Dedicherò questo capitolo all'esame di parecchie svariate obiezioni che furono sollevate contro le mie idee, tanto più che così riusciranno più chiare alcune precedenti discussioni; ma sarebbe inutile di esaminare tutte le obbiezioni, molte di esse essendo fatte da autori che non ebbero
cura di comprendere il soggetto. Così un distinto naturalista tedesco ha sostenuto che la parte più debole della mia teoria sia quella, dove io asserisco che tutti gli esseri organici siano imperfetti. Ma in realtà io dissi solamente che tutti, in relazione alle loro condizioni, non sono così perfetti come potrebbero esserlo; e la verità di questo giudizio è dimostrata dalle molte forme indigene, le quali in molte parti del mondo hanno dovuto cedere il loro posto alle forestiere intruse. Inoltre gli esseri organici, anche se in un determinato tempo fossero perfettamente adattati alle condizioni di vita, non lo saranno altrettanto, quando saranno cambiate quelle condizioni, e dovranno anch'essi cambiarsi. E nessuno negherà che le condizioni fisiche di ogni paese sieno soggette a molti mutamenti, come il numero e le specie de' suoi abitatori.

Un critico ha recentemente sostenuto, con aria di esattezza matematica, che la longevità è un grande vantaggio per ciascuna specie, per cui i sostenitori della elezione naturale dovrebbero costruire l'albero genealogico in guisa che tutti i discendenti abbiano vita più lunga degli antenati.


Ma non pare al nostro critico che una pianta biennale od alcuno degli animali inferiori possa
estendersi dove il clima è freddo e colà perire ogni inverno, e nondimeno sopravvivere di anno in anno a mezzo dei semi o delle uova in seguito ai vantaggi acquistati dall'elezione naturale?

F. Ray Lankester ha svolto di recente quest'argomento, e per quanto la straordinaria complicazione del medesimo gli ha concesso di giudicare è arrivato alla conclusione che la longevità in generarle sta in rapporto col posto che una specie occupa nella scala della organizzazione, e così pure colla quantità del consumo nella riproduzione e colla generale attività. È probabile che questi rapporti siano stati largamente determinati dall'elezione naturale.

Siccome tra le specie animali e vegetali dell'Egitto, che noi conosciamo, nessuna si è cambiata negli ultimi tre o quattromila anni, così si è conchiuso che nemmeno altre, in altre parti del mondo, abbiano subìto dei cambiamenti: Ma questa conclusione, come ha notato G. H. Lewes, dimostra troppo, imperocchè le vecchie razze domestiche che vedonsi figurate o conservansi imbalsamate nei monumenti egiziani sono assai simili alle attuali e forse con esse identiche; e nondimeno tutti i naturalisti ammettono che tali razze siansi formate in seguito a modificazioni dei tipi originali. Le molte specie animali che rimasero inalterate dal principio dell'epoca glaciale in poi avrebbero potuto costituire una obbiezione assai più forte, giacchè esse son state esposte ad un grande cambiamento di clima ed hanno migrato sopra vasti territorii, mentre in Egitto, per quanto sappiamo, le condizioni di vita sono rimaste assolutamente uniformi durante parecchi degli ultimi millennii. Il fatto che dopo l'epoca glaciale non si sono manifestate delle modificazioni, o furono leggerissime, avrebbe potuto fornire un'obbiezione efficace contro i sostenitori di una legge innata e necessaria di sviluppo, ma è impotente contro la dottrina dell'elezione naturale o sopravvivenza del più adatto, secondo la quale vengono conservate le variazioni o differenze individuali di natura benefica che apparissero, ciò che potrà effettuarsi solamente in certe circostanze favorevoli.

Il celebre paleontologo Bronn, in fine della sua traduzione tedesca di questa opera, domanda come, secondo il principio dell'elezione naturale, una varietà possa vivere accanto alla speciemadre?
Se ambedue sono state adattate, ad abitudini e condizioni di vita leggermente diverse, esse potranno vivere insieme; e se facciamo astrazione dalle specie polimorfe, nelle quali la variabilità; sembra di natura affatto peculiare, e da tutte le variazioni meramente temporanee, come sarebbero la grandezza, l'albinismo, noi troviamo, per quanto a me consta, che le varietà permanenti abitano stazioni distinte, come altipiani o basse pianure, distretti asciutti od umidi. Di più, in quegli animali che migrano molto e s'incrociano largamente, le varietà sono generalmente confinate sopra distinte regioni.


Il Bronn sostiene anche che le specie distinte non diversificano mai tra loro in un solo carattere, ma in molte parti, e domanda per quale motivo dalla variazione e dalla elezione naturale siano state modificate molte parti dell'organismo ad un tempo? Ma non v'ha una ragione che ci
costringa a supporre che tutte quelle parti siano state modificate contemporaneamente. Le modificazioni più singolari, che sono eminentemente adatte ad uno scopo, possono, come fu già accennato, essere state acquistate con variazioni successive, dapprima leggere, apparse in una parte, e poi in un'altra; e siccome tutte vengono trasmesse insieme, può sembrarci che esse si siano sviluppate ad un tempo. La migliore risposta all'obbiezione surriferita offrono peraltro quelle razze domestiche, le quali dall'elezione artificiale furono adattate ad uno scopo speciale. Si consideri il cavallo da corsa ed il cavallo da carretta, oppure l'alano. L'intera loro corporatura e le qualità mentali furono modificate; ma se noi seguiamo la storia delle loro trasformazioni, e gli ultimi passi ponno seguirsi, noi vediamo che i cambiamenti non furono nè grandi nè contemporanei, ma che dapprima una parte e poi un'altra vennero modificate e migliorate. Perfino nei casi, in cui la elezione dell'uomo si è esercitata sopra un solo carattere, di che le piante coltivate ci offrono i migliori esempi, noi troviamo costantemente che questa parte, sia il fiore, sia il frutto o siano le foglie, venne notevolmente cambiata, ma anche tutte le altre parti subirono delle leggere modificazioni, e ciò per effetto in parte del principio di correlazione di sviluppo, ed in parte in seguito alla così detta variazione spontanea.

Un'obbiezione più seria fu fatta dal Bronn, e recentemente dal Broca, e si è che molti caratteri non sembrano di alcuna utilità pel possessore, e non possono quindi subire gli effetti dell'elezione naturale. Bronn cita la lunghezza delle orecchie e della coda nelle diverse specie di lepri e di sorci, le pieghe complicate di smalto nei denti di molti mammiferi ed altri consimili esempi. In riguardo alle piante questo soggetto fu trattato dal Nägeli in un pregevolissimo lavoro. Egli ammette che l'elezione naturale abbia molto operato; ma insiste sul fatto che le famiglie vegetali diversificano fra loro principalmente nei caratteri morfologici, i quali pel benessere della specie sembrano destituiti di ogni importanza. Egli crede perciò ad una tendenza innata di sviluppo progrediente e perfezionante. Più particolarmente egli cita la disposizione delle cellule nei tessuti e delle foglie dell'asse come casi, in cui la elezione naturale non avrebbe potuto essere attiva. Vi si potrebbero aggiungere anche le divisioni numeriche delle parti fiorali, la posizione degli ovuli, la forma del seme, in quanto non è utile per la disseminazione, ecc

 

L'obbiezione succitata ha molto valore. Nullameno noi dobbiamo in primo luogo essere molto cauti nella pretesa di giudicare quali strutture siano ora o fossero in passato utili ad una specie.

Secondariamente dobbiamo riflettere, che se una parte viene modificata, altrettanto succede di altre per cause imperfettamente conosciute, così in seguito ad aumentato o diminuito accesso di nutrimento verso una parte, per reciproca pressione, per l'azione di una parte prima sviluppata sopra un'altra che si sviluppò più tardi, e così via. Si aggiungano ancora i molti casi misteriosi di correlazione che noi non comprendiamo minimamente. Questi effetti, per brevità, possono unirsi insieme sotto l'espressione della legge d'accrescimento. In terzo luogo dobbiamo tener conto dell'azione diretta e definita delle cambiate condizioni dì vita, e delle così dette variazioni spontanee, in cui la natura delle condizioni, in apparenza, ha una parte affatto subordinata. Buoni esempi di variazioni spontanee offrono le varietà di gemme, come l'apparsa di rose muscose sul rosaio o delle pesche-mandorle sul persico. Se noi pensiamo all'azione che ha una piccola goccia di veleno nella produzione delle galle complicate, non possiamo essere troppo sicuri che quelle variazioni non siano l'effetto di un cambiamento locale nella qualità del succo in dipendenza delle mutate condizioni di vita. Una causa efficiente deve sussistere tanto per ogni leggera differenza individuale come per le più spiccate variazioni che occasionalmente appariscono; e se la causa sconosciuta fosse persistente, è certo che tutti gli individui di una specie sarebbero modificati in modo simile.
Nelle precedenti edizioni di quest'opera, parmi di avere apprezzato troppo poco la frequenza e l'importanza delle modificazioni dovute alla variabilità spontanea. Ma è impossibile attribuire a questa causa le innumerevoli strutture che si adattano sì bene alle abitudini di vita di cadauna specie. Ciò è tanto impossibile come l'attribuirvi le forme adattate del cavallo da corsa o del veltro, le quali eccitarono cotanto la sorpresa nella mente dei vecchi naturalisti, prima che fosse ben compreso il principio della elezione esercitata dall'uomo.
Credo che valga la pena chiarire alcune delle precedenti osservazioni. Per ciò che riguarda la supposta inutilità di varie parti od organi, è appena. necessario di dire che negli animali superiori e meglio conosciuti molte strutture sono così bene sviluppate, che nessuno dubita della loro importanza; e tuttavia il loro uso o è ancora sconosciuto, o venne solo di recente accertato.

Siccome il Bronn adduce la lunghezza delle orecchie e della coda nelle varie specie di sorci come esempi, sebbene deboli, di differenze di struttura che non sono di alcuna utilità speciale, debbo osservare che secondo il dott. Schöbl le orecchie esterne del sorcio comune sono riccamente fornite di nervi, cosicchè, servono senza dubbio come organi tattili; per conseguenza la lunghezza delle orecchie non sarà priva di importanza. Noi vedremo anche più tardi che in alcune specie la coda è un organo prensile assai utile, e la sua lunghezza influirà quindi molto sul suo uso.
Quanto alle piante, eccitato dalla Memoria del Nägeli, farò le seguenti osservazioni. È certo che i fiori delle orchidee offrono molte interessanti particolarità di struttura che avanti pochi anni sarebbero state considerate come semplici differenze morfologiche senza una funzione speciale; ma ora si sa ch'esse sono della massima importanza per la fecondazione delle specie a mezzo degli insetti, e che probabilmente furono acquisite coll'elezione naturale. Fino a questi ultimi tempi nessuno avrebbe creduto che la diversa lunghezza degli stami e dei pistilli e la loro disposizione nelle piante dimorfe e trimorfe possano essere di qualche vantaggio; ma ora sappiamo che le cose stanno precisamente così.


In alcuni interi gruppi di piante gli ovuli sono eretti, in altri sospesi, ed in alcune poche piante entro un medesimo ovario un ovulo ha la prima, un secondo l'altra posizione. Queste posizioni sembrano a prima vista puramente morfologiche e di nessuna importanza fisiologica. Ma il dott. Hooker mi fa sapere che tra gli ovuli di uno stesso ovario vengono fecondati talvolta solamente i superiori, ed in altri casi solamente gli inferiori. E suppone che ciò dipenda dalla direzione nella quale i budelli pollinici entrano nell'ovario. Se così fosse, la posizione degli ovuli, ed anche l'essere l'uno e l'altro sospeso entro un medesimo ovario, dipenderebbe dalla elezione di quelle leggere modificazioni di posizione che favoriscono la fecondazione e la produzione di semi.

Parecchie piante appartenenti ad ordini distinti producono in regola due qualità di fiori, gli uni aperti e di struttura ordinaria, gli altri chiusi e imperfetti. Queste due qualità di fiori differiscono talvolta mirabilmente tra loro nella struttura; ma in una medesima pianta gli uni passano gradatamente negli altri. I fiori ordinari aperti possono essere incrociati, e vengono assicurati i vantaggi che tengono dietro a questo processo. I fiori chiusi ed imperfetti sono manifestamente di grande importanza, giacchè forniscono con tutta sicurezza grande copia di semi col minimo consumo di polline. Come testè fu detto, le due qualità di fiori differiscono spesso notevolmente fra loro nella struttura Nei fiori imperfetti i petali sono quasi sempre rappresentati da semplici rudimenti, e i granuli del polline sono ridotti nel diametro. Nella Ononis columnæ cinque degli stami alternanti sono rudimentali; ed in alcune specie di Viola tre stami trovansi in tale stato, mentre due conservano la ordinaria loro funzione, ma sono di assai piccola statura. Nella viola indiana (non si conosce il nome, perchè le piante non hanno ancor prodotto dei fiori perfetti) su trenta fiori chiusi sei avevano il numero dei sepali, i quali normalmente sono cinque, ridotti a tre. In una sezione delle malpighiacee i fiori chiusi, secondo A. De Jussieu, subiscono ulteriori modificazioni, giacchè i cinque stami, che sono opposti ai sepali, sono tutti abortiti, ed un solo sesto stame, opposto ad un petalo, è sviluppato. Tale stame non esiste nei fiori ordinari di queste specie. Lo stilo è abortito, e gli ovari, da tre, sono ridotti a due. Sebbene l'elezione naturale potesse avere la forza di impedire l'espansione di alcuni di questi fiori, e di ridurre la quantità del polline divenuta superflua per la chiusura dei fiori stessi, tuttavia ben difficilmente alcuna delle suddette modificazioni speciali fu determinata da essa, ma deve essere una conseguenza delle leggi di accrescimento, inclusa l'inazione funzionaria di alcune singole parti, durante la progrediente riduzione del polline e la chiusura del fiore.


È tanto necessario di apprezzare gli effetti importanti delle leggi di accrescimento che voglio aggiungere alcuni casi di altro genere, e cioè di differenze in una stessa parte od organo, dovute a differenze nella relativa posizione in una medesima pianta. Nel castagno spagnuolo ed in certi pini, secondo lo Schacht, gli angoli di divergenza delle foglie sono diversi nei rami pressochè orizzontali e negli eretti. Nella ruta comune ed in alcune altre piante si apre dapprima un fiore, ordinariamente il centrale o terminale, ed ha cinque sepali e petali e cinque logge nell'ovario, mentre tutti gli altri fiori della pianta sono tetrameri. Nella Adoxa inglese il fiore superiore ha generalmente il calice a due lobi e gli altri organi tetrameri, mentre i fiori circostanti possiedono in regola un calice a tre lobi e gli altri organi pentameri. In molte composte ed ombrellifere (ed in alcune altre piante) i fiori periferici hanno la corolla assai più sviluppata che non i centrali, e ciò sembra connesso coll'abortimento degli organi della riproduzione.

Un fatto assai più singolare, che venne già menzionato, si è questo, che gli acheni o semi della periferia e del centro diversificano notevolmente tra loro nella forma, nel colore ed in altri caratteri. Nel Carthamus ed in alcune altre composte i soli acheni centrali sono forniti di un pappo, e nella Hyoseris un medesimo capitolo offre tre forme di achenii. In certe ombrellifere, secondo il Tausch, i semi esterni sono ortospermi, i centrali celospermi, ed il De Candolle in altre specie ha ritenuto questa differenza della massima importanza sistematica. Il prof. Braun cita un genere delle fumariacee, in cui i fiori nella parte inferiore della infiorescenza portano capsule ovali, costate e monosperme, mentre quelli della parte superiore dell'infiorescenza portano silique lanceolate, bivalve e disperme. Per quanto noi possiamo giudicare, se si eccepiscano i fiori marginali bene sviluppati, i quali si rendono utili coll'attirare gli insetti, la elezione naturale nei casi citati non può essere entrata in azione od avrà avuto una parte affatto subordinata. Tutte queste modificazioni sono la conseguenza della relativa posizione e della reciproca azione delle parti; nè può dubitarsi, che se tutti i fiori e le foglie di una medesima pianta fossero stati esposti alle stesse condizioni esterne ed interne, tutti sarebbero stati modificati nella stessa guisa.

In numerosi altri casi noi troviamo modificazioni di struttura che dai botanici sono generalmente considerate di grande importanza, perchè si riscontrano solamente sopra alcuni fiori di una stessa pianta, o sopra piante diverse che vivono strettamente insieme sotto uguali condizioni.
Siccome queste variazioni non sembrano per la pianta di alcun vantaggio speciale, così l'elezione naturale non può avere agito su di esse. Noi siamo nella più completa ignoranza intorno alla causa che le ha prodotte; nè possiamo attribuirle ad una causa prossima, ad esempio alla relativa posizione, come abbiamo fatto pei casi superiormente citati. Addurrò alcuni pochi esempi.

È così frequente il caso di fiori di una medesima pianta che sono indifferentemente tetrameri, pentameri, ecc., che non occorre citarne degli esempi; ma siccome le variazioni numeriche sono relativamente rare, quando le parti sono poche, così voglio far menzione della osservazione del De Candolle, secondo cui il Papaver bracteatum ora possiede due sepali con quattro petali (ciò che nel papavero è fatto normale), ora tre sepali con sei petali. Il modo, col quale i petali sono piegati entro la gemma, costituisce nel maggior numero dei gruppi un carattere morfologico assai costante; ma il prof. Asa Gray ci fa sapere che in alcune specie di Mimulus lo stivamento è ora quello delle rinantidee ed ora quello delle antirrinidee, al quale ultimo gruppo il genere appartiene. Augusto Saint-Hilaire cita i casi seguenti: il genere Zanthoxylon appartiene ad una divisione delle rutacee ad un unico ovario, ma in alcune specie sopra una medesima pianta e perfino sopra una stessa pannocchia s'incontrano dei fiori con uno o due ovari. Nello Helianthemum la capsula fu descritta come uniloculare o come triloculare, e nell'H. mutabile «une lame, plus ou moins large, s'étend entre le péricarpe et la placenta». Nei fiori di Saponaria officinalis il dottor Masters ha osservato esempi tanto di placentazione marginale, come di placentazione libera centrale, Infine il Saint- Hilaire ha trovato verso il limite meridionale di distribuzione della Gomphia oleoeformis due forme, che credette dapprima senza alcun dubbio due specie diverse, ma che poi vide crescere sullo stesso arbusto, e soggiunge: «Voilà donc dans un même individu des loges et un style qui se rattachent tantôt à un axe verticale et tantôt à un gynobase».

Noi vediamo da ciò che nelle piante molti cambiamenti morfologici possono essere attribuiti
alle leggi di accrescimento e della mutua azione delle parti, e sono indipendenti dall'elezione naturale. Ma in riguardo alla dottrina del Nägeli sulla innata tendenza verso la perfezione o progressivo sviluppo, può forse dirsi che queste ben pronunciate variazioni siano state colte nell'atto di progresso verso un più elevato gradino di sviluppo? Al contrario, dal fatto che le parti, di cui parliamo, sono molto diverse o variano sopra una stessa pianta, io deduco che simili modificazioni sono di importanza affatto secondaria per le piante, qualunque sia l'importanza ch'esse hanno nella nostra classificazione. Non si può dire che l'acquisto di una parte inutile elevi l'organismo nella scala naturale; e nel caso dei sopradescritti fiori imperfetti e chiusi, se dovesse invocarsi un nuovo principio, sarebbe piuttosto quello di regresso che di progresso; altrettanto dovrebbe dirsi di molti animali parassitici e degradati. Noi siamo affatto all'oscuro intorno alla causa che produsse le modificazioni sopra specificate; ma se la causa sconosciuta agisse per un certo tempo uniformemente, noi potremmo concludere che il risultato sarebbe quasi uniforme, e tutti gli individui della specie sarebbero nella stessa guisa modificati.


Stando al fatto che i suddetti caratteri non sono importanti pel benessere della specie, le leggere variazioni, che in essi potessero riscontrarsi, non sarebbero accumulate nè aumentate dall'elezione naturale. Una struttura, la quale sia stata sviluppata da una elezione lungamente continuata, appena cesserà di essere utile alla specie diverrà variabile, come ce lo provano gli organi rudimentali, perocchè non sarà più oltre regolata dalla forza della elezione. Ma se dalla natura dell'organismo e delle condizioni siano state prodotte delle modificazioni non importanti pel benessere della specie, esse possono trasmettersi quasi inalterate a discendenti numerosi ed in altri caratteri modificati, come sembra essere spesso avvenuto. Io non credo che fosse di grande importanza pel maggior numero dei mammiferi, degli uccelli e dei rettili di essere coperti di peli, anzi che di penne o di squame; e nondimeno furono trasmessi peli a quasi tutti i mammiferi, penne a tutti gli uccelli e squame a tutti i veri rettili.

Una struttura che sia comune a molte forme affini, è da noi considerata di grande importanza sistematica, e perciò spesso è anche creduta di alta importanza vitale per la specie. Io inclino a credere che le differenze morfologiche, che noi consideriamo come importanti, come la disposizione delle foglie, le divisioni del fiore e dell'ovario, la posizione degli ovuli, ecc., siano dapprima apparse come varietà fluttuanti, che divennero più costanti, sia per la natura dell'organismo e delle condizioni, sia per l'incrociamento di individui distinti, ma non per effetto della elezione naturale; siccome questi caratteri morfologici non influiscono sul benessere della specie, così l'elezione naturale non ha potuto agire sulle loro leggere deviazioni.
È questo un risultato molto singolare, a cui noi arriviamo, che cioè i caratteri di leggera importanza vitale per la specie sono i più importanti pel sistematico. Ma noi vedremo più tardi, quando tratteremo del principio genetico della classificazione, che questo risultato non è così paradossale come può sembrare al primo aspetto.


Sebbene non si abbiano sicure prove della esistenza negli organismi di una innata tendenza al progressivo sviluppo, tuttavia essa segue necessariamente l'azione continua della elezione naturale, com'io ho cercato di dimostrare nel quarto capitolo. Imperocchè il miglior criterio che noi conosciamo per giudicare della perfezione di un organismo sta nel grado fino a cui le parti furono specializzate e rese differenti. E la elezione naturale tende appunto a questo fine, giacchè le parti in tal modo sono rese atte a compiere meglio la loro funzione.
Un distinto zoologo, St. George Mivart, ha recentemente raccolto tutte le obbiezioni, sollevate da me stesso e da altri, contro la teoria dell'elezione naturale propugnata dal Wallace e da me, e le ha spiegate con molto ingegno e forza. Così esposte costituiscono un formidabile esercito; e siccome non era nel progetto del Mivart di addurre i fatti e le considerazioni che si oppongono alle diverse sue conclusioni, così richiedesi un non piccolo sforzo di intelligenza e di memoria da quel lettore che voglia pesare le ragioni che militano da ambe le parti. Nel discutere i casi speciali, il Mivart trascura gli effetti dell'uso crescente e del non-uso, sebbene io abbia sempre sostenuto ch'essi sono assai importanti, e sebbene nel mio libro sulle Variazioni allo stato di domesticità, ne abbia trattata più diffusamente che, come credo, ogni altro autore.

Egli presume anche ch'io nulla attribuisca alla variazione indipendentemente dall'elezione naturale, mentre nella succitata opera ho raccolto un numero sì grande di fatti bene constatati, com'io non trovo in alcun'altra opera a me nota. Il mio giudizio non sarà forse preciso; ma dopo aver letto attentamente il libro del Mivart, e dopo averlo confrontato con ciò ch'io dissi sullo stesso argomento, sono più persuaso che mai della generale validità delle conclusioni a cui sono giunto, sebbene in argomento tanto complesso io possa essere incorso in qualche parziale errore.

Tutte le obbiezioni del Mivart saranno prese in considerazione nell'opera presente; e per alcune ciò fu già fatto. Un punto nuovo, che sembra aver destato sorpresa in molti lettori, si è questo, che la elezione naturale sia insufficiente a spiegare gli stadii incipienti delle strutture utili.
Questo soggetto è intimamente connesso colla gradazione dei caratteri, la quale è spesso
accompagnata da un cambiamento di funzione, ad esempio la trasformazione della vescica natatoria in polmoni, argomenti che nell'ultimo capitolo furono trattati sotto un doppio punto di vista.
Nondimeno prenderò qui in esame con molti dettagli alcuni casi citati dal Mivart, e siccome lo spazio m'impedisce di considerarli tutti, sceglierò i più illustrativi.

La giraffa è mirabilmente adatta a cogliere le foglie dagli alti rami degli alberi, sia per la sua alta statura, sia pel grande allungamento del collo, degli arti anteriori, della testa e della lingua. Essa può trovare nutrimento al di là dell'altezza, a cui giungono gli altri animali ad unghie o zoccoli che abitano la stessa regione, e ciò sarà per essa di grande vantaggio nei tempi di carestia. I buoi Niata dell'America meridionale ci provano come piccole differenze di struttura in tali periodi possano produrre una grande differenza nella preservazione della vita di un animale. Questi buoi possono pascersi di erba come gli altri, ma per la prominenza della mascella inferiore, durante i periodi spesso ricorrenti di siccità, non possono cogliere le foglie degli alberi e la canna, a nutrirsi de' quali sono spinti i buoi comuni ed i cavalli, per cui in queste epoche i buoi Niata periscono se non sono nutriti da' loro possessori. Prima di arrivare all'obbiezione del Mivart, sarà bene indicare nuovamente come l'elezione naturale agirà ne' casi ordinari.

Senza tener conto necessariamente di speciali particolarità di struttura, l'uomo ha modificato gli animali conservando e impiegando per la riproduzione, ora gli animali più veloci, come, è avvenuto pei cavalli da corsa e pei veltri, oppure continuando a coltivare gli animali vittoriosi, com'è avvenuto pel gallo pugnace. Così allo stato naturale, quando si è formata la giraffa, saranno stati spesso preservati quegli individui che potevano cogliere le foglie più alte, ed in epoca di carestia arrivavano uno o due pollici più in alto degli altri, imperocchè essi avranno percorsa tutta la regione alla ricerca del nutrimento. Che gli individui di una medesima specie diversifichino spesso leggermente tra loro nella relativa lunghezza di tutte le loro parti, ce lo insegnano molte opere di storia naturale, in cui siano indicate esatte misure. Queste leggere differenze proporzionali, dovute alle leggi di accrescimento e di variazione, non tornano di alcuno o di insignificante vantaggio al maggior numero delle specie. Ma nella giraffa in via di formazione le cose saranno passate altrimenti in dipendenza dalle probabili di lei abitudini di vita, giacchè generalmente saranno rimasti in vita quegli individui che presentavano un allungamento oltre l'ordinario in una od in parecchie parti del corpo. Questi si saranno incrociati ed avranno lasciato dei discendenti che avranno ereditata la stessa particolarità corporea, ossia la tendenza di variare nello stesso modo, mentre gli individui meno favoriti per tale riguardo saranno stati maggiormente soggetti alla estinzione.

Noi vediamo, qui, che non è necessario separare le singole paia, come fa l'uomo quando perfeziona metodicamente una razza; l'elezione naturale conserva e separa così tutti gli individui favoriti, e permette loro di incrociarsi, e distrugge gli individui inferiori. Se questo processo, il quale corrisponde esattamente a ciò che io ho chiamato elezione inconscia a mezzo dell'uomo, continua per lungo tempo, associandosi senza dubbio in modo molto importante agli effetti ereditari dell'uso crescente delle parti, mi sembra quasi certo che un animale quadrupede ordinario sarà convertito in una giraffa.


Contro questa conclusione il Mivart solleva due obbiezioni. La prima si è che l'aumentata grandezza del corpo esigerebbe evidentemente un aumento nella quantità di cibo, ed egli crede molto dubbio che gli svantaggi da ciò derivati possano essere bilanciati dai vantaggi in tempi, ne' quali il cibo scarseggia. Ma siccome la giraffa esiste di fatto nell'Africa meridionale in grande quantità, ed alcune delle maggiori antilopi del mondo, più grandi di un bue, sono colà straordinariamente numerose, perchè dovremo dubitare che vi abbiano esistito, per ciò che riguarda la grandezza, le forme intermedie, e siano state esposte a gravi periodi di carestia? La facoltà di raggiungere, ad ogni stadio della aumentata statura, un nutrimento inaccessibile agli altri mammiferi a zoccoli del paese, sarà stata certamente di vantaggio alla nascente giraffa. Non devesi poi trascurare che l'aumentata grandezza del corpo serve di protezione contro quasi tutti i carnivori, eccettuato il leone; e contro questo animale, come osserva Chauncey Wright, il lungo collo servirà come torre di osservazione, e ciò tanto meglio quanto più sarà lungo. Come. S. Baker ha osservato, questa è la causa, per cui nessun animale si caccia tanto difficilmente come la giraffa. L'animale adopera il suo lungo collo anche come arma offensiva e difensiva, facendo vibrare violentemente la testa armata delle sue corna a guisa di monconi. La conservazione di una specie è raramente determinata da un unico vantaggio, sibbene dal concorso di tutti, sì dei grandi che dei piccoli.


Il Mivart domanda inoltre (e questa è la sua seconda obbiezione): se l'elezione naturale è così potente, e se la facoltà di cogliere le foglie dagli alti rami è un vantaggio sì grande, perchè nessun mammifero a zoccoli ottenne un collo tanto lungo all'infuori della giraffa, ed in minor grado il camello, il guanaco e la macrauchenia? In riguardo all'America meridionale, che prima era abitata da numerose greggie di giraffe, la risposta non è difficile, e può nel modo più sicuro essere illustrata con un esempio. In Inghilterra noi vediamo in ogni prato, dove crescono alberi, i rami bassi, in seguito al pascolare dei cavalli, o dei buoi, tagliati ed appianati fino ad un'altezza quasi eguale; e quindi che vantaggio ne potrebbero ritrarre ad esempio le pecore, se colà vi fossero tenute, dall'avere un collo leggermente più lungo? In ogni regione qualche specie animale avrà quasi certamente l'attitudine di togliere il suo nutrimento a maggior altezza delle altre; ed è cosa quasi certa che quest'unica specie avrà ottenuto a quello scopo un collo più lungo a mezzo dell'elezione naturale e per gli effetti dell'uso crescente. Nell'Africa meridionale la concorrenza nel cogliere le foglie dai rami più alti delle acacie e di altri alberi si esercita fra giraffe e giraffe, e non fra queste ed altri mammiferi a zoccoli.

Non può dirsi con precisione per quale motivo in altre parti del mondo gli altri animali dello stesso ordine non abbiano acquistato un collo allungato od una proboscide; ma è ugualmente irragionevole attendersi una precisa risposta a questa domanda, come a quella che chiedesse, per quale motivo nella storia della umanità un avvenimento non sia successo in un paese, mentre è accaduto in un altro. Le condizioni che determinano il numero ed il rango di ciascuna specie ci sono ignote; e non possiamo nemmeno congetturare, quali cambiamenti di struttura possano essere utili pel di lei aumento in una nuova regione. In modo generico, però, noi possiamo intravedere che parecchie cause possano avere impedito lo sviluppo di un lungo collo o di una proboscide. Per cogliere le foglie degli alberi da una notevole altezza (senza l'attitudine di rampicare che non è concessa agli animali forniti di zoccoli), è necessaria una statura molto grande, e noi sappiamo che alcuni distretti, ad esempio l'America meridionale, sebbene sia una terra assai ubertosa, contengono dei mammiferi grandi in quantità singolarmente piccola, mentre l'Africa meridionale ne è incomparabilmente più ricca. Perchè ciò avvenga, noi nol sappiamo, e non conosciamo neanche il motivo, per cui gli ultimi periodi dell'epoca terziaria siano stati assai più favorevoli alla loro esistenza che non l'epoca presente. Qualunque siasi la causa, noi vediamo che certi distretti e certi tempi sono molto più favorevoli di altri allo sviluppo di un mammifero così grande come è la giraffa.

Affinchè un animale acquisti una struttura sviluppata in modo particolare ed ampio, è quasi sempre indispensabile che parecchie altre parti si modifichino e vi si adattino. Sebbene ciascuna parte del corpo sia soggetta a variare leggermente, non deve conchiudersi che le parti necessarie subiscano delle variazioni nella vera direzione e nel vero grado. Noi sappiamo che nei diversi nostri animali domestici le parti variano in modo ed in grado diverso, e che alcune specie sono molto più variabili di altre. Ma quand'anche le variazioni adatte fossero apparse, non segue ancora che l'elezione naturale abbia potuto agire su di esse e produrre una struttura utile alla specie. Se, ad esempio in una regione il numero degli individui esistenti sia principalmente determinato dalla distruzione esercitata dai carnivori, dai parassiti esterni ed interni, ecc., come spesso sembra avvenire, allora l'elezione naturale non potrà essere che poco efficace o sarà molto rallentata nella modificazione di un organo destinato alla presa del nutrimento. Finalmente l'elezione naturale è un processo lento, e le medesime condizioni favorevoli debbono durare lungamente, affinchè si produca un effetto ben marcato. Se si fa astrazione da queste cause generiche e vaghe, noi non sappiamo spiegare, perchè gli animali a zoccoli non abbiano in tutte le parti del mondo un collo allungato od altri mezzi per cogliere le foglie dai rami più alti degli alberi.

Obbiezioni simili alle precedenti furono sollevate da molti autori. Oltre le cause generali ora accennate, varie altre possono aver impedito nei singoli casi l'acquisto di una struttura utile alla specie col mezzo della elezione naturale. Un autore domanda perchè lo struzzo non abbia conservato la sua attitudine al volo? Ma per poco che si pensi, si troverà che una enorme quantità di cibo sarebbe necessaria per dare a questo uccello del deserto la forza di portare il suo ingente corpo per l'aria. Le isole Oceaniche sono abitate da pipistrelli e foche, ma non da mammiferi terrestri, e siccome alcuni di questi pipistrelli costituiscono delle specie peculiari, debbono abitare da lungo tempo nella loro patria attuale. Carlo Lyell domanda perchè le foche ed i pipistrelli non abbiano prodotto delle forme atte a vivere in terraferma, ed in risposta adduce dei motivi. Ma le foche dovrebbero necessariamente trasformarsi in animali terrestri carnivori di notevole grandezza, e i pipistrelli in animali terrestri insettivori; ai primi mancherebbe la preda, ed ai pipistrelli servirebbero di nutrimento gli insetti viventi sul suolo, ai quali danno già largamente la caccia i rettili e gli uccelli, i quali pei primi vanno ad abitare le isole oceaniche e vi abbondano. Le gradazioni di struttura, utili ad una specie in via di trasformazione, non saranno favorite che in certe speciali condizioni. Un animale strettamente terrestre, cacciando occasionalmente nelle acque poco profonde, poi nei fiumi e nei laghi, potrebbe essere convertito in un animale sì bene acquatico da affrontare l'alto mare.

Ma non credo che le foche trovino nelle isole oceaniche le condizioni favorevoli per una graduale riconversione in una forma terrestre. Come già fu dimostrato, i pipistrelli acquistarono probabilmente la loro membrana del volo scivolando dapprima per l'aria a modo degli scoiattoli volanti d'albero in albero, sia per sfuggire ai loro nemici, sia per evitare la caduta; ma una volta acquistata la vera attitudine al volo, ben difficilmente, almeno per lo scopo indicato, sarà riconvertita nella facoltà meno efficace di scivolare per l'aria. I pipistrelli, come gli uccelli, potrebbero bensì in seguito a non-uso soffrire una notevole riduzione delle ali, od anche perderle affatto; ma in tale caso sarebbe necessario che acquistassero la facoltà di camminare velocemente sul terreno coi soli arti posteriori, per essere in grado di far concorrenza agli uccelli e ad altri animali viventi sul suolo: ora per un tale cambiamento i pipistrelli sembrano singolarmente male adatti. Queste congetture furono fatte col solo intento di dimostrare che il passaggio da una
struttura ad un'altra a mezzo di gradini utili è un processo assai complicato, e che non vi ha motivo di maravigliarsi se in un caso particolare tale passaggio non è avvenuto.

In fine più di un autore ha domandato, perchè alcuni animali abbiano ottenuto delle facoltà mentali assai più elevate di altri, mentre il loro sviluppo sarebbe tornato utile a tutti? Perchè le scimmie non raggiunsero il potere intellettuale dell'uomo? Si potrebbero addurre qui molte cause, ma siccome non sono che congetture, la cui relativa probabilità non può essere pesata, riesce inutile citarle. Una risposta definitiva all'ultima domanda non possiamo aspettarci, giacchè vediamo che nessuno può sciogliere il problema assai più semplice, perchè cioè fra due razze di selvaggi, una sia salita più in alto nella scala della civilizzazione dell'altra, ciò che con ogni probabilità implica un'aumentatà azione cerebrale.

Mai noi vogliamo ritornare alle obbiezioni del Mivart. Per ragioni di protezione gli insetti somigliano spesso a vari oggetti; per esempio alle foglie verdi od essiccate, ai rami morti, a pezzi di lichene, ai fiori, alle spine, agli escrementi degli uccelli e ad altri insetti vivi; a quest'ultimo punto farò ritorno più tardi. La somiglianza è spesso mirabilmente grande, e non si limita al solo calore, ma si estende anche alla forma e perfino all'atteggiamento degli insetti. I bruchi, i quali dagli arbusti su cui si nutrono si staccano a guisa di rami secchi, ci offrono un evidentissimo esempio di questo genere. I casi, in cui sono imitati degli oggetti, come gli escrementi degli uccelli, sono rari ed eccezionali. Intorno a questo argomento il Mivart dice: «Siccome, dietro la teoria del Darwin, sussiste una tendenza costante alla variazione indefinita, e le minute variazioni incipienti vanno in tutte le direzioni, esse devono neutralizzarsi e dapprima produrre modificazioni così instabili, che riesce difficile, se non impossibile, il comprendere come tali indefinite oscillazioni di principii infinitesimali sieno sufficienti a produrre la somigliaza con una foglia, con un bambù o con altro oggetto, in guisa che la elezione naturale possa impadronirsene e perpetuarla».
Ma in tutti i precedenti casi gl'insetti offrivano senza dubbio allo stato originale una certa rozza ed accidentale somiglianza con un oggetto frequente nelle loro stazioni.

Nè ciò può sembrare improbabile, se si pensa al numero quasi infinito degli oggetti circostanti ed alla diversità di forma e di colore nella moltitudine degli insetti esistenti. Siccome una certa rozza somiglianza è necessaria come punto di partenza, così noi possiamo comprendere come avvenga che nessun animale maggiore e superiore, ad eccezione di un solo pesce, per quanto io sappia, somigli per ragioni di protezione ad oggetti speciali, ma solamente alla superficie che lo circonda, e ciò principalmente nel colore. Se si suppone che originariamente un insetto somigliasse a caso in un certo grado ad un ramo morto o ad una foglia secca e variasse leggermente in molte direzioni, tutte le variazioni che rendevano l'insetto più somigliante a quegli oggetti e favorivano il nascondimento, si saranno conservate, mentre le altre saranno state neglette e soppresse; oppure, se avessero reso l'insetto meno somigliante all'oggetto imitato, saranno state eliminate. L'obbiezione del Mivart avrebbe forza se volessimo spiegare le suddette somiglianze indipendentemente dall'elezione naturale col mezzo della sola variabilità fluttuante; ma nel caso nostro non ha importanza.

Io non so nemmeno vedere come possa aver forza la difficoltà mossa dal Mivart in riguardo agli ultimi ritocchi di perfezione nel mimismo, come, ad es., nel caso del Ceroxylus laceratus, citato dal Wallace, il quale insetto somiglia ad un bastone coperto di muschio serpeggiante o di iungermannie. Questa somiglianza era tanto grande, che un Dyak indigeno sosteneva essere vero muschio quelle escrescenze fogliacee. Agli insetti danno la caccia gli uccelli ed altri nemici, la cui vista è probabilmente più acuta della nostra; quindi ogni grado di somiglianza che aiuta l'insetto a sfuggire alla loro vista, favorirà la sua preservazione, e quanto più perfetta sarà la somiglianza stessa, tanto maggiore vantaggio ne avrà l'insetto. Se si considera la natura delle differenze esistenti fra le specie del gruppo che abbraccia il suddetto Ceroxylus, non sembrerà improbabile che questo insetto abbia offerto delle variazioni nelle irregolarità della sua superficie, e che questa abbia acquistato un colore più o meno verde; imperocchè in ogni gruppo quei caratteri, che sono diversi nelle diverse specie, tendono maggiormente a variare, mentre, i caratteri generici, ossiano quelli che sono comuni a tutte le specie, presentano la massima costanza.


La balena della Groenlandia è uno degli animali più ammirabili del mondo, ed i fanoni od osso di balena costituiscono una delle sue più rimarchevoli particolarità. L'osso di balena si compone di una fila di fanoni, in numero di circa trecento, disposti fittamente in ciascun lato della mascella superiore in senso obliquo all'asse longitudinale della bocca. All'interno della fila principale trovansene alcune file secondarie. Le estremità inferiori ed i margini interni dei fanoni sono risolti in setole rigide che coprono tutto il gigantesco palato e servono per colare o filtrare l'acqua allo scopo di prendere i piccoli animali, dei quali si nutre il grande animale. La lamella o fanone di mezzo nella balena della Groenlandia ha una lunghezza di dieci o dodici e perfino quindici piedi. Ma nelle diverse specie di balene questa grandezza presenta delle gradazioni; secondo lo Scoresby in una specie la lamella mediana è lunga un piede, in un'altra tre piedi, in una terza diciotto pollici, e nella Balænoptera rostrata solamente circa nove pollici. Anche la qualità dell'osso di balena è diverso nelle diverse specie.

Relativamente all'osso di balena, il Mivart osserva che «quand'esso avesse raggiunta tale grandezza e sviluppo da essere di vantaggio, sarebbe favorito dalla elezione naturale nella sua preservazione e nel suo aumento entro i limiti utili; ma come immaginarsi il principio di tale utile sviluppo?». In risposta potrebbe domandarsi, perchè gli antichi progenitori delle balene a fanoni non possano aver posseduto una bocca costruita in modo simile a quella che presenta l'anitra col suo becco fornito di lamelle? Le anitre si nutrono come le balene, filtrando l'acqua o la melma, e la famiglia delle anitre ebbe talvolta appunto per ciò il nome di Cribratores. Non si vorrà qui, io spero, credere, essere mia opinione che i progenitori delle balene abbiano avuto realmente una bocca lamellosa come l'offre il rostro dell'anitra. Io desidero solamente di provare che ciò non è impossibile, e che gli immensi fanoni della balena groenlandese possono essersi sviluppati da tali lamelle percorrendo degli stadii graduati, di cui ciascuno era utile al suo possessore.

Il becco della Spatula clypeata è un prodotto ancora più ammirabile e più complesso della bocca di una balena. La mascella superiore (nell'esemplare da me esaminato) è fornita in ciascun lato di una serie o pettine di 188 lamelle sottili ed elastiche, le quali sono troncate obliquamente in modo da essere puntute, e dispongonsi in senso trasversale all'asse longitudinale del rostro. Esse nascono dal palato e sono fissate da membrane flessibili ai lati della mascella. Quelle che trovansi verso la metà, sono le più lunghe, misurano circa un terzo di pollice, e sporgono per un tratto di 0,14 di pollice al disotto del margine. Alla loro base osservasi una breve serie sussidiaria di lamelle oblique trasversali. Per tale riguardo esse somigliano ai fanoni nella bocca della balena. Ma verso l'estremità del rostro si fanno molto diverse, giacchè sporgono verso l'interno anzi che in basso.

L'intera testa della Spatula clypeata, sebbene incomparabilmente meno voluminosa, misura in lunghezza circa otto decimi della lunghezza della testa di una mediocre Balænoptera rostrata, nella quale specie i fanoni sono lunghi solamente nove pollici, per cui, se la testa della Spatula potesse farsi ugualmente grande come quella della Balænoptera, le lamelle raggiungerebbero i sei pollici, ossia i due terzi della lunghezza dei fanoni della balena. La mascella inferiore della Spatula clypeata porta delle lamelle sì lunghe come le superiori, ma più sottili; e per tale possesso essa differisce evidentemente da quella della balena che non porta fanoni. Ma d'altra parte queste lamelle inferiori alla loro estremità si risolvono in punte fine e setolose, così da somigliare assai ai fanoni.

Nel genere Prion, appartenente alla distinta famiglia delle procellarie, la sola mascella superiore porta delle lamelle, le quali sono bene sviluppate e sporgono al disotto del margine; per tale riguardo dunque il rostro di quest'uccello somiglia alla bocca di una balena.
Dalla struttura altamente sviluppata del rostro della Spatula clypeata, noi possiamo passare (come ho imparato dall'esame di esemplari inviatimi dal Salvin) senza interruzione della serie, considerando solamente le misure atte alla filtrazione, al rostro della Merganetta armata, e per alcuni riguardi a quello dell'Aix sponsa, e da questo al rostro dell'anitra comune. In quest'ultima specie le lamelle sono assai più grandi che nella Spatula clypeata, e bene attaccate ai lati della mascella; ve ne hanno solamente 50 in cadaun lato e non sporgono al disotto del margine. Le superiori sono troncate obliquamente, e coperte di tessuto trasparente piuttosto duro, come se servissero alla triturazione del cibo. I margini della mascella inferiore sono percorsi da numerose e sottili creste incrociantisi, le quali sono assai poco sporgenti. Sebbene dunque questo rostro come apparato filtrante sia molto inferiore a quello della Spatula clypeata, nondimeno questo uccello, come tutti sanno, lo adopera continuamente a tale scopo. Come io seppi dal Salvin, hannovi altre specie, nelle quali le lamelle sono assai meno sviluppate che nell'anitra comune, ma io non so se esse si giovino del rostro per filtrare l'acqua.

 

Passiamo ad un altro gruppo della stessa famiglia. Nell'oca egiziana (Chenalopex) il rostro somiglia molto a quello dell'anitra comune; ma le lamelle non sono sì numerose, nè si bene distinte tra loro, e non sporgono tanto all'indentro. E tuttavia quest'oca, a quanto mi disse il Bartlett, adopera il suo rostro come l'anitra, giacchè getta fuori l'acqua pei margini. Il suo principale nutrimento però è l'erba che coglie come l'oca comune. In quest'ultimo uccello le lamelle della mascella superiore sono molto più grossolane che nell'anitra comune, quasi confluenti, in numero di circa 27 in cadaun lato, terminate in alto a guisa di bottoni dentiformi. Anche il palato è coperto di protuberanze dure rotondate. I tomi della mascella inferiore sono muniti a mo' di sega di denti assai più prominenti, più grossi e più acuti che nell'anitra.
Noi vediamo da ciò, come un uccello della famiglia delle anitre, con un rostro simile a quello dell'oca comune, costruito solamente per cogliere l'erba, oppure un uccello con un becco avente lamelle ancora meno sviluppate, possa convertirsi per lente variazioni in una specie come l'oca egiziana, questa in un'altra come l'anitra comune, e finalmente in una come la Spatula clypeata, il cui rostro è quasi esclusivamente atto alla filtrazione dell'acqua, nessuna parte di esso, tranne la punta uncinata, potendo servire alla presa ed alla dilanazione di nutrimento solido. Voglio ancora aggiungere che il rostro dell'oca potrebbe pure, col mezzo di leggeri cambiamenti, essere convertito in un rostro fornito di denti prominenti e rivolti indietro, come quelli del Merganser (uccello della stessa famiglia), il quale serve allo scopo molto diverso di prendere pesci viventi.

Ma ritorniamo ora alle balene. L'Hyperoodon bidens non ha denti genuini in istato funzionale, ma il suo palato, secondo il Lacépède, è ruvido per la presenza di piccole punte corne e disuguali.

Non vi è quindi nulla di improbabile nella supposizione che una forma antica di cetaceo abbia avuto il palato munito di simili punti cornei, i quali erano disposti più regolarmente, e a guisa dei bottoni del rostro dell'oca servivano a rendere più facile la presa e la dilaniazione del cibo. Se ciò fosse, non si negherà che in seguito alla variazione ed all'elezione naturale quei punti abbiano potuto cambiarsi dapprima in lamelle così bene sviluppate come quelle dell'oca egiziana, nel qual caso servivano al doppio scopo di prendere il nutrimento e di filtrare l'acqua; poi in lamelle come quelle dell'anitra comune, e così di seguito, finchè divennero organi sì bene costruiti come le lamelle della Spatula clypeata, ed avranno quindi servito unicamente alla filtrazione dell'acqua. Da questo stadio, nel quale le lamelle misurano in lunghezza due terzi dei fanoni della Balænoptera rostrata, molte gradazioni, ancor oggi osservabili nei viventi cetacei, conducono agli enormi fanoni delle balene groenlandesi. Non vi ha alcuna ragione per dubitare, che ogni progresso su questa scala abbia potuto tornare utile a certi antichi cetacei, modificandosi lentamente la funzione delle parti durante il progresso di sviluppo, nella stessa guisa come le gradazioni della struttura del rostro sono di vantaggio agli uccelli oggi viventi della famiglia delle anitre. Noi non dobbiamo dimenticare, che ogni specie di anitre sostiene una lotta severa per l'esistenza, e che la struttura di ogni parte corporea deve essere adattata alle sue condizioni di vita.

I pleuronettidi o pesci piatti sono rimarchevoli pel loro corpo asimmetrico. Nel riposo essi giacciono sopra un lato, nel maggior numero delle specie sul sinistro, in altre sul destro; e talvolta si hanno degli esemplari adulti con asimmetria inversa. La superficie inferiore, ossia quella che poggia, a prima vista somiglia alla faccia ventrale di un pesce ordinario; essa è bianca, per molti riguardi meno sviluppata della superiore, e le pinne laterali sono spesso di grandezza minore. Ma gli occhi presentano la maggiore singolarità, giacchè ambedue trovansi alla faccia superiore del capo.

Nella prima giovinezza però essi sono opposti l'uno all'altro, ed in quest'età tutto il corpo è simmetrico, ed ambedue i lati sono di uguale colore. Ma presto l'occhio inferiore migra attorno alla testa verso la faccia superiore, e non attraversa direttamente il cranio, come si era creduto. Egli è chiaro che, se l'occhio inferiore non migrasse nel modo indicato, esso non potrebbe essere menomamente adoperato dal pesce, che giace sopra uno dei lati. Oltre ciò, l'occhio inferiore sarebbe facilmente leso coll'attrito verso il fondo sabbioso. Che i pleuronettidi col loro corpo piatto ed asimmetrico siano stupendamente adattati alle loro abitudini di vita, ce lo dimostra il fatto che parecchie specie, come le sfoglie e le platesse, sono assai comuni. I vantaggi principali che ne ricavano sono due, la protezione davanti ai loro nemici, e la facilità di nutrirsi sul fondo del mare.

Ma i diversi membri della famiglia, come osserva lo Schiödte, offrono una lunga serie di forme graduate fra l'Hippoglossus pinguis, il quale non cambia in modo sensibile la forma che possiede quando sbuccia dall'uovo, e le sfoglie che sono perfettamente rovesciate sopra un lato.
Il Mivart ha toccato questo caso, ed osserva che non è concepibile un repentino e spontaneo cambiamento nella posizione degli occhi, ed io mi vi associo. Poi soggiunge. «Se il transito avviene gradatamente, non si comprende come la migrazione sopra una frazione straordinariamente piccola dell'intera distanza fino all'altro lato del capo possa tornare utile all'individuo.

Sembrerebbe piuttosto che tale incipiente trasformazione dovesse essere dannosa». Ma egli avrebbe potuto trovare una risposta a questa obbiezione nelle eccellenti osservazioni pubblicate dal Malm nel 1867. I pleuronettidi, finchè sono assai giovani e simmetrici, ed hanno gli occhi ai due lati del capo, non possono lungamente conservare una posizione verticale, sia per l'eccessiva altezza del corpo, sia pel leggero sviluppo delle pinne orizzontali, sia per la mancanza della vescica natatoria. Perciò si stancano assai presto, e cadono sopra uno dei lati al fondo. Mentre stanno quieti, in tale posizione, volgono spesso l'occhio inferiore in alto, come ha osservato il Malm, per vedere sopra di sè, e lo fanno così vigorosamente, che l'occhio è premuto con forza verso la parete superiore dell'orbita. Come s'è potuto facilmente osservare, la fronte tra gli occhi venne per conseguenza temporaneamente contratta nel senso della larghezza. In un'occasione il Malm vide in un pesce giovane sollevarsi ed abbassarsi l'occhio inferiore in guisa da percorrere una distanza di circa settanta gradi.


Noi dobbiamo rammentarci che in questa tenera età il cranio è cartilagineo, per cui cede facilmente all'azione muscolare. È noto che anche negli animali superiori, perfino dopo trascorsa la prima gioventù, il cranio cede e cambia la sua forma, se la cute od i muscoli siano permanentemente contratti da malattia o da altra causa accidentale. Nei conigli a lunghe orecchie, se un padiglione pende in avanti ed in basso, il suo peso trascina tutte le ossa verso lo stesso lato, ciò ch'io ho illustrato con una figura. Il Malm ci assicura che i giovani appena nati del pesce persico, del salmone e di altri pesci simmetrici hanno l'abitudine di riposarsi qualche volta sul fondo sopra uno dei lati; egli ha anche osservato che allora affaticano l'occhio inferiore per guardare in alto, e che, in conseguenza di ciò, il cranio si fa leggermente curvo. Ma questi pesci diventano presto capaci di mantenersi in posizione verticale, e non si produce quindi un effetto durevole. I pleuronettidi invece, quanto più diventano vecchi, tanto più sogliono riposare, sopra uno dei lati, in seguito al crescente appiattimento del loro corpo, e si produce un effetto durevole sulla forma del loro corpo e sulla posizione degli occhi

. A giudicare per analogia, deve ritenersi che la tendenza di torsione venga accresciuta dal principio dell'eredità. Lo Schiödte, contraddicendo agli altri naturalisti, ritiene che i pleuronettidi non siano simmetrici nemmeno allo stato embrionale; se ciò fosse, noi potremmo comprendere perchè certe specie, mentre sono giovani, cadano sopra il lato sinistro e su esso riposino, altre specie sopra il lato destro. A conferma dell'asserto, il Malm aggiunge, che l'adulto Trachypterus arcticus, il quale non appartiene alla famiglia dei pleuronettidi, riposa sul fondo sopra il suo lato sinistro, e nuota per l'acqua in senso diagonale; e in questo pesce, come si dice, i due lati del capo sono alquanto dissimili. Il Gunther, una nostra grande autorità in ottiologia, finisce il sunto della memoria del Malm colla osservazione «che l'autore dà una spiegazione assai semplice della condizione anormale dei pleuronettidi».

Noi vediamo da ciò che i primi stadii nel transito dell'occhio da un lato del capo all'altro, che il Mivart suppose dannosi, possono attribuirsi all'abitudine, certamente utile tanto all'individuo come alla specie, di tentar di guardare in alto con ambedue gli occhi mentre il pesce giace sul fondo sopra uno dei lati. Noi possiamo poi attribuire agli effetti ereditati dall'uso che in molte specie di pesci piatti la bocca è curvata verso il lato inferiore, essendo le ossa mascellari più robuste e più attive alla faccia cieca del capo, che all'opposta, affinchè il pesce, come suppone il dott. Traquair, possa prendere il cibo dal fondo con maggiore facilità. Dall'altro canto, il non uso ci spiega il minore sviluppo della intera metà inferiore del corpo, comprese le pinne orizzontali, sebbene il Yarrell creda che la ridotta grandezza di queste pinne sia utile al pesce, giacchè la loro azione può esercitarsi in uno spazio assai minore che non quella delle pinne maggiori superiori. Forse può spiegarsi col non-uso anche il minor numero di denti nella metà superiore delle due mascelle, dove nella sfoglia se ne contano 4 a 7 contro i 25 a 30 della inferiore.

Dalla faccia ventrale non colorata in quasi tutti i pesci ed in molti altri animali noi possiamo ragionevolmente concludere che la mancanza di colore sul fianco che guarda in basso, sia il destro o il sinistro, debbasi alla esclusione della luce. Ma non si può supporre che le macchie particolari del fianco superiore della sfoglia, che le danno l'aspetto del fondo sabbionoso del mare; oppure la facoltà che hanno alcune specie, come recentemente il Pouchet ha dimostrato, di cambiare il colore in accordo colla superficie circostante; oppure la presenza di turbercoli ossei al lato superiore del rombo, siano altrettanti effetti dell'azione della luce. Noi dobbiamo porre mente a ciò, su cui ho insistito più sopra; che cioè gli effetti ereditati dall'uso accresciuto delle parti e forse anche dal non-uso sono rafforzati dall'elezione naturale, per la quale saranno conservate tutte le variazioni spontanee che appariscono nella vera direzione, come saranno conservati tutti gli individui che ereditano nel più alto grado gli effetti dell'uso accresciuto e benefico di una qualche parte. Sembra poi impossibile il decidere, quanta parte in ogni singolo caso abbiano avuto gli effetti dell'uso, e quanta l'elezione naturale.

Voglio citare ancora un esempio di una struttura, la quale sembra dovere la sua origine interamente all'uso o all'abitudine. In parecchie scimmie americane l'estremità della coda è trasformata in un organo prensile assai perfetto, e serve di quinta mano. Un critico, il quale concorda col Mivart in ogni dettaglio, dice a proposito di quest'organo: «Non è possibile credere che la prima leggera tendenza alla preensione, per quanti anni durasse, abbia potuto conservare la vita agli individui che la possedevano, od abbia favorito la probabilità di avere e di allevare una prole». Ma non è necessario avere una tale credenza; l'abitudine, la quale un qualunque benefizio, grande o piccolo, apporta quasi sempre, sembra con ogni probabilità bastare allo scopo. Il Brehm vide i giovani di una scimmia africana (Cercopithecus) attaccarsi colle mani alla faccia inferiore della madre, e contemporaneamente abbracciarla colle loro piccole code. Il professore Henslow tenne in cattività alcuni Mus messorius, che non possiedono coda prensile; tuttavia li vide più volte abbracciare colla coda i rami di un arbusto, che aveva posto nella gabbia, per aiutarsi nel rampicare.


Un'osservazione analoga mi fu riferita dal dott. Günther, il; quale vide un sorcio appendersi col mezzo della coda. Se il Mus messorius conducesse vita strettamente arborea, la sua coda sarebbe probabilmente diventata prensile, come è avvenuto in alcuni altri animali dello stesso ordine. È difficile il dire perchè il Cercopithecus, che pur allo stato giovanile ha l'abitudine su descritta, non sia stato dotato di tale qualità; ma è possibile che la lunga coda di questa scimmia nei larghi salti torni più utile come organo bilanciante che come organo prensile.
Le ghiandole mammarie sono comuni a tutti i mammiferi, alla cui esistenza sono indispensabili; esse debbono quindi essersi sviluppate in un periodo estremamerite remoto, ma noi non sappiamo nulla di positivo intorno al modo del loro sviluppo. Il Mivart domanda: «È concepibile che il giovane di un animale qualunque sia stato preservato dalla distruzione perchè succhiava accidentalmente da una ghiandola a caso ipertrofica della madre una goccia di un succo scarsamente nutritivo? E se ciò una volta fosse avvenuto, quale probabilità esisteva per la conservazione di una tale variazione?».


Ma l'esempio non fu bene interpretato. La maggior parte degli evoluzionisti ammette che i mammiferi siano discesi da un marsupiale; e se ciò avvenne, le ghiandole mammarie si saranno dapprima sviluppate dentro il marsupio. Nei pesci (Hippocampus) succede che le uova vengano covate in una specie di simile tasca, nella quale sono anche allevati i neonati per un certo tempo; un naturalista americano, il sig. Lockwood, crede inoltre, appoggiandosi alle sue osservazioni sullo sviluppo dei giovani, che questi siano nutriti con un secreto delle ghiandole cutanee del sacco. Non sarebbe quindi possibile, in riguardo ai progenitori dei mammiferi, prima ancora che si meritassero questo nome, che i giovani fossero nutriti in modo consimile? Ed in tal caso, quegli indivividui, che secernevano un liquido, il quale era in un certo grado od in un certo modo più nutriente ed acquistò la natura del latte, avranno allevato nel corso dei tempi un numero di discendenti ben nutriti maggiore di quelli che secernevano un liquido più povero; in tale guisa le ghiandole cutanee, che sono omologhe alle latticifere, si saranno migliorate e rese più attive. In accordo col principio molto esteso della specializzazione, le ghiandole si saranno meglio sviluppate sopra un determinato spazio alla superficie interna del sacco, e saranno divenute una ghiandola mammaria, dapprima priva di capezzolo, come si osserva ancora oggi nell'Ornithorhynchus, il più basso membro della serie dei mammiferi. Non pretendo di decidere, per quale causa le ghiandole siansi meglio specializzate sopra un determinato spazio della superficie, se in parte per la compensazione di accrescimento, se per gli effetti dell'uso, oppure per la elezione naturale.

Lo sviluppo delle ghiandole mammarie non sarebbe stato di alcuna utilità, nè avrebbe potuto prodursi per la elezione naturale, se contemporaneamente i neonati non si fossero resi atti ad accogliere la secrezione. Il comprendere come i giovani mammiferi abbiano imparato istintivamente a succhiare le mammelle, non è più difficile del comprendere come i pulcini non ancora sbocciati abbiano imparato a rompere il guscio dell'uovo battendo contro di esso col loro rostro specialmente adatto, o come abbiano imparato a beccare il nutrimento poche ore dopo l'abbandono dell'uovo. Ma si dice che il giovane canguro non succhia, ma pende dal capezzolo della madre, la quale ha il potere di iniettare il latte nella bocca del suo discendente debole ed immaturo. A questo riguardo, il Mivart dice: «Se non vi fosse uno speciale provvedimento, il neonato dovrebbe infallibilmente soffocarsi per l'introduzione del latte nella trachea. Ma la laringe è tanto prolungata, che arriva fino all'estremità posteriore del dotto nasale, per cui l'aria può penetrare liberamente nei polmoni, mentre il latte scorre innnocuo a destra ed a sinistra di questa laringe allungata e raggiunge l'esofago posto di dietro». Il Mivart domanda poi, in quale modo nel canguro adulto (e nel maggior numero degli altri mammiferi, supposti discendenti di una forma marsupiale) l'elezione naturale rimuova questa particolarità di struttura almeno perfettamente innocente ed innocua. In risposta, si può addurre la supposizione, che la voce, la quale è di molta importanza per gli animali, non avrebbe potuto manifestarsi colla piena sua forza, finchè la laringe fosse penetrata fino al condotto nasale; il professore Flower mi ha anche manifestato il sospetto che questa struttura avesse potuto impedire l'animale nell'ingestione di nutrimento solido.
Ora vogliamo rivolgerci un poco alle divisioni inferiori del regno animale. Gli echinodermi (stelle di mare, ricci di mare, ecc.) sono forniti di organi molto singolari, i così detti pedicellari, i quali, se sono bene sviluppati, costituiscono una tanaglia a tre branche, cioè tale che consta di tre braccia seghettate al margine, combacianti tra loro e poste alla sommità di uno stelo flessibile e movibile col mezzo di muscoli. Questa tanaglia può tenere strettamente qualsiasi oggetto; ed Alessandro Agassiz ha osservato un Echinus nell'atto in cui faceva passare delle particelle escrementizie di tanaglia in tanaglia lungo certe linee del corpo per non insudiciare il suo guscio con sostanze putrescenti. Senza dubbio, questi pedicellari non servono solamente ad allontanare le feci, ma anche ad altre funzioni, ed una di queste sembra essere la difesa.

Come nelle molte altre precedenti occasioni, il Mivart domanda anche in riguardo a questi organi: «Quale sarebbe l'utilità di un tale organo rudimentale al suo primo apparire, e come potrebbe un tale abbozzo incipiente e gemmiforme aver conservata la vita anche ad un solo Echinus?». E soggiunge poi: «Nemmeno il repentino sviluppo dell'azione acchiappante avrebbe potuto essere benefico senza lo stelo liberamente mobile, e questo non avrebbe potuto mostrarsi attivo senza le branche chiudentisi a mo' di mascelle: ora, le sole minute variazioni indefinite non avrebbero potuto produrre ad un tempo queste particolarità di struttura complicate e collegate insieme; che se alcuno ciò negasse, sosterrebbe un imbarazzante paradosso».

Per quanto possa sembrare paradossale al Mivart, pure esistono certamente in alcune stelle di mare tali tanaglie a tre branche, fisse alla loro base, e tuttavia capaci di acchiappare; e ciò si comprende se si riflette che servono almeno in parte come mezzi di difesa. L'Agassiz, alla cui gentilezza debbo molte informazioni su questo argomento, mi assicura che esistono altre stelle di mare, nelle quali una delle tre branche è ridotta a un semplice sostegno delle altre due, ed altre ancora, in cui la terza branca è andata completamente smarrita. Nell'Echinoneus, secondo la descriscrizione del Perrier, il guscio porta due specie di pedicellari, gli uni somiglianti a quelli dell'Echinus, gli altri a quelli dello Spatangus; e tali casi sono sempre interessanti, perchè ci offrono il mezzo di spiegare i passaggi apparentemente repentini, a mezzo di abortimento, da una a due forme di uno stesso organo.

Relativamente ai gradini che questi organi singolari hanno percorso, l'Agassiz, in seguito alle sue ricerche e a quelle di G. Müller, conclude che tanto nelle asterie come negli echini i pedicellari sono senza dubbio da considerarsi come aculei trasformati. Ciò può dedursi tanto dal modo di sviluppo nell'individuo, come da una lunga e completa serie di gradazioni in diverse specie e generi, la quale dalle semplici granulazioni passa agli ordinari aculei ed ai perfetti pedicellari di tre branche. La gradazione si estende perfino alla maniera con cui gli aculei ordinari ed i pedicellari articolano sul guscio coi bastoncini calcarei che li sostengono. In certi generi di asterie si rinvengono perfino le combinazioni atte a dimostrare che i pedicellari sono aculei ramosi modificati. Così trovansi degli aculei fissi con tre rami ad eguale distanza fra loro, dentellati e mobili, articolati in prossimità della loro base, e più in alto sullo stesso aculeo tre altri rami mobili.

Se questi ultimi nascono dall'apice di un aculeo, essi formano in realtà un rozzo pedicellario a tre branche, ed un tale può vedersi in uno stesso aculeo co' tre rami inferiori. In questo caso l'identità nell'essenza fra le braccia di un pedicellario ed i rami mobili di un aculeo è innegabile. Si ammette generalmente che gli aculei ordinari servono alla difesa; e se ciò è vero, non può esistere alcun dubbio che allo stesso scopo servano anche quelli forniti di braccia seghettate e mobili, ed essi compirebbero anco più efficacemente il loro servizio, se agissero nel loro insieme come apparato prensile od acchiappante. Per conseguenza ogni gradazione dall'ordinario aculeo fisso al pedicellario sarà di vantaggio all'animale.

In certi generi di asterie, questi organi, anzichè essere fissati sopra una base immobile, trovansi all'apice di uno stelo flessibile e muscoloso, sebbene breve, ed in tale caso compiono probabilmente un'altra funzione, oltre la difesa. Negli echini si possono seguire gli aculei fissi passo a passo, mentre si articolano al guscio e diventano mobili. Desidererei di avere maggiore spazio a mia disposizione, per dare un sunto esteso delle interessanti osservazioni dell'Agassiz sullo sviluppo dei pedicellari. Da quanto egli aggiunge, si rileva che si possono rinvenire tutte le gradazioni possibili fra i pedicellari delle asterie e gli uncini delle ofiure, altro gruppo di echinodermi, e così pure fra i pedicellari degli echini e le áncore delle oloturie, che appartengono alla stessa grande classe.

Certi animali composti, o zoofiti, come furono chiamati, e precisamente i briozoi, sono forniti di organi molto singolari che diconsi avicolarie. Queste diversificano assai nella loro struttura nelle specie diverse. Nel loro stato perfetto somigliano in miniatura mirabilmente alla testa ed al rostro di un avoltoio, giacchè siedono sopra un collo il quale è mobile, come lo è in pari grado anche la mascella inferiore. In una specie da me osservata, vidi tutte le avicolarie di uno stesso ramo muoversi contemporaneamente, colla mascella inferiore ampiamente spalancata, in alto ed in basso, in modo da percorrere in pochi secondi un angolo di circa 90°; ed il loro movimento produceva un tremito per tutta la colonia. Se si toccano le mascelle con un ago, questo viene afferrato così fortemente, che con esso si può scuotere l'intero ramo.

Il Mivart cita questo caso, perchè crede difficile che organi come le avicolarie dei briozoi ed i pedicellari degli echinodermi, che egli suppone essenzialmente simili, abbiano potuto svilupparsi col mezzo della elezione naturale in divisioni di animali tanto distanti fra loro. Ma per ciò che concerne la struttura, io non posso trovare alcuna somiglianza fra un pedicellario a tre branche ed un'avicolaria od organo a modo di becco d'uccello. Quest'ultima somiglia nel suo complesso piuttosto ad una chela di crostaceo; ed il Mivart avrebbe potuto con ugual diritto mettere avanti come speciale difficoltà questa somiglianza, e perfino la somiglianza colla testa e col rostro di un uccello. Le avicolarie, al dire del Busk, dello Smith e del Nitsche, i quali naturalisti hanno particolarmente studiato questo gruppo, sono omologhe dei singoli individui e delle loro cellule componenti lo zoofito; il labbro mobile o l'opercolo della cellula corrisponderebbe alla mascella inferiore e mobile dell'avicolaria. Il Busk però non conosce delle gradazioni ora esistenti fra un singolo animale ed un'avicolaria. Torna quindi difficile il supporre per quali gradi l'uno siasi trasformato nell'altra, ma non segue da ciò che tali gradi non siano esistiti.


Siccome le chele dei crostacei somigliano in un certi grado alle avicolarie dei briozoi, ambedue servendo da pinzette, sarà opportuno dimostrare che delle prime si ha una lunga serie di gradazioni. Sul primo e più semplice gradino il segmento terminale dall'arto è piegato in basso, sia contro l'estremità obliqua del penultimo largo segmento, sia contro tutta una faccia del medesimo, ed è reso così atto a tenere un oggetto, mentre però l'arto intero serve ancor sempre da organo di locomozione. Poi vediamo sporgere leggermente uno degli angoli del penultimo largo segmento, talvolta munito di denti irregolari, e contro esso si flette il segmento terminale. In seguito all'ingrandimento di quella sporgenza ed una leggera modificazione e perfezionamento della sua forma e dell'articolo terminale, le branche si fanno sempre più perfette, finchè costituiscono uno strumento così attivo come è la chela di un omaro; e tutte queste gradazioni sussistono di fatto al presente.

Oltre le avicolarie, i briozoi possiedono altri organi singolari, i così detti vibracoli. Essi constano in generale di setole lunghe, capaci di movimento e facilmente eccitabili. In una specie da me osservata, i vibracoli erano leggermente curvati, e seghettati lungo il margine inferiore; e spesso tutti quelli di una medesima colonia si movevano contemporaneamente, in modo che agendo come remi gettavano rapidamente una branca attraverso al portaoggetti del microscopio. Se una branca veniva posta sulla sua faccia, i vibracoli si intricavano, e facevano degli sforzi violenti per liberarsi.

Si suppone che essi servano come organi di difesa, e si può osservare, dice il Busk, «come essi, oscillando alla superficie della colonia, allontanano tutto ciò che può recare offesa ai delicati abitatori delle cellule, quando hanno distesi i tentacoli». Le avicolarie servono, probabilmente, come i vibracoli, di difesa, ma prendono ed uccidono anche piccoli animali, i quali, come si crede, giungono poi per mezzo. delle correnti entro la sfera di azione dei tentacoli dei singoli animali.
Alcune specie son fornite di avicolarie e di vibracoli, altre di sole avicolarie, ed altre poche di soli vibracoli.


Non è facile immaginarsi due oggetti più diversi tra loro nell'apparenza che una setola o vibratolo ed un'avicolaria a guisa di testa d'uccello; e tuttavia essi sono omologhi, e si sono sviluppati dalla stessa sorgente, da un singolo individuo, cioè, colla sua cellula. Si comprende quindi, perchè questi organi, come mi disse il Busk, facciano spesso passaggio l'uno all'altro. Così nelle avicolarie di parecchie specie di Lepralia la mascella mobile inferiore è talmente prolungata, da somigliare ad una setola, in modo che solo la presenza della mascella superiore o fissa ci assicura trattarsi di un'avicolaria. I vibracoli possono essersi sviluppati direttamente dall'opercolo della cellula, senza attraversare lo stadio di avicolaria; è però probabile che abbiano percorso questo stadio, perchè difficilmente durante gli stadii anteriori di trasformazione le altre parti della cellula coll'incluso animale sono scomparse ad un tratto. In molti casi i vibracoli hanno un sostegno fornito di una fossetta, il quale sembra rappresentare il becco superiore immobile; ma questo sostegno manca in alcune specie. Questa idea intorno allo sviluppo dei vibracoli, ammesso che sia giusta, è interessante, poichè, se le specie fornite di avicolarie si fossero estinte, nessuno, nemmeno chi fosse dotato della più fervida fantasia, avrebbe pensato che i vibracoli abbiano fatto parte di un organo somigliante ad una testa di uccello, ad una cappa o scatola irregolare. È interessante di vedere, come due organi tanto diversi tra loro siansi sviluppati da una comune sorgente; e siccome l'opercolo mobile della cellula serve di protezione allo zooide, si può ammettere che tutte le gradazioni che il coperchio ha percorso sotto forma di mascella inferiore nell'organo a guisa di testa di uccello e poi sotto quella di setola allungata, abbiano parimenti servito di protezione in maniere diverse ed in differenti condizioni.

Dal regno vegetale il Mivart cita due soli casi, e cioè la struttura dei fiori nelle orchidee ed i movimenti delle piante rampicanti. A riguardo della prima, egli dice: «La spiegazione della loro (dei fiori) origine è affatto insufficiente, incapace di far conoscere i primi passi infinitesimali di struttura che non sono utili finchè non sono notevolmente sviluppati». Siccome ho trattato questo argomento diffusamente in un'altra opera, mi limito a dare qui alcuni dettagli intorno ad una sola delle più salienti particolarità che offrono i fiori delle orchidee, cioè intorno ai loro pollinari. Un pollinario, quando è bene sviluppato, consta di un ammasso di grani pollinici, il quale è attaccato ad un sostegno elastico o caudicolo che riposa sopra una piccola massa di sostanza straordinariamente viscida. In tale modo i pollinari, col mezzo degli insetti, sono portati da un fiore sullo stimma di un altro. In alcune orchidee manca il caudicolo alle masse polliniche, ed i grani sono collegati insieme da sottili filamenti; ma siccome questi non sono ristretti alle sole orchidee, non devono qui esser presi in considerazione, e solo dirò che al fondo della intera serie delle orchidee, nel Cypripedium, noi possiamo vedere, come probabilmente questi filamenti siansi sviluppati. In altre orchidee i filamenti sono coerenti ad uno dei capi della massa pollinica, ed in ciò noi possiamo trovare il primo vestigio di un caudicolo incipiente. Che tale sia l'origine del caudicolo, anche quando si trovi di considerevole lunghezza ed altezza, ce lo dimostrano con evidenza i grani pollinici abortiti, i quali talvolta si vedono riposti entro le parti centrali e solide.

 

Quanto alla seconda notevole particolarità, la scarsa quantità di sostanza viscida che è attaccata alla estremità del caudicolo, può citarsi una lunga serie di gradazioni, di cui ognuna è di evidente vantaggio per la pianta. In quasi tutti i fiori delle piante appartenenti ad altri ordini, lo stimma secerne un po' di sostanza viscida. Ora, nelle orchidee, è secreta una simile sostanza viscida, ma in quantità molto maggiore e solamente da uno dei tre stimmi, il quale, forse in seguito a tale abbondante secrezione, diventa infecondo. Se un insetto visita un fiore di questa specie, egli deterge una piccola parte della sostanza viscida, ed in pari tempo trasporta seco alcuni grani di polline. Da questo semplice stato, non molto diverso da quello dei fiori ordinari, numerose gradazioni conducono a quelle specie, nelle quali la massa pollinica finisce in un breve caudicolo libero, poi ad altre, in cui il caudicolo è fissato alla massa viscida, mentre lo stimma infecondo stesso è notevolmente modificato. In quest'ultimo caso noi avremo un pollinario nel più elevato suo sviluppo e nello stato più perfetto. Chi esamini da sè i fiori delle orchidee, non potrà negare che la precitata serie di gradazioni esista realmente, una serie che conduce da una massa di grani pollinici, i quali sono connessi insieme da filamenti, mentre lo stimma assai poco differisce da quello dei fiori ordinari; fino al pollinario assai complicato, che è maravigliosamente adattato ad essere trasportato dagli insetti; nè potrà negare che tutte le gradazioni nei fiori diversi ed in riguardo alla generale struttura di ciascun fiore, siano molto adatte ad agevolare la fecondazione col mezzo degli insetti. In questo, come quasi in ogni altro caso, le ricerche possono essere spinte più oltre, può cioè domandarsi, come sia avvenuto che lo stimma di un fiore comune, diventasse viscido. Ma siccome noi non conosciamo la storia completa nemmeno di un solo gruppo di esseri organici, la domanda è tanto inutile, quanto è vano il tentativo di rispondere a siffatte domande.

 

Volgiamoci ora alle piante rampicanti. Esse possono disporsi in una lunga serie, incominciando da quelle che si avvinghiano semplicemente attorno ad un sostegno, e passando poi ad altre che si arrampicano colle foglie e ad altre ancora che sono munite di cirri. In queste due ultime classi i cauli hanno in generale, sebbene non sempre, perduta la facoltà di rampicare, e nondimeno hanno conservato la facoltà di avvolticchiarsi che i cirri possiedono in simile grado. Le gradazioni fra le rampicanti a mezzo delle foglie e le rampicanti coi cirri sono mirabilmente strette, e certe piante si possono classificare indifferentemente in ambedue le classi. Ma se si sale nelle serie, dalle forme rampicanti semplici a quelle che si arrampicano colle foglie, vi si aggiunge una qualità assai rimarchevole, la sensibilità cioè al contatto, in seguito a cui gli steli delle foglie o dei fiori od i cauli modificati e trasformati in cirri subiscono una irritazione, ed in conseguenza si avvinghiano intorno all'oggetto che li tocca e lo abbrancano. Chi vuole leggere la mia memoria intorno a questo argomento, dovrà ammettere, io credo, che tutte le svariate gradazioni nella struttura e nelle funzioni fra le forme semplicemente rampicanti e quelle munite di cirri siano in ogni singolo caso di grande utilità per la specie. Così, ad esempio, torna evidentemente utile per una pianta rampicante l'avvinghiarsi col mezzo delle foglie, ed è probabile che ogni forma rampicante, fornita di foglie a lunghi picciuoli, si sarebbe trasformata in una siffatta rampicante, se i picciuoli avessero posseduto anche in grado leggero la sensibilità pel contatto.


Siccome il rampicare è il mezzo più semplice per salire attorno ad un sostegno, e costituisce quindi la base della nostra serie, così può domandarsi, come le piante abbiano acquistata questa facoltà in grado incipiente, e l'abbiano di poi perfezionata e rafforzata colla elezione naturale. La facoltà di rampicare dipende primieramente dalla straordinaria flessibilità del caule, finchè è molto giovane (e questo è un carattere che offrono molte piante anche non rampicanti); ed in secondo luogo, il caule deve volgersi di continuo verso tutte le plaghe, e cioè successivamente nello stesso ordine da una all'altra. Questo movimento determina il caule a piegarsi da tutte le parti ed a muoversi intorno a sè. Quando la parte inferiore del caule urta contro un oggetto ed è arrestata, la superiore continua a piegarsi ed a girare, ed in conseguenza si avvinghia in alto intorno al sostegno.

Il movimento rivolgente cessa dopo il primo accrescimento di ogni ramo. Siccome singole specie e singoli generi di piante, appartenenti a famiglie tra loro molto distanti, possiedono la facoltà di avvolticchiarsi e divennero perciò rampicanti, così dobbiamo concludere che l'abbiano acquistata indipendentemente e non ereditata da un comune progenitore. Potei quindi prevedere che una leggera tendenza a tale movimento non doveva essere rara nelle piante non rampicanti, e ch'essa abbia fornito la base su cui l'elezione naturale ha incominciato la sua opera di perfezionamento.

Quando io faceva questa predizione, non conosceva che un caso imperfetto, e cioè i giovani steli fiorali di una Maurandia, i quali si avvolticchiavano leggermente ed in modo irregolare come il caule di molte piante rampicanti. Poco tempo dopo, Fr. Müller scoperse che si avvolticchiavano irregolarmente ma distintamente i giovani cauli di un Alisma e di un Linum, di due piante dunque che non si arrampicano e sono tra loro molto discoste nel sistema; e disse di aver ragione per sospettare che ciò avvenga in alcune altre piante. Questi insignificanti movimenti non sembrano di alcun vantaggio per le piante accennate, ed in ogni modo non sono della menoma utilità a riguardo del rampicamento, di cui qui ci occupiamo. Nondimeno può dirsi, che se i cauli di queste piante fossero stati flessibili e se nelle loro condizioni di vita fosse stato utile salire in alto, l'abitudine di avvolticchiarsi in modo leggero ed irregolare sarebbe stata rafforzata e messa a profitto dall'elezione naturale, fino al punto da rendere una specie perfettamente rampicante.

Relativamente alla sensibilità degli steli delle foglie e dei fiori, ed ai cirri, possono applicarsi pressochè le stesse osservazioni, come nel caso dei movimenti di avvolticchiamento delle piante rampicanti. Siccome moltissime piante, appartenenti a gruppi assai distanti tra loro, sono fornite di questa specie di sensibilità, noi dovremmo rinvenirla in istato nascente in molte piante che non sono divenute rampicanti. E così è. Io ho osservato che i giovani steli della su citata Maurandia si curvarono leggermente verso il lato che veniva toccato. Il Morren ha trovato in diverse specie di Oxalis che le foglie, specialmente se esposte a sole cocente, si muovevano intorno ai loro steli, appena erano leggermente e ripetutamente toccate, oppure veniva scossa la pianta. Io ripetei queste osservazioni sopra altre specie di Oxalis, ed ottenni il medesimo risultato; in alcune di esse il movimento era distinto, ma meglio visibile nelle foglie giovani; in altre era estremamente leggero.
Ma è un fatto assai più significante, che cioè, secondo la grande autorità dell'Hofmeister, tutti i giovani rampolli e foglie delle piante si muovono quando siano stati scossi; e nelle piante rampicanti, come si sa, i cauli ed i cirri sono sensitivi soltanto nei primi stadi di accrescimento.

Non pare possibile che i suddetti insignificanti movimenti, i quali si manifestano negli organi giovani e crescenti delle piante in seguito a contatto o scossa, siano per le piante stesse di una qualche importanza fisiologica. Ma i vegetali hanno la facoltà di muoversi in dipendenza da stimoli diversi che sono per esse di manifesta importanza, ad esempio verso la luce e più veramente fuggendo la luce, in opposizione alla gravità e più raramente nella direzione di essa. Se i nervi e i muscoli di un animale vengono eccitati col galvanismo o coll'assorbimento di stricnina, i movimenti consecutivi possono dirsi incidentali; imperocchè i nervi e i muscoli non furono resi specialmente sensitivi a questi stimoli. Simil cosa avviene nelle piante; siccome esse hanno il potere di muoversi in obbedienza a certi stimoli, così dal contatto o da una scossa esse vengono eccitate in modo incidentale. Non v'ha perciò grande difficoltà nell'ammettere che nelle piante che si arrampicano colle foglie o coi cirri precisamente questa tendenza sia stata rafforzata ed impiegata pel bene della pianta dall'elezione naturale. Per ragioni, però, che io ho esposto nella mia Memoria, è probabile che ciò sia avvenuto solamente in quelle piante, le quali avevano già raggiunto la facoltà di avvolticchiarsi, ed erano perciò divenute forme avvinghiantisi.

Ho già cercato di spiegare, come le piante abbiano raggiunta la facoltà di rampicare, cioè col rafforzamento della tendenza, dapprima affatto inutile, di avvolticchiarsi in modo leggero ed irregolare; questo movimento, non meno che quello dovuto a contatto o scossa, era il risultato incidentale del potere di movimento ottenuto per altri e benefici scopi. Se durante lo sviluppo graduale delle piante rampicanti l'elezione naturale sia stata aiutata dagli effetti ereditati dell'uso, non pretendo di decidere; noi però sappiamo che certi movimenti periodici, come ad esempio il sonno delle piante, sono governati dall'abitudine. Degli argomenti prescelti da un abile naturalista per provare che l'elezione naturale sia insufficiente a spiegare i primi gradini delle strutture utili, ho parlato abbastanza e forse più che abbastanza, e spero d'aver dimostrato che da questo lato non sorgono grandi difficoltà. Mi si è in quest'incontro offerta l'opportunità di diffondermi un poco intorno a quelle gradazioni di struttura che spesso si associano a cambiamento di funzioni; è questo un argomento importante che non fu sufficientemente sviluppato nelle precedenti edizioni di quest'opera. Voglio ora riassumere gli esempi citati nelle righe che precedono.

 

Quanto alla giraffa, la continua preservazione di quegli individui di un ruminante estinto e molto antico, che avevano più lunghi il collo, gli arti, ecc., e potevano cogliere le foglie ad un'altezza maggiore della media, e la continua estinzione di quelli che non arrivavano così in alto, avranno bastato per produrre questo animale singolare; inoltre, il continuo uso di tutte queste parti, congiunto alla ereditabilità, ne avrà favorito la coordinazione in modo importante. Riguardo ai molti insetti che imitano oggetti diversi, non è improbabile l'opinione che una somiglianza accidentale con un oggetto comune abbia costituita in ogni singolo caso la base su cui ha agito l'elezione naturale, opera che venne poi perfezionata colla occasionale preservazione di quelle variazioni che rendevano la somiglianza in qualche modo maggiore, e che sarà stata continuata finchè l'insetto continuava a variare, la somiglianza sempre crescente favoriva il suo salvamento dai nemici di vista acuta. In certe specie di cetacei sussiste la tendenza alla formazione di piccole prominenze cornee irregolari nel palato, e sembra che fosse pienamente entro la sfera di azione dell'elezione naturale di preservare tutte le utili variazioni, a segno da trasformare quelle prominenze in tubercoli o denti lamellosi, come nel rostro dell'oca, poi in brevi lamelle così perfette come quelle della Spatula clypeata, e finalmente nei giganteschi fanoni come quelli che vedonsi nella bocca della balena groenlandese. Nella famiglia delle anitre le lamelle servirono da prima come denti, poi in parte come denti ed in parte come apparato di filtrazione, ed in fine quasi esclusivamente a quest'ultimo scopo.

Nelle strutture del genere delle su citate lamelle cornee o dei fanoni l'abitudine o l'uso, per quanto possiamo giudicare, non hanno od hanno assai poco contribuito al loro sviluppo. Ma invece il trasferimento dell'occhio inferiore dei pesci piatti alla faccia superiore della testa, e la formazione di una coda prensile possono attribuirsi quasi interamente all'uso continuo collegato colla ereditabilità. Relativamente alle ghiandole latticifere dei mammiferi superiori, la supposizione più probabile è questa, che originariamente le ghiandole cutanee all'intera superficie del marsupio secernevano una sostanza nutriente, e che queste ghiandole col mezzo della elezione naturale siano state perfezionate nella loro funzione, e raccolte sopra uno spazio ristretto per costituire le ghiandole latticifere.

La difficoltà di comprendere come le spine ramificate di un antico echinoderma, le quali servivano come organi di difesa, siano state trasformate dalla elezione naturale in pedicellari a tre branche, non è maggiore di quella che incontrasi nello spiegare come siansi formate le chele dei crostacei con modificazioni leggere ed utili dell'articolo ultimo e penultimo di un arto che dapprima serviva solamente alla locomozione. Negli organi a testa d'uccello e nei vibracoli dei briozoi abbiamo visto degli apparati assai distanti tra loro all'apparenza esterna, ma sviluppatisi da una medesima forma fondamentale; e nei vibracoli s'è potuto comprendere come le successive gradazioni abbiano potuto essere utili. Perciò che riguarda i pollinari delle orchidee, abbiamo potuto vedere come i filamenti, i quali originariamente servivano per tenere insieme i grani pollinici, si sono uniti insieme per formare il caudicolo, e si possono anche seguire i gradini, pe' quali la massa viscida, tale quale è secreta dai pistilli dei fiori comuni a scopo simile sebbene non identico, viene attaccata alla libera estremità del caudicolo, essendo tutte queste gradazioni di evidente vantaggio per la relativa pianta. Non occorre che io ripeta ciò che poc'anzi dissi delle piante rampicanti.

Si è domandato spesso: se l'elezione naturale è tanto potente, perchè certe specie non hanno acquistato questa o quella struttura che loro sarebbe evidentemente utile? Ma non è ragionevole pretendere una risposta a siffatte domande, sapendosi che è grande la nostra ignoranza intorno alla storia di ogni specie, ed intorno alle condizioni che oggidì determinano il numero de' suoi individui e la sua geografica distribuzione. Nel maggior numero de' casi non possonsi addurre che ragioni generali, e solo in poche cause speciali. Ad esempio, per adattare una specie a nuove condizioni di vita, sono quasi indispensabili molte modificazioni tra loro coordinate, e spesso sarà succeduto che le parti richieste non abbiano variato in modo giusto o fino a quel grado che era necessario. Molte specie devono essere state impedite di accrescere il numero de' loro individui da cause di distruzione, le quali non stanno in alcun rapporto con certe strutture che ci immaginiamo conservate dall'elezione naturale, perchè ci sembrano utili per le specie. Siccome in questi casi la lotta per l'esistenza non è dipesa da tali strutture, esse non potevano essere acquistate col mezzo della elezione naturale. In molti casi allo sviluppo di una determinata struttura richiedonsi condizioni complicate e di lunga durata, spesso di natura peculiare, le quali possono essere apparse raramente.
Il supposto che una data struttura, che noi, spesso erroneamente, crediamo utile per una specie, sia stata acquistata, in tutte le circostanze col mezzo della elezione naturale, è in opposizione colle nostre opinioni alla maniera della sua azione. Il Mivart non nega che l'elezione naturale abbia prodotto degli effetti, ma egli la considera insufficiente a spiegare gli effetti ch'io le ho attribuito. Le principali sue ragioni sono state prese in considerazione, e di altre parleremo più tardi. Mi sembra che esse non abbiano il carattere di una dimostrazione, e poca importanza di fronte alle ragioni che militano in favore della elezione naturale e degli altri agenti particolarmente accennati. Mi credo in obbligo di aggiungere che alcuni dei fatti e delle argomentazioni qui addotti furono già esposti, allo stesso scopo, in un articolo apparso nella Medico-chirurgical Review.

Oggidì tutti i naturalisti ammettono una evoluzione in una certa forma. Il Mivart crede che le specie variano in seguito ad una interna forza o tendenza, che non pretende di conoscere in particolare. Che le specie abbiano la facoltà di subire dei cambiamenti, è ammesso da tutti gli evoluzionisti; ma mi sembra che nulla ci induca ad invocare una forza interna oltre quella ordinaria variabilità, la quale, diretta dall'uomo, ha prodotto tante razze domestiche sì bene adattate, e che coll'aiuto della elezione naturale può produrre in simil guisa a lenti passi le razze e le specie naturali. Come fu già osservato, il risultato finale sarà generalmente un progresso, in alcuni pochi casi un regresso nella organizzazione.

Il Mivart ed alcuni altri naturalisti con lui sono inclinati ad ammettere che le nuove specie appariscano di repente ed in seguito a subitanee modificazioni. Egli suppone, per esempio, che le differenze fra l'estinto Hipparion triungulato ed il cavallo si siano manifestate repentinamente. Egli trova difficoltà nell'ammettere che l'ala di un uccello «siasi sviluppata altrimenti che in seguito ad una modificazione comparativamente subitanea ed in modo evidente e significativo», e pare ch'egli voglia estendere lo stesso modo di vedere agli organi del volo dei pipistrelli e dei pterodattili.

Questa conclusione, la quale implica grandi salti ed interruzioni, mi sembra improbabile al massimo grado.
Ognuno, il quale ammetta la evoluzione lenta e graduale, deve ritenere che i cambiamenti specifici abbiano potuto apparire così subitamente e così grandi come ogni altra variazione che noi incontriamo allo stato di natura od anche a quello di domesticità. Ma siccome le specie addomesticate o coltivate sono più variabili di quelle che si trovano nelle loro naturali condizioni, non è probabile che le variazioni in natura siano apparse così repentine e così grandi come frequentemente apparvero in domesticità. Di queste ultime variazioni parecchie possono essere attribuite alla riversione; ed è probabile che i caratteri apparsi in tal guisa siano stati spesso acquistati gradatamente. Un numero ancor maggiore di esse dobbiamo considerare come mostruosità, così l'apparsa di sei dita, l'uomo istrice, la pecora Ancon, i buoi Niata, ecc., e siccome diversificano assai nel loro carattere dalle specie naturali, non gettano che poca luce sul nostro argomento. Se si escludano tali casi dalle repentine variazioni, i pochi che ancora rimangono, se si incontrano allo stato di natura, ci rappresentano altrettante specie dubbie, molto affini ai loro tipi estinti.

 

Le mie ragioni per dubitare che le specie naturali siansi modificate così subitamente come le razze a caso domesticate, e per non essere in alcun modo persuaso che siansi cambiate in quella maniera miracolosa come crede il Mivart, sono le seguenti. L'esperienza ci insegna che le variazioni subitanee e ben marcate si mostrano nei nostri prodotti domestici isolatamente ed a lunghi intervalli. Se avvenissero in natura, sarebbero soggette, come prima fu detto, a perdersi per effetto di cause accidentali di distruzione e pel susseguente incrociamento; e si sa che altrettanto succede allo stato domestico, se le variazioni repentine non vengono preservate e tenute distinte dalla cura dell'uomo.
Affinchè si formasse una nuova specie nella guisa supposta dal Mivart, sarebbe necessario che, in opposizione ad ogni analogia, apparissero simultaneamente entro un medesimo distretto parecchi individui modificati in modo maraviglioso. Come nel caso della elezione inconscia dell'uomo, questa difficoltà è tolta secondo la teoria dello sviluppo graduale, colla conservazione di un numero grande di individui varianti in una qualsiasi favorevole direzione, e colla distruzione di molti che variano in senso opposto.


Non v'ha dubbio che molte specie siansi sviluppate in maniera estremamente graduata. Le specie e perfino i generi di molte grandi famiglie naturali sono così strettamente affini fra loro, che spesso riesce difficile la lato distinzione. In ogni continente, viaggiando da nord a sud, o dalla pianura nelle alte regioni, ecc., noi incontriamo molte specie strettamente affini o rappresentative, nello stesso modo come le troviamo in certi continenti diversi, di cui possiamo supporre che un giorno fossero in continuità; ma facendo queste e le successive osservazioni, devo toccare degli argomenti che saranno svolti più tardi. Si volga lo sguardo alle molte isole che circondano un continente, e si vedrà come molti dei suoi abitatori non possono essere elevati che al rango di specie dubbie. Avviene altrettanto, se gettiamo uno sguardo ai tempi passati e confrontiamo le specie da poco scomparse con quelle che ora abitano il medesimo distretto; oppure se confrontiamo tra loro le specie fossili racchiuse nei diversi piani di una medesima formazione geologica. Si rileva allora che molte specie sono strettamente affini con altre ancora esistenti o da poco scomparse, e ben difficilmente si vorrà sostenere che tali specie si siano sviluppate in modo subitaneo. Se poi si faccia attenzione alle parti speciali di specie affini, anzichè alle specie distinte, si potranno seguire le gradazioni numerose ed estremamente leggere che congiungono insieme le differenti strutture.

Molti e grandi gruppi di fatti non si comprendono che ricorrendo al principio dello sviluppo delle specie a mezzo di piccoli gradini; così, ad esempio, il fatto che le specie dei generi maggiori sono più strettamente affini tra loro ed offrono un maggiore numero di varietà che non le specie dei generi minori. Le prime si raccolgono anche intorno a piccoli gruppi, come le varietà intorno alle specie, ed offrono altre analogie colle varietà, come fu dimostrato nel capo secondo. Il medesimo principio ci dice ancora perchè i caratteri specifici siano più variabili dei generici; e perchè le parti sviluppate in modo ed in grado straordinario siano più variabili di altre parti della medesima specie.
Potrebbero citarsi altri analoghi fatti che conducono alla medesima conclusione.

Sebbene moltissime specie siano state prodotte quasi certamente per gradazione, non maggiori di quelle che separano le leggere varietà, tuttavia può sostenersi che alcune si siano formate in modo diverso e repentino. Ma tale concessione non deve farsi se non coll'appoggio di prove valenti. Le analogie vaghe ed in parte erronee addotte da Chauncey Wright in appoggio di tale idea, come sarebbero la repentina cristallizzazione delle sostanze inorganiche o la caduta di uno sferoide faccettato da una faccetta all'altra, non meritano alcuna considerazione. Nondimeno una serie di fatti, e cioè l'apparsa repentina di nuove e diverse forme di vita ne' periodi geologici sostiene a tutta prima l'idea di uno sviluppo subitaneo. Ma il valore di questa prova dipende interamente dalla perfezione degli avanzi geologici, riferibili a periodi molto distanti nella storia del mondo. Se questi avanzi sono così frammentari, come molti geologi espressamente dicono, non deve sorprenderci che le nuove forme appariscano come sviluppatesi di recente.

Se non ammettiamo trasformazioni così prodigiose come quelle che invoca il Mivart, ad esempio lo sviluppo repentino delle ali degli uccelli e dei pipistrelli, o la subitanea trasformazione dell'Hipparion nel cavallo, il supposto che siano avvenute modificazioni subitanee non getta alcuna luce sulla mancanza degli anelli intermedi nelle nostre formazioni geologiche; mentre contro tale supposto protesta altamente la embriologia. È noto che le ali dell'uccello e del pipistrello e gli arti dei cavalli e di altri quadrupedi non possono distinguersi fra loro in un periodo embrionale precoce, e che si rendono differenti per gradazioni insensibilmente leggere. Come più tardi vedremo, le somiglianze embriologiche di ogni categoria si possono spiegare ammettendo che i progenitori delle specie ora esistenti abbiano variato dopo la prima gioventù, e trasmettano il loro carattere acquistato ai propri discendenti in età corrispondente. L'embrione fu quindi lasciato pressochè intatto, e serve come storia dello stato trascorso della specie. Così avviene che le specie ora esistenti somigliano sì spesso nei loro primi stadii di sviluppo a forme vecchie ed estinte appartenenti alla medesima classe. In seguito a questa opinione intorno al significato delle somiglianze embriologiche, in accordo con altre ragioni, è incredibile che un animale abbia subìto dei cambiamenti così repentini e subitanei come i sopra citati, senza offrire allo stato embrionale la più piccola traccia di cambiamenti siffatti, ogni singola parte del corpo sviluppandosi per gradi insensibili.

 

Chi crede che una qualunque vecchia forma per una forza o tendenza interna sia stata cambiata repentinamente, ad esempio in una forma munita di ali, è quasi spinto ad ammettere, in contraddizione con ogni analogia, che molti individui abbiano variato contemporaneamente.
Non può negarsi che sì grandi e repentini cambiamenti di struttura siano molto diversi da quelli che le specie sembrano aver subìto. Egli sarà anche costretto ad ammettere che molte strutture, mirabilmente adatte a tutte le altre parti ed alle condizioni di vita, siano nate repentinamente; e per tali adattamenti reciproci, complicati e maravigliosi, non potrà addurre nemmeno un'ombra di spiegazione. E dovrà pure ammettere che questi grandi e repentini cambiamenti non abbiano lasciato nessuna traccia dei loro effetti nell'embrione. Ma ammettere tutto ciò, a quanto mi sembra, significa entrare nel campo del miracolo ed abbandonare quello della scienza.

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