo, per esempio, conoscere quale rango debbano avere le duecento o trecento forme dubbie di piante inglesi, quando si ammetta l'esistenza di varietà ben distinte. Ma la sola esistenza delle variazioni individuali e di alcune varietà spiccate, quantunque necessaria in sostanza a questo lavoro, poco ci aiuta per spiegare in qual guisa le specie giungano a formarsi naturalmente.

Come possono essersi effettuati questi mirabili adattamenti di una parte dell'organismo ad un'altra, alle condizioni esterne della vita, e di un essere organico ad un altro essere? Questi adattamenti stupendi li vediamo più chiaramente nel picchio e nel vischio; essi esistono, benchè meno evidenti, nel più umile parassita che si attacca al pelo del mammifero e alle penne di un uccello, nella struttura del coleottero che si tuffa nell'acqua, nel seme alato che viene trasportato dalla brezza più leggiera: in una parola, noi vediamo delle armonie meravigliose nell'intero mondo organico e nelle sue parti.

Si può anche cercare per quale processo le varietà, da me chiamate specie nascenti, si trasformino alla fine in specie ben definite, le quali nella pluralità dei casi differiscono fra loro assai più delle varietà d'una stessa specie. Come si formano quei gruppi di specie che costituiscono i così detti generi distinti, e che sono fra loro più diversi che non lo sono le specie di questi generi? Tutti questi effetti risultano necessariamente dalla lotta per l'esistenza, come noi dimostreremo più completamente al capo seguente. In seguito a questa continua lotta per l'esistenza, ogni variazione, per piccola che sia e da qualsiasi cagione provenga, purchè sia in qualche parte vantaggiosa all'individuo di una specie, contribuirà nelle sue relazioni infinitamente complesse cogli altri esseri organizzati e colle fisiche condizioni della vita alla conservazione di quest'individuo, e in generale si trasmetterà alla sua discendenza. Inoltre questa avrà maggiori probabilità di sopravvivere; perchè, fra i molti individui d'ogni specie che nascono periodicamente, pochi soltanto rimangono in vita. Io chiamo elezione naturale il principio, pel quale così conservasi ogni leggera variazione, quando sia utile, per stabilire la sua analogia colla facoltà elettiva dell'uomo. Ma l'espressione usata da Herbert Spencer «sopravvivenza del meglio adatto» è più precisa e alcune volte ugualmente conveniente.

Noi abbiamo notato che l'uomo, per mezzo dell'elezione, certamente può produrre grandi risultati e può adattare gli esseri organizzati ai propri bisogni, accumulando le variazioni leggere, ma vantaggiose, che la natura gli fornisce. Ora l'elezione naturale, come più tardi vedremo, è incessantemente in azione ed è incomparabilmente superiore ai deboli sforzi dell'uomo, come le opere della Natura lo sono rispetto a quelle dell'Arte.


Facciamoci ora ad esaminare con maggiori dettagli il principio della lotta per l'esistenza.
Codesta questione verrà trattata nel mio prossimo lavoro, con tutto lo sviluppo che esige. Piramo De Candolle e Lyell dimostrarono filosoficamente e completamente che tutti gli esseri organizzati sono sottomessi alle leggi di una severa concorrenza. Niuno trattò questo argomento con tanto spirito ed abilità come il dott. W. Herbert, decano di Manchester, per quanto riguarda le piante, e ciò devesi evidentemente alle sue profonde cognizioni di orticoltura. Non vi ha cosa più facile dello ammettere in teoria la verità della universale lotta per l'esistenza, ma è estremamente difficile, come io almeno trovai, di conservare sempre presente allo spirito questa legge. Eppure, se non ce la imprimeremo bene nella mente, intravvederemo solo confusamente, o anche non comprenderemo affatto, l'intera economia della natura con tutti i suoi fenomeni di distribuzione, di rarità, d'abbondanza, d'estinzione e di variazione. Noi vediamo l'aspetto della natura brillare di prosperità, e vi ravvisiamo una sovrabbondanza di nutrimento; noi dimentichiamo che la maggior parte di tanti uccelli che cantano intorno a noi, vivono solo d'insetti o di sementi, e per conseguenza distruggono continuamente altri esseri viventi; oppure noi non riflettiamo che questi cantatori, o le loro uova, o la loro covata, sono distrutti da uccelli od altri animali rapaci; e noi non pensiamo sempre che se in certi istanti essi hanno un nutrimento eccedente, ciò non avviene in tutte le stagioni dell'anno.

IL TERMINE «LOTTA PER L'ESISTENZA» DEVE IMPIEGARSI
IN UN SENSO LARGO

Qui io debbo premettere che adopero il termine lotta per l'esistenza in un senso largo e metaforico, comprendente le relazioni di mutua dipendenza degli esseri organizzati, e (ciò che più monta) non solo la vita dell'individuo, ma le probabilità di lasciare una posterità. Può con sicurezza asserirsi che in un'epoca di carestia due cani lotteranno fra loro per carpirsi il nutrimento necessario alla vita. Una pianta al confine d'un deserto deve lottare contro la siccità, anzi più acconciamente potrebbe dirsi che essa dipende dall'umidità. Di una pianta che produce annualmente un migliaio di semi, de' quali in media uno solo giunge a maturità, può dirsi più veramente che deve lottare contro le piante di specie simili o diverse, che già ricuoprono il terreno. Il vischio dipende dal pomo e da alcuni altri alberi; in senso assai lato, egli lotta contro di essi; perchè se un numero troppo grande di questi parassiti si sviluppa sul medesimo albero, questo deperisce e muore. Parecchie sementi di vischio, che crescono vicine sul medesimo ramo, al certo lottano fra loro. Il vischio poi dipende inoltre dagli uccelli, perchè viene sparso dai medesimi; e può dirsi per metafora che egli lotta con altre piante, offrendo come queste i suoi semi all'appetito degli uccelli, affinchè essi li spargano a preferenza di quelli d'altre specie. In tutti questi vari significati che si trasfondono insieme, io adotto, per maggior comodo, il termine generale di lotta per l'esistenza.
PROGRESSIONE GEOMETRICA DI ACCRESCIMENTO

Questa lotta deriva inevitabilmente dalla rapida progressione, colla quale tutti gli esseri organizzati tendono a moltiplicarsi. Ognuno di questi esseri che, durante il corso naturale della sua vita, produce parecchi semi ed uova, deve trovarsi esposto a cause di distruzione in certi periodi della sua esistenza, in certe stagioni o in certi anni; altrimenti, per la legge delle progressioni geometriche, la specie arriverebbe a un numero d'individui sì enorme, che nessuna regione potrebbe bastare a contenerla. Quindi nascendo un numero d'individui superiore a quello che può vivere, deve certamente esistere una seria lotta per l'esistenza, sia fra gli individui della medesima specie, sia fra quelli di specie diverse, oppure contro le condizioni fisiche della vita. Questa è la dottrina di Malthus, applicata con maggior forza a tutto il regno organico; perchè in questo caso non è possibile un aumento artificiale di nutrimento, nè alcun prudente ritegno dal matrimonio.

Quantunque alcune specie siano attualmente in aumento, più o meno rapido, altrettanto non avviene per tutte, giacchè il mondo allora non potrebbe dar loro ricetto.

Non havvi alcuna eccezione alla regola generale che ogni essere organizzato si propaga naturalmente, con una progressione tanto rapida, che la terra sarebbe in breve coperta dalla discendenza di una sola coppia, se non intervenissero cause di distruzione. Anche la specie umana, che si riproduce con tanta lentezza, può raddoppiare di numero nell'intervallo di venticinque anni; e secondo questa progressione, basterebbero poche migliaia d'anni perchè non rimanesse più posto per la sua progenie. Linneo ha calcolato che se una pianta annua producesse soltanto due semi (nè si conosce pianta così poco feconda), e questi dessero altri due semi nell'anno seguente per ciascuno e così via via, in soli vent'anni la specie possederebbe un milione d'individui. Sappiamo che l'elefante è il più lento a riprodursi fra tutti gli animali conosciuti; ed ho cercato di valutare al minimum la probabile progressione del suo accrescimento. Si rimane al disotto della verità coll'ammettere ch'egli si propaga dall'età di trent'anni e continua fino all'età di novant'anni, dando in questo intervallo tre coppie di figli. Ora, in questa ipotesi, dopo cinquecento anni vi sarebbero quindici milioni di elefanti, derivati tutti da una prima coppia.

Ma noi abbiamo prove migliori di questa legge, oltre i calcoli puramente teorici: e lo sono specialmente i casi frequenti di moltiplicazione prodigiosamente rapida degli animali allo stato selvaggio, quando le circostanze sono loro favorevoli solo per due o tre stagioni successive.
L'esempio di parecchie delle nostre razze domestiche che di nuovo divennero selvagge, in varie parti del mondo, è ancora più notevole. Se i fatti constatati nell'America del Sud, ed ultimamente in Australia, dell'aumento e della lenta moltiplicazione de' buoi e dei cavalli, non fossero perfettamente autentici, sarebbero incredibili. Avviene altrettanto delle piante: si ponno citare delle piante introdotte in certe isole, nelle quali divennero comuni in meno di dieci anni. Diverse piante, come il cardo de' lanaiuoli, e il cardone, che sono ora estremamente comuni nelle vaste pianure della Plata, ov'esse ricoprono molte leghe quadrate di superficie, escludendo quasi tutte le altre piante, furono colà recate dall'Europa; e il dott. Falconer mi disse che nell'India certe piante, che oggi si estendono dal capo Comorin fino all'Himalaia, furono importate dall'America dopo la scoperta di questa. In questi casi diversi e negli esempi infiniti che potrebbero citarsi, niuno ha mai supposto che la fecondità di queste piante o di questi animali si fosse aumentata improvvisamente e temporariamente in un modo sensibile. La sola spiegazione soddisfacente di questo fatto sta nell'ammettere che le condizioni della vita furono molto favorevoli, che conseguentemente si ebbe una minore distruzione di individui vecchi e giovani, e che quasi tutti i discendenti poterono prolificare. In questi casi, la ragione geometrica della moltiplicazione, il risultato della quale è sorprendente, spiega l'aumento straordinario e la diffusione immensa di queste specie naturalizzate nella nuova loro patria.

Allo stato naturale quasi tutte le piante producono annualmente semi, e fra gli animali hannovene pochi che non s'accoppiino ogni anno. Si può inferirne con piena sicurezza che tutte le piante e tutte le specie d'animali tendono a moltiplicare in ragione geometrica, che ciascuna specie basterebbe a popolare rapidamente il paese, nel quale essa può vivere, e che la loro tendenza ad aumentare secondo una progressione geometrica deve necessariamente essere frenata da cagioni distruttrici, in qualche periodo della loro esistenza. Noi potremmo essere indotti in errore dall'asserta cognizione de' nostri maggiori animali domestici, siccome non li vediamo esposti a grandi pericoli; ma dimentichiamo che se ne uccidono ogni anno delle migliaia per nutrimento dell'uomo, e che anche allo stato di natura sarebbe d'uopo che altrettanti perissero in qualche modo.


La sola differenza fra gli organismi che producono annualmente uova o semi a migliaia e quelli che ne producono assai pochi consiste nel richiedersi, pei riproduttori più lenti, alcuni anni di più onde popolare un'intiera contrada per quanto estesa, sotto circostanze favorevoli. Il condor depone due uova, e lo struzzo una ventina; nondimeno in uno stesso paese il condor può essere la specie più numerosa delle due. Il fulmar procellaria (Procellaria glacialis) non fa che un uovo solo, eppure fra gli uccelli è creduta la specie più ricca del mondo. Una mosca depone centinaia d'uova, e un'altra, l'ippibosca, ne depone uno solo; ma questa differenza non decide affatto del numero d'individui delle due specie che un medesimo distretto può nutrire. Una grande quantità di uova è di qualche importanza per quelle specie, le quali nutronsi di alimenti che variano rapidamente nella quantità, perchè la moltiplicazione deve aver luogo in breve tempo. Ma il vantaggio reale che esse ricavano da un gran numero d'uova o di semi sta nel poter combattere contro le grandi cause di distruzione, ad una certa epoca dell'esistenza; epoca in molti casi più o meno affrettata. Se un animale è capace di proteggere le sue uova o i suoi piccoli, egli può procrearne soltanto un numero ristretto e però il contingente medio della specie rimarrà al completo; ma se molte uova o molti figli sono esposti ad essere distrutti, è necessario che se ne produca una grande quantità, altrimenti la specie si estinguerebbe. Se una specie d'alberi vive in media mille anni, per mantenere al completo il numero degli individui di essa, basterebbe che un solo seme fosse formato ogni migliaio di anni, posto che questo seme non venisse mai distrutto e germogliasse tranquillamente in luogo adatto.

Così che in ogni caso il numero medio d'ogni specie animale o vegetale dipende solo indirettamente dal numero delle uova o dei semi.
Quando osservasi la natura, è necessario sopra tutto d'aver sempre presente allo spirito che ogni singolo organismo che ci circonda, deve riguardarsi come tutto intento ad accrescersi in numero; che ogni essere non vive che in seguito a una lotta sostenuta in qualche periodo della sua vita; e che giovani e vecchi vanno incontro inevitabilmente a una grande distruzione durante ogni generazione, oppure solamente ad intervalli periodici. Se l'ostacolo al moltiplicarsi diminuisca o si mitighino le cause di distruzione, anche in menomo grado, il numero degli individui si accrescerà quasi istantaneamente.

 

NATURA DEGLI OSTACOLI ALL'ACCRESCIMENTO

Le cause che si oppongono alla tendenza naturale delle specie di moltiplicarsi sono molto oscure. Quanto più una specie è vigorosa, più facilmente si moltiplica, e cresce anche la sua tendenza a moltiplicarsi. Noi non conosciamo esattamente niuno degli ostacoli che inceppano la tendenza a moltiplicarsi, nè dobbiamo farne le meraviglie se riflettiamo alla nostra grande ignoranza in ciò, anche per quanto riguarda l'uomo, che noi conosciamo per altro meglio di qualunque altra specie.

Parecchi autori hanno trattato abilmente questo soggetto; e nel mio prossimo lavoro io discuterò a lungo alcuni di questi impedimenti, segnatamente riguardo agli animali carnivori dell'America del Sud. Io qui voglio fare soltanto poche osservazioni per richiamare alla mente del lettore certi punti principali. Generalmente sembra che siano le uova o i piccoli degli animali che debbano soffrire maggiormente; questa regola però non è senza eccezione. Fra le piante havvi una enorme distruzione di semi; ma dietro alcune osservazioni da me fatte, ritengo che le piante giovani debbano soffrire assai più, quando crescono in un terreno riccamente fornito di altre piante. Le pianticelle hanno anche a temere molti nemici; così sopra una superficie di tre piedi in lunghezza per due di larghezza, ben vangata e purgata, osservai tutti i germi delle nostre erbe locali di mano in mano che pullulavano, e di 357 che io contai, non meno di 295 furono distrutti, principalmente dalle lumache e dagli insetti. Se si lasci crescere un prato che fu segato, oppure che servì di pascolo ai mammiferi, le piante più vigorose distruggono a poco a poco le più deboli, anche se siano pienamente sviluppate. Sopra venti specie che crescono in un piccolo spazio erboso (di tre piedi per quattro), nove muoiono così fra le altre che si svilupparono liberamente.


La quantità del nutrimento conveniente ad ogni specie contrassegna quindi naturalmente l'estremo limite del suo aumento; pure di sovente non è la privazione di nutrimento, ma la circostanza di servire di preda ad altri animali, che determina il numero medio degli individui di una specie. Così non puossi dubitare che la quantità delle pernici, dei galli selvatici e delle lepri che vivono sopra una vasta estensione non dipenda essenzialmente dalla distruzione dei piccoli carnivori. Se per venti anni non si uccidesse un solo capo di selvaggina in Inghilterra e che inoltre nessuno di questi carnivori fosse distrutto, probabilmente il selvatico sarebbe più raro che oggi non sia; eppure questi animali vengono ammazzati annualmente a centinaia e migliaia. D'altra parte in certi casi, come nel caso dell'elefante, nessun individuo della specie diventa vittima di fiere; perchè perfino il tigre l'India non ardisce che rarissimamente di attaccare un elefante giovane, protetto da sua madre.

Il clima esercita una influenza importante nella determinazione del numero medio degli individui d'ogni specie, e il ritorno periodico di stagioni molto fredde o molto secche pare l'ostacolo più forte alla loro moltiplicazione. Ho calcolato (principalmente dal numero ristrettissimo dei nidi di primavera) che l'inverno 1854-55 distrusse i 4/5 degli uccelli sulle mie terre; vedesi che questa è una somma di distruzione spaventosa, quando si pensi che nelle epidemie umane una mortalità del dieci per cento è straordinaria. L'azione del clima pare a prima vista affatto indipendente dalla lotta per l'esistenza; ma il clima, potendo produrre principalmente una diminuzione di nutrimento, può cagionare una lotta intensa fra gli individui della medesima specie o di specie diversa, che vivono degli stessi alimenti. E quando il clima agisce direttamente, come ad esempio durante un freddo eccessivo, quelli che maggiormente ne soffrono sono gli individui meno vigorosi, ossia quelli che non seppero procurarsi una sufficiente quantità di nutrimento.

Quando si viaggia dal Sud al Nord, oppure allorchè da una regione umida si passa ad un paese secco, si osserva invariabilmente che alcune specie divengono sempre più rare e finiscono collo scomparire interamente; e il cambiamento di clima essendo ciò che più ci colpisce dapprima, noi ci sentiamo propensi ad attribuire pienamente questa scomparsa alla sua azione diretta. Ma questa induzione è falsa; noi dimentichiamo infatti che ogni specie, anche nei luoghi in cui è più sparsa, subisce sempre una forte distruzione in certe fasi della vita e per opera dei loro nemici e dei loro competitori che lottano per occupare il medesimo luogo, o per valersi degli stessi alimenti. Se questi nemici o questi competitori sono appena favoriti da un leggero cambiamento di clima, aumentano di numero, e per essere ogni paese popolato da un sufficiente numero di abitanti, le altre specie debbono diminuire.
Se viaggiando verso il mezzogiorno noi vediamo che una specie decresca, possiamo andare sicuri che la causa sta nell'essere le altre specie favorite, piuttosto che nel trovarsi questa sola danneggiata.

Così dicasi se noi ci dirigiamo verso il Nord, ma in grado un po' minore, perchè il numero totale delle specie, e per conseguenza dei competitori, diminuisce verso il Nord. Quindi procedendo verso settentrione, o ascendendo una montagna, noi ci abbattiamo più spesso in quelle forme stentate che sono dovute direttamente all'azione malefica del clima, al contrario di quanto avviene nel volgere a mezzogiorno, o nel discendere da una montagna. Quando si giunge alle regioni artiche, quelle delle nevi eterne o dei veri deserti, la lotta per l'esistenza non si verifica che contro gli elementi.

Una prova evidente che il clima agisce soprattutto in modo indiretto, col favorire certe specie, ci viene fornita dal vedere nei nostri giardini una prodigiosa quantità di piante che sostengono perfettamente il nostro clima; mentre non potrebbero mai prosperarvi allo stato naturale, perchè inette a sostenere la lotta colle nostre piante indigene o a difendersi efficacemente dai nostri animali.

Quando, in seguito a circostanze assai favorevoli, una specie si moltiplica straordinariamente in un luogo assai ristretto, spesso si manifestano delle epidemie; almeno ciò venne generalmente constatato nei nostri animali selvatici. Questo è dunque un impedimento non dipendente dalla lotta per l'esistenza. Ma alcune di queste epidemie sembrano originate da vermi parassiti, i quali furono sproporzionatamente favoriti da una causa qualsiasi o dalla maggiore facilità di moltiplicarsi fra animali più affollati; e anche in questo caso havvi una certa lotta fra i parassiti e la loro preda.

D'altra parte succede frequentemente che una grande quantità di individui di una specie, relativamente al numero de' suoi nemici, è necessaria per la sua conservazione. Così noi possiamo ottenere una quantità grande di cereali, di ravizzi, ecc., nei nostri campi, perchè la semente trovasi in eccesso riguardo al numero degli uccelli che se ne cibano; e tuttavia questi uccelli, anche avendo in una stagione sovrabbondanza di nutrimento, non ponno crescere in numero proporzionatamente a questo nutrimento, perchè questo numero viene limitato nella stagione invernale. Ma tutti sanno quanto difficile sia l'ottenere del seme da pochi grani di frumento o d'altre piante simili in un giardino: in tal caso io perdetti ogni volta i grani seminati isolatamente. Questa necessità d'una grande massa di individui per la conservazione della specie spiega, a mio avviso, alcuni fatti singolari nella natura; p. es., alcune piante rarissime sono molto abbondanti nei pochi punti in cui si trovano: inoltre le piante sociali rimangono tali, cioè abbondanti pel numero degli individui, anche agli estremi confini della loro regione. Si può pensare in questi casi che una pianta sarebbe esistita solamente in quel luogo, in cui le condizioni della vita le riescissero vantaggiose, in modo che molte esistessero insieme, per salvarsi così dall'intera distruzione. Debbo aggiungere che i benefici effetti degli incrociamenti frequenti e gli effetti dannosi delle fecondazioni fra individui molto affini, hanno pure la loro influenza in questa circostanza; ma non voglio estendermi qui sopra questa scabrosa questione.
RAPPORTI COMPLESSI DEGLI ANIMALI E DEI VEGETALI
NELLA LOTTA PER L'ESISTENZA

Molti fatti dimostrano quanto siano complesse ed impreviste le mutue relazioni e gli ostacoli fra gli esseri organizzati, che debbono lottare insieme in un medesimo paese. Voglio addurne un esempio che, quantunque semplice, mi ha offerto molto interesse. Nella contea di Stafford, in una possidenza in cui io godevo di molti mezzi d'investigazione, eravi una landa vasta e assai sterile che mai era stata dissodata dall'uomo; ma parecchie centinaia di acri di quel terreno erano stati cinti con una siepe venticinque anni prima, e vi erano stati piantati dei pini di Scozia. Il cambiamento della vegetazione indigena della porzione della landa piantata era assai notevole e più rilevante di quello che si osserva generalmente passando da un terreno ad un altro affatto diverso; e non solo il numero proporzionale delle ceppaie era completamente cambiato, ma dodici specie di piante, senza tener conto delle graminacee e delle caricee, prosperavano nella piantagione e non si trovavano nella landa.

L'effetto prodotto sugli insetti deve essere stato anche maggiore, perchè sei specie di uccelli insettivori erano comuni nella piantagione e non abitavano la landa, che al contrario era frequentata da due o tre altre specie d'uccelli insettivori. Vediamo quindi quali effetti rilevanti abbia prodotto l'introduzione di un solo albero; null'altro essendosi fatto che cingere di siepi la terra piantata, affinchè il bestiame non potesse entrarvi. Ma io potei verificare con evidenza, presso Farnham nel Surrey, quanto importi il recinto in tal caso. Colà stendonsi vaste lande sparse di alcuni ceppi di vecchi pini di Scozia, che ornano la vetta delle colline.

Negli ultimi dieci anni essendosi cinti di siepi vasti spazi, i pini vi sparsero da sè i propri semi; ed ora vi crescono in gran numero e tanto fitti, che non tutti possono vivere. Quando io mi fui accertato che quei giovani alberi non vi erano stati seminati, nè piantati, rimasi tanto più sorpreso del loro numero, in quanto che vidi centinaia d'acri di landa libera, ove non potei contare un solo pino, ad eccezione dei ceppi piantati anticamente. Frattanto osservando più da vicino fra i fusti della landa libera, trovai una moltitudine di pianticelle e di piccoli alberi ch'erano continuamente sfruttati dai bestiami. In uno spazio della grandezza di un metro quadrato, alla distanza di poche centinaia di passi dalle antiche macchie, io numerai trentadue di questi alberetti, ed uno di essi, nel quale contavansi ventisei anelli di sviluppo, aveva cercato per altrettanti anni di alzare la sua cima sopra le piante della landa, indi era perito.


Non è dunque a stupire che la terra, appena cinta di siepi, venisse ricoperta di pineti folti e vigorosi.
Tuttavia questa landa era tanto sterile ed estesa, che niuno avrebbe mai immaginato che il bestiame potesse cercarvi con tanta frequenza e con tanto successo il nutrimento.
Qui noi abbiamo veduto il bestiame decidere assolutamente dell'esistenza del pino di Scozia; ma in diverse contrade certi insetti determinano l'esistenza del bestiame. Il Paraguay offre forse uno degli esempi più curiosi di questo fatto. In quel paese nè il bue, nè il cavallo, nè il cane sono ridivenuti selvaggi, quantunque lo siano verso il Nord e verso il Sud. Ora Azara e Rengger hanno provato che ciò dipende da una certa mosca, comune in quella regione, la quale depone le sue uova nell'ombelico di questi animali appena nati.

L'accrescimento di quelle mosche, per quanto numerose, dev'essere generalmente limitato con qualche mezzo e probabilmente da altri insetti parassiti. Ne segue che ove certi uccelli insettivori diminuissero nel Paraguay, gli insetti parassiti nemici delle mosche aumenterebbero; per cui facendosi minore il numero di queste ultime, esse non impedirebbero ai buoi e ai cavalli di vivere allo stato selvaggio. Ora dietro le osservazioni che potei fare nell'America meridionale, l'esistenza del bestiame allo stato di natura modificherebbe profondamente la vegetazione.

Questa modificazione colpirebbe in alto grado gl'insetti, i quali reagirebbero sugli uccelli insettivori, come abbiamo visto verificarsi nella contea di Stafford; e così procedendo l'effetto si accrescerebbe sempre più in cerchi vieppiù complicati. Noi avevamo cominciato questa serie cogli uccelli insettivori, e l'abbiamo compiuta ritornando ai medesimi. Ma non è a credere che nella natura tutti i rapporti scambievoli siano tanto semplici. Continue battaglie hanno luogo con successi diversi, e tuttavia l'equilibrio delle forze è mantenuto con tanta perfezione, nel corso dei tempi, che l'aspetto della natura rimane inalterato, per lunghi periodi, benchè sovente basti la menoma circostanza per dare la vittoria a un essere organizzato sopra un altro. Però la nostra ignoranza e la nostra presunzione sono tali che noi ci facciamo le meraviglie per la estinzione di una specie; e non ravvisandone la causa, invochiamo i cataclismi a desolare il mondo, o inventiamo delle leggi sulla durata delle forme viventi!

Sono tentato di dare ancora un esempio, per provare che le piante e gli animali più lontani nella scala naturale sono collegati da una rete di rapporti complessi. Più innanzi io avrò occasione di notare che la Lobelia fulgens esotica non è mai visitata dagli insetti in questa parte dell'Inghilterra; e che in seguito alla sua particolare conformazione non può mai produrre alcun seme. La visita delle farfalle è assolutamente necessaria a molte delle nostre orchidee per spandere il loro polline e fecondarle. Abbiamo esperienze che ci convincono che i pecchioni sono quasi indispensabili alla fecondazione della viola del pensiero (Viola tricolor), perchè le altre api non vi si arrestano. Ho anche scoperto che parecchie specie di trifoglio richieggono la visita delle api per divenire feconde: per esempio, 20 capi di trifoglio olandese (Trifolium repens) diedero 2290 semi, mentre 20 altri individui di questa specie, inaccessibili alle api, non ne diedero uno solo. Così 100 piante di trifoglio rosso (Trifolium pratense) produssero 2700 semi, ma altrettante pianticelle difese dalle api non diedero semente di sorta. I soli pecchioni visitano il trifoglio rosso; le altre api non ne possono suggere il nèttare. Si è sostenuta l'idea che le falene potessero cooperare alla fecondazione dei trifogli; ma io dubito che ciò sia possibile pel trifoglio rosso, giacchè il loro peso non basta a deprimere i petali della corolla. D'onde può inferirsi che se l'intero genere dei pecchioni divenisse molto raro o si estinguesse in Inghilterra, probabilmente la viola del pensiero ed il trifoglio rosso diminuirebbero assai o scomparirebbero interamente.

Il numero dei pecchioni in qualsiasi regione dipende in gran parte dal numero dei topi campagnoli che distruggono i loro favi e i loro nidi; e M. H. Newmann, che osservò lungamente le abitudini dei pecchioni, crede che «più di due terzi di questi sono così distrutti in Inghilterra». Ora il numero dei topi dipende principalmente, come tutti sanno, dal numero dei gatti; e il sig. Newmann dice che presso i villaggi e le borgate egli ha trovato i nidi dei pecchioni in maggior copia che altrove, il che egli attribuisce al gran numero dei gatti che distruggono i topi campagnoli. È dunque credibilissimo che la presenza di un numero di animali felini in un distretto, determini, mediante l'intervento dei sorci e delle api, la quantità di certi fiori nel distretto stesso.

La moltiplicazione di ogni specie è dunque sempre inceppata da diverse cause, che agiscono in vari periodi della vita e nelle differenti stagioni dell'anno; alcune sono più efficaci, ma tutte concorrono a determinare il numero medio degli individui od anche l'esistenza della specie. In alcuni casi si può dimostrare che in diverse regioni agiscono cause diverse sopra le medesime specie. Quando si considerano le piante e gli arbusti che coprono un terreno incolto, siamo indotti ad attribuire il loro numero proporzionale e le loro specie a ciò che chiamiamo il caso. Ma quanto falsa è questa opinione! Quando si atterra una foresta americana sappiamo che sorge una vegetazione diversissima; pure si è notato che le antiche rovine indiane del mezzogiorno degli Stati Uniti, che un tempo erano state spogliate dei loro alberi, spiegano al presente la medesima meravigliosa diversità e proporzione di razze, quale è quella delle vergini boscaglie vicine. Quale tenzone deve essersi continuata per lunghi secoli fra le differenti specie di alberi, quando ciascuna spande annualmente i propri semi a migliaia! Quale guerra degli insetti contro altri insetti; degli insetti, lumache ed altri animali contro gli uccelli e gli animali rapaci! Tutti sforzandosi di moltiplicare e tutti nutrendosi gli uni degli altri o cibandosi a spese degli alberi, dei loro semi, dei loro pollini o d'altre piante che prima coprivano la terra e impedivano conseguentemente lo sviluppo degli alberi! Che si getti in aria un pugno di penne e ognuna ricadrà al suolo secondo leggi definite; ma quanto è semplice il problema della loro caduta in confronto di quello delle azioni e reazioni delle piante ed animali innumerevoli che nel corso dei secoli determinarono i numeri proporzionali e le specie degli alberi che ora crescono sulle rovine indiane!

La dipendenza di un essere organico da un altro, come quella del parassita rispetto alla sua preda, si manifesta generalmente fra esseri molto lontani fra loro nella scala naturale. Tale è spesso il caso di quelli che si possono riguardare con ragione in lotta fra loro per l'esistenza, come nel caso delle locuste e dei mammiferi erbivori. Ma quasi sempre la lotta è anche molto più viva fra gl'individui della medesima specie, dovendo essi frequentare i medesimi distretti, esigere il medesimo nutrimento e trovarsi esposti ad uguali pericoli. Nelle varietà di una stessa specie la lotta deve essere in generale quasi ugualmente seria e noi spesso vediamo la vittoria decisa presto; se ad esempio parecchie varietà di grano sono seminate insieme e se la semente mescolata viene seminata di nuovo, quelle varietà che meglio convengono al suolo e al clima e che naturalmente sono le più feconde hanno il sopravvento, danno semi in maggior quantità e soppiantano in breve tutte le altre.

Per mantenere un miscuglio di varietà estremamente affini, come i piselli odorosi di colori diversi, è necessario raccoglierli ogni anno separatamente e mescolarne la semente in proporzione conveniente; altrimenti le varietà più deboli diminuiscono rapidamente e costantemente, fino a scomparire del tutto. Così avviene delle varietà di pecore; si è osservato che certe varietà di montagna cagionano l'estinzione di altre varietà, così che non possono tenersi frammiste nei medesimi pascoli. Il medesimo effetto si è veduto nelle diverse varietà di sanguisughe medicinali, che stanno negli stessi serbatoi. Potrebbe dubitarsi che tutte le varietà delle nostre piante coltivate e dei nostri animali domestici abbiano con tanta esattezza lo stesso vigore, le stesse abitudini e una identica costituzione, e che le proporzioni primitive di un miscuglio possano mantenersi per una mezza dozzina di generazioni, se nulla contrasta la lotta che avrà luogo fra di esse, come fra le razze selvagge, e se i semi od i figli non sono assortiti annualmente.

 

LA LOTTA PER L'ESISTENZA È PIÙ SEVERA FRA GLI INDIVIDUI
E LA VARIETÀ DI UNA MEDESIMA SPECIE

 

Siccome le specie del medesimo genere hanno abitualmente, ma non invariabilmente, alcune rassomiglianze nelle loro abitudini e nella loro costituzione e sempre nella loro struttura, così la lotta è in generale più accanita fra queste specie prossime, quando entrano in concorrenza, di quello che fra le specie di generi diversi. Noi vediamo un esempio di questa legge nella recente estensione, in alcune provincie degli Stati Uniti, d'una specie di rondini, che ha cagionato la decadenza di un'altra specie. Il recente aumento del tordo maggiore in certe parti della Scozia produsse la crescente rarità del tordo bottaccio. Avviene assai spesso che una specie di ratti prenda il posto di un'altra in climi diversissimi. In Russia, la piccola blatta d'Asia ha cacciato davanti a sè dappertutto la sua grande congenere. Nell'Australia la nostra ape domestica, colà introdotta, va distruggendo la piccola ape indigena che è priva di aculeo. Una specie di senape ne soppianta un altra, e così in altri casi. Noi possiamo intendere a un dipresso perchè la lotta sia più viva fra le forme affini, che riempiono quasi lo stesso posto nell'economia della natura; pure è probabile che noi non sapremmo dire in un caso solo precisamente il perchè una specie abbia riportato la vittoria contro un'altra nella grande battaglia della vita.

Un corollario della più alta importanza può dedursi dalle considerazioni che precedono: ed è che la struttura di ogni essere organizzato trovasi in una necessaria dipendenza, spesso assai difficile a scoprirsi, da quella di altri esseri organizzati che gli fanno concorrenza pel nutrimento o per l'abitazione, che sono la sua preda, oppure dai quali egli deve difendersi. Questa legge è evidente nella conformazione dei denti e delle unghie della tigre e in quella dei piedi e degli uncini dell'insetto parassita che si attacca ai peli del suo corpo. Ma il seme elegantemente piumato del dente-leone, come i piedi appianati e frangiati dei coleotteri acquatici, sembrano soltanto in relazione diretta coi mezzi ambienti, cioè coll'aria e coll'acqua. Però i pappi piumosi sono senza dubbio un vantaggio, quando il terreno è già ben dotato d'altre piante; perchè il seme può allora più facilmente spandersi da lungi, con maggiori probabilità di cadere sopra un suolo non occupato. Nei coleotteri acquatici, la struttura del piede si adatta per tuffarsi nell'acqua, permette loro di sostenere la lotta contro altri insetti, di predare facilmente la loro vittima e di sfuggire al pericolo di divenire preda di altri animali.


La quantità di sostanze nutrienti, contenute nei semi di molte piante, sembra sulle prime senza alcun rapporto diretto colle altre piante; ma lo sviluppo vigoroso che manifestano i piccoli germogli sbucciati da tali semi (come i piselli e le fave), quando crescono nel mezzo dell'erba alta, può far supporre che il nutrimento contenuto nel seme abbia per iscopo principale di accelerare lo sviluppo della pianta giovane, mentre essa lotta con altre specie che vegetano vigorosamente intorno a lei.

Per qual motivo ogni pianta non moltiplica nel mezzo della sua regione naturale, fino a raddoppiare o quadruplicare il numero dei suoi individui? Noi sappiamo ch'essa può sopportare perfettamente un po' più di calore o di freddo, di umidità o di siccità, mentre altrove, essa cresce in luoghi più caldi o più freddi, più umidi o più secchi. Ma allora è evidente che se la nostra immaginazione suppone in una pianta la facoltà di aumentare nel numero, dovrà ammettere altresì qualche vantaggio sui suoi concorrenti o sugli animali che di essa si nutrono. Su confini della posizione geografica un cambiamento di costituzione in relazione al clima le tornerebbe utile certamente; ma noi siamo indotti a credere che soltanto un piccolissimo numero di piante o d'animali s'estendano tanto da essere distrutti pel solo rigore del clima. Soltanto agli estremi confini della vita, nelle regioni artiche o sui limiti d'un deserto, cessa la lotta. E quando la terra sia molto fredda, o molto secca, vi sarà tuttavia una contesa fra alcune specie rare, e da ultimo fra gli individui della medesima specie nei luoghi più umidi e più caldi.


Dal che si deduce, che se una pianta o un animale si trovi in una nuova regione, in mezzo a nuovi competitori, anche se il clima sia perfettamente identico a quello dell'antica patria, le condizioni d'esistenza della specie sono generalmente modificate in un modo essenziale. Se noi vogliamo accrescere, nella sua nuova patria, il numero medio de' suoi individui, dovremo cercare di modificarli secondo una direzione diversa da quella che avremmo adottata per ottenere un risultato simile nel loro paese nativo; mentre sarebbe d'uopo procurare ai medesimi qualche vantaggio sopra una serie di competitori o di nemici affatto differenti.

Ma quanto è agevole dare così astrattamente a una forma qualsiasi certi vantaggi sulle altre, altrettanto sarebbe difficile probabilmente nella pratica il dire ciò che sarebbe a farsi nelle singole occasioni, e come si potrebbe riuscire. Ciò finirebbe per convincerci della nostra ignoranza rispetto ai mutui rapporti degli esseri organizzati; convinzione necessaria sebbene difficile a conseguirsi.
Non ci rimane che quella considerazione, che deve costantemente aversi presente allo spirito, cioè che tutti gli esseri viventi tendono sempre a moltiplicare in ragione geometrica, che ognuno deve lottare contro moltissime cause distruttrici in periodi determinati della vita, in certe stagioni dell'anno, pel corso di ogni generazione o ad intervalli periodici. Quando noi pensiamo con tristezza a questa lotta, possiamo consolarci con la piena convinzione che la guerra della natura non è continua, che lo scoraggiamento ne è bandito, che la morte è in generale assai pronta, e che sono gli esseri più vigorosi, più sani e più abili che sopravvivono e si moltiplicano.

CAPO 4 >

INIZIO OPERA e INDICE