STORIOLOGIA

 

una grande donna
TEODORA
DA PROSTITUTA A IMPERATRICE DI COSTANTINOPOLI

GIUSTINIANO E LA BALLERINA

GIUSTINIANO (siamo nell'anno 526) compie 42 anni. E' un bell'uomo, almeno così è stato descritto e così ci appare in un ritratto ufficiale conservato nel mosaico di San Vitale a Ravenna; ma anche nel Dittico Barberini in avorio, che si trova oggi al Louvre.

Inizialmente di carattere cordiale, non ancora avvezzo alla mondanità di corte, oltre che avere la passione per il lavoro, aveva anche la passione di vivere una vita libera, consona alle sue origini contadine. Quindi non esitava a unirsi con amici quando voleva trascorrere allegre serate in compagnia, nè tralasciava di frequentare locali animati, pieni di vita godereccia. E fra questi locali non mancavano quelli dove si faceva musica, si ballava, e c'erano succinte ballerine; locali famosi con belle donne spesso molto disponibili.
Giustiniano nel frequentarne uno, iniziò ad avere un debole per una ballerina che era fuori dal comune, avvenente, giovane, ammaliante da fare impazzire più di un uomo.
Ma facciamo qualche passo indietro

Nei primi decenni del VI secolo dopo Cristo. Bisanzio, la nuova Roma, era nella piena fioritura del suo splendore. Costruita in un luogo di famosa bellezza naturale. bagnata da tre lati dal mare, la citta, splendida di marmi e di mosaici, si adagiava in una cornice di praterie. di fiori, d'alberi fruttiferi e di colline boscose. In estensione, superava la Roma d'Augusto e le sue mura racchiudevano, come quelle di Roma. sette colli sui quali si stendevano i tredici quartieri della città. Tra le molte cose che da Roma i Bizantini avevano ereditato, vi era anche la passione per i giuochi circensi, specialmente per le corse di carri, e gli appassionati di questi spettacoli non sempre incruenti si dividevano nelle stesse fazioni che avevano gia goduto il favore del popolo sulle gradinate dei circhi romani: i Verdi, i Bianchi, i Rossi, gli Azzurri.
Non bastando l'immenso Ippodromo della città, queste fazioni, costituite in vere associazioni di cittadini, si erano costruite ognuna un proprio circo, dove gli spettacoli erano molto piu frequenti che nell'Ippodromo. Alle corse di carri si accompagnavano rappresentazioni con animali feroci. cori, danze, esercizi di giocolieri ed acrobati, e recitazioni di pantomime. Naturalmente, che gli alti funzionari della complessa burocrazia bizantina e I'imperatore stesso condividessero Ia passione dei cittadini parteggiando per l'una o per l'altra delle fazioni, bastava per aggiungere all'intento che noi diremmo sportivo un valore e un significato politico. Se il prefetto della città e I'imperatore favorivano gli Azzurri, passare ai Verdi finì col significare ciò che oggi si chiamerebbe un passaggio all'opposizione.

In uno dei primi anni del 500, durante uno spettacolo nell'anfiteatro dei Verdi, il pubblico che gremiva le gradinate si trovò ad assistere a una scena insolita. Tre bambine velate, con la testa cinta di piccole bende come si usava per le vittime consacrate, entrarono nell'arena. s'inginocchiarono e tesero le loro piccole mani verso gli spettatori. Costoro appresero che uno degl'inservienti dell'anfiteatro, l'uomo che aveva l'incarico di nutrire gli orsi. era stato licenziato e che quelle bambine, sue figlie, dovevano con la loro presenza, con lacrime e suppliche. invocare la revoca del provvedimento che avrebbe lasciato la famiglia senza pane. I Verdi non fecero che ridere di quell'espediente ingenuo e puerile; ma gli Azzurri se ne commossero, a quanto sembra. Fosse veramente compassione o fosse desiderio di approfittare della circostanza per dare alla fazione avversaria una lezione di umanità, essi nominarono l'uomo licenziato dai Verdi guardiano dell'anfiteatro Azzurro. in sostituzione di un impiegato morto da pochi giorni.
Una delle tre bambine che avevano implorato il pane quotidiano dalla clemenza del pubblico, era Teodora. la futura imperatrice di Bisanzio. Secondo lo storico Procopio, Teodora era Figlia di un guardiano di belve dell' anfiteatro dei Verdi. Un tale Acacio, e Teodora nacque - dopo altre due sorelle - nel modesto alloggio che egli aveva nell'anfiteatro stesso. Acacio era morto poco dopo la nascita della bambina e la vedova Galla, divenne moglie dell'uomo che sostituiva il marito marito nell'incarico di nutrire gli orsi. Da lui ebbe altre due bambine. Pochi anni dopo, il direttore dei giuochi, sedotto da un'offerta di danaro, tolse all'uomo il posto per darlo ad un altro individuo e allora la povera donna, ridotta alla miseria, escogitò l'espediente delle tre piccole supplicanti.
Passata all'anfiteatro degli Azzurri - continua a raccontare Procopio -- Teodora cominciò ad apparire nelle rappresentazioni. Troppo piccola, ancora, per avere una parte propria, non fece dapprima che accompagnare sua sorella Comito, che con i suoi giuochi si era già guadagnata il favore del pubblico. Teodora le portava uno sgabello, le porgeva diversi oggetti, le faceva un po' di mimica buffonesca.

Ma poi divenuta piu grande, seppe raccogliere su di se tutto il favore del pubblico e conobbe il pieno successo. Non era nè danzatrice nè cantante, ma acrobata abilissima e aggraziata, piena di spirito e di inventive. Era molto bella, come scrive Procopio nel suo libro "Degli edifici" (all'inizio del sodalizio con Giustiniano e Teodora); abbastanza graziosa, come lo storico la qualifica poi nella sua "Storia segreta", pur aggiungendo qualcosa di molto sgradito nei suoi confronti (dopo la fine del sodalizio con Giustiniano. Probabilmente perchè non aveva ricevuto qualche carica che lui si aspettava. A chi gli fece notare questo cambiamento, lui rispose che era stato costretto a parlarne bene, temendo in caso contrario di essere assassinato).
Stando a questa seconda descrizione, sembra che Teodora non avesse una statura molto alta, che la sua carnagione fosse molto bianca e pallida e che lei avesse occhi vivacissimi d'incomparabile splendore. Nulla lo storico dice del suo corpo; ma si può supporre che fosse di grande bellezza, perchè Teodora si presentava nell'anfiteatro vestita unicamente di una sciarpa di seta annodata intorno alle reni, e forse avrebbe preferito - aggiunge Procopio - di mostrarsi completamente nuda se i regolamenti non lo avessero vietato. Però durante le prove, fuori dell'arena, lei si liberava di ogni indumento e, quasi nuda tra i mimi e gli acrobati, si esercitava nel lancio del disco.
Alla professione di funambula, Teodora appena 16enne accompagnò il mestiere di cortigiana, come del resto era la madre. Era ancora adolescente, ma già si abbandonava agli schiavi che attendevano alla porta dell'anfiteatro.
Tutte le sere si esibiva affascinando ma anche scandalizzando la capitale, perché si esibiva in vestiti succinti, ballava e si adoperava in pantomime con scene audaci da far impazzire tutti i presenti. 
Diventata una appetitosa giovinetta, potè contare a centinaia gli amanti di un giorno: patrizi, acrobati, schiavi, soldati, marinai, per tutti lei fu accessibile con uguale facilità, impersonando tutta la sua stoltezza. La moltitudine dei suoi amanti, si sussurrava in giro, era enorme. Queste maldicenze procurò a Teodora una nomea infame. Chi la incontrava per via si allontanava o si fermava per non farsi insozzare dal contatto delle sue vesti e dall'aria da lei respirata; incontrarla all'alba era considerato cattivo presagio.
Fra gli avventori di locali goderecci - come abbiamo detto all'inizio - c'era anche Giustiniano che si intratteneva volentieri con questa giovanissima donna. Ma non solo perchè Teodora era una conturbante bellezza, ma lo colpì la sua intelligenza, la sua spontaneità, l'ingegno, possedeva insomma molte eccellenti qualità che giustificavano il grande potere da lei esercitato fin dal primo istante e fin dal primo incontro, che il nipote dell'imperatore non riuscì a dimenticare quando sparì da Costantinopoli.
Teodora allora aveva solo 18 anni, ma già aveva molta ambizione. Alla prima occasione di un buon partito, se fosse riuscita a incastrare l'uomo che poteva dargli altre soddisfazioni e lusso avrebbe lasciato quella vita che - se ne rendeva conto - era una vita balorda.

E l'occasione venne. Un certo Ecebolo, uno sei suoi tanti amanti incurante dell'opinione pubblica, anche lui ammaliato dalle sue grazie, volendola tutta per se la condusse in Cirenaica quando fu nominato governatore. Ecebolo non era l'uomo dei sogni, era piuttosto maturo, non era bell'uomo, ma era molto ricco. Sembrava per la ambiziosa Teodora la soluzione ai suoi problemi quando giunse in Cirenaica. Abitava in un bel palazzo, era servita e rivertita dai domestici, poteva soddisfare i suoi capricci di donna, e sapendo di essere anche bella, non si faceva mancare bellissimi vestiti, ornamenti preziosi, anelli, collane, bracciali. Fin troppo! Inoltre dava continue feste invitando bella gente divertendosi molto. Il luogo era piuttosto bello, ma la fame dei sudditi in Cirenaica era altrettanto piuttosto brutta. E il popolino di fronte alle spese pazze di Teodora e alla sua vita godereccia, cominciò a rumoreggiare, fino al punto che qualcuno fece una molto brutta relazione all'imperatore. E in effetti da quel governatorato arrivavano pochissimi denari dalle tasse, anzi era quasi in bancarotta. Inviò un funzionario che gli mise aut aut, o licenzi quella donna o pagherai con la rimozione di governatore e forse anche con la vita.
Ecebolo pur ammaliato da quella bella donna, si rese conto che non poteva continuare così, fra l'altro Teodora disertava il talamo e dava anche molta confidenza a giovani molto più prestanti di lui che sapeva di essere brutto e vecchio. Stanco di una simile amante seguì il consiglio del funzionario e la cacciò su due piedi. Sulla porta, lei prima di uscire gli gridò per ben tre volte "Vile !".
Teodora si trovò nella miseria più completa, una volta fuori nessuno gli prestava aiuto, passò per tutte le città dell'Africa nord-orientale da Cirene fino ad Alessandria, vivendo del commercio di se stessa.
Invecchiata e sciupata - seguita sempre a raccontare Procopio - recando sul corpo e sul volto le tracce degli stravizi, Teodora in qualche modo riuscì a tornare a Bisanzio quando doveva avere circa venti anni.
A questo ritorno - racconta Procopio - l'aveva spinta Ia predizione di una strega; predizione confermata da un sogno in cui era parso all'ambiziosa Teodora di sposare il principe dei demoni e di avere cosi tutte le ricchezze del mondo.
Secondo Procopio, questo principe dei demoni fu poi Giustiniano.
Quando Teodora tornò a Bisanzio, Giustiniano era dopo l'imperatore Giustino, il personaggio piu potente dell'impero. Giustino era un figlio di contadini di un villaggio di Skoplje (bassa Jugoslavia ) ma di razza latina e non slava. Appena raggiunta l'età giovanile, come un avventuriero era sceso da quelle montagne in cerca di fortuna a Costantinopoli. Non trovando nulla di meglio era entrato nell'esercito; prima come semplice soldato, poi graduato, fino ad arrivare con i successivi scatti dopo 50 anni di servizio a diventare generale, il comandante della guardia imperiale, e con tutta quella esperienza che aveva il compito lo assolse bene. Così bene che dopo la morte di Atanasio, ai Senatori venne proprio utile.
Lui era un uomo di lunga militanza, energico e capace, ed era l'ideale uomo della transizione, data l'età avanzata (70 anni) non doveva rappresentare un problema di lunga durata, nel frattempo avrebbero esaminato bene il da farsi.
Lui nominato dunque Imperatore dal Senato, il settantenne poteva essere sicuramente soddisfatto per essere arrivato improvvisamente così in alto, ma era anche frastornato. Il compito che l'aspettava non era il solito, ma c'erano - e lui le conosceva bene per averle vissute dall'esterno - le mille incombenze; e molte di queste  non erano all'altezza della sua portata. Come quelle religiose (ultimamente piuttosto critiche), come quelle politiche (i rapporti con l'occidente), o come quelle amministrative-economiche (con un impero quasi alla fame). Aveva dunque bisogno di un aiuto. Ma di chi fidarsi?
Sapeva benissimo quanto torbido era l'ambiente di corte, quello senatoriale, quello clericale e quello militare. Tutti con la vocazione a fare congiure, quando volevano, e come volevano.

Unica alternativa era quella di scegliersi un uomo fidato, preso dall'esterno. E chi meglio di un parente. Magari quel nipote che viveva a Skoplje. Quando era partito nel suo infido paese in mezzo ai sassi, aveva lasciato una sorella, che aveva un figlio, gli aveva dato perfino il suo nome. 
Questo nipote si chiamava appunto GIUSTINIANO. Di che cosa si occupava a Skopje  non si sa. Sappiamo solo che quando raccolse il messaggio di suo zio e  scese a Costantinopoli a dargli una mano, aveva già 35 anni. 
Giustino era sì un gran valido soldato, ma era analfabeta, non era neppure capace di fare la sua firma. Gli venne fabbricata un'asticella scanalata all'interno che lui con la penna percorreva (una specie di normografo). Ecco perchè chiese aiuto al nipote procurandogli i migliori insegnanti che c'erano a Costantinopoli.

Un dotto monaco di nome Teofilo diede al ragazzo un'istruzione adeguata all'alto grado sociale dello zio: Giustiniano imparò così a parlare a scrivere con eleganza, ebbe nozioni di musica e d'architettura e soprattutto apprese il diritto e la teologia.
Sia nel primo come nella seconda, iniziò ad interessarsi in maniera maniacale, leggendo tutto ciò che c'era di meglio e che allora esisteva, facendosi una cultura impressionante, da poter parlare da pari a pari con giureconsulti, vescovi e prelati su questioni da secoli problematiche, irti di ostacoli, cogliendone l'essenziale, e che poi con una oratoria eccezionale esponeva con semplicità sconcertante, riuscendo a calamitare su di sé le attenzioni di tutti.

Ambizioso e abile, Giustiniano sapeva attendere, e non è inverosimile che i suoi consigli siano stati molto utili alto zio per conservare la porpora imperiale.
Comunque fosse, Giustino mostrò grande predilezione per il nipote e come imperatore, lo colmò di onori nominandolo in breve tempo senatore, generale, patrizio, governatore onorario dell'Africa e dell'Italia, generale di eserciti e infine comandante delle guardie di palazzo. Sembra che ogni legge di Giustino, fosse null'altro che frutto del nipote, sempre più sveglio e sempre più dotto, pur non disdegnando la vita godereccia con amici e belle donne.
Fu allora, cioè verso il 521, che Giustiniano ormai quasi quarantenne incontrò nuovamente Teodora di ritorno a Bisanzio. Rifrequentando i locali dove Teodora era tornata ad esibirsi, e non avendo mai dimenticato le eccellenti qualità di quella giovinetta che era poi sparita con Ecebolo; dopo due o tre incontri ben presto si trovò disperatamente innamorato di questa donna; a lei non gli parve vero e ovviamente corrispose con slancio. Gli si apriva una nuova opportunità, palazzi, vestiti, gioielli, feste. E a fianco aveva un uomo innamorato che anche se quarantenne non era brutto, anzi prestante e gioviale. Non assomigliava di certo al "vile" Ecebolo.
Giustiniano pur avendo (anche se sapeva controllarlo) un temperamento violento, e quel carattere decisamente autocratico (che poi esercitò), nei rapporti con Teodora si trasformò in un suo umile servo, non rifiutandogli nulla, colmandolo di ricchezze, facendosi distruggere dal suo odio-amore.
Il suo era un amore passionale possessivo, mentre l'altro era l'amore affettivo di una donna sì eccezionale ma anche calcolatrice.
Ma lui non ne potè più fare a meno.

Non trascorse un anno e Giustiniano ebbe la carica di console che inaugurò celebrando nell'Ippodromo giuochi spettacolari ed erogando somme enormi in beneficenza. La sua popolarità divenne tale, che due anni piu tardi il Senato propose ufficialmente all'imperatore Giustino di conferire a Giustiniano il titolo di nobilissimo, equivalente a quello di altezza imperiale.
Chi ne era insignito, s'intendeva designato per la successione al trono. Divenuto quasi onnipotente nell'impero, Giustiniano ottenne anche per Teodora il titolo di patrizia che, nella gerarchia nobiliare, era il più alto dopo quello di nobilissimo; ma non contento ancora di quanto aveva fatto per la sua amata, egli decise di sposarla. La madre lo supplicò di rinunciare a quel matrimonio; la zia, l'imperatrice Eufemia, vi si oppose con tutte le forze; inoltre un'antica legge vietava a chi avesse il grado di senatore il matrimoniio con una cortigiana o con un'attrice, o con la figlia di una di queste donne. Ma nel 523 Eufemia morì, Giustiniano ottenne dall'imperatore suo zio, l'abrogazione della vecchia legge e, nonostante le lacrime della madre che si disse ne morisse di dolore, sposò pubblicamente Teodora.
Pochi anni dopo, nel 527, il vecchio Giustino si senti prossimo alla fine. Il 1 aprile, giovedì santo, fece chiamare Giustiniano e Teodora e, presente una rappresentanza del senato, conferì loro il titolo di Augusti. Il giorno di Pasqua la nuova coppia imperiale fu solennemente coronata dal patriarca Epifanio, poi andò a ricevere la consacrazione popolare nell'Ippodromo che in talune occasioni serviva da foro. Non una parola di biasimo, anzi neppure un mormorio sorse dalla folla. Giustiniano e Teodora furono accolti da acclamazioni unanimi e portati in trionfo fino al palazzo imperiale. Nè dal senato, nè dal clero, nè dall'esercito, nè dal popolo cui Teodora - nel luogo stesso dove le acclamazioni la salutavano imperatrice si era anni prima prostituita, si levò -- afferma ancora Procopio - una voce indignata. Solo acclamazioni e giubilo.
Giustino morì poco tempo dopo e il passaggio dei poteri avvenne pacificamente. Teodora la funambula, Teodora la cortigiana, Teodora la prostituta, era ora imperatrice dei Romani: magistrati vescovi, governatori di province, capi dell'esercito prestarono nelle sue mani, come in quelle di Giustiniano, il giuramento solenne di obbedienza e di fedeltà.
Vite avventurose, carriere eccezionali e fortune incredibili se ne sono viste sempre e non ne mancano esempi clamorosi neanche ai giorni nostri; ma una cosa è venire da condizione sia pure umilissime e altra cosa e venire dall'abiezione e dal fango. Essere imperatrice di Bisanzio significava sedere sul trono della più grande, piu illustre, pià potente nazione di quei tempi. Bisogna riconoscere che forse nessuna delle tante carriere mirabolanti d'ogni epoca può competere con quella di Teodora.

La sua ascesa sembra in verità così straordinaria, che sorge spontaneo quasi il dubbio sulle brutture dei primi anni di questa donna. In fondo, questo suo passato ce lo racconta Procopio, ma sappiamo anche che costui non era soltanto uno storico, ma anche un libellista e se scrisse il libro "Degli edifici" per glorificare Giustiniano, scrisse poi anche la "Storia segreta" per condannarlo all'esecrazione. Anche negli "Anekdota", che Procopio compose, specie di cronaca più o meno scandalosa del suo tempo, meritano riguardo a Teodora una credibilità limitata. Forse l'odio espresso in seguito verso Giustiniano abbia fatto calcare la mano anche sulla sua consorte rivangandone il passato e aggiungendoci un po' di odio.
Moltissime altre sono le testimonianze a favore di Teodora: chi la dice nata a Cipro, smentendo cosi la nascita nell'anfiteatro dei Verdi; chi la dichiara di origine patrizia della nobile famiglia Anicia, in contrasto con l'umile funambula; chi afferma che l'imperatrice fece costruire la chiesa di S. Pantalemone sul luogo d'una povera casa dove lei aveva vissuto col faticoso mestiere di filatrice di lana. Sono però tutte testimonianze posteriori, e il non essere contemporanee e inconciliabili con quelle di Procopio, toglie loro quasi ogni valore.
E' strano però che nessuno degli scrittori ecclesiastici pur avversando tutti Teodora per la sua adesione all'eresia monofisita, abbia lanciato contro di lei, tra le varie maledizioni, l'accusa di un passato che era stato cosi notoriamente e profondamente sudicio.

(salvo Evagrio in "Storia Ecclesiastica" che scrisse riguardo a Giustiniano: "...spogliò tutti delle loro fortune. Se alcuna meretrice adocchiando i beni di uno fingesse avere qualche pratica, o intimità con lui, immediatemente, purché del turpe lucro chiamasse a parte Giustiniano, tutte le più sacre leggi venivano sovvertite riguardo a lei; e tutte le facoltà della persona processata di delitto che non avea commesso, erano trasportate a casa di quella (sudicia donna)". )

 

In ogni modo come avrebbe potuto l'ambizioso e accorto Giustiniano sposare una donna simile senza sfidare l'opinione pubblica e perdere così la successione al trono?
E come potrebbero conciliarsi le doti mostrate posteriormente dalla Imperatrice con le brutture del tempo passato?

Comunque sia, su tutto lei seppe con molta dignità distenderci sopra la porpora del suo manto imperiale, come imperatrice. Teodora ebbe forse tutte le brutture degli antichi monarchi assoluti, ma certo ebbe anche molte delle virtù necessarie a chi siede sopra un trono. Di queste virtù ella ebbe un bisogno speciale, perchè la sua indole e le circostanze la condussero a partecipare attivamente agli affari e agli intrighi politici dell'impero con molto successo.
Nonostante ogni apparenza in contrario, Giustiniano - secondo certi storici - era un debole e se per alcuni aspetti il suo fu un grande regno, per altri non ebbe, della grandezza, che l'esteriorità.
Con Triboniano, nominato questore, Giustiniano iniziava con altri diciassette giureconsulti, la celebre revisione delle leggi romane. Ci si misero con così tanto impegno che "non si muoveva nemmeno una fogliolina se non prima aver seguito la "leggina". Leggi ottuse, pedanti, lente a capire, precisate e definite con mille interpretazioni, ma che proprio per questo erano oro colato per i funzionari corrotti. Non per nulla la loro fama divenne la nomea: "bizantinismo", sinonimo di "Osservazione eccessivamente cavillosa", "ragionamenti inutili e privi di risultato".

E proprio per questo l'amministrazione della capitale si riduceva a una serie di soprusi commessi in base alla preferenza per l'una o per I'altra fazione. Giustiniano parteggiava per gli Azzurri. I più alti magistrati dell'impero, come il questore Triboniano, il prefetto dei pretori Giovanni di Cappadocia, ostentavano la medesima simpatia e ne approfittavano per angariare i Verdi, opprimendoli di imposte e di esazioni, negando loro giustizia nei tribunali e privandoli di ogni garanzia amministrativa, nella certezza che le loro lamentele sarebbero state inutili e dall'imperatore male accolte.

I contribuenti, si sentivano verseggiati,  soprattutto da parte dei ministri delle finanze. Questi con spregiudicata abilità riuscivano con gabelle varie a estorcere tutti quei soldi che il "palazzo" ingoiava con le sue spese di magnificenza che Giustiniano pretendeva.
I due funzionari( Triboniano e Giovanni di Cappadocia, che furono i padri di quel codice detto "Leggi Giustiniane") anche loro non erano immuni dalla avidità, ed erano pronti sia a mercanteggiare la giustizia sia a modificare le leggi per accontentare il riccone di turno. E come succede in tutte le amministrazioni pubbliche corrotte, i dipendenti di tali ministri, i funzionari di ogni rango dell'amministrazione e fino all'ultimo capo degli spazzini, pensavano solo ad imitare i propri capi, con la conseguenza che le entrate erano appena sufficienti a distribuire il denaro fra di loro, visto che  le finanze pubbliche dovevano alimentare così tanti rivoli e riempire così tante tasche.

Era la "dazione ambientale", la "bustarella" che si era diffusa così tanto che non vi era più nulla di pubblico che non si pagasse due volte: allo stato la tassa e all'esattore "la mancia" per non essere da lui tassati maggiormente o per evitare le loro minacce di controlli rigorosi.
Tutto questo dava anche un senso di generale insicurezza nella giustizia oltre che provocare buchi enormi nelle finanze, sia nello Stato che nell'economia del singolo. 
Isolato nella sua meravigliosa e inaccessibile dimora che dentro la metropoli formava come una piccola città di edifici grandiosi a armoniosi e che apriva il segreto dei suoi giardini profumati in terrazze strapiombanti dalle alte muraglie sul mare; isolato in quel regno di delizie, dove ogni voce esterna gli arrivava filtrata dagli accorti e falsi resoconti dei suoi ministri, conosceva Giustiniano le condizioni della capitale?
E' possibile dubitarne. Vi era però a Bisanzio un luogo in cui avevano trovato rifugio le ultime libertà romane e dove il popolo poteva far giungere liberamente la propria voce all'imperatore: era l'Ippodromo, di volta in volta foro, tribunale supremo e Campidoglio della seconda Roma. E l'imperatore nelle grandi occasioni compariva sul palco imperiale.

Il 13 gennaio 532, primo giorno degl'idi dell'anno, nelI'Ippodromo doveva aver luogo uno spettacolo di corse di carri. La giornata però era cominciata male, perchè era stato rapinato e assassinato in citta un mercante di legna. Fu la goccia che fece tracimare il vaso. All'ora dello spettacolo, l'anfiteatro fu invaso da una folla ancor più fitta del solito. Cominciarono le grida e sui centomila spettatori si aprirono le bandiere verdi, azzurre. bianche e rosse delle fazioni. Poi apparvero nelle tribune ad essi riservate il patriarca, i patrizi, gli alti comandanti militari e gli esarchi. Infine sulla terrazza sospesa, sottostante alla tribuna imperiale si spiegò il gruppo delle guardie splendenti nelle corazze e negli elmi ornati d'oro; la porta di bronzo che dalla dimora dell'imperatore dava direttamente sulla tribuna si aprì e Giustiniano, con scettro e corona, circondato dai grandi funzionari e seguito da guardie, si avanzò fino al parapetto della tribuna. Un grande clamore fuse le acclamazioni e i mormorii della moltitudine, sulla quale Giustiniano, tracciando un segno di croce, invocò la benedizione divina.
Quando entrarono nell'arena i carri, le acclamazioni cessarono tra gli Azzurri, ma i Verdi continuarono a rumoreggiare. Giustiniano finse di non accorgersene; ma il mormorio e le grida si fecero piu insistenti e allora l'imperatore ordinò a uno dei suoi ufficiali, detto mandator, d'interpellare il popolo. Tra Giustiniano, i Verdi e gli Azzurri, che interloquirono, si svolse allora, per bocca dei rispettivi rappresentanti, il più strano dialogo. Alla domanda del mandator, i Verdi dapprima formularono le loro lagnanze con rispetto e quasi con umiltà; ma quando alle loro affermazioni di non trovar giustizia l'imperatore rispose di non saperne nulla, gli animi e il tono del colloquio s'inasprirono. Vennero fuori accenni dell'assassinio di quel mattino e i Verdi dissero di sapere già che si sarebbe fatto del tutto per trovare i colpevoli nella loro fazione. Qui intervennero gli Azzurri che trattarono a loro volta i Verdi da assassini.
Giustiniano era ormai furente. I Verdi affermarono che i decreti della giustizia erano diventati nulli e, dopo uno scambio di altre invettive con gli Azzurri, gridarono in coro un'imprecazione in uso a Bisanzio: "Che siano disseppellite le ossa degli spettatori!" Indi tutti concordi uscirono dall'Ippodromo. Era l'offesa più grande alla maestà dell'imperatore. Giustiniano lasciò anche lui la tribuna e rientrò nel suo palazzo; a loro volta si ritirarono gli Azzurri.
Il prefetto Eudemone, irritato della scena e temendo di esserne chiamato responsabile, volle dare un esempio e soprattutto volle mostrarsi zelante. Si era appena a mezzogiorno ed egli aveva tempo di agire. Fece arrestare tre individui piu o meno sospetti di aver assassinato il mercante di legna e di aver commesso anche un altro omicidio; li fece giudicare sommariamente e condannare, seduta stante, a morte. I tre furono subito condotti nella vecchia Bisanzio, sulla piazza delle esecuzioni, e davanti a una moltitudine di popolo che stentava a frenare il proprio furore, il carnefice impiccò il primo condannato.
Alla seconda esecuzione, la corda si spezzò sotto il peso della vittima e allora il popolo furioso si avventò sulle guardie e liberò i due prigionieri che rimanevano, gettandoli in una barca che li depositò sull'altra riva del Bosforo, dove essi trovarono asilo nella chiesa di S. Lorenzo. Di questi due superstiti, uno apparteneva alla fazione azzurra, l'altro alla verde. Ciò fu sufficiente perché le due fazioni, fino a poche ore prima nemiche, facessero causa comune.
Nonostante il sopraggiungere della sera, la sedizione divampò violenta e scoppiarono qua e là nella notte primi incendi. Si vide allora tutta la debolezza di Giustiniano.
Destituì i magistrati più invisi al popolo e fece proclamare i nomi dei successori: poiché questo non giovò, diede ordine di usare la forza; con I'unico risultato di inasprire ancor più gli animi. Giustiniano si presentò alla tribuna imperiale, umiliandosi fino a dichiararsi il solo colpevole e giurando sul Vangelo piena amnistia, se tutti fossero rientrati subito nell'ordine. Ma le sue parole furono sopraffatte dalle urla e dagl'insulti della massa e l'imperatore dovette ritirarsi in fretta e furia nel suo palazzo.
Ormai era contro di lui che si appuntavano i rivoltosi, i quali presero Ipazio, nipote dell'imperatore Anastasio, e proclamarono lui imperatore in sostituzione di Giustiniano. Il nuovo eletto, propose di attendere qualche giorno e che tutti fossero meglio armati prima d'impegnare una battaglia decisiva, nella certezza che Giustiniano non avrebbe preso l'iniziativa di attaccare, avendo pochi fedelissimi.
Dentro la sacra dimora, Giustiniano era in preda della paura. La rivolta durava ormai da sei giorni tra incendi e saccheggi per la città. In quei giorni egli aveva tentato l'arrendevolezza, la forza, l'umiliazione di se, tutto inutilmente. Dalle alte mura del palazzo vedeva il bagliore delle fiamme e dalla porta di bronzo verso l'Ippodromo gli giungevano le grida dei rivoltosi che acclamavano il suo successore. L'arsenale era stato saccheggiato e la folla veniva avanti armata.
Contro tutta qulla massa, rimanevano fedeli all'imperatore solo mille veterani di Belisario e duemila mercenari eruli. Giustiniano riunì allora in un supremo consiglio, ministri, familiari, generali, con i pochi senatori e patrizi rimasti fedeli.
Lo scoraggiamento aveva però invaso anche gli animi piu saldi, sicchè prevalse l'idea della fuga. In tre giorni una nave era stata colmata di tutte le ricchezze del tesoro imperiale, ed era ancorata davanti ai giardini pronta a salpare: Giustiniano si sarebbe imbarcato con l'imperatrice, mentre Belisario, con i suoi tremila uomini, avrebbe cercato di reprimere la rivolta. Con questa soluzione, l'imperatore salvava Ia propria vita, ma perdeva la corona; tuttavia i presenti, e perfino Belisario, il suo miglior generale, approvarono il progetto.
Fino a quel momento Teodora non aveva mai parlato. A un tratto, indignata per la viltà del marito e la debolezza dei consiglieri, pronunciò le coraggiose parole che val la pena di riferire per intero:
"Quand'anche non rimanesse altra via di salvezza che la fuga, non vorrei fuggire. Non siamo forse tutti votati alla morte fin dalla nostra nascita? Coloro che hanno portato una corona non devono sopravvivere alla sua perdita. lo prego Dio che non mi si veda neppure un solo giorno senza la porpora. Che la luce si spenga per me quando cesserò di essere salutata col nome d'imperatrice! Per te, monarca, se vuoi fuggire, hai tesori, la nave è pronta e il mare è libero; ma temi che l'amore della vita non ti esponga a un esilio miserabile e a una morte vergognosa?

Quanto a me, mi piace l'antico detto che la porpora e un bel sudario. Io resto!!".

Questo virile discorso rianimò i presenti e ne infiammò il coraggio. Anche Belisario ritrovò la sua pronta visione strategica. I ribelli si erano riuniti con Ipazio dentro l'Ippodromo; ma quella che poteva sembrare una fortezza poteva anche diventare la loro tomba.
I tremila soldati fedeli circondarono l'anfiteatro: una parte di essi sbarrò le uscite; gli altri salirono per le scale interne fino all'ambulacro che correva lungo tutta la cima dell'edificio e di lassù scagliarono nugoli di frecce sui partigiani d'Ipazio che fuggirono giu per le gradinate ammassandosi nell'arena. I ribelli piu arditi tentarono vane volte I'assalto, ma furono respinti. I più cercarono allora scampo nella fuga; ma le uscite, i vomitoria, erano dei corridoi, dove un solo soldato di Belisario bastava contro dieci ribelli. Presto tutte Ie uscite furono sbarrate da cumuli di caduti, che quelli in fuga non riuscivano a superare. Atterriti si avventarono da tutte le parti senza trovare scampo, finchè la quantità dei cadaveri ridusse le uscite in uno spazio ristretto. I soldati, penetrati nell'arena, compirono con le spade una carneficina. Catturato Ipazio fu condotto ai piedi di Giustiniano che lo condannò immediatamente a morte, indi decapitato fu buttato in mare.
Questa strage fu poi ricordata come "La rivolta di Nika". E si narra che ci furono 20.000 morti, ma alcuni affermano molto molto di più, circa 35.000.

Si narra che la vecchia chiesa di Santa Sofia, bruciata negli incendi venne fatta ricostruire più grande e più bella per volere di Teodora, occupando anche parte dello spazio dell'Ippodromo, nel quale aveva avuto luogo la rivolta. Vi si conserva ancora oggi la "colonna piangente", una colonna di marmo rosso da cui si dice che stillino le lacrime dei rivoltosi uccisi. Lacrime ritenute miracolose per le malattie della vista. Di miracoloso c'é ben poco, più semplicemente essendo quella colonna una pietra porosa essa assorbe per capillarità l'acqua di una falda acquifera sotterranea dove è appoggiata. La sua cupola di 31 metri di diametro era allora la più grande cupola del mondo. I Turchi in seguito - nel 1453 - la trasformarono in una moschea. Oggi è stata trasformata in un museo.
Dopo "La rivolta di Nika" Teodora meritò nel consiglio dell'impero il posto che fino allora aveva - secondo alcuni - usurpato, e Giustiniano non nascondeva di consigliarsi su tutti gli affari con la saggezza dell'imperatrice. Fu lei che permise all'impero di valersi di un abile soldato come Belisario senza temerne - come Giustiniano, sempre pauroso di essere deposto - le ambizioni, perchè seppe dominarlo attraverso la moglie Antonina che Teodora legò a se proteggendone i molti amori illeciti e possedendone, quindi, il segreto (Era stata in gioventù anche Antonina una donna di piacere prima di sposare Belisario). Fu ancora lei che, ostile a Prisco di Paflagonia divenuto segretario intimo ma anche infido di Giustiniano, lo fece rapire e sbarcardolo in Africa gli rese impossibile ogni carica civile.
II popolo di Bisanzio dovette anche a Teodora se si era liberato dalla cattiva amministrazione di Giovanni di Cappadocia che attirato per mezzo di Antonina nel tranello di una falsa congiura, fu così accusato di tradimento, destituito e, dopo la confisca dei beni, esiliato in Africa, dove mori nella più dura miseria.
Gelosa del suo potere e sicura ormai della sua potenza, Teodora non sopportava resistenze ai suoi ordini nè opposizioni. Così mostrò di saper ricorrere con decisione ai tradimenti, e non esitò dinanzi al sopruso e alla crudeltà quando fece deporre a Roma il papa Silverio che non aveva voluto piegarsi all'ordine di condannare il concilio di Calcedonia.
Poi si ricordò anche di quell' Ecebolo che l'aveva cacciata dalla Cirenaica, il "Vile". Fece indagare sul suo comportamento e alla prima relazione che gli arrivò piuttosto compromettente, Teodora non si sporcò nemmeno le mani, lo mise in mano ai suoi funzionari che trovatolo in grave fallo ben presto lo condannarono a morte.
Certo, ella ebbe il temperamento d'una sovrana; anche nelle due grandi guerre di conquista sotto Giustiniano in Africa e in Italia, è facile riconoscere l'intervento di Teodora. Del resto dopo la sua morte, avvenuta nel 543 per un cancro allo stomaco, le sorti dell'impero senza Teodora declinarono per le avventate iniziative che Giustinuano poi prese.
Il temperamento di Teodora era di dominatrice; ebbe anche i difetti e i vizi che ne sono talora la conseguenza. Magnifica e generosa, eccedette nella prodigalità; abile, giunse però fino alla perfidia; autoritaria, trascese nella tirannia; ambiziosa. non conobbe scrupoli ne pietà.
Giustiniano le sopravvisse per quasi 20 anni; morì il 14 novembre 565, a 83 anni.

In questi anni per ben due volte la peste aveva impoverito lo stato. E ancora di più povero divenne quando volle fare avventate guerre di conquista. Giustiniano attuò metodi oppressivi che lo resero molto impopolare. Anche se Giustiniano conquistò una fama duratura per la sua rivoluzione giuridica, quando organizzò il vecchio diritto romano in una forma e in uno schema organico rimasto alla base della legge di diverse nazioni odierne.
Molto era stato fatto nei anni quando era in vita Teodora, ma poi dal 543 al 565, l'attività legislativa divenne sempre più scarsa e scadente, divenne solo "bizantina".
Come abbiamo già ricordato, Procopio che aveva in precedenza espresso un giudizio molto lusinghiero su Giustiniano, nella sua successiva "Storia segreta" i suoi giudizi sono completamente opposti, infatti scrive:
"Quest'Imperatore era falso, imbroglione, artefatto, tenebroso nell'ira, doppio, un uomo tremendo, perfetto nel dissimulare un'opinione, capace di piangere non di piacere o di dolore, ma bugiardo sempre ma non a vanvera, bensì dopo giuramenti solenni su quanto concordato. Era oltremodo aperto alle calunnie e pronto nelle vendette. Non giudicava mai dopo attento esame, ma appena udiva l'accusa tirava fuori il verdetto. Redigeva senza esitare decreti di conquista di paesi, di popoli interi senza ragione alcuna. Di guisa che, se si pesassero tutti i disastri patiti dai Romani e sull'altro piatto della bilancia si mettessero questi eventi, credo che il sangue versato da quest'uomo apparirebbe più copioso di tutte le stragi di ogni tempo. Quanto alle ricchezze altrui, era prontissimo a impadronirsene sfacciatamente e a darla magari ai Barbari, senza criterio. Pertanto, avendo alienato la ricchezza dal territorio dell'Impero, divenne artefice di miseria per tutti."
(Procopio, Storia Segreta, 7-9.)
Giustiniano al concilio di Calcedonia, volle intervenrie nella questione della condanna dei Tre Capitoli: in realtà la sua azione non portò ai risultati sperati perché creò uno scontento generale che aumentò la tensione preesistente. Arrivò anche alle maniere forti deportando da Roma Papa Vigilio a Costantinopoli per costringerlo a condannare l'editto dei Tre Capitoli.
Nella condanna dei tre capitoli Giustiniano cercò di soddisfare sia l'Oriente che l'Occidente, ma finì col non soddisfare nessuno, anzi creava lo scisma. Parlava di Teologia ma ci capiva ben poco. Ma nonostante questo poco lui voleva imporsi.

Ma una delle sue decisioni che ebbero un peso enorme per il resto dei secoli fu quando dichiarò unica religione di Stato il Cristianesimo. Fece abbattere tutti i monumenti pagani, le sculture, che lui stesso imitando la Grecia e Roma aveva fatto erigere; ma delitto più grave fu quello di far chiudere l'Accademia (la famosa "Scuola d'Atene", fondata da Platone nel 387 a.C.) osteggiata dai cristiani che la vedevano come un pericolo rispetto alla supremazia morale e politica del cristianesimo.
La "Scuola d'Atene" (nonostante Costantino e Teodosio, che avevano già eliminato le arti, le feste pagane, gli sport, le Olimpiadi, la musica, le lettere, la cura del corpo, gli abbigliamenti vistosi, ecc. ecc.) era sopravissuta per 916 anni !
Fu questo il grave delitto che decretò la totale distruzione dell'Ellenismo.
Vietò perfino l'uso della lingua ebraica nel culto, minacciando gli ebrei ostinati con punizioni corporali, esilio e perdita delle proprietà. E altrettanto fece con i Samaritani con una legge che ordinava la distruzione delle sinagoghe, perchè non erano cristiani ortodossi. E come loro i Manichei.

Così il ciclo di tutte le espressioni dell'antica civiltà tramontava del tutto, era l'inizio dei "secoli bui" e l'inizio dei mali oscuri che seguirono quel tramonto, e continuarono per quasi 1400 anni.... ad alimentare il "buio" nelle menti. Dominò l'apatia, la rassegnazione; fu spenta ogni energia vitale individuale e collettiva. Unico conforto: pregare, indi ubbidire. La sofferenza? era - dicevano i ministri di Dio - solo una perdita temporanea delle gioie terrene, e assicuravano le sofferenze una sicura ricompensa in cielo.

Le città divenute decrepiti villaggi cominciarono ad avere una popolazione rassegnata, abulica, ignorante, ed isolata. Erano "animali" utilizzati solo per far guerre, e quando le facevano agivano ovviemente come stupidio "animali".
Il guaio è che nell'isolamento la gente non scambia più informazioni, nè riceve patrimoni di conoscenze. Questa miseria materiale e culturale porta irreversibilmente ad una povertà esistenziale, ad una totale involuzione. Tutte le istintive passioni per la lotta esistenziale sono messe a tacere, incanalate nel misticismo, "prega e spera nella vita eterna". Una rassegnazione che porta a vivere solo di speranza, che spegne l'energia vitale, quella individuale e quella collettiva.

Ma "vivere" nella natura umana non é rassegnarsi (sedersi, pregare e aspettare); la rassegnazione é il coraggio ridicolo dello sciocco. Con la rassegnazione non si va da nessuna parte, si resta fermi, sempre più deboli, e sempre più esposti. E' quello che accadde quando queste città e i loro cittadini furono costretti a vivere nella rassegnazione. Senza lotta. Figuriamo poi quando dovettero misurarsi con i Barbari !!
Ma a parte Procopio, vari storici moderni hanno criticato Giustiniano per aver attuato una politica offensivista sconsiderata, espandendo a dismisura l'Impero pur non avendo le risorse disponibili e nemmeno le capacità. Come per l'amministrazione secolare, il suo dispotismo apparve anche nella politica ecclesiastica. Lui voleva regolaretutto, sia nella religione che nella legge. Ma era confusionario e mancava di capacità, e forse anche perchè non aveva più accanto Teodora.  
A parte l'incerta questione dei suoi primi anni di vita, i suoi difetti d'imperatrice furono, almeno in parte, riscattati, oltre che dalla generosità, dalla sua fermezza di animo. Tra il dissolvimento di tutte le energie, Teodora seppe, con poche parole veramente degne d'una sovrana risollevare gli spiriti abbattuti, rendendo possibile una difesa che salvò, insieme con la sua porpora, la sua dignità d'imperatrice e di donna.
Occorrerebbero molte pagine per illustrare la biografia di questa singolare donna che influenzò Giustiniano e l'impero per 22 anni di regno, tante sono i suoi interventi sulla politica, sulla religione, sulla cultura, sulla ricostruzione delle città, sui monumenti che ci sono giunti fino a noi. Molti di questi anche a Ravenna, Milano, Roma e ovviamente a Costantinopoli i più grandiosi. 
Teodora voleva passare ad ogni costo ai posteri, e i posteri la ricordano con i grandi monumenti, le basiliche (S. Sofia ), gli edifici pubblici, le terme e... anche dentro le leggi Giustiniane. Perché in quelle del divorzio, sulla prostituzione, sull'adulterio, Teodora non mancò di dare il suo contributo di "esperta". Conosceva l'ambiente, le debolezze umane, i paradisi e gli inferni di una donna.

GIUSTINIANO parlando di ogni cosa del suo governò iniziava sempre  "Io Giustiniano con la onoratissima moglie che Dio mi ha dato", oppure nel promulgare una legge, nell'esporla premetteva "il suo dolcissimo incantesimo mi ha suggerito....questo e quest'altro". Ma forse più che suggerimenti quelle leggi erano pensate e volute (e forse imposte) dalla stessa Teodora.

I suoi contemporanei sono d'accordo nell'affermare che Teodora non si faceva scrupolo di servirsi del suo influsso illimitato e che la sua autorità era pari a quella del marito, ma molti affermano, era indubbiamente molto molto più grande !
Anche perchè i suoi biografi, anche quelli che gli hanno tessuto le lodi, non mancano di sottolineare che Giustiniano oltre che le qualità positive, aveva una volontà debole, una vanità infantile, un'indole gelosa (non solo riferita a quella amorosa), e un attivismo confusionale. Era inflessibile ma anche spesso vacillante.  E aveva mutamenti repentini di umore, le passioni più avventate, e frequenti stati depressivi.

La fama di Belisario ad esempio lo rose d'invidia per tutta la vita. Nonostante le vittorie in Italia, gli tolse il comando due volte richiamandolo a Costantinopoli per affidargli insignificanti spedizioni contro i persiani: Belisario stava diventando troppo popolare. In Italia sia a nord come a sud, era quasi riuscito a sconfiggere tutti gli assalti dei barbari, quando Giustiniano invece di inviargli rinforzi improvvisamente lo richiamò a Costantinopoli.
La terza volta lo fece anche mettere in prigione, accusato di congiurare contro di lui e avere ambizione imperiali. Ovviamente era da anni senza Teodora e Giustiniano da solo aveva perfino ormai paura perfino della sua ombra.

Anche su Vitaliano, quand'era ancora in vita Teodora, era geloso e invidioso dei suoi successi. Era quello un bravo generale con molte simpatie nel popolo e nell'esercito. Giustiniano l'odiava, lo considerava un potenziale nemico e lo dava chiaramente a vedere, non ne faceva mistero anche quando lo riceveva a palazzo. Intervenne Teodora "Il mostrare al proprio nemico che lo si odia è un errore grave. Uno sbaglio enorme. Se per caso lo coglie una disgrazia l'opinione pubblica sapendo che siete pieno di rancore verso di lui, accuserà voi di averlo fatto assassinare, e finirete sul patibolo".
Ma anche lei non fu da meno nel risentirsi di certe odiose e ingiuriose uscite di Giustiniano. Un giorno di ritorno da una vacanza nella Lidia, trovò a palazzo come segretario un giovane romano, Cornelio; Giustiniano ne pareva molto soddisfatto, ne tesseva le lodi ogni momento, e arrivò a dirgli "... è così bravo e intelligente che confesso ho quasi dimenticato che voi eravate assente."

Due giorni dopo non trovando più il segretario nella sua stanza, impaziente lo fece cercare nel palazzo e chiese anche a Teodora, che gli rispose "Inutile cercarlo, non lo si troverà. L'ho fatto mettere in prigione!". Giustiniano: "Ma che ha fatto per metterlo in prigione?". Lei con un sorriso sinistro, chinandosi verso l'imperatore, gli sussurrò "Io non amo quelli che mi fanno dimenticare".

Insomma questa donna ambiziosa, ma molto intelligente, costante nella sua forza, possedeva eccellenti qualità che giustificavano il grande potere da lei esercitato fin dal primo istante quando a 20 anni conobbe e rese schiavo Giustiniano.
Era dotata di un coraggio incrollabile, come dimostrò nella difficile occasione dell'insurrezione di Nika (mentre il marito impaurito fuggiva), di una grande energia, di una risolutezza maschia, di una mente decisa e limpida e di una forte volontà di cui spesso si serviva per dominare l'indeciso GIUSTINIANO (che nel suo attivismo confusionale non aspettava altro che lei per togliersi d'impaccio).
A queste doti Teodora univa senza dubbio difetti e perfino vizi, essendo dispotica e dura, amante del denaro e del potere. Per conservare il trono su cui era salita, sarebbe ricorsa all'inganno, alla violenza e alla crudeltà, implacabile com'era nelle sue antipatie. Appassionata nei suoi amori come nei suoi odi, favoriva i propri protetti, ma stroncava gli altri senza scrupolo. 

Scaltra e ambiziosa, voleva avere sempre lei l'ultima parola, e in genere si dice che ci riusciva. Mise mano a ogni questione politica e religiosa; in diplomazia GIUSTINIANO non decideva mai nulla senza il suo parere. Essa faceva e disfaceva a proprio piacimento Papi e Patriarchi, ministri e generali, e non temeva neppure suo marito, qualora lei non era d'accordo (come a Nika). 
Nelle questioni femminili - lo abbiamo detto - intervenne di persona a mettere nelle riforme dei "Codici Giustiniani" le questioni che interessavano le donne, quindi misure sul divorzio, l'adulterio, la santità del vincolo matrimoniale;  e quelle intese ad assistere le attrici (!) e le prostitute (!).
Dotata per natura di istinto politico comprese perfettamente l'importanza che andava assumendo la "questione religiosa". Giustiniano se ne interessava studiando i problemi teologici, e gli piaceva parlare ai sinodi e ai concili dove interveniva di persona per pontificare con un estremo piacere le sue astratte teorie sulla unità delle due "nature" del Cristo, mentre invece TEODORA - più pragmatica - sapeva scorgervi in quei disaccordi gli aspetti essenziali dei problemi politici. 

Insomma per chiudere questa breve biografia, che occuperebbe cento pagine, e sarebbero ancora riduttive, basterà dire che se GIUSTINO ebbe bisogno di suo nipote per governare.  GIUSTINIANO ebbe bisogno di sua moglie TEODORA per fare altrettanto. E non sapremo mai se fu lui grande o se fu la moglie ad essere tale, o a ispirare o a sostituirsi a lui perché lo diventasse.
Il loro fu indubbiamente il periodo d'oro per l'Impero romano d'Oriente, dal punto di vista civile, economico e militare. Dopo la scomparsa di entrambi, iniziò il declino. Giustiniano fu l'imperatore che fece l'ultimo tentativo di riconquistare l'Occidente e anche l'ultimo tentativo di riunire le due chiese.
NEL BENE E NEL MALE
TEODORA
FU INSOMMA GRANDE. UNA GRANDE DONNA !!

Fonti:
Evagrio, Storia Ecclesiastica
Procopio di Cesarea, Storia Segreta,
Procopio di Cesarea, Storia delle Guerre
Procopio di Cesarea, Sugli Edifici,
Zonara
Giustiniano I, Enciclopedia Treccani
E. De Kock, Storia di cortigiane celebri
Salvatore Rosati, Storie

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