RIVOLUZIONE FRANCESE

21 settembre 1792
LA CADUTA DELLA MONARCHIA

La Reggia delle Tuileries è invasa dalla folla, il Sovrano è costretto a richiamare al Governo i Girondini, mentre l'Assemblea Legislativa dichiara la Patria in pericolo e rivolge al paese un appello per una grande leva di volontari


Gli ufficiali aristocratici non avevano alcuna voglia di battersi per la Rivoluzione ed abbandonavano i loro posti, i soldati si sbandavano o disertavano, le fortezze capitolavano davanti al nemico, mentre l'Imperatore riusciva senza grossi problemi a concludere un'alleanza con il Re di Prussia contro la Francia.
Solo la necessità di sorvegliare contemporaneamente la situazione della Polonia, impedente l'impegno profondo degli Austro-Prussiani, salvò in quei giorni la Francia dal disastro. Ma i rovesci militari bastarono ugualmente a gettare nel panico il Paese ed a diffondere il sospetto di tradimento da parte del Re.

Sempre più attanagliato fra le sconfitte da una parte e gli intrighi della Corte dall'altra, il Ministero Roland presentò allora a Luigi XVI tre decreti, contemplanti lo scioglimento della Guardia Reale, composta di elementi dell'Aristocrazia, le deportazione dei Preti refrattari, sospetti di fare propaganda disfattista e la creazione di un campo trincerato di 20.000 volontari sotto Parigi, col proposito ufficiale di difendere la città dall'avanzata nemica e quello tacito di intimidire la Corte.
Il Re allora oppose il proprio veto agli ultimi due decreti, sciolse il Ministero Girondino e richiamò al Governo i Foglianti.

Ma chi ancora risolse la situazione in senso rivoluzionario fu il Popolo di Parigi. Il 20 Giugno 1792 - lo abbiamo accennato in apertura - la Reggia delle Tuileries fu invasa dalla folla ed il Sovrano fu costretto a richiamare al Governo i Girondini, mentre l'Assemblea Legislativa dichiarava la Patria in pericolo e rivolgeva al paese un appello per una grande leva di volontari, onde sbarrare la strada al nemico.
Il comandante nemico, Duca di Brunsawick, emanava allora da Coblenza un proclama, in cui si minacciava la distruzione di Parigi, in caso di nuovi attentati contro la persona di Luigi XVI, e la fucilazione delle Guardie Nazionali, colte con le armi in mano, come ribelli al proprio Re. 

In quel proclama, il popolo aveva ormai la prova della connivenza del Sovrano con il nemico, e la folla, mobilitata dai Cordiglieri e dalla sinistra Giacobina, esplodeva daccapo, impadronendosi del Palazzo di città, destituendo la Municipalità Borghese ed insediando un comune Rivoluzionario di estrema sinistra Democratica.

 Il 10 Agosto infine le Tuileries furono assaltate per la seconde volta, dopo che il Popolo rivoltoso massacrò gli Svizzeri posti a guardia e costringendo il Re a rifugiarsi presso l'Assemblea Legislativa che lo sospendeva di nuovo dalle sue funzioni.
Neppure la Legislativa era però ormai in grado di dominare la situazione e sotto la pressione della folla era costretta ad indire nuove elezioni, stavolta a suffragio universale, per una Convenzione Nazionale, la quale avrebbe dovuto dare alla Francia una nuova Costituzione a carattere democratico ed ugualitario, anzichè borghese e moderato. 

Invano il Lafayette cercò di muover con un corpo di truppe contro la Capitale, per ristabilire la Monarchia Costituzionale: fallito questo tentativo, anch'egli andò ad ingrossare le file degli emigrati realisti all'estero, seguito a breve distanza dallo stesso de Lameth. L'esperimento Monarchico-Costituzionale era ormai definitivamente tramontato. 

La Legislativa affidò il potere ad un Consiglio Esecutivo Provvisorio, comprendente oltre al Rolanda ed altri Girondini, anche l'audace ed impetuoso Consigliere DANTON. Ma, di fatto, il potere era nelle mani del Comune Rivoluzionario, sostenuto dai Sansculottes e dall'indomita energia dei Giacobini del resto della Francia.
Era il Comune che provvedeva con febbrile rapidità ad arruolare volontari, a spedirli al fronte, ad apprestare la capitale per la difesa estrema, a radunare provvigioni per l'esercito, ancora mancante di tutto, dalle munizioni alle scarpe, dai fucili ai vestiti.
E, con uno slancio magnifico di entusiasmo, i volontari sorgevano, laceri, scalzi, ma armati di una decisione indomabile, sotto il Tricolore blu-bianco-rosso e cantando un inno recato dai volontari di Marsiglia e che era stato battezzato la MARSIGLIESE  ( VEDI ). 

Ma dietro a loro, le folle fremevano, sovraeccitate dalle notizie paurose del fronte, alla convinzione di essere insidiate da ogni parte da una rete di traditori, dagli articoli incendiari che il MARAT pubblicava sul suo giornale, "L'amico del popolo".
Tutto ciò contribuì a creare un'atmosfera tesa di sospetti e di terrore, che d'improvviso si scaricò in un assalto alle carceri, compiuto da bande di massacratori, i quali trucidarono oltre 1600 prigionieri fra cui anche non pochi innocenti o carcerati per reati comuni (Stragi di Settembre). Intanto anche il Brunswick avanzava, ma in mezzo a gravi difficoltà, accresciute dall'abilità con cui il Generale Dumoriez manovrava le sue truppe. 

E finalmente il 20 Settembre 1792, sui colli di VALMY, il fuoco dei Francesi arrestava gli Austro-Prussiani, costringendoli ad un ripiegamento che il maltempo Autunnale doveva poi convertire in una disastrosa ritirata.
In sè, era un successo di ben modesta entità; ma il suo valore morale era immenso: l'Europa Conservatrice aveva creduto che, abbattuta la Monarchia, non vi fosse in Francia altro che il caos e doveva accorgersi adesso che la Rivoluzione poteva aver ragione degli eserciti eserciti mercenari dei Re. 

Presente a quella giornata, il poeta Germanico Goethe affermava in sostanza che da quel giorno e da quel luogo s'iniziava un'epoca nuova nella storia del Mondo.
Lo stesso giorno di Valmy, la legislativa si scioglieva, cedendo il posto alla Convenzione Nazionale; il giorno seguente, quest'ultima proclamava l'abolizione della Monarchia in Francia e l'Instaurazione della Repubblica.

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((( 1792- La mattina del 21 settembre i nuovi eletti alla Convenzione fanno il loro ingresso nell’aula. Non dovranno più salutare l’unto del Signore Luigi XVI visto che, trasformato in Luigi Capeto, egli langue nelle prigioni del Tempio in attesa che se ne decida la sorte.
Al suo posto governa l’Assemblea; dietro il banco della presidenza sono esposte le nuove tavole della legge: la Costituzione.
Sulle pareti spiccano fasci littori con scure cruenta. Il popolo assiste dalle gallerie all’entrata di una singolare miscellanea di individui provenienti dalle professioni più disparate. Vi sono intellettuali e militari, borghesi ed ecclesiastici, avventurieri e preti spretati.
Nella disposizione dei seggi vi è un tentativo di ordinare questo magma che dal fondo tenta di venire alla superficie.

Gli uomini senza passione, i prudenti, i ragionevoli siedono in basso costituendo una zona che Robespierre sprezzantemente definisce la palude, le marais. In alto, sulla montagna, si siedono gli impazienti, i radicali, le truppe da sbarco. Queste due forze si equilibrano.

Condorcet, Rolland ed i girondini sono i rappresentanti del medio stato. Per loro l’arrivo della Repubblica è già stato un passo gigantesco. Ora sarebbero lieti di arginare la Montagna che spinge sempre più radicalmente verso una rèvolution intégrale sino all’ateismo e al comunismo.

Marat, Danton, Robespierre, duci del proletariato, vogliono abbattere dopo il Re, il danaro e la religione. Sta per iniziare una lotta per la vita e per la morte, per lo spirito e per il potere.

Quando entra JOSEPH FOUCHE' (vedi il link ) molti si chiedono dove si siederà. Tra i radicali della Montagna o tra i moderati del Fondo?. Fouchè non ha dubbi: egli starà sempre per la maggioranza. Con passo quasi leggero egli si siede con Condorcet e Rolland.
Dall’alto il vecchio amico Massimiliano Robespierre lo osserva, ironico, attraverso il suo occhialino.

Fouchè si accorge che il vecchio amico di Arras lo indica ai suoi campioni radunati sulla Montagna e sa che quello sguardo scrutatore ed insinuante da ostinato puritano mai lo abbandonerà. Prudenza; ci vorrà prudenza.
Egli si imbosca nella palude con abilità. Il deputato di Nantes non prende la parola per parecchi mesi né parteciperà ad inutili chiassate e a concioni senza costrutto.
Egli si fa scegliere nelle commissioni dove si impara a gestire il potere e si acquista pian piano influenza senza controlli e senza farsi invidiare. La sua capacità di lavoro lo rende ricercato e preferito.
Chiuso nella sua solitudine, rotta solo dagli affetti familiari, aspetta che Montagna e Gironda si sbranino. Infatti Vergniaud, Condorcet, Desmoulins, Danton, Marat, Robespierre si feriscono, ogni giorno, a morte. 

Fouchè sa che bisogna solo aspettare la loro fine e che tenersi nell’ombra sarà un atteggiamento che dovrà assumere per tutta la vita se vorrà raggiungere il potere a cui aspira. Egli desidera potere ma ne detesta, quasi, i simboli e la veste. Gli basta sentirlo tra le mani e avere la capacità di usarlo per modificare a suo piacimento l’ambiente esterno. Già si intravede in questo atteggiamento la stoffa del futuro ministro di polizia, carica che ricoprirà tra qualche anno.

Queste ambiguità lo rendono sempre più misterioso e solitario. Arriva, però il giorno in cui bisogna dare un voto preciso e pubblico con un SI od un NO. E’ il 16 gennaio 1793. Robespierre insiste spietatamente che ogni convenzionale voti per la morte o per la vita di Luigi XVII.
Gli indecisi del branco hanno premuto per una votazione segreta ma Robespierre è irremovibile. O vita o morte in modo esplicito e diretto.

Fouchè interroga gli amici; parla con Condorcet; prepara un discorso per la grazia che legge in privato ai colleghi della Gironda.
La sera tra il 15 e il 16 i sobborghi di Parigi ribolliscono, sapientemente indotti dai montagnardi. Le Tuileries sono piene di facinorosi capitanati da Teroigne de la Mericour, isterica megera, caricatura di Giovanna d’Arco.

E Fouchè, dopo aver fatto i conti da buon contabile, vede che la maggioranza della palude si assottiglia sempre più. Non gli va di stare con una minoranza. Quindi sale rapido e felpato i gradini della tribuna e con labbra esangui ed occhi quasi dispiaciuti ma decisi pronuncia piano, per Luigi Capeto, le due parole fatali: LA MORT.

"!Il Moniteur le due parole le riporta, assieme a quelle degli altri deputati, il giorno dopo e non sarà mai possibile cancellarle dalla storia. Joseph Fouchè è regicida!  (By: Luigi Tserritelli)""

(vedi l'ampia BIOGRAFIA DI FOUCHE' )

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