EUROPA
UNA NAZIONE O UN MERCATO?

 

1) L'UNIFICAZIONE EUROPEA (desideri)

2) L' EUROPA DELLA POVERTA' (analisi)

vista da ISABELLA RAUTI

L’unificazione europea è una realtà di fatto. Ma di quale unificazione si tratta? Prevale, sinora, un processo di integrazione economica e monetaria a discapito di fattori "altri" quali la storia, la cultura, le radici spirituali. Il rischio è che l’unificazione tecnocratica e finanziaria cancelli la migliore cultura europea, quella delle identità e delle ragioni dei popoli concreti. Oggi in Europa 52 milioni di persone vivono in situazioni di povertà, senza un lavoro sicuro, senza alloggi, senza protezione sociale e sanitaria. Il sistema neo-capitalista, sbandierato - sia dalla destra conservatrice che dalla sinistra liberaldemocratica - come il migliore possibile, continua a creare nuove ingiustizie e autentiche tragedie. Noi vogliamo creare un’alternativa di valori e di popolo; non rassegnamoci alle ideologie ed alle logiche dominanti! I partiti che hanno corrotto l’Italia con la lottizzazione, le tangenti, il clientelismo, le collusioni con la mafia, le incapacità di gestione, cosa possono offrire all’Europa?

Noi vogliamo costruire l’Europa dei popoli e delle piccole patrie, delle specificità nazionali, non l’Europa dei mercati, delle multinazionali e del mondialismo finanziario.

EUROPA: UNA NAZIONE NON UN MERCATO

OCCUPAZIONE. In Europa ci sono circa 17 milioni di disoccupati ed una persona su sette è minacciata dalla povertà e dall’esclusione sociale.
L’occupazione passa attraverso la rivalutazione dei lavori tradizionali, le attività artigianali ed i mestieri d’arte. Inventiamo lavori nuovi – come il telelavoro ed i lavori a domicilio - per rispondere ai nuovi bisogni; introduciamo un salario minimo per lavori socialmente utili. Diritto al lavoro, non lavoro nero, sommerso e sfruttamento del lavoro.

STATO SOCIALE e non assistenzialismo. La sanità, le pensioni, i servizi sono la "cenerentola" delle politiche sociali! Soprattutto in Italia dove la spesa per lo Stato sociale resta al di sotto dei livelli dei maggiori paesi europei e, in particolare, risultano inferiori le incidenze della spesa per "maternità e famiglia" e per "disoccupazione e collocamento".

SOLIDARIETÀ con le fasce più deboli: giovani, donne, anziani. Utilizziamo a pieno le risorse che il Parlamento europeo offre agli Stati membri come il Fondo sociale europeo ed i "Fondi di solidarietà".

PARTECIPAZIONE con l’inserimento delle competenze professionali nella struttura giuridica dello Stato. Difendiamo i corpi sociali intermedi, la piccola e media impresa, il lavoro artigianale contro le lobbies economiche e politiche che sfruttano la forza lavoro nel Terzo e nel Quarto mondo.

NOI VOGLIAMO L’EUROPA DELLA GIUSTIZIA SOCIALE e non delle sperequazioni per cui chi è ricco diventa sempre più ricco e chi è povero resta povero.

DELLA SICUREZZA e non dell’allarme sociale. Buona parte dell’Europa vive "a rischio" sotto gli assalti della crescente microcriminalità e sotto l’influenza delle grandi organizzazioni criminali. Restituiamo qualità alla vita.

SENZA SCHIAVITU’ e senza tratta organizzata delle donne e dei minori destinati allo sfruttamento sessuale. Chiediamo la repressione di queste nuove forme di schiavitù e pene severissime contro i trafficanti di esseri umani (donne e bambini) venduti al mercato del sesso.

DEGLI EUROPEI e non delle mescolanze etniche. Blocchiamo l’immigrazione clandestina; aiutiamoli a casa loro con progetti di sviluppo autoctoni e sostenibili dal territorio. Privilegiamo il Mediterraneo come area di sviluppo che rafforzi l’economia italiana e quella dei Paesi nord africani.

NAZIONE LIBERA e chiediamo l’uscita dei Paesi europei dalla Nato ed un’organizzazione di difesa esclusivamente europea. L’Europa non è una colonia a sovranità limitata; liberiamoci dalla subordinazione all’americanismo ed alle forze antieuropee.

EUROPA: IL FUTURO VIENE DA LONTANO DALLA MEMORIA STORICA e da tremila anni di civiltà. Abbiamo fondato Imperi e costruito Stati, abbiamo diffuso nel resto del mondo le nostre istituzioni politiche ed un’immensa civiltà giuridica.

DALLE RADICI millenarie. Riaffermiamo il primato delle nostre tradizioni e dei valori culturali e spirituali. Difendiamoci dalla massificazione del "villaggio globale".

DALLE PICCOLE PATRIE. Difendiamo le identità locali e le specificità minacciate dalla frammentazione del tessuto sociale, dalle forme di egoismo delle società post-industriali.

DAI TESORI del patrimonio artistico; i musei, le biblioteche, i centri storici ed i Beni culturali in genere siano tutelati e fruibili. Riscattiamo il patrimonio artistico dal degrado, incrementiamo il turismo ed investiamo nel settore dei beni culturali per creare nuovi posti di lavoro.

DALLE LINGUE NAZIONALI espressione verbale di millenni di civiltà. Difendiamo le lingue nazionali dall’invasione di forestierismi, di neologismi arbitrari, dalla prevalenza della oralità sulla lingua scritta; non riduciamo l’Europa alla sua sola dimensione anglosassone.

DALLA CULTURA GASTRONOMICA. Difendiamo l’alimentazione tradizionale ed i prodotti tipici; riscopriamo i sapori, i gusti delle diversità gastronomiche, contro la massificazione dei surgelati e dei fast-food.

NOI VOGLIAMO L’EUROPA DELLE DONNE in cui venga rispettata la rappresentanza femminile nei luoghi del potere decisionale; in cui si favorisca concretamente l’accesso al mondo del lavoro e la conciliabilità con le esigenze della famiglia.

DEI BAMBINI con strutture e servizi per la prima infanzia; protezione e sicurezza sociale. Denunciamo lo sfruttamento del lavoro minorile; l’evasione dalla scuola dell’obbligo; la delinquenza minorile; i maltrattamenti e gli abusi sessuali sui minori; l’impiego di bambini e di adolescenti nel mercato pornografico e nel "turismo sessuale".

DELLE FAMIGLIE e di una "politica sociale e dei servizi". Chiediamo incentivi e sgravi fiscali per le giovani coppie e le famiglie numerose; aiuti alle famiglie monoreddito e alle famiglie monogenitore; sostegno delle famiglie con portatori di handicap e con anziani a carico; equa retribuzione del lavoro casalingo ed adeguamento degli assegni familiari al costo della vita. Diamo alle famiglie una "cittadinanza" solidaristica!

DELLA NATALITÀ e non del declino demografico. La maternità è lasciata interamente sulle spalle della donna e della famiglia. Riconosciamo il valore sociale della maternità. Aiutiamo le madri a scegliere di essere tali.

DEL DIRITTO ALLA VITA. Chiediamo all’Europa il rispetto della vita (fin dal concepimento) proibendo la commercializzazione di feti ed embrioni, la produzione di embrioni a scopo sperimentale, la selezione genetica e la clonazione, esito estremo delle manipolazioni genetiche.

 

ISABELLA RAUTI
ANALISI DELLA SITUAZIONE
EUROPA DELLA POVERTA'
L’EUROPA TRA POVERTÀ’ VECCHIE E NUOVE

Esistono diverse proiezioni circa l’entità della popolazione che vive in condizioni di povertà; attualmente sono circa 600 milioni gli individui che vivono in povertà nelle aree urbane delle regioni in via di sviluppo.
Una stima su scala mondiale rivela che nei Paesi in via di sviluppo il 27% della popolazione urbana vive al di sotto della soglia ufficiale di povertà.
La povertà urbana, che aumenta più rapidamente di quella rurale, è lo spettro del XXI secolo; un numero crescente di persone vivrà nell’impossibilità di soddisfare i bisogni primari e fondamentali, quali l’alloggio, l’occupazione, l’alimentazione, l’istruzione, i servizi igienico-sanitari.

E’ stato calcolato che in Europa 52 milioni di persone vivono in situazioni di povertà; sono 17 milioni i disoccupati e, una persona su sette è minacciata dalla povertà e dall’emarginazione sociale.

E’ difficile stabilire una soglia - un parametro al livello europeo - al di sotto della quale si vive in condizioni di povertà e di esclusione sociale; si parla di povertà quando le risorse a disposizione di una famiglia sono insufficienti a garantire un adeguato livello di benessere rispetto ad uno standard predefinito. Nel tentativo di elaborare un criterio uniforme per individuare le situazioni a rischio e di arrivare ad una definizione oggettiva di "povertà" si usano, come indicatori, la mancanza di un lavoro sicuro, la mancanza di alloggi, la carenza di una formazione professionale, l’analfabetismo e l’insufficiente protezione sociale e sanitaria.

La povertà può riguardare situazioni individuali o familiari o di gruppi, con carenze in campi diversificati ed, in questo senso, è un problema dal carattere multidimensionale.

L’espressione più evidente di povertà è quella di un livello insufficiente di risorse, ma esistono altre carenze non necessariamente finanziarie, economiche e materiali che concorrono e contribuiscono a creare situazioni di indigenza e di disagio.
Nel mondo contemporaneo, il concetto di povertà ha lasciato spazio a quello più ampio ed articolato di esclusione sociale, che sembra essere una condizione ancora più diffusa e che rappresenta una delle tante contraddizioni delle società postmaterialistiche, caratterizzate dalla sperequazione economica (chi è ricco diventa sempre più ricco, chi è povero diventa sempre più povero) e dalle tante povertà sociali.

La distribuzione della povertà non è uniforme negli Stati Membri e, secondo i dati forniti recentemente da EUROSTAT, interessa il 15% del territorio europeo; le zone più toccate sono quelle situate nel Sud dell’Europa (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) o "in periferia" (Irlanda); quelle meno interessate sono i Paesi scandinavi, il Lussemburgo ed il Belgio.

Le categorie più vulnerabili e a rischio sono sostanzialmente tre: i giovani con meno di 25 anni che non hanno trovato ancora un impiego , le donne e gli anziani, soprattutto quelli che vivono in regioni più povere rispetto al resto del territorio nazionale.

La distribuzione dei redditi nei diversi Paesi europei rivela una geografia delle disuguaglianze economiche che sembra collegata al livello di reddito pro capite: i Paesi più ricchi sono anche quelli in cui il livello della diseguaglianza è tendenzialmente più basso. In questa ottica, l’Italia si situa a metà strada tra i Paesi dell’Europa meridionale e quelli dell’Europa centrosettentrionale. Nel nostro Paese la povertà si concentra al Sud (20,6%) con un indice quasi cinque volte maggiore di quello del Nord (4,4%) ed il doppio della media nazionale.

IL PROBLEMA DEI PROBLEMI:

LA DISOCCUPAZIONE

1. Questo dato, relativo alla povertà in Italia, va letto contestualmente a quello sulla disoccupazione: secondo l’ultimo Rapporto sull’Italia elaborato dall’ISTAT, la distanza che separa il Nord dal Sud del Paese si è ulteriormente allargata.
"Il tasso di disoccupazione ha segnato una crescita di quasi 2 punti percentuali nel Mezzogiorno (dal 19,2% al 21,1%) e di oltre mezzo punto al Centro (dal 9,6% al 10,3%), mentre al Nord è rimasto invariato (6,8%)

2. Si osserva un progressivo peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie del Meridione rispetto a quelle del Centro e del Nord; l’analisi della povertà può articolarsi ulteriormente, in relazione ad alcune strutture familiari significative.
Sono le famiglie con persona di riferimento anziana e quelle con 2 o più figli (nel Mezzogiorno quest’ultima tipologia ha una presenza più elevata) a presentare i valori di incidenza maggiori.
Si consideri, inoltre, che oggi i giovani, per l’insicurezza economica, per le difficoltà abitative, per proseguire gli studi ed assicurarsi un livello più elevato di vita, tendono a rinviare l’uscita dalla famiglia d’origine (nel 1996 il 58,5% dei giovani tra i 18 ed i 34 anni vive ancora con i genitori), la costituzione di nuove strutture familiari e le scelte di fecondità

3. Nel Rapporto ISTAT si evidenzia, inoltre, che sotto il profilo sociologico, la famiglia italiana si trova a svolgere funzioni accresciute rispetto a qualche anno fa; sulla famiglia d’origine, infatti, si riversa un carico crescente di compiti e di responsabilità ed essa mostra la tendenza a farsi carico delle difficoltà dei propri componenti. La famiglia è il perno delle strategie di passaggio dei giovani alle responsabilità; la famiglia, insomma, svolge un ruolo centrale nei processi di autonomizzazione e di transizione alla vita adulta dei figli. Il problema dei problemi della collettività nazionale resta il lavoro ed il fenomeno della disoccupazione di massa; ed anche se nel 1996 si è registrata una lieve crescita dell’occupazione

4. il tasso di disoccupazione si è attestato intorno al 12,1% (9,4% per gli uomini, 16,6% per le donne).

5. un decimo di punto in più rispetto al 1995. Sotto il profilo territoriale, il tasso di disoccupazione è aumentato nelle regioni meridionali, è rimasto invariato al Centro ed è diminuito nel Nord. In particolare: la disoccupazione riguarda il 33,8% dei giovani tra i 15 e i 24 anni ed il 26,1% dei 15-29enni; il 58% dei giovani disoccupati è alla ricerca del primo impiego, la probabilità di trovarlo risulta, in generale, condizionata ed influenzata non solo dalle leggi dei mercati locali ma anche dalle condizioni socioeconomiche della famiglia d’origine, dall’istruzione dei genitori e, in misura minore, dal livello di istruzione raggiunto (il possesso della laurea raddoppia, comunque, le possibilità di ottenere un impiego stabile rispetto a chi ha soltanto della licenza media)

6. Sulle possibilità dell’occupazione giovanile si riflette negativamente anche la scarsa frequenza, rispetto agli altri paesi europei , del lavoro temporaneo e di quello a tempo parziale; né migliorano in modo significativo le opportunità occupazionali in relazione alla maggiore disponibilità a spostarsi dal luogo di residenza e di effettuare orari di lavoro non standard.

LE QUESTIONI DEMOGRAFICHE

Sul piano demografico l’Occidente è caratterizzato dalla denatalità (il primato negativo spetta all’Italia con un tasso di fertilità dell’1,19 figli per donna ed una media nazionale al di sotto della soglia minima per il ricambio del 2,1) e dal progressivo allungamento della vita media; il crollo della natalità e l’innalzamento della soglia di "speranza di vita" hanno determinato un generale invecchiamento della popolazione europea.
All’inizio del 1996 l’Unione europea contava 373 milioni di abitanti; in caso di persistenza delle attuali tendenze demografiche si prevedono una stagnazione ed una diminuzione delle popolazione dell’Unione europea (UE) che potrebbe scendere, nei prossimi cinquant’anni, a 367 milioni.


Tra il 1975 ed il 1995 il numero dei giovani con meno di 20 anni è sceso da 110 a 90 milioni, pari al 24% della popolazione dell’UE; se il tasso di fecondità non subisce significative inversioni, nel 2050 ci saranno solamente 52 milioni di giovani.
Attualmente le persone di 60 anni ed oltre costituiscono il 21% della popolazione dell’UE; nel 2020 si dovrebbe arrivare al 27% e nel 2050 si passerebbe al 34%, un terzo delle quali con 80 anni ed oltre.

Insomma, si prospetta un’Europa di vecchi, di nonni senza nipoti, meta di ondate migratorie provenienti dalle coste del Mediterraneo (dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Egitto, dall’Algeria, dalla Turchia, dai Paesi Africani) e da tutto il mondo orientale, dove si può a ragione parlare non di semplice incremento ma di esplosione demografica !

Ma, quali sono i motivi di questa tendenza - diffusa in tutti i Paesi occidentali - alla disaffezione per la procreazione ? Tra le variabili decisive nell’attuale cambiamento epocale dei modelli procreativi, quella più significativa riguarda le modificazioni culturali, sociale e di costume del mondo femminile.
Su tale tendenza incide, inoltre, l’intreccio tra fattori materiali (le difficoltà occupazionali ed abitative, la crisi economica, la carenza di politiche in favore della famiglia) e "mentalità post-materialistica", riflesso del benessere allargato e dell’edonismo; caratterizzata dal rifiuto del sacrificio, dal declino delle responsabilità; espressione - infine - del trionfo degli egoismi, individuali e di coppia.

"Aver figli significa dover fare sacrifici, limitare i consumi, accettare scelte alternative per quanto riguarda i modi di impiegare i guadagni e di occupare il tempo libero", e la nostra società individualistica sfugge il sacrificio ed allontana da sé l’impegno solidaristico; inoltre, "valori come il rispetto degli anziani, l’attenzione al dramma dell’infanzia violentata e sfruttata in tutto il mondo, l’impegno ad alleviare le nuove povertà e a far fronte alle nuove emergenze non sono monetizzabili, ne mercificabili" e sono, quindi, valori in regresso

7. IL NUOVO MERCATO DEGLI SCHIAVI:
LA "TRATTA" DI DONNE E BAMBINI

Una nuova forma di schiavitù si va diffondendo nel "Vecchio Continente": la tratta delle donne e dei minori a fini sessuali. Oggi, in Europa, il mercato della prostituzione è un fenomeno di dimensioni internazionali che coinvolge centinaia di migliaia di persone provenienti, in particolare, dall’Africa occidentale (principalmente Ghana, Nigeria, Zaire, Costa d’Avorio), dal Sud America (Colombia, Repubblica Dominicana, Brasile, Ecuador, Perù), dall’Asia sud orientale (Filippine e Tailandia) e da quasi tutti i Paesi dell’Europa orientale (Polonia, Romania, Ungheria, Croazia, Slovenia, Albania, Russia, Ucraina, Repubblica Ceca, Slovacchia).

Si tratta di una popolazione mobile, estremamente debole, marginale sul piano sociale che esiste, trasversalmente, in ogni Paese europeo. L’aumento del numero di lavoratrici sessuali è legato e collegato al fenomeno della migrazione a catena ed alla creazione di reti interne allo stesso gruppo d’origine, alla stessa comunità etnica, alla regione geografica o alla città di provenienza.

Gli spostamenti, il lavoro, i soldi e la vita stessa delle prostitute sono controllati dalle organizzazioni criminali internazionali; il meccanismo della tratta organizzata ha, infatti, un carattere mafioso e percorsi definiti che mettono in circolazione persone - con un’età che, tendenzialmente, diminuisce sempre di più - destinate allo sfruttamento sessuale.
Gli autori dei racket del traffico degli esseri umani, attirano donne e bambini con false promesse e, successivamente, li costringono alla prostituzione, sulla strada o all’interno di case; le vittime giungono in aereo, ma più spesso via terra e via mare e la situazione di clandestinità ed il sequestro del passaporto sono gli elementi di debolezza su cui fanno leva gli sfruttatori e le loro organizzazioni criminose

8. La stima nazionale più recente - fornita dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) - sulle persone che si prostituiscono nel nostro Paese contiene dati impressionanti: 18.800 - 25.100 unità, che si riferiscono esclusivamente alla popolazione immigrata.
Lungo le strade italiane, il mercato del sesso è costituito per il 60% di stranieri (donne, transessuali e travestiti), per il 30% di tossicodipendenti di nazionalità italiana e per il 10% di Italiani non tossicodipendenti.
Le presenze maggiori di prostitute straniere si registrano nel Nord Italia (con cifre comprese tra le 8.800 e le 11.300 unite), seguite dal Centro (5600-7000 unità) e dal Sud e dalle Isole (5100-6800 unità). Data l’instabilità del fenomeno e la sua caratteristica di sotterraneità, tutte le cifre devono essere accolte con cautela e costituiscono solo un’indicazione di riferimento per abbozzare i contorni del fenomeno - massiccio e sommerso - dello sfruttamento.

Nel corso della conferenza svoltasi a Vienna nel giugno 1996- alla quale hanno partecipato i governi dei quindici Stati dell’Unione Europea (UE) ed alcuni Paesi terzi (Stati Uniti, Ungheria, Cipro, Malta e Polonia) insieme alle Organizzazioni non governative (Ong) ed alle associazioni di volontariato - sulla tratta degli esseri umani si è parlato di una "terzomondializzazione" dell’offerta nella prostituzione nei paesi europei.

La criminalità organizzata internazionale si sta concentrando verso lo sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini dei paesi Terzi perché negli stati membri dell’Unione Europea le pene in materia sono più leggere di quelle previste contro il traffico degli stupefacenti. Nel mercato del sesso che coinvolge i minori rientra il fenomeno, massiccio e diffuso, del cosiddetto turismo sessuale; secondo stime recenti sarebbero migliaia i turisti del sesso occidentali che vanno nel Paesi del Terzo e del Quarto mondo a schiavizzare migliaia di bambini e di bambine, che vengono affittati o venduti a pedofili e pornografi, sui marciapiedi, nei bordelli, negli alberghetti ma anche nei grandi alberghi.

Già nel 1991 la Conferenza Mondiale sul Turismo nel Terzo Mondo aveva denunciato che diverse centinaia di migliaia di bambini ed adolescenti, tra i 6 ed i 15 anni, sono obbligati alla prostituzione e che il turismo sessuale conta il 60% di tutto il turismo tailandese, il 50% del turismo in Kenya, Filippine, Corea del Sud.
Era il 1991, il fenomeno si è allargato e ispessito ma da allora ad oggi è stato fatto poco o niente.
I cosiddetti Paesi produttori di turismo sessuale (tra gli altri, la Danimarca, la Francia, la Germania e la Svezia), solo di recente si sono dati una legge che consente di perseguire penalmente in patria coloro che all’estero commettono abusi sui minori; l’Italia - che pure figura tra i primi posti dell’oscena graduatoria dei produttori di turismo sessuale - si è mossa con particolare ritardo!
Attualmente è ancora ferma, alla Commissione Giustizia del Senato, la proposta di legge antipedofilia che prevede, tra l’altro, la extraterritorialità del reato, pene per chi sfrutta la prostituzione minorile (clienti compresi, con una condanna dai 6 ai 12 anni), il carcere anche per coloro che producono, commerciano, divulgano materiali pornografici con minori per protagonisti.

NEL PIANETA DEI MINORI

Uno dei criteri, forse il primo, per misurare il grado di civiltà e di sviluppo di un Paese è la condizione dei suoi minori, i passi compiuti nella tutela dell’infanzia in termini di qualità della vita, di istruzione, di salute, di sanità e di alimentazione.
Nei Rapporti elaborati dall’UNICEF non mancano dati positivi ma non mancano neanche cifre che rivelano che la condizione dei minori tende a peggiorare nelle aree dove si addensano e si ispessiscono le conseguenze del liberalcapitalismo, ma anche dove gli indici statistici sull’economia darebbero spazio a situazioni di assoluta serenità e benessere.
Nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), nello spazio temporale di una generazione, sono raddoppiati i redditi reali, la mortalità infantile è dimezzata, la malnutrizione si è ridotta del 30%, la speranza di vita è aumentata di un terzo ecc. ma il benessere dei bambini non è determinato soltanto dal progresso materiale e dallo sviluppo economico e, non è la sopravvivenza la misura di tutte le cose perché è sulla qualità della vita e sul tipo di esistenza che bisogna, anche, interrogarsi.

Le condizioni dei minori nella società contemporanea sono terribili per molti aspetti nei PVS ma non meno gravi, per altri aspetti, anche in quelli industrializzati. Anzi, è proprio nel mondo industrializzato che si registra un singolare e contraddittorio fenomeno: più i Paesi sono ricchi - secondo le statistiche relative all’economia - e più aumentano, si aggravano e diventano drammatici, i problemi dei minori.

Ad esempio, negli Stati Uniti il 20% dei bambini vive al di sotto della soglia di povertà; in Australia, in Canada e in Inghilterra il 10%; in Francia, nei paesi Bassi e in Svezia il tasso è inferiore al 5%.

Le povertà non sono soltanto materiali e quantitative ma anche morali e qualitative, come non sono soltanto individuali ma anche globali e, l’aumento della ricchezza globale non garantisce l’aumento di quella individuale come suggerirebbe l’utopia liberista.
Se usiamo gli indicatori classici di riferimento, quali la diminuzione della mortalità infantile, il controllo dei fattori di rischio connessi alla nascita, la diffusione della scolarizzazione obbligatoria e l’aumento della scolarizzazione superiore, emerge che - in una accezione relativa - essere bambini oggi sia comparativamente più facile di 25-35 anni fa.

Gli indicatori oggettivi materiali che sottolineano il progressivo miglioramento globale delle condizioni di vita, lasciano all’analisi qualitativa molte zone d’ombra e di rischio potenziale. Tra questi, a titolo esemplificativo, il profilo educativo e relazionale: il tempo della famiglia nell’esperienza dei minori si è progressivamente contratto (poche ore al giorno ed impiegate nella soddisfazione di una serie di esigenze primarie) mentre è aumentato il tempo gestito da altre agenzie educative; un sistema di delega che la famiglia tende ad utilizzare per far fronte ai bisogni dei figli, con un allentamento dei vincoli di famiglia ed una crescente complessità dello scenario di socializzazione extrafamiliare del minore.

E, ancora, si assiste - in linea di tendenza - ad una precoce adultizzazione dei bambini e ad una sostanziale privazione della sua infanzia con l’omologazione del bambino sul modello della vita e delle esigenze dell’adulto; prima del tempo, insomma, si addossano ai bambini responsabilità e decisioni e gli si rivelano tutti i misteri e le "bruttezze" dell’esistenza. Molti fatti e fenomeni in aumento denunciano l’assenza, nella nostra società, di una cultura per l’infanzia e, come ha scritto Spock, se gli orrori che affliggevano l’infanzia (la poliomielite, la difterite, le malattie infettive) sono stati debellati ne sono spuntati tantissimi altri, se lo spettro per l’infanzia erano le malattie oggi lo spettro è sociopolitico e più difficile da guarire.

9 . CONCLUSIONI

Sono anche questi i costi umani ed esistenziali delle società complesse; nelle pieghe del benessere generalizzato e diffuso si nascondono le vecchie e le nuove povertà, tutte le povertà all’interno della povertà. Violenze ed abusi sui bambini anche tra le pareti domestiche (fenomeno in aumento in tutti i Paesi europei)

10. Minori costretti a lavorare per poche lire: 250 milioni di bambini ed adolescenti nel mondo, sfruttati nella fabbricazione dei tappeti, nelle industrie, nei cantieri-

11. Nel mondo, cento milioni di bambini di strada, i figli di nessuno, senza famiglia e senza casa. Nel sud del pianeta, centinaia di milioni di persone che lavorano in condizioni spaventose ed inumane per alimentare i profitti di una minoranza che, attraverso le multinazionali, sfrutta sistematicamente risorse umane e naturali; una lobby che corre a fare affari lì dove la manodopera costa meno ed il guadagno è più alto.

Abbiamo di fronte a noi gli esiti devastanti del "fondamentalismo liberista"- quelli magistralmente descritti da Martin e Schumann nel volume significativamente intitolato "La trappola della globalizzazione" - la scomparsa del ceto medio, la crescita della povertà, lo sfruttamento della forza lavoro a bassissimi costi nel Terzo e nel Quarto mondo

12. Il sistema economico liberista e l’applicazione di modelli capitalistici, con la mondializzazione e lo sfruttamento del lavoro, sono alla radice delle disparità economiche e sociali; sono queste logiche di profitto ad allargare la forbice della povertà, tra il Nord ed il Sud del pianeta, tra il Nord ed il Sud dell’Europa, tra il Nord ed il Sud dell’Italia.
La cultura post-bellica con i suoi miti liberali ottocenteschi e quella post-moderna con i suoi miti tecnologici dimostrano le loro debolezze e svelano le loro contraddizioni; sono scomparsi i lavori di vecchio tipo e non sono arrivati lavori di tipo nuovo in misura proporzionata alla domanda; bisogna creare lavoro in aree e settori dimenticati o trascurati: l’artigianato, la piccola e media impresa; il patrimonio dei Beni Culturali; il patrimonio ambientale; i servizi sociali.

Il terzo millennio ci lancia sfide epocali! Per dare risposte ai nuovi bisogni ed ai conflitti scatenati dai sistemi neoliberisti è necessario rafforzare la concezione comunitaria del vivere; rifondare lo stato sociale e celebrare un patto di solidarietà con le fasce più deboli ed i gruppi svantaggiati e vulnerabili; bisogna ritessere la trama smagliata della comunità nazionale (che diventa sempre più società e sempre meno popolo); bisogna ricomporre il tessuto sociale e reagire al livellamento delle identità (nazionale, culturale e spirituale) difendendo le specificità dal rullo compressore dell'omologazione e della globalizzazione.

Ma non basta! La comunità nazionale, con la sua identità di popolo, deve inserirsi in un quadro superiore di internazionalità: l’Europa. Il quadro di riferimento è e resta l’identità culturale dell’Europa, identità che viene da lontano; erede del pensiero greco, delle istituzioni romane, della fede cristiana, dello spirito celtico, di quello germanico e molto altro ancora

13 . Si guardi all’Europa che affonda le sue radici culturali nelle idee di Celine, di Brasillach, di Codreanu, di Degrelle, di Drieu la Rochelle, di Junger, di Nietzsche, di D'annunzio, di Marinetti; pensatori europei che hanno pensato all’europea! Si guardi all'Europa dei popoli e delle piccole patrie, delle cattedrali gotiche, delle tradizioni millenarie, degli Imperi (non delle monarchie!); non si guardi all'Europa dei mercanti, dei mercati, degli ipermercati, dei listini di borsa e delle multinazionali, dei fast-food e delle soap-opera, insomma, l’Europa del mondialismo finanziario e del liberalcapitalismo.

L’Europa deve diventare una forza in grado di prendere decisioni e di agire sullo scenario mondiale; si deve rafforzare l’europeizzazione della società civile per competere con l’America e con l’Asia.L’Europa sta crescendo nel numero dei suoi componenti ed in tutti gli aspetti quantitativi ma non riesce a decollare come gigante politico perché non riesce ad avere un’anima ed uno spirito. Per edificare non l’Europa dell’euro ma quella dei valori, l’Europa degli Europei, ci vogliono indicazioni precise, linee di vetta - che abbiano, per dirla con Sorel, la forza evocatrice del mito e del rito - e simboli agiti.

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Riferimenti -
Bibliografia
1 Cfr. La relazione finale, "Povertà 3", elaborata dalla Commissione europea per gli affari sociali e l’occupazione, sull’attuazione del Programma Comunitario per l’integrazione economica e sociale dei gruppi meno favoriti
2 ISTAT, Rapporto sull’Italia, Il Mulino, Bologna, 1996.

3 Al riguardo cfr. AA.VV., Matrimonio e figli: tra rinvio e rinuncia. Seconda indagine nazionale sulla fecondità., Il Mulino, Bologna, 1997.
4 Il Rapporto ISTAT specifica che "Il lieve miglioramento osservato per l’occupazione nella media del 1996 deriva da decisioni di espansione della base occupazionale operate dalle imprese a cavallo tra il 1995 e il 1996, mentre nei mesi più recenti è tornato a prevalere un orientamento sostanzialmente negativo verso la creazione di nuove posizioni lavorative".

5 I tassi di disoccupazione tra i due sessi sono molto distanti nonostante che le donne abbiano statisticamente più successo dei loro coetanei negli studi (sono diplomati il 63% delle ragazze e il 55,8% dei ragazzi; su 100 iscritti all’università, dopo 6 anni, si sono laureati il 38,2% delle donne ed il 33,1% degli uomini); inoltre, le donne investono di più in cultura ed emergono come segmento costantemente in crescita nel mercato del lavoro.

6 Il 92% di coloro che conseguono la licenza media si iscrive alla scuola superiore, ma uno su quattro abbandona successivamente; il 68% dei diplomati della scuola superiore si iscrive all’università ma, a sei anni di distanza, soltanto uno su tre consegue la laurea. Il 4,7% lascia la scuola senza aver conseguito la licenza media.

7 F. Cardini, Il valore della vita e il primato dell’economia, in Millennio, anno I, n.5, settembre 1997, pp. 3-6.

8 Cfr. Chriis De Stoop, Trafficanti di donne, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1997.

9 Benjamin Spock, Pocket book of baby and chil care, N.Y., p. e. 1946.
10 Questa realtà sommersa è diventata oggetto di studio e di indagine come dimostrano i convegni internazionali più recenti svoltisi sul tema a Marsiglia (marzo 1994), a Roma (febbraio 1995 ed ottobre 1996) ed a Minsk (dicembre 1996); il quadro emerso è quello di un fenomeno diffuso nelle società occidentali, ai danni di donne e bambini, che si consuma non tanto nelle cosiddette famiglie a rischio, che vivono in condizioni di degrado e di emarginazione, quanto in quelle insospettabili, con un livello culturale ed economico medio-alto.

11 In America ogni 5 giorni un bambino muore sul lavoro (70 bambini all’anno) e 200mila infortuni l’anno (un terzo dei quali causa menomazioni fisiche permanenti) riguardano bambini che svolgono mansioni proibite dalle leggi federali (fonte: National Institute for Occupational Safety and Heallth).

12 H. P. Martini - H. Schumann, La trappola della globalizzazione, Edizioni Raetia, Bolzano, 1997. Cfr. anche G. Ritzer, Il mondo alla McDonald’s, Il Mulino, Bologna, 1997.

13 Cfr. P. Poupard (a cura di), L’identità culturale dell’Europa, Piemme, Casale Monferrato (Al), 1994.


ISABELLA RAUTI


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