RIVOLUZIONE FRANCESE

  LOCKE - VOLTAIRE - DIDEROT - ROUSSEAU - MORELLY - PAINE - KANT 

ILLUMINISMO 
E  RIVOLUZIONE

Il grande fenomeno dell'Illuminismo, in tutta la sua varia e vasta composizione, è stata una rivoluzione culturale che ha aperto la via alla rivoluzione politico-sociale rappresentata soprattutto dalla Rivoluzione Francese. Tutta questa grande rivoluzione culturale è l'antefatto della rivoluzione.

Non dimentichiamo che la Rivoluzione Francese ha tratto ispirazione profonda dall'antagonista drammatico del razionalismo dei philosophes, ovvero da Jean Jacques Rousseau, con la sua esaltazione del sentimento, con la sua critica dei risultati della civiltà, con la sua drammatica vicenda spirituale, il suo doloroso pellegrinaggio che si chiuderà poi nelle meditazioni di un Promeneur solitarie, nella ricerca, già romantica, della solitudine.

Nella Rivoluzione Francese è viva, è vera, è valida la componente che potremmo chiamare enciclopedistica, la componente che deriva dalla grande impostazione razionalistica delle lumières, ma è viva anche la componente roussoviana. Soprattutto nelle ali più schiettamente democratiche e socialmente più avanzate della Rivoluzione Francese, è la voce di Rousseau che ci riecheggia.
(SU ROUSSEAU VEDI PAGINE SUL "CONTRATTO SOCIALE")

All'alba di tutti i movimenti rivoluzionari del '700 c'è la Rivoluzione Liberale Inglese del 1688; vi è questa rivoluzione la cui filosofia è tracciata da John Locke nei memorandi Due trattati sul governo e nell'Epistola sulla tolleranza che sono - potremmo dire - i classici che segnano l'inizio del nostro pensiero liberale, dell'idea di tolleranza religiosa, che diventano carne e sangue della nostra civiltà moderna. Questi punti non vanno dimenticati: la Rivoluzione inglese e il pensiero lockiano.

È da tenere sempre presente che la Rivoluzione Francese è momento fondamentale di una ondata di rivoluzioni democratiche che abbraccia la Rivoluzione Americana da una parte e una serie di movimenti, in genere falliti ma da non scordare, a Ginevra, nel Belgio, in Irlanda, in Olanda. C'è una serie di movimenti rivoluzionari che tentano di affermare la volontà del popolo al di sopra di quella del sovrano.

Uno dei personaggi che hanno partecipato alle Rivoluzioni Americana e Francese è Tom Paine: Tom Paine è un personaggio interessante! È un inglese figlio di quaccheri, e quindi proviene dalla lunga esperienza secolare del non conformismo, della rivolta - motivata religiosamente - contro i potenti, contro l'unione chiesa-Stato, contro l'unione corona-aristocrazia.
Tom Paine arriva in America quando si inizia la rivoluzione e dà agli americani la coscienza del valore universale del loro movimento, purché essi decidano chiaramente per l'indipendenza, la soppressione della monarchia e l'instaurazione di una Repubblica democratica.
Tom Paine era un eccezionale pubblicista. Il suo opuscolo Common Sense - il Senso Comune - ebbe un successo enorme: senso comune voleva dire che gli americani dovevano chiaramente sposare la causa della Repubblica, della democrazia, e farla finita con i re e con gli aristocratici. 

Dopo avere così partecipato alla rivoluzione americana, quando la rivoluzione americana ha cominciato a solidificarsi con la Costituzione (che ancora oggi è in vigore) e con l'avvento alla presidenza di Washington, per Tom Paine sono cominciati momenti abbastanza difficili, perché il suo radicalismo democratico andava poco d'accordo con la ricerca della rispettabilità, quale era rappresentata dalla presidenza di Washington: una rispettabilità compunta fondata sul possesso terriero che non andava bene con il radicalismo democratico di Paine. 

Paine ritorna in Inghilterra e interviene nel memorabile dibattito intorno alla ideale Rivoluzione Francese. È il momento in cui anche sul piano teoretico si disputa se bisogna accettare la Rivoluzione Francese, che distrugge tutto il passato - distrugge la corona, distrugge l'aristocrazia e rinnova tutto su piani razionali, sulla base dei diritti dell'uomo - oppure se questo è un sogno, un'astrattezza, un volere calare soluzioni prefabbricate addosso agli uomini e non è viceversa da opporre alla violenza rivoluzionaria l'ideale di uno Stato organico.

Paine risponde con I Diritti dell'Uomo, che è una difesa della rivoluzione: va in Francia, dove sarà eletto deputato alla Convenzione Nazionale benché straniero e dove però incorre nel carcere perché simpatizzante per i girondini e quindi divenuto sospetto ai giacobini.
Oltre ad avere scritto la prima parte dei Diritti dell'Uomo, Paine scrive una seconda parte dei Diritti dell'Uomo che, per la nostra sensibilità moderna, è affascinante, perché è un programma socialista. Paine era un meraviglioso giornalista, veramente un mago del giornalismo, e quindi queste sue idee sono state riprodotte a centinaia di migliaia di esemplari e hanno veramente nutrito il proletariato inglese - nella sua durissima vita, nella sua durissima ascesa durante la rivoluzione industriale - di idee evolute, moderne.

Il rapporto di Robespierre con il pensiero di Rousseau si basa sul concetto della democrazia roussoviana e sulla convinzione profonda che vi è un rapporto inscindibile tra politica e moralità: l'avvento della Repubblica deve essere anche l'avvento di un mondo di valori morali, che l'incorruttibile Robespierre intende attuare anche - e purtroppo - con il metodo del Terrore.

L'importanza della corrente giacobina nella Rivoluzione Francese è quella di avere affermato una difesa ad oltranza della Rivoluzione contro tutti i suoi nemici interni ed esterni: avere attuato questa difesa con drastica volontà ed essere riusciti a trionfare del momento più grave, nel 1793, quando lo straniero preme da tutte le parti, quando la Vandea è in fiamme, quando in una quantità di dipartimenti infuria la ribellione di stampo federalista ed arrivano gli inglesi a Tolone. 

I giacobini, i montagnardi, Robespierre, Saint-Just, sono quelli che tengono ferma la Francia sulla posizione rivoluzionaria e riescono a difendere la Rivoluzione davanti a tutta l'Europa. I giacobini sono anche fautori di una politica di centralismo, che viene attuata con una sorta di dittatura della Convenzione Nazionale, con l'invio di rappresentanti in missione della Convenzione nei dipartimenti insorti presso gli eserciti per far sentire con pugno di ferro la presenza immediata.
Si può tuttavia dire che c'è un punto in cui trovo una profonda incertezza nella politica robespierrista: nel rapporto con le esigenze di sopravvivenza fisica delle masse parigine flagellate dal carovita. Robespierre sarebbe convinto della forza della natura, e quindi sarebbe contrario ad interventi come il “calmiere” o le “requisizioni”, che venivano richieste da parte delle frange più estreme di sinistra, gli arrabbiati.

Ad un certo punto anche Robespierre ha finito per adottare queste misure di salvezza, di salute pubblica, anche nel campo economico. Però le adottò senza che alle sue spalle vi fosse un maturo disegno economico, improvvisando in modo tale che alla lunga le stesse masse popolari sono rimaste disgustate dalla politica di Robespierre e, quando è arrivato il momento della reazione termidorista, non si sono sollevate per salvare Robespierre dalla ghigliottina.
Robespierre aveva adottato il criterio del maximum, del "calmiere" che avrebbe dovuto essere posto tanto sopra il costo dei generi alimentari quanto sui salari dei lavoratori. Ma a quanto pare fu applicato sui salari ma non sui prezzi che ricomparivano al mercato nero, come sempre accade. Di qui nacque un senso di disillusione, di frustrazione profonda. 

La partita era estremamente difficile: Robespierre non poteva dimenticare che al di là delle masse affamate cittadine c'erano le masse contadine che avevano tutt'altri interessi e tutt'altre aspirazioni (vendere più caro possibile i generi alimentari da loro prodotti). Forse vi è stato un ritardo, un'arretratezza anche culturale nell'affrontare i tragici, difficilissimi problemi economici. Credo che questo sia stato il tallone di Achille della sinistra giacobina.

 Il Cercle Sociale, con i periodici condiretti da Nicolàs de Bonneville tra cui La bouche de fer, “La bocca di ferro” e l'eloquenza prestigiosa del prete Fouchet, che diventerà poi vescovo costituzionale, certamente rappresenta un nucleo di agitazione politica che non è semplicemente democratica ma che per un momento almeno, attorno al 1791, ha preso chiaramente di mira il problema della povertà, della miseria, e con esso si è occupato anche di questioni come l'istruzione popolare e - cosa da non trascurare - l'emancipazione femminile. 

Proprio il Cercle Sociale mette avanti con vigore particolare il problema dei rapporti uomo-donna, della posizione della donna nella società. Quindi anche se si tratta di un gruppo che ha avuto una sorte negativa, non può essere dimenticato; sorte negativa perché i suoi rapporti di cordialità, di amicizia, anche personali, con gli esponenti del partito girondino fecero sì che anche gli uomini del Cercle Sociale fossero travolti nella sventura generale dei girondini. Direi che essi sono tra coloro che hanno preso maggiormente sul serio il messaggio di Rousseau, soprattutto nella sua critica della società apparentemente luccicante ma in realtà intrisa di miserie; in questo senso meritano un'attenzione forse maggiore di quella che non sia stata loro finora tributata.

Modernità e rivoluzione.

Gli autori che ora nuovamente citiamo, per quanto siano tutti fieramente avversi all' Ancien Regime, non tutti possono definirsi moderni e, a volte, alcuni di loro sono consapevolmente contrari ad alcuni aspetti della modernità. Lo studio dei processi di modernizzazione è uno fra i temi di indagine più rilevanti della storiografia contemporanea.
Per modernizzazione si intende il processo attraverso il quale una formazione sociale acquista globalmente le caratteristiche delle cosiddette moderne società industriali. In linea di massima si può affermare che il processo di modernizzazione di una società consiste nel progressivo affrancamento della maggior parte dei suoi membri da vincoli considerati tipici delle società tradizionali, quali la miseria materiale, l'ignoranza, le malattie che vi sono connesse e talvolta anche l'oppressione politica.

Uno dei padri del liberalismo e tra i precursori di quelle idee che con la rivoluzione francese hanno portato alla concezione dello Stato moderno è proprio il filosofo francese Montesquieu, sebbene l'illustre filosofo riteneva "non sempre desiderabile l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattasse quasi sempre meglio alle istituzioni moderate piuttosto che a quelle estreme." Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente" : partendo da questa considerazione Montesquieu (1689-1755) traccia, nel libro XI de Lo spirito delle leggi (1748), la  teoria della separazione dei poteri, analizzando in particolare il modello costituzionale inglese (cap. VI).

Tale teoria, già espressa da Locke nei suoi Trattati sul governo, divenne, grazie all'opera di Montesquieu, una delle pietre angolari di tutte le costituzioni degli stati sorti dopo il 1789. "Non vi è parola che abbia ricevuto, maggior numero di significati diversi, e che abbia colpito la mente in tante maniere come quella di libertà. Gli uni l'hanno intesa come la felicità di deporre colui a cui avevano conferito un potere tirannico; gli altri, come la facoltà di eleggere quelli a cui dovevano obbedire; altri ancora, come il diritto di essere armati e di poter esercitare la violenza; altri infine come il privilegio di non essere governati che da un uomo della propria nazione, o dalle proprie leggi. Un certo popolo ha preso per molto tempo la libertà per l'uso di portare una lunga barba. Alcuni hanno dato questo nome a una forma di governo e ne hanno escluso le altre. Coloro che avevano gradito il governo repubblicano, l'hanno messa nella repubblica; quelli che avevano goduto del governo monarchico, nella monarchia [...]. 

Infine, siccome nella democrazia sembra che il popolo faccia più o meno quello che vuole, la libertà è stata collocata in questo genere di governo, e si è confuso il potere del popolo con la libertà del popolo. E' vero che nelle democrazie sembra che il popolo faccia ciò che vuole; ma la libertà politica non consiste affatto nel fare ciò che si vuole.
In uno Stato, vale a dire in una società dove ci sono delle leggi, la libertà può consistere soltanto nel poter fare ciò che si deve volere, e nel non essere costretti a fare ciò che non si deve volere. Bisogna fissarsi bene nella mente che cosa è l'indipendenza, e che cosa è la libertà.
La libertà è il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono; e se un cittadino potesse fare quello che esse proibiscono, non vi sarebbe più libertà, perché tutti gli altri avrebbero del pari questo potere.

La democrazia e l'aristocrazia non sono Stati liberi per loro natura. La libertà politica non si trova che nei governi moderati. Tuttavia non sempre è negli Stati moderati; vi è soltanto quando non si abusa del potere; ma è una esperienza eterna che qualunque uomo che ha un certo potere è portato ad abusarne; va avanti finché trova dei limiti. Chi lo direbbe! Perfino la virtù ha bisogno di limiti. Perché non si possa abusare del potere bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere arresti il potere. Una costituzione può esser tale che nessuno sia costretto a fare le cose alle quali la legge non lo obbliga, e a non fare quello che la legge permette [...].

 In ogni Stato vi sono tre generi di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono  dal diritto delle genti, e il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile. In forza del primo, il principe, o il magistrato, fa le leggi per un certo tempo o per sempre, e corregge o abroga quelle che sono già state fatte. In forza del secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve ambasciate, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In forza dei terzo, punisce i delitti o giudica le controversie dei privati. Chiameremo quest'ultimo il potere giudiziario, e l'altro semplicemente il potere esecutivo dello Stato. 

La libertà politica per un cittadino consiste in quella tranquillità di spirito che proviene dall'opinione che ciascuno ha della propria sicurezza; e perché si abbia questa libertà, bisogna che il governo sia tale che un cittadino non possa temere un altro cittadino. Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libértà, poiché si può temere che lo stesso monarca, o lo stesso senato, facciano leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente. Non vi è nemmeno libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e dall'esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: infatti il giudice sarebbe legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati [...]. 

Il potere giudiziario non dev'essere affidato a un senato permanente, ma dev'essere esercitato da persone tratte dal grosso del popolo, in dati tempi dell'anno, nella maniera prescritta dalla legge, per formare un tribunale che duri soltanto quanto lo richiede la necessità. In tal modo il potere giudiziario, così terribile fra gli uomini, non essendo legato né a un certo stato né a una certa professione, diventa, per così dire, invisibile e nullo. Non si hanno continuamente dei giudici davanti agli occhi, e si teme la magistratura e non i magistrati. Bisogna inoltre che, nelle accuse gravi, il colpevole, d'accordo con le leggi, si scelga i giudici; o per lo meno che possa rifiutarne un numero tale che quelli che rimangono siano reputati essere di sua scelta. Gli altri due poteri potrebbero esser conferiti piuttosto a magistrati o ad organismi permanenti, poiché non vengono esercitati nei riguardi di alcun privato: non essendo, l'uno, che la volontà generale dello Stato, e l'altro che l'esecuzione di questa volontà. Ma se i tribunali non devono essere fissi, i giudizi devono esserlo a un punto tale da costituire sempre un preciso testo di legge. Se fossero una opinione particolare del giudice, si vivrebbe nella società senza conoscere esattamente gli impegni che vi si contraggono [...]. 

Poiché, in uno Stato libero, qualunque individuo che si presume abbia lo spirito libero deve governarsi da se medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé . Si conoscono molto meglio i bisogni della propria città che quelli delle altre città, e si giudica meglio la capacità dei propri vicini che quella degli altri compatrioti.
Non bisogna dunque, che i membri del corpo legislativo siano tratti in generale dal corpo della nazione, ma conviene che in ogni luogo principale gli abitanti si scelgano un rappresentante. Il grande vantaggio dei rappresentanti è che sono capaci di discutere gli affari. Il popolo non vi è per nulla adatto, il che costituisce uno dei grandi inconvenienti della democrazia. Non è necessario che i rappresentanti, che hanno ricevuto da chi li ha scelti una istruzione generale, ne ricevano una particolare su ciascun affare, come si pratica nelle diete della Germania. E' vero che, in tal modo, la parola dei deputati sarebbe più diretta espressione della voce nazionale; ma farebbe incappare in lungaggini infinite, renderebbe ogni deputato padrone di tutti gli altri, e, nei casi più urgenti, tutta la forza della nazione potrebbe essere arrestata da un capriccio [...]. 

Tutti i cittadini, nei vari distretti, devono avere il diritto di dare il loro voto per scegliere il rappresentante, eccetto quelli che sono in uno stato di inferiorità tale da esser reputati privi di volontà propria. La maggior parte delle antiche repubbliche aveva un grave difetto: il popolo, cioè, deteneva il diritto di prendervi delle risoluzioni attive, che comportano una certa esecuzione, cosa di cui è completamente incapace. Esso non deve entrare nel governo che per scegliere i propri rappresentanti, il che è pienamente alla sua portata. Infatti, se poche sono le persone che conoscono l'esatto grado di capacità degli uormni, ciascuno tuttavia è in grado di sapere, in generale, se colui che sceglie è più illuminato della maggior parte degli altri [...]. 

Il potere legislativo verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo, ciascuno dei quali avrà le proprie assemblee e le proprie deliberazioni a parte, e vedute e interessi distinti. Dei tre poteri di cui abbiamo parlato, quello giudiziario è in qualche senso nullo. Non ne restano che due; e siccome hanno bisogno di un potere regolatore per temperarli, la parte del corpo legislativo composta di nobili è adattissima a produrre questo effetto [...]. 

Il potere esecutivo deve essere nelle mani d'un monarca perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d'una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi; mentre ciò che dipende dal potere legislativo è spesso ordinato meglio da parecchi anziché da uno solo. Infatti, se non vi fosse monarca, e il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di persone tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe piú libertà, perché i due poteri sarebbero uniti, le stesse persone avendo talvolta parte, e sempre potendola avere, nell'uno e nell'altro. Se il corpo legislativo rimanesse per un tempo considerevole senza riunirsi, non vi sarebbe più libertà. Infatti vi si verificherebbe l'una cosa o l'altra: o non vi sarebbero più risoluzioni legislative, e lo Stato cadrebbe nell'anarchia; o queste risoluzioni verrebbero prese dal potere esecutivo, il quale diventerebbe assoluto [...]. 

Se il corpo legislativo fosse riunito in permanenza, potrebbe capitare che non si facesse che sostituire nuovi deputati a quelli che muoiono; e in questo caso, una volta che il corpo legislativo fosse corrotto, il male sarebbe senza rimedio. Quando diversi corpi legislativi si susseguono gli uni agli altri, il popolo, che ha cattiva opinione del corpo legislativo attuale, trasferisce, con ragione, le proprie speranze su quello che succederà. Ma se si trattasse sempre dello stesso corpo, il popolo, una volta vistolo corrotto, non spererebbe più niente dalle sue leggi, s'infurierebbe o cadrebbe nell'apatia [...].  

Il potere esecutivo, come dicemmo, deve prender parte alla legislazione con la sua facoltà d'impedire, senza dí che in breve sarebbe spogliato delle sue prerogative. Ma se il potere legislativo prende parte all'esecuzione, il potere esecutivo sarà ugualmente perduto. Se il monarca prendesse parte alla legislazione con la facoltà di statuire, non vi sarebbe più libertà. Ma siccome è necessario che abbia parte nella legislazione per difendersi, bisogna che vi partecipi con la sua facoltà d'impedire. La causa del cambiamento del governo a Romaa fu che il senato, il quale aveva una parte del potere esecutivo, e i magistrati, i quali avevano l'altra, non avevano, come il popolo, la facoltà d'impedire. Ecco dunque la costituzione fondamentale del governo di cui stiamo parlando. Il corpo legislativo essendo composto di due parti, l'una terrà legata l'altra con la mutua facoltà d'impedire. Tutte e due saranno vincolate dal potere esecutivo, che lo sarà a sua volta da quello legislativo. Questi tre poteri dovrebbero rimanere in stato di riposo, o di inazione. Ma siccome, per il necessario movimento delle cose, sono costretti ad andare avanti, saranno costretti ad andare avanti di concerto [...]. 

Siccome tutte le cose umane hanno una fine, lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. Roma, Sparta e Cartagine sono pur perite. Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo. Non sta a me di esaminare se gli Inglesi godono attualmente di questa libertà, o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più. Non pretendo con ciò di avvilire gli altri governi, né dichiarare che questa libertà politica estrema debba mortificare quelli che ne hanno soltanto una moderata.
Come potrei dirlo io, che credo che non sia sempre desiderabile nemmeno l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattino quasi sempre meglio alle istituzioni di mezzo che a quelle estreme?)
(Montesquieu traccia, nel libro XI de Lo spirito delle leggi (1748)


VOLTAIRE

Anche Voltaire è ritenuto uno dei massimi artefici della caduta dell'Ancien Regime e dell'avvento dei nuovi tempi con il loro messaggio di libertà e di riconoscimento della dignità umana. In ciò, e non in sentimenti rivoluzionari che non nutrì mai (!?), consiste la modernità di questo filosofo, arricchita dalla novità dell'impegno civile, del coraggio e del vigore polemico dell'uomo di lettere, ignorati prima di lui.
Salvo uno!...Che Voltaire scoprirà più tardi...è... ....Jean Meslier che nel suo singolare Testamento lancia l'appello più violento, forte e disperato in favore di una rivoluzione incitando il popolo ad unirsi per scuotere il giogo tirannico dei principi e dei re. Per questo oscuro curato di campagna la salvezza del popolo non dipende che dal popolo stesso.
(scoprendolo e diffondendolo, Voltaire non è poi tanto innocente dell'"incendio")
Jean Meslier, prete di campagna, si annovera tra i più radicali critici dello stato medioevale già nei primi decenni del 1700, é quasi un simbolo delle contraddizioni ormai insanabili dell'organizzazione sociale del tempo. Egli stesso, infatti, apparteneva al Clero che era uno dei ceti titolari di quei privilegi feudali oggetto delle denunce dei filosofi illuministi. Nel testamento da lui scritto nel 1729 si possono ritrovare analisi ed esortazioni che già prefigurano parole d'ordine della Rivoluzione Francese e delle analisi degli scrittori comunisti durante la Rivoluzioni Industriale.
Disincantato e sorprendente il giudizio che lui, prete, da' della religione : "......tutte le religioni del mondo sono, ......nient'altro che invenzioni umane, e che tutto ciò ch'esse ci insegnano, e ci obbligano a credere, è soltanto errore, illusione, menzogna, impostura". (non troviamo qui un passo di Voltaire?)

E più avanti, quasi ad anticipare C. Marx, Jean Meslier - LO LEGGEREMO IN UNA PROSSIMA PAGINA) afferma :" ...questo ammasso di religioni e di leggi politiche non era che un cumulo di misteri di iniquità ...e proprio con quel mezzo che i Vostri preti vi tengono miseramente schiavi...e con questo odioso mezzo che i principi e i potenti della Terra vi derubano, vi calpestano, vi opprimono, vi distruggono, vi tiranneggiano col pretesto di governarvi e di mantenere il bene pubblico . Risulta chiara la denuncia del ruolo del Clero nel mantenere i privilegi dei nobili attraverso l'uso politico della religione. Ma è lo Stato nel suo complesso che viene criticato quale insieme di istituzioni organizzate per assicurare gli interessi della nobiltà : Non si vedono più ormai, fra coloro che detengono le più alte cariche dello Stato se non meschini adulatori pronti ad approvare i loro turpi disegni ad inseguirne gli ingiusti ordini e le ancor più ingiuste ordinanze. Tali sono nella nostra Francia i giudici e i magistrati del Regno...i quali sono capaci solo di giudicare le cause private e di sottoscrivere ciecamente tutte le ordinanze dei loro Re che non oserebbero contrastare".

La denuncia continua nei confronti dell'intera organizzazione amministrativa del Regno Francese:
".... intendenti delle Province, governatori delle città, comandanti militari, ufficiali, soldati che non servono che a sostenere l'autorità del tiranno. Impiegati, controllori, gabellieri, sbirri, guardie, ufficiali giudiziari che come lupi affamati mirano soltanto a divorare la preda, saccheggiando e tiranneggiando il popolo oppresso avvalendosi del nome e dell'autorità del Re."
"La burocrazia del regno creata per sfruttare il popolo, come la nobiltà, corrotta, usa le leggi per opprimere il popolo in nome del Re ricavandone anche direttamente privilegi economici".

Questa lucida analisi dell'organizzazione statale, seppur semplice nell'esposizione, prefigura quella che sarà effettuata, in un modo assai più articolato, da Montesquieu ne Lo spirito delle leggi che sta a fondamento della separazione dei poteri. 
Dopo la denuncia, Meslier nel suo testamento, passa a richiamare il popolo alla ribellione. "Il popolo, se unito,  potrà sconfiggere la tirannide: la vostra salvezza è nelle vostre mani, la vostra liberazione dipenderebbe solo da voi se riuscirete a mettervi d'accordo."

Non a torto questo curato di campagna è descritto dai commentatori come ateo e comunista.
Diceva infatti Meslier : "Unitevi dunque uomini se siete saggi unitevi tutti se avete coraggio per liberarvi dalle vostre comuni miserie. E da voi dalla vostra laboriosità, dal vostro lavoro che nasce l'abbondanza di beni e delle ricchezza della Terra.... E' il lavoro dell'uomo che permette di trasformare la natura creando ricchezza che il popolo deve tenere per se: teneteveli per voi e per i vostri simili (i beni prodotti), non date niente a questi superbi e fannulloni."
La necessità dell'unità delle classi più povere viene unita all'esortazione al mutuo soccorso, all'aiutarsi l'un l'altro che prefigura il motto rivoluzionario: Libertà, Uguaglianza e Fratellanza partendo indubbiamente dalle origini della dottrina cristiana che non può che aver, comunque, avuto il suo peso nella formazione intellettuale dell'autore. Così come più avanti si può notare quando si richiama alla necessità di:
"....mantenere viva la giustizia e l'equità ovunque, nel lavorare in pace e nel vivere tutti in una società ordinata, nel mantenere la libertà e, infine, nell'amarvi l'un l'altro... "

(dal testamento da lui scritto nel 1729) 

NOTA BIOGRAFICA :Jean Meslier (1664 - 1729), nato a Mazerny (Champagne), avviato alla carriera ecclesiastica presso il seminario di Reims per compiacere ai suoi genitori, ordinato sacerdote nel 1688, diventa parroco di Etrèpigny, un paesino ai margini delle Ardenne: qui, per quarant'anni traascorre l'oscura esistenza d'un curato di campagna fino a quando non riuscendo ad ottenere giustizia in una lite con un feudatario, preso dalla disperazione decide di uccidersi (lasciandosi morire di fame) dopo aver scritto, in tre copie il suo testamento. Questo incredibile testo, materialista e ateo, comunista e rivoluzionario, è uno dei più violenti atti d'accusa contro l'Ancienne Régime e la religione cristiana (considerata il puntello della tirannide). 

Voltaire, nel 1762 pubblicherà degli estratti dell'opera (tralasciando gli spunti più radicali), rendendo immediatamente famoso questo prete rivoluzionario (anche se le sue idee, non erano poi così molto diverse!).


GABRIEL MORELLY (1717-1778) (anche lui abate, come Meslier) - Questo pensatore francese che interpreta le esigenze di emancipazione del genere umano, filosofo politico-utopistico (che andava collegato alla corrente ideologica più radicale dell'Illuminismo) auspica una nuova società caratterizzata dall'abolizione della proprietà privata, causa di tutti i mali, e dalla realizzazione di una perfetta uguaglianza fra gli uomini.

Morelly scrisse il Codice della Natura.
"Nello stato di natura l'uomo è buono ed esiste la più completa uguaglianza e la comunità dei beni; l'introduzione della proprietà privata ha corrotto i costumi: per far si che ci sia un buon governo si tratta, dunque, di ritornare al codice della natura".
"Io non ho le temerarietà di pretendere di riformare il genere umano; ma abbastanza coraggio per dire la verità, senza preoccuparmi degli schiamazzi di coloro che la temono, perché essi hanno interesse a ingannare la nostra specie, o a lasciarla negli errori di cui sono essi stessi le vittime".


L'autore del celebre Codice d.N., opera che ebbe grande fama per tutto il Settecento e nei primi decenni dell'Ottocento (fu pubblicata a Liegi nel 1755) afferma:
"Ogni lettore di buon senso giudicherà su questo testo, che non ha bisogno di lunghi commenti, da quante miserie le seguenti leggi potrebbero liberar gli uomini.
Leggi fondamentali:
- Nulla apparterrà singolarmente, eccetto le cose di cui si fa uso effettivo per i bisogni e per i piaceri.
- Ogni cittadino sarà persona pubblica mantenuta a spese pubbliche.
- Ogni cittadino contribuirà alla pubblica utilità. Sulla base dell'età e del talento saranno regolati i suoi doveri.
- Leggi economiche - Il popolo sarà suddiviso in famiglie, tribù e città, e se molto numeroso in province affinchè ci sia ordine.
- Ogni tribù avrà un ugual numero di famiglie ed ogni città un ugual numero di tribù....
- Le tribù e le città saranno proporzionali alla popolazione.
- Il numero dieci sarà il termine delle divisioni sociali.
- Per ogni professione ci sarà un numero di operai in proporzione ai lavori faticosi.
- Per regolare le distribuzione dei prodotti, essi saranno divisi in durevoli.Poi si osserverà che ci sono quelli di uso quotidiano e universale, quelli di uso universale ma non continuo e quelli continuamente necessari. Tutti i prodotti saranno sistemati in magazzini pubblici e saranno distribuiti in parti uguali a tutti i cittadini. 
- Ci saranno prodotti che hanno una durata provvisoria: questi saranno distribuiti nelle pubbliche piazze.
- I prodotti di ogni specie saranno numerati e la quantità sarà proporzionale. I prodotti che si conservano saranno distribuiti in pubblico e ciò che avanza sarà accantonato nella riserva.
- Se le provviste venissero a scarseggiare, anche solo per un cittadino, la distribuzione sarà sospesa, cioè i prodotti saranno distribuiti in piccolissima parte.
- Le provviste in eccedenza si aggiungeranno a quelle che mancano o saranno accantonate nella riserva.
- Leggi agrarie - Il territorio sarà unito e regolare ma non in proprietà.
- Se una città si trovasse in un territorio improduttivo le città vicine dovranno fornire i mezzi di sussistenza
- Ogni cittadini dovrà, da i venti e i venticinque anni, esercitare obbligatoriamente l'agricoltura.
- Leggi edili - L'estensione di ogni città sarà uguale.
- I pubblici magazzini e le sale per le pubbliche assemblee saranno erette attorno a una piazza.
- All'esterno della cinta ci saranno i quartieri della città.
- Ogni tribù occuperà un quartiere. Tutti gli edifici saranno uniformi.
- Tutti i quartieri saranno disposti in modo che si possano estendere senza turbare la regolarità.
- Attorno ai quartieri saranno costruiti gli opifici delle professioni meccaniche.
- All'esterno della cinta ci saranno degli edifici adibiti a dimora delle persone impegnate nell'agricoltura.
- Fuori dall'estrema cinta sarà costruito un edificio per i malati.Leggi sulla forma di governo - All'età di cinquant'anni i padri di famiglia saranno senatori e avranno voto decisivo su tutti i regolamenti.
- Gli altri capi di famiglia saranno consultati tempestivamente.
- In ogni tribù, ogni famiglia a turno, darà un capo alla tribù.
- I capi tribù, a turno, saranno capi della città per un anno.
- Ogni città darà a turno un capo alla provincia.
- Ogni provincia darà un capo allo Stato.

Le sue idee influirono molto su Rousseau che scrisse Il Contratto Sociale, considerato senza alcun dubbio il trattato politico-sociale più rivoluzionario dei tempi moderni.
Quest'opera si fonda sul sentimento di libertà e di uguaglianza che è innato in tutti gli uomini. Il pensiero di Rousseau venne attaccato e criticato non solo dal potere politico allora vigente e dalla Chiesa, che scorsero in esso un pericolo per le loro istituzioni, ma anche dagli stessi enciclopedisti che considerarono Rousseau, per la sua polemica antirazionalistica e per la sua rivalutazione ed esaltazione del sentimento, un traditore degli ideali dell'Illuminismo. Ma ciononostante l'influsso esercitato dall'opera di Rousseau su tutta la cultura occidentale fu enorme.

Per quanto riguarda DENIS DIDEROT (1713-1784), emancipatosi dall'ambiente conservatore, piccolo-borghese, monarchico e cattolico, dopo gli anni del soggiorno parigino, divenne ateo e questa sua scelta causò la fine dei suoi rapporti con il fratello abate.
Il suo principio fondamentale...."...la politica non ha per fine di consolidare un potere e di fondare un'obbedienza, ma di assicurare la felicità dei popoli"
....lo spinge a cimentarsi nei suoi scritti con tutti i problemi e le questioni del suo tempo: la rivolta parlamentare e il giansenismo; i rapporti tra Stato e Chiesa e la libertà di stampa; il commercio dei grani e il regime delle imposte; la rappresentanza nazionale e l'assolutismo illuminato. 

Diderot all'inizio della sua colossale impresa enciclopedica compone la voce (Autoritè politique) che incomincia con queste parole "nessun uomo ha ricevuto dalla natura il diritto di comandare gli altri".
Nel 1751 sviluppa la teoria contrattualista nelle voci dedicate a Droit naturel e al Pouvoir, quest'ultima delineerà l'ideale della monarchia moderata così come nel Poissance e Souverains scritte tra il 1755 e il 1765.
Fondamentale è l'amicizia con Rousseau, con un influenza reciproca che ha lasciato traccia in entrambi.
Fino al 1766 Diderot approfondisce le sue convinzioni politiche: dalla teocrazia nata dal terrore di fronte alla natura ostile, al dispotismo in cui il re svolge le funzioni di Dio e di prete, alle antiche democrazie libere ma fragili, alle moderne monarchie costituzionali. 

Secondo Diderot la monarchia promana in linea di diritto e di fatto dal consenso dei popoli, è limitata dalle sue origini costituzionali come dalle leggi naturali, è fondata sulla fiducia e non sulla forza, è vincolata da un contratto tacito il cui scopo è la sicurezza e la felicità di tutti; deve essere tollerante e pacifica, la sua funzione è quella di armonizzare le forze vive della nazione.
Diderot quindi è pienamente schierato contro l'assolutismo illuminato. Nel triennio 1766-69 aderisce alla teoria fisiocratica che abbandonerà sotto la duplice influenza di Grimm e Galiani, infatti nel 1770 Diderot prende coscienza del fatto che libertà assoluta nel commercio è uguale alla libertà di arricchirsi per pochi.
Diderot sulla scia di Galiani si pone alcuni interrogativi; non trova una risposta definitiva, ma, sia predica contro la libertà commerciale che è soltanto uno strumento d'arricchimento borghese, sia considera l'arricchimento dell'artigiano o del commerciante come segno dell'arricchimento e del benessere generali.

Andò oltre questo dualismo forse quando scrisse la frase che lo riallaccia alla corrente della democrazia illuministica: "Sono convinto che non può esserci vera felicità per la specie umana se non in uno Stato sociale ove non vi siano nè re, nè magistrato, nè prete, nè leggi, nè tuo, nè mio, nè proprietà mobiliare, nè proprietà fondiaria, nè vizi, nè virtù" .

Verso la metà del decennio 1760-70 ha un profondo ripensamento verso la monarchia inglese grazie alle frequenti visite al salotto del barone D'Holbach. Infatti di fronte all'assolutismo francese la monarchia costituzionale inglese per gli intellettuali illuministi costituiva l'unico ideale coltivabile. 

Gradualmente Diderot corroderà con la sua critica non solo l'assolutismo illuminato ma anche la sovranità monarchica le Pages contre un tyran del 1770 sono il documento più clamoroso del suo odio verso Federico II di Prussia. Nelle sue opere dedicate alla Russia sviluppa la polemica contro il dispotismo; perfino con la sua benefattrice Caterina II di Russia assume un atteggiamento di distacco critico.
Nelle sue opere russe affronta anche il tema della funzione della violenza costituzionale; questo si ravvisa anche nella seconda e nella terza edizione della Histoire des deux indes di Raynal (tra il 1774 e il 1780) che con la Lettre apologètique a favore dell'abate anticolonialista segna il punto più alto del pensiero politico diderodiano. I suoi continui interventi sull'opera Histoire del Raynal tendono a far emergere la tesi rivoluzionaria della liberazione totale dei negri. 

Il filosofo che dapprima aveva puntato sui ceti illuminati dalla società si rivolge adesso al popolo.
I lettori francesi non potevano non sentire un'appello all'azione in casa loro in un passo come questo: "Se i popoli sono felici sotto il loro governo, lo conserveranno. Se sono infelici sarà l'impossibilità di soffrire ulteriormente che li determinerà a cambiarlo:
la rivolta".

Perciò nel 1780 in un manifesto diderodiano indirizzato agli intellettuali possiamo leggere... "..filosofi, abbiate il coraggio di illuminare i vostri fratelli sollevate nelle loro anime la natura e l'umanità contro il rovesciamento delle leggi sociali".
Infine Diderot afferma la superiorità della storia su ogni altra disciplina umana, come scienza del proprio essere e del proprio destino.

Diderot indignato con l'amico Crimm che aveva attaccato Raynal decide di concludere la sua opera autobiografica scritta nel 1747: "imponetemi il silenzio sulla religione e sul governo e non avrò più niente da dire".

Il ciclo del suo pensiero era completo: attraverso un'eccezionale varietà di interessi era approvato alla più cristallina chiarezza sulla funzione e sui doveri dell'intellettuale impegnato nella società di cui fa parte per contribuire al progresso della ragione e dell'umanità.

Il suo pensiero è il più moderno del suo tempo. Sconfessata la concezione politica dell'Illuminismo, Diderot si stacca dalle idee di Voltaire per avvicinarsi a quelle di Rousseau, in cui l'assolutismo illuminato è addirittura giudicato come il peggiore dei mali, tale da far perdere a chi ad esso si abbandona il sentimento della libertà così indispensabile ad ogni progresso umano e sociale. 
Questa analisi sui processi di modernizzazione durante la Rivoluzione francese ci aiuta, sia pure parzialmente, ad affrontare il problema del rapporto fra rivoluzione e modernità nel Settecento, sostenendo che non sempre chi è rivoluzionario è anche moderno; come non sempre chi è moderno si dichiara propenso alla rivoluzione.

E parlando di rivoluzione si intende non solo l'abbattimento di un ordinamento politico e l'istituzione di uno nuovo, attuati in modo illegale anche perchè questa concezione nel suo formalismo non coglie il contenuto politico-sociale del fatto rivoluzionario, secondo cui una rivoluzione produce una completa ristrutturazione nei rapporti fra le classi e nei valori fondamentali della società che ribalta il sistema economico-sociale precedente fondando un assetto assolutamente nuovo.

In questa concezione rientra pienamente la Rivoluzione francese della quale abbiamo finora discusso.


KANT

CHE COS'E' L'ILLUMINISMO
(Königsberg in Prussia , 30 settembre 1784)


Scrive KANT...
"L' illuminismo é l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità é l' incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! - é dunque il motto dell' illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall' eterodistinzione ( naturaliter maiorennes ), tuttavia rimangono volentieri minorenni per l' intera vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E' tanto comodo essere minorenni ! Se ho un libro che pensa per me,un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purchè io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini ( e con essi tutto il bel sesso ) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltrechè difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l' alta sorveglianza sopra costoro.
Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora questo pericolo non é poi così grande come loro si fa credere , poichè a prezzo di qualche caduta essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo genere rende comunque paurosi e di solito distoglie la gente da ogni ulteriore tentativo.

E' dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui é diventata pressochè una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e attualmente é davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi da essi riuscisse a sciogliersi, non farebbe che un salto malsicuro sia pure sopra i più angusti fossati, poichè non sarebbe allenato a siffatti liberi movimenti.

Quindi solo pochi sono riusciti, con l' educazione del proprio spirito, a districarsi dalla minorità e tuttavia a camminare con passo sicuro. Che invece un pubblico si illumini da sè é cosa maggiormente possibile; e anzi, se gli si lascia la libertà, é quasi inevitabile. In tal caso infatti si troveranno sempre, perfino fra i tutori ufficiali della grande folla, alcuni liberi pensatori che, dopo aver scosso da sè il giogo della tutela, diffonderanno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sè. V' é a riguardo il fenomeno singolare che il pubblico, il quale in un primo tempo é stato posto da costoro sotto quel giogo, li obbliga poi esso stesso a rimanervi, non appena abbiano a ciò istigato quelli tra i suoi tutori che fossero essi stessi incapaci di ogni lume. Seminare pregiudizi é tanto pericoloso, proprio perchè essi finiscono per ricadere sui loro autori o sui predecessori dei loro autori. Perciò il pubblico può giungere al rischiaramento solo lentamente. Forse una rivoluzione potrà sì determinare l' affrancamento da un dispotismo personale e da un' oppressione avida di guadagno o di potere, ma mai una vera riforma del modo di pensare.

Al contrario: nuovi pregiudizi serviranno al pari dei vecchi a mettere le dande alla gran folla di coloro che non pensano. Senonchè a questo rischiaramento non occorre altro che la libertà ; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà , qyella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi . Ma da tutte le parti odo gridare : ma non ragionate ! L' ufficiale dice : non ragionate , ma fate esercitazioni militari ! L' intendente di finanza : non raginate , ma pagate ! L' ecclesiastico : non ragionate , ma credete ! (C' è solo un unico signore al mondo che dice : ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete , ma obbedite !) Qui v' è , dovunque , limitazione della libertà ! Ma quale limitazione è d' ostacolo all' illuminismo , e quale non lo è , anzi lo favorisce ? Io rispondo : il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo , ed esso solo può attuare il rischiaramento tra gli uomini ; invece l' uso privato della ragione può assai di frequente subire strette limitazioni senza che il progresso del rischiaramento ne venga particolarmente ostacolato . Intendo per uso pubblico della propria ragione l' uso che uno ne fa, come studioso , davanti all' intero pubblico dei lettori .

Chiamo invece uso privato della ragione quello che ad un uomo è lecito farne in un certo ufficio o funzione civile di cui egli è investito . Ora per molte operazioni che attengono all' interesse della comunità è necessario un certo meccanismo , per cui alcuni membri di essa devono comportarsi in modo puramente passivo onde mediante un' armonia artificiale il governo induca costoro a concorrere ai fini comuni o almeno a non contrastarli . Qui ovviamente non è consentito ragionare , ma si deve obbedire . Ma in quanto nello stesso tempo questi membri della macchina governativa considerano se stessi come membri di tutta la comunità e anzi della società cosmopolitica , e si trovano quindi nella qualità di studiosi che con gli scritti si rivolgono a un pubblico nel senso proprio della parola , essi possono certamente ragionare senza ledere con ciò l'attività cui sono adibiti come membri parzialmente passivi . Così sarebbe assai pernicioso che un ufficiale , cui fu dato un ordine dal suo superiore, volesse in servizio pubblicamente ragionare sull'opportunità e utilità di questo ordine: egli deve obbedire . Ma è iniquo impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra e di sottoporle al giudizio del suo pubblico . Il cittadino non può rifiutarsi di pagare i tributi che gli sono imposti ; e un biasimo inopportuno di tali imposizioni , quando devono essere da lui eseguite , può anzi venir punito come uno scandalo (poichè potrebbe indurre a disubbidienze generali) .

Tuttavia costui non agisce contro il dovere del cittadino se, come studioso manifesta apertamente il suo pensiero sulla sconvenienza o anche sull' ingiustizia di queste imposizioni . Così un ecclesiastico é tenuto a insegnare il catechismo agli allievi e alla sua comunità religiosa secondo il credo della Chiesa da cui dipende , perchè a questa condizione egli é stato assunto : ma come studioso egli ha piena libertà e anzi il compito di comunicare al pubblico tutti i pensieri che un esame severo e benintenzionato gli ha suggerito circa i difetti di quel credo , nonchè le sue proposte di riforma della religione e della Chiesa . In ciò non v' é nulla di cui la coscienza possa venir incolpata . Ciò che egli insegna in conseguenza del suo ufficio , come funzionario della Chiesa , egli infatti lo espone come qualcosa intorno a cui non ha libertà di insegnare secondo le sue proprie idee , ma che ha il compito di insegnare secondo le istruzioni e nel nome di un altro . Egli dirà : la nostra Chiesa insegna questo e quello , e queste sono le prove di cui essa si vale .

Tutta l' utilità pratica che alla sua comunità religiosa può derivare , egli dunque la ricaverà da principi che egli stesso non sottoscriverebbe con piena convinzione , ma al cui insegnamento può comunque impegnarsi perchè non é affatto impossibile che in essi non si celi qualche velata verità , e in ogni caso , almeno , non si riscontra in essi nulla che contraddica alla religione interiore . Se invece credesse di trovarvi qualcosa che vi contraddica , egli non potrebbe esercitare la sua funzione con coscienza ; dovrebbe dimettersi . L' uso che un insegnante ufficiale fa della propria ragione davanti alla sua comunità religiosa é dunque solo un uso privato ; e ciò perchè quella comunità , per quanto grande sia , é sempre soltanto una riunione domestica ; e sotto questo rapporto egli , come prete , non é libero e non può neppure esserlo , poichè esegue un incarico che gli viene da altri . Invece come studioso che parla con gli scritti al pubblico propriamente detto , cioè al mondo , dunque come ecclesiastico nell' uso pubblico della propria ragione , egli gode di una libertà illimitata di valersi della propria ragione e di parlare in persona propria .

Che i tutori del popolo ( nelle cose spirituali ) debbano a loro volta rimanere sempre minorenni , é un' assurdità che tende a perpetuare le assurdità . Ma una società di ecclesiastici , ad esempio un' assemblea chiesastica o una venerabile "classe" (come essa si autodefinisce presso gli olandesi), avrebbe forse il diritto di obbligarsi per giuramento a un certo credo religioso immutabile , per esercitare in tal modo sopra ciascuno dei suoi membri , e attraverso essi sul popolo , una tutela continua , e addiritura per rendere eterna questa tutela ? Io dico che ciò è affatto impossibile . Un tale contratto , teso a tener lontana l' umanità per sempre da ogni progresso nel rischiaramento , è irrito e nullo in maniera assoluta , foss' anche che a sancirlo siano stati il potere sovrano , le Diete imperiali e i più solenni trattati di pace . Nessuna epoca può collettivamente impegnarsi con giuramento a porre l' epoca successiva in una condizione che la metta nell' impossibilità di estendere le sue conoscenze (soprattutto se tanto necessarie) , di liberarsi dagli errori e in generale di progredire nel rischiaramento . Ciò sarebbe un crimine contro la natura umana , la cui originaria destinazione consiste proprio in questo progredire ; e quindi le generazioni successive sono perfettamente legittimate a respingere quelle convenzioni come non autorizzate ed empie .

La pietra di paragone di tutto ciò che può imporsi come legge a un popolo stà nel quesito se un popolo possa imporre a se stesso una tale legge . Ciò sarebbe sì una cosa possibile , per così dire in attesa di una legge migliore e per un breve tempo determinato , al fine di introdurre un certo ordine , ma purchè nel frattempo si lasci libero ogni cittadino , soprattutto l' uomo di Chiesa , di fare sui difetti dell' istituzione vigente le sue osservazioni pubblicamente , nella sua qualità di studioso , cioè mediante i suoi scritti ; e ciò mentre l'ordinamento costituito resterà pur sempre in vigore fino a che le nuvole vedute in questa materia non abbiano raggiunto nel pubblico tanta diffusione e credito che i cittadini , con l' unione dei loro voti (anche se non di tutti) , siano in grado di presentare al vostro sovrano una proposta tesa a proteggere quelle comunità che fossero d' accordo per un mutamento in meglio della costituzione religiosa secondo le loro idee , e senza pregiudizio per quelle comunità che invece intendessero rimanere nell'antica costituzione . Ma concertarsi per mantenere in vigore , foss' anche per la sola durata della vita di un uomo , una costituzione religiosa immutabile che nessuno possa pubblicamente porre in dubbio , e con ciò annullare per così dire una fase cronologica del cammino dell' umanità verso il suo miglioramento e rendere questa fase sterile e per ciò stesso forse addirittura dannosa alla posterità , e questo non è assolutamente lecito . Un uomo può sì per la propria persona , e anche in tal caso solo per un certo tempo , differire di illuminarsi su ciò che egli stesso è tenuto a sapere ; ma rinunciarvi per sé e più ancora per la posterità , significa violare e calpestare i sacri diritti dell' umanità .

Ora ciò che neppure un popolo può decidere circa se stesso , lo può ancora meno un monarca circa il popolo , infatti il suo prestigio legislativo si fonda precisamente sul fatto che nella sua volontà egli riassume la volontà generale del popolo . Purchè egli badi che ogni vero o presunto miglioramento non contrasti con l' ordinamento civile , egli non può per il resto che lasciare i suoi sudditi liberi di fare quel che credono necessario per la salvezza della loro anima . Cio' non lo riguarda affatto , mentre quel che lo riguarda è di impedire che l' uno ostacoli con la violenza l' altro nell' attività che costui , con tutti i mezzi che sono in suo potere , esercita in vista dei propri fini e per soddisfare le proprie esigenze . Il monarca reca detrimento alla sua stessa maestà se si immischia in queste cose ritenendo che gli scritti nei quali i suoi sudditi mettono in chiaro le loro idee siano passibili di controllo da parte del governo : sia ch' egli faccia ciò invocando il proprio intervento autocratico ed esponendosi al rimprovero che Caesar non est supra grammaticos , sia , e a maggior ragione , se egli abbassa il suo potere supremo tanto da sostenere il dispotismo spirituale di qualche tiranno nel suo Stato contro tutti gli altri suoi sudditi . Se ora si domanda : viviamo noi attualmente in un' età illuminata ? allora la risposta é : no , bensì in un' età di illuminismo .

Che nella situazione attuale gli uomini presi in massa siano già in grado , o anche solo possano essere posti in grado di valersi sicuramente e bene del loro proprio intelletto nelle cose della religione , senza la guida d' altri , é una condizione da cui siamo ancora molto lontani . Ma che ad essi , adesso , sia comunque aperto il campo per lavorare ed emanciparsi verso tale stato , e che gli ostacoli alla diffusione del generale rischiaramento o all' uscita dalla minorità a loro stessi imputabile a poco a poco diminuiscano , di ciò noi abbiamo invece segni evidenti . A tale riguardo quest' età é l' età dell' illuminismo , o il secolo di Federico . Un principe che non crede indegno di sè dire che considera suo dovere non prescrivere nulla agli uomini nelle cose di religione , ma lasciare loro in ciò piena libertà , e che quindi respinge da sè anche il nome orgoglioso della tolleranza , é egli stesso illuminato e merita dal mondo e dalla posterità riconoscenti di esser lodato come colui che per primo emancipò il genere umano dalla minorità , almeno da parte del governo , e lasciò libero ognuno di valersi della sua propria ragione in tutto ciò che é affare di coscienza .

Sotto di lui venerandi ecclesiastici , senza pregiudizio del loro dovere d' ufficio
possono liberamente e pubblicamente, in qualità di studiosi , sottoporre all' esame del mondo i loro giudizi e le loro vedute che qua e là deviano dal credo tradizionale ; e tanto più può farlo chiunque non é limitato da un dovere d' ufficio . Questo spirito di libertà si estende anche verso l' esterno , perfino là dove esso deve lottare contro ostacoli esteriori suscitati da un governo che fraintende se stesso . Il governo infatti ha comunque davanti agli occhi un fulgido esempio che mostra che nulla la pace pubblica e la concordia della comunità hanno da temere dalla libertà . Gli uomini si adoperano da sè per uscire a poco a poco dalla barbarie , purchè non si ricorra ad artificiosi strumenti per mantenerli in essa .

Ho posto particolarmente nelle cose di religione il punto culminante del rischiaramento , cioè dall' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso ; riguardo alle arti e alle scienze , infatti , i nostri reggitori non hanno alcun interesse a esercitare la tutela sopra i loro sudditi . Inoltre la minorità in cose di religione é fra tutte le forme di minorità la più dannosa ed anche la più umiliante . Ma il modo di pensare di un sovrano che favorisce quel tipo di rischiaramento va ancora oltre , poichè egli vede che perfino nei riguardi della legislazione da lui statuita non si corre pericolo a permettere ai sudditi da fare uso pubblico della loro ragione e di esporre pubblicamente al mondo le loro idee sopra un migliore assetto della legislazione stessa , perfino criticando apertamente quella esistente . Abbiamo in ciò un fulgido esempio , e anche in ciò nessun monarca ha superato quello che noi veneriamo .

Ma é pur vero che solo chi , illuminato egli stesso , non ha paura delle ombre e contemporaneamente dispone a garanzia della pubblica pace di un esercito numeroso e ben disciplinato , può enunciare ciò che invece una repubblica non può arrischiarsi a dire : ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete ; solamente obbedite ! Si rivela qui uno strano inatteso corso delle cose umane ; come del resto anche in altri casi , a considerare questo corso in grande , quasi tutto in esso appare paradossale . Un maggiore grado di libertà civile sembra favorevole alla libertà dello spirito del popolo , epperò pone ad essa limiti invalicabili ; un grado minore di libertà civile , al contrario , offre allo spirito lo spazio per svilupparsi con tutte le sue forze . Se dunque la natura ha sviluppato sotto questo duro involucro il germe di cui essa prende la più tenera cura , cioè la tendenza e vocazione al libero pensiero , questa tendenza e vocazione gradualmente reagisce sul modo di sentire del popolo ( per cui questo , a poco a poco , diventa sempre più capace della libertà di agire ) , e alla fine addirittura sui principi del governo il quale trova che é nel proprio vantaggio trattare l' uomo , che ormai é più che una macchina , in modo conforme alla di lui dignità" -
Kant - Königsberg in Prussia , 30 settembre 1784

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