RIVOLUZIONE FRANCESE

1808 - GLI EVENTI  di quest'anno
(i link inseriti sono per ulteriore approfondimento)

ROMA
SI VA VERSO L'ARRESTO DEL PAPA
"lo scontro di due giganti"

 

2 FEBBRAIO - Papa PIO VII rifiuta di aderire al Blocco Continentale imposto da Napoleone a tutti gli Stati europei per isolare la Gran Bretagna, minacciando in caso contrario l'invasione di alcune terre.
Napoleone non si lascia intimorire e lo Stato Pontificio non è risparmiato; prontamente é invaso dai francesi che occupano Roma.   Napoleone la unisce al Regno d'Italia assieme a Macerata, Urbino, Ancona e Camerino. Segue la soppressione del ducato di Parla e Piacenza e l'annessione dei due territori alla Francia.
Ripercorriamo gli ultimi anni con i reciproci pessimi rapporti che Napoleone e Papa Pio VII avevano:

Dopo il ritorno di quest'ultimo da Parigi (L'incoronazione a Imperatore) , i rapporti andavano peggiorando. Nel 1803, Pio VII sperava ad un miglioramento delle relazioni tra l'Imperatore e la Santa Sede, quando allora (il 22 maggio) Napoleone ordinò che il Concordato del 16 settembre avesse il pieno adempimento, ma dovette poi ricredersi quando conobbe i decreti dell'8 e del 20 giugno con il quale senza il suo consenso si ordinavano o erano stravolte le cose ecclesiastiche del Regno d'Italia. Protestò ufficialmente, protestò privatamente, ma le proteste non facevano effetto sull'animo di Napoleone e i rapporti continuarono a peggiorare anche perché alle prime non mancarono di aggiungersi altre cause di dissidio.
GEROLAMO BONAPARTE, divorziò dall'americana Patterson senza il consenso del Pontefice. Inoltre, nell'ottobre di quel medesimo anno, iniziandosi la guerra della terza coalizione, Napoleone, temendo che i Russi e gli Inglesi sbarcassero nell'Italia centrale dalla parte dell'Adriatico, ordinò di occupare pontificia Ancona al generale REYNIER.
La curia Romana non mancò di protestare ed ebbe assicurazione che il Reynier si sarebbe allontanato non appena l'esercito del GOUVION SAINT-CYR, reduce dalla Puglia, fosse giunto al Po. Il Reynier, infatti, si ritirò, ma lasciò ad Ancona il generale MONTRICHARD.
Allora PIO VII scrisse una lettera molto energica a Napoleone, nella quale chiedeva lo sgombro delle terre occupate e minacciava di troncare i rapporti con il ministro imperiale in Roma (13 novembre del 1805).

L'imperatore rispose a questa lettera, ma solo il 7 gennaio del 1806, da Monaco di Baviera, dopo la vittoria d'Austerlitz. Dopo essersi lagnato delle espressioni del Pontefice, che diceva suggerite da cattivi consiglieri, così Napoleone scriveva: "… Io mi sono considerato il protettore della Santa Sede e come tale ho occupato Ancona. Vostra Santità aveva interesse di vedere questa piazzaforte nelle mie mani piuttosto che in quelle degli Inglesi o dei Turchi? Al pari dei miei predecessori, io mi sono considerato come il figlio maggiore della Chiesa, pronto a proteggerla con la spada e a difenderla dai Greci e dai Musulmani. Io difenderò costantemente la Santa Sede, nonostante i falsi passi, l'ingratitudine, e le malvagie disposizioni degli uomini che si sono smascherati durante questi tre mesi…".
E concludeva: "…Se Vostra Santità vuole congedare il mio ministro è libero di farlo: è libero di preferire gli inglesi e anche il califfo di Costatinopoli; ma io, non volendo esporre il cardinal Fesch a questi affronti, lo sostituirò con un secolare…"
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Contemporaneamente Napoleone scriveva al cardinal Fesch, suo ministro a Roma, una lettera molto significativa: "… Dite che Costantino ha separato il civile dal militare e che io posso anche nominare un senatore che comandi a Roma in nome mio…" . "…Per il Papa io sono Carlomagno, perché, come Carlomagno, riunisco la corona di Francia, quella dei Longobardi, e il mio impero confina con l'Oriente. Io intendo dunque che la sua condotta sia regolata con me su questo punto di vista. Io non cambierò nulla alle apparenze se si comporta, bene, in caso diverso ridurrò il Papa a semplice vescovo di Roma…".

Una lettera ben più importante scrisse Napoleone al Pontefice, un mese dopo, il 13 febbraio del 1806 "…Tutta l'Italia sarà sottomessa alla mia legge. Io non menomerò per nulla l'indipendenza della Santa Sede, le farò anche pagare i danni che le recheranno i movimenti del mio esercito; ma i nostri patti dovranno essere che Vostra Santità avrà per me, nel temporale, gli stessi riguardi che io le porto per lo spirituale, e che Ella cesserà d'avere inutili rapporti verso eretici nemici della Chiesa e verso potenze che non possono farle alcun bene. Vostra Santità è sovrano di Roma, ma io ne sono l'imperatore. Tutti i miei nemici debbono essere i suoi. Conviene dunque che nessun agente del re di Sardegna, nessun Inglese, Russo o Svedese risieda a Roma o nei vostri Stati e che nessuna nave appartenente a queste potenze entri nei vostri porti. Io avrò sempre per Vostra Santità, come capo della nostra religione, quella filiale deferenza che in tutte le occasioni le ho dimostrata, ma io debbo rendere conto a Dio, il quale ha voluto servirsi del mio braccio per ristabilire la religione…".

Nello stesso tempo che giungeva al Papa questa lettera, il cardinale FESCH chiedeva ufficialmente l'espulsione degli Inglesi, dei Russi, degli Svedesi e dei Sardi. Ma Pio VII, con il consenso di trentuno cardinali su trentadue, il 21 marzo (1806) , non solo si oppose all'espulsione ma rispose energicamente alle affermazione dell'imperatore:
"… Vostra Maestà stabilisce per principio che Ella è imperatore di Roma. Noi rispondiamo con apostolica franchezza che il Sommo Pontefice, divenuto da tanti secoli, quanti non ne vanta alcun regnante, anche sovrano di Roma, non riconosce e non ha mai riconosciuto nei suoi Stati altra podestà superiore alla Sua; che nessun imperatore ha alcun diritto sopra Roma; che V. M. è immensamente grande ma è però eletto, coronato, consacrato, conosciuto imperatore dei Francesi e non imperatore di Roma; che l'imperatore di Roma non esiste e né può esistere senza spogliare dell'assoluto dominio ed impero che esercita in Roma il solo Pontefice; che esiste solo un imperatore dei Romani, ma che questo titolo, riconosciuto da tutta l'Europa e da V. M. nell'imperatore d'Alemagna, non può competere contemporaneamente a due sovrani; che questo stesso non è che un titolo di dignità e d'onore, il quale in niente diminuisce l'indipendenza reale od apparente della Santa Sede; che infine questa dignità imperiale non ha avuto mai alcun rapporto con la qualità ed estensione dei domini, ma è sempre fino dalla sua origine stata preceduta da un'elezione…"
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Napoleone aveva affermato che le sue relazioni con il Pontefice erano le stesse che quelle di Carlomagno con i Papi? Pio VII rispondeva: "… Ma Carlo Magno trovò Roma in mano dei Papi, riconobbe e confermò senza riserva i loro domini e li ampliò con nuove donazioni. Non pretese però mai dominio o superiorità sopra i medesimi, considerati anche come sovrani temporali, non pretese da loro dipendenza o soggezione…".
E, appellandosi all'autorità che alla sovranità pontificia veniva dal tempo, scriveva: "….Ma infine dieci secoli posteriori ai tempi di Carlo Magno hanno reso inutile ogni altra più remota ricerca? Il possesso pontificio di mille anni e il titolo più luminoso che possa esistere tra i sovrani? Questo possesso ha dimostrato che, qualunque fossero in quei tempi oscuri ed in quelle fluttuanti circostanze le intelligenze fra Carlo Magno ed i Pontefici, in appresso la S. Sede non ha conosciuto nei temporali suoi domini altri rapporti con i di lui successori che quelli che ogni sovrano assoluto ed indipendente ha con gli altri sovrani…" ,
e concludeva dicendo di non potere aver per l'imperatore nelle cose temporali gli stessi riguardi che doveva a lui nelle cose spirituali perché queste erano "…di diritto divino e di un genere superiore e trascendente, il quale non sopporta termini di comparazione con gli oggetti temporali. Questa, uguaglianza neppure potrebbe intendersi senza distruggere interamente la sovranità temporale del Romano Pontefice. Se questo, deve essere, egualmente dipendente dalla Maestà Vostra nel temporale, come lo deve essere la Maestà Vostra da lui nello spirituale, egli non sarebbe più sovrano. Diverrebbe nel temporale della condizione di chi è in debito a seguire i precetti del suo maestro…".

Dopo questa lettera ogni via di conciliazione tra Napoleone e Pio VII era chiusa e cominciarono i dispetti e le rappresaglie, sicuro preludio della guerra. Il 23 aprile del 1806 la Santa Sede incaricava il cardinal CONSALVI di protestare presso il Fesch perché il re Giuseppe (re di Napoli) non aveva chiesto il riconoscimento e l'investitura papale: "… Il Santo Padre, nella stretta obbligazione che gli impongono i suoi doveri di mantenere i diritti della S. Sede, ha incaricato il sottoscritto di richiamare avanti ogni altra cosa l'attenzione di V. E. sui rapporti esistenti da tanti secoli fra la S. Sede e la corona anzidetta, e costantemente osservati, anche nei casi di conquista, non solamente nella introduzione di qualunque dinastia, ma ancora di qualunque nuovo regnante…".

Napoleone ne fu irritatissimo: il 3 maggio 1806 richiamò il Fesch che riteneva debole e lo sostituì con l'energico ALQUIER; poi qualche giorno dopo ordinò al generale DUHESME di occupare Civitavecchia e il 18 e il 20 maggio fece dal TALLEYRAND indirizzare al cardinal CAPRARA e all'Alquier due aspre note che dovevano esser comunicate al governo pontificio:
"…Le pretese della corte di Roma su Napoli sono quelle del secolo XI; ma i tempi sono mutati e le opinioni devono seguire il cammino della ragione e degli avvenimenti …"
Il 30 maggio l'Alquier presentò al Consalvi una nota in cui si minacciavano gravi rappresaglie se la S. Sede tardava a riconoscere Giuseppe come re delle Due Sicilie; ma Pio VII si rifiutò di accordare il suo riconoscimento se prima Giuseppe non riconosceva l'alto dominio della Chiesa sul Regno. "… Noi - diceva all'Alquier - abbiamo fatto fin qui tutto quello che l'imperatore ha voluto, e Sua Maestà non si è sentita in dovere di mantenere le promesse fatte .... Noi vi preveniamo che se i Francesi volessero impossessarsi di Roma, rifiuteremmo loro l'ingresso a Castel S. Angelo. Non faremmo alcuna resistenza, ma i vostri soldati dovrebbero spezzarne le porte a colpi di cannone. L'Europa vedrà come noi siamo trattati e noi almeno avremo provato ad avere operato conformemente al nostro onore e alla nostra coscienza. Se ci si toglie la vita, ci onorerà la tomba; noi saremo giustificati innanzi agli occhi di Dio e nella memoria degli uomini…".

Al rifiuto del Pontefice seguì immediata la rappresaglia di Napoleone, il quale, con decreto del 6 giugno, s'impadronì di Pontecorvo e Benevento, provocando le dimissioni del Consalvi da Segretario di Stato, nella qual carica fu sostituito dal cardinal CASONI. Intanto a Civitavecchia il DUHESME spadroneggiava e peggio ancora faceva ad Ancona il generale LEMAROIS che incorporò le truppe pontificie in quelle francesi e volle che nelle sue mani fossero pagate le imposte delle province di Ancona, Urbino, Pesaro e Macerata.
Il Pontefice non poteva fare altro che protestare; ma ogni protesta era inutile, anzi aumentava ancora di più la tensione dei rapporti tra Parigi e Roma. Nei primi di luglio l'imperatore tentò di costringere la Santa Sede a stipulare un trattato in cui s'impegnava di chiudere i suoi porti alle navi inglesi commerciali e da guerre e di consegnargli, in caso di guerra, tutte le fortezze dello Stato; ma Pio VII oppose un nuovo rifiuto, accompagnandolo con parole che non lasciavano dubbio sul suo proposito di resistere fino all'ultimo alle minacce e alle violenze imperiali.
"… Voi
- disse all'Alquier - siete i più forti; fate ciò che vi è utile e ciò che vi sembra conveniente. Quando avrete deciso, sarete i padroni dei miei Stati e disporrete a vostro piacere di tutte le risorse che vi possono offrire .... ma non avrete mai la mia autorizzazione. Del resto Sua Maestà può, quando vuole, mettere in esecuzione le sue minacce e togliermi quel che possiedo: io sono rassegnato a tutto e pronto, se lo desidera, ritirarmi in un convento o nelle catacombe di Roma, secondo l'esempio dei primi successori di San Pietro…".

Parve nell'anno 1807 che le relazioni tra il Pontefice e l'Imperatore dovessero migliorare quando PIO VII nominò il cardinale di BAYANNE ministro plenipotenziario e lo mandò a Parigi per risolvere tutte le controversie, fra cui un'importanza speciale avevano quelle riguardanti il numero dei cardinali francesi, l'abolizione dei conventi, la dispensa ai vescovi del Regno d'Italia di recarsi a Roma per la consacrazione e l'estensione del concordato italiano del 1803 alla Venezia e alla Dalmazia (ottobre 1807); ma la missione del cardinale fallì, in primo luogo perché proprio in quel tempo (4 novembre 1807) il generale LEMAROIS occupava il ducato di Urbino, Macerata, Fermo e Spoleto e faceva arrestare parecchi prelati che avevano osato protestare, in secondo luogo perché il di Bayanne spediva al Pontefice, consigliandolo di accettarlo, uno schema in cui si stipulava che il Papa si unisse all'imperatore contro gli Inglesi, desse in custodia ai francesi Ancona, Ostia e Civitavecchia, riconoscesse il re Giuseppe, approvasse quanto ere stato fatto in Germania e in Italia, rinunziasse a Pontecorvo, a Benevento e a qualsiasi pretese su Napoli, portasse a un terzo del numero totale i cardinali dell' Impero francese, estendesse il concordato italiano alla Venezia, alla Dalmazia, a Piombino, e a Lucca, concedesse ai vescovi del regno la dispensa di recarsi a Roma per la consacrazione e facesse un concordato speciale per gli stati della Confederazione Renana.

Pio VII riunì i cardinali, ai quali sottopose lo schema del trattato, e sentito il loro parere, il 2 DICEMBRE 1807 scrisse al di Bayanne ordinandogli di lasciar Parigi con il cardinale CAPRARA e con il cardinale DELLA GANGA, nunzio di Germania (che era allora in Francia per trattare gli affari religiosi della Confederazione) se il governo imperiale persisteva in quelle domande inaccettabili.

10 GENNAIO 1808 - Napoleone, tornato allora dall'Italia fece sapere ai cardinali Caprara e a Bayanne che avrebbe restituito le province occupate se la S. Sede avesse somministrato quattrocentomila franchi per le spese occorrenti a scavare il porto di Ancona, avesse riconosciuto il re Giuseppe, cacciato da Roma il console ed altre persone che dipendevano da FERDINANDO IV, arrestato un centinaio di fuorusciti napoletani, entrato nella lega contro gli Inglesi ed infine portato il numero dei cardinali francesi ad un terzo dei componenti il Sacro Collegio. In caso di rifiuto avrebbe unito al Regno d'Italia le province occupate e alla Toscana il territorio di Perugia:
Pio VII rispose il....
28 GEMMAIO: egli accettava le prime quattro condizioni, ma rifiutava le ultime due.

Per appoggiare le sue richieste, l'indomani del giorno in cui le aveva formulate, cioè il 10 gennaio, Napoleone aveva ordinato al generale LEMAROIS di muovere da Ancona su Perugia e al generale MIOLLIS, che si trovava in Toscana, ordinò di marciare su Foligno, assumere il comando generale delle truppe denominate "divisione d'osservazione dell'Adriatico" e, rinforzato da tremila uomini inviati da re Giuseppe, con il pretesto di recarsi a Napoli, occupare Roma, dichiarando di rimanervi finché la città non fosse sgombra di tutti i nemici della Francia.
Dei veri obbiettivi della spedizione non fu fatto saper nulla all'ambasciatore francese ALQUIER, che si sapeva amico della S. Sede; a lui anzi il MIOLLIS il...
29 GENNAIO 1808 ....mandò un falso itinerario delle truppe che l'Alquier si affrettò a trasmettere al segretario di Stato cardinal CASONI. Questi, sospettando che l'esercito francese fosse diretto a Roma anziché a Napoli, il 31 gennaio fece andare un ufficiale a Civitacastellana perché domandasse Miollis spiegazioni circa la marcia delle truppe francesi.
Il Miollis confermò l'itinerario comunicato all'Alquier, e questi, con una lettera in data del....
1° FEBBRAIO 1808 .....cercò di tranquillizzare il Pontefice, assicurandogli che l'esercito francese, se pur si dovesse fermare a Roma, non ci rimarrebbe che poco e non costituirebbe alcun pericolo per la S. Sede. Aggiungeva inoltre di essere autorizzato a dichiarare che l'imperatore "desiderava vivamente di porre fine per mezzo di vie conciliatorie alle discussioni che esistevano tra la Francia e Roma, e che un accomodamento così desiderabile, stringendo più strettamente che mai i legami che uniscono da tanti secoli le due Potenze, sarà una nuova garanzia, certamente assai efficace, della sovranità della S. V. e della piena ed intiera conservazione dei suoi possedimenti".

Quel giorno stesso però l'Alquier riceveva una lettera con la quale, in data del 22 gennaio, da Parigi il ministro degli esteri CHAMPAGNY lo informava che il Miollis sarebbe giunto a Roma il 3 febbraio e vi si sarebbe fermato, e gli ordinava di rinnovare al Pontefice le richieste avvisandolo che l'imperatore voleva esercitare sullo Stato romano la stessa influenza che esercitava a Napoli, in Spagna, in Baviera e negli Stati della Confederazione. "…Alla prima bolla e pubblicazione del Papa contraria ai propositi di Sua Maestà, immediatamente con al pubblicazione di un decreto, cancellerebbe la donazione di Carlo Magno e riunirebbe gli Stati della Chiesa al Regno d'Italia. Questo provvedimento non avrebbe nulla di contrario all'autorità spirituale della Sante Sede; non è sulla sovranità di Roma che si è appoggiata la religione, e, se la condotta del Papa obbligasse ad emanare un tale decreto, sarebbe facile dimostrare i mali che il potere temporale ha prodotto alla religione ed opporre la vita umile di Gesù Cristo a quella dei suoi successori che si sono fatti re…" infine lo Champagny concludeva: "…L' Imperatore vuole che il soggiorno delle sue truppe abitui il popolo di Roma a vivere con loro e le renda familiari agli abitanti con la corte di Roma, affinché, se la corte papale continua a mostrarsi così insensata com'è stata finora, essa cessi insensibilmente e senz'avvedersene di esistere come potenza temporale…".

Il 3 FEBBRAIO 1808, nelle prime ore pomeridiane, senza che incontrare alcuna resistenza i Francesi entrarono per la via Flaminia a Roma e nonostante le proteste del colonnello piemontese ANGELO COLLI, che comandava Castel S.Angelo, occuparono questa fortezza, mentre quattro cannoni erano posti in piazza del Quirinale con la bocca rivolta al Palazzo Pontificio e quattro in piazza Colonna.
Pio VII, che sapeva di non potere opporre la forza alla forza e temeva guai maggiori, quel giorno stesso protestò per i cannoni puntati sul suo palazzo, ottenendo che il Miollis ordinasse che fossero tolti, e pubblicò un proclama molto discreto e prudente, in cui informava di avere rifiutato alcune richieste imperiali, protestava per l'occupazione dei domini della Chiesa, di cui proclamava l'intangibilità; ma esortava anche i cittadini a non recare alcuna offesa ai Francesi che tanto affetto gli avevano dimostrato nel suo viaggio a Parigi, "…Vicario in terra di quel Dio di pace, che insegna con il divino esempio suo la mansuetudine e la pazienza, non dubita che i suoi amatissimi sudditi metteranno ogni impegno a conservare la quiete e la tranquillità sia privata che pubblica…"
Il giorno dopo l'Alquier fu ricevuto dal Papa e gli presentò il generale Miollis, con il quale il Pontefice si lagnò del modo con cui era stato trattato. A lui Pio VII dichiarò, che si sarebbe considerato come prigioniero, finché i Francesi fossero rimasti a Roma e che fino alla loro partenza non avrebbe acconsentito ad alcuna negoziazione.
L'8 FEBBRAIO ...il Pontefice ricevette gli ufficiali dello Stato Maggiore francese ed ebbe per loro buone parole: "… Noi amiamo sempre i Francesi; quantunque siano ben dolorose le condizioni nelle quali ci vediamo, siamo commossi dall'ossequio che ci prestate. Voi siete celebri in tutta Europa per il vostro coraggio, e dobbiamo rendere giustizia alle vostre sollecitudini per mantenere l'ordine e la disciplina…".
Sebbene i Francesi ostentassero grande ossequio verso il Pontefice, il generale MIOLLIS faceva di tutto per ridurre al minimo l'autorità papale. Si impadronì della direzione delle poste e della polizia, fece arrestare numerosi laici ed ecclesiastici noti per i loro sentimenti avversi alla Francia, fece accompagnare alla frontiera napoletana, i cardinali Saluzzo, Pignatelli, Ruffo e Caracciolo per obbligarli a giurar fedeltà al nuovo Re di Napoli che non volevano riconoscere, ordinò che fosse perquisita la casa dell'ambasciatore di Spagna Vargas e incorporò nelle truppe francesi le milizie pontificie, affinché, come scriveva il Viceré EUGENIO al colonnello Fries che ne aveva il comando, non ricevessero più comandi "…da preti o da donne, bensì da altri soldati capaci di condurli al fuoco…". Alcuni ufficiali che rifiutarono di entrare nell'esercito francese o, appena entrati si dimisero, furono deportati nella fortezza di Mantova.

Verso la metà di febbraio l'Alquier fu richiamato a Parigi; il giorno .....
24 FEBBRAIO fu ricevuto del Pontefice per prender congedo da lui e per presentargli il LEFEBVRE, suo successore. Pio VII dopo aver protestato per la deportazione dei cardinali napoletani, disse all'Alquier energicamente:
"… Potete dichiarare a Parigi che, anche se mi facessero a pezzi o mi scorticassero vivo, io non accetterei di entrare nelle federazione. Siate pur certo che, malgrado tutti i tormenti che mi si sottoponete, la Chiesa non perirà mai …"

Continuarono le violenze francesi e continuarono le proteste della Santa Sede fatte attraverso il cardinale DORIA PAMPHILY che aveva sostituito nella carica di Segretario di Stato il CASONI.
Il 21 marzo il Miollis intimò a tutti i cardinali - eccettuati gli ammalati e i vecchissimi - di tornare ciascuno al proprio paese. Dovettero partire i cardinali LITTA, LOCATELLI, DUGNANI, CRIVELLI, ROVERELLA, DELLA SOMAGLIA, BRASCHI, CASTIGLIONI, CARAFFA, GALEFFI, SCOTTI, TRAJETTO, VALENTI e DORIA. Quest'ultimo fu sostituito nella carica che ricopriva, dal cardinale romano GABRIELLI.

La misura era quasi colma. Questa volta il Papa non si accontentò di protestare, ma scrisse al cardinale CAPRARA di lasciare immediatamente Parigi. Il Caprara chiese i suoi passaporti e li ricevette insieme con una nota dello CHAMPAGNY il .....
3 APRILE 1808 .....in cui era detto che i cardinali, essendo sudditi del sovrano del paese dov'erano nati, dovevano risiedere nel proprio paese e che il Pontefice, se non voleva perdere il dominio temporale e rimanere soltanto vescovo di Roma, doveva stringere con gli altri stati italiani una lega offensiva e difensiva.
Contemporaneamente si mandava ordine al Lefebvre, incaricato di affari a Roma di presentare al Pontefice un "ultimatum", e, in caso di rifiuto, di chiedere i passaporti. Alla rottura diplomatica doveva seguire immediatamente l'annessione al Regno d'Italia di Urbino, Ancona, Macerata e Camerino, il cui decreto imperiale era già pronto.
L'ultimatum fu presentato il ....
13 APRILE .... ma una settimana prima i Francesi avevano commesso una gravissima violenza: un distaccamento era penetrato nel palazzo del Quirinale, aveva disarmato gli svizzeri e le guardie nobili ed aveva sostituito la guardia del palazzo; gli ufficiali Altini, Braschi, Giustiniani e Patrizi, che avevano osato protestare, erano stati imprigionati in Castel S. Angelo. Una tale violenza non poteva certo benevolmente disporre il Papa alle concessioni; e Pio VII difatti rispose con un rifiuto e il 13 aprile al Lefebvre, andato in visita di congedo, disse: "…Dite al vostro Imperatore che si sta scavando la fossa con le proprie mani…".

Partito il Lefebvre, si mandarono ad effetto le minacce che avevano accompagnato l'ultimatum. Il....
22 APRILE .... il governatore di Roma monsignor CAVALCHINI fu arrestato e deportato a Fenestrelle, il 30 a Milano fu pubblicato il decreto di annessione delle Marche, le quali dovevano formare tre dipartimenti del Regno d'Italia, del Metauro, del Musone e del Tronto. PIO VII, il....
19 MAGGIO , inviò una protesta al cav. ALBERT, rappresentante a Roma del regno italico, e un'altra la mandò ai ministri degli esteri; tre giorni dopo partì per i vescovi delle province usurpate una "Istruzione", però firmata dal cardinale GABRIELLI, nella quale si accusava il "governo imperiale come invasore della Spirituale potestà e protettore di tutte le sette e di tutti i culti", e s'ingiungeva a tutti, laici ed ecclesiastici, di "non accettare uffici e di non prestare altro giuramento che quello di fedeltà ed obbedienza in tutto ciò che non fosse contrario alle leggi della Chiesa".
Se i Francesi pretendevano di più, i sudditi dovevano affrontare con serenità l'ira degli oppressori, pensando a "…quel Divin Maestro che ai suoi, come nella vita futura promette eterni premi, così nella presente non predice che tribolazioni e persecuzioni e che perciò ha insegnato loro a non temere quelli che uccidono il corpo e più oltre non possono fare, ma a temere solo quello che può mandare l'anima e il corpo alla eterna perdizione…".

Della "Istruzione" i Francesi vollero tener responsabile non il papa ma il cardinale Gabrielli e, per vendicarsi di lui, il ...
16 GIUGNO ....gli sequestrarono le carte e gli intimarono di lasciare entro due giorni Roma e di ritornare al suo vescovado di Senigaglia. Protestò il Pontefice, protestò lo stesso Gabrielli in una vibrata lettera al Miollis; ma a nulla valsero le proteste: trascorsi i due giorni, il cardinale fu costretto a partire e dovette recarsi sotto scorta a Senigaglia.
Allontanato il GABRIELLI, era stato scelto come Segretario di Stato il cardinale PACCA, uomo risoluto ed energico, che non si era lasciato intimorire dalle minacce del generale MIOLLIS, che gli aveva dichiarato di aver ricevuto l'ordine di fucilare chiunque si fosse opposto alla volontà imperiale, anzi il Pacca gli aveva risposto: "… Generale, dal giorno del vostro ingresso a Roma avete dovuto convincervi che i ministri di Sua Santità non si lasciano intimidire da minacce. Da parte mia eseguirò fedelmente gli ordini, e lei faccia ciò che vuole e può..."

Dato il carattere del nuovo segretario di Stato, il fermo proposito del Pontefice di resistere fino all'ultimo e il mandato del Miollis, i rapporti tra la Francia e la Curia Pontificia non potevano che farsi di giorno in giorno costantemente più tesi. Da un canto le violenze, dall'altro le proteste. Proteste vane perché i Francesi oramai erano i veri padroni di Roma e di tutto lo Stato; organizzavano la guardia civica e il corpo di gendarmeria cui esigevano il giuramento di fedeltà, sorvegliavano le amministrazioni comunali, arrestavano pubblici ufficiali civili e militari, fra cui mons. BARBIERI fiscale generale e il marchese GILBERTI comandante di Foligno, e commettevano ogni sorta di violenze.

13 AGOSTO ....drappelli di soldati francesi penetrarono negli uffici giudiziari, nelle case private dei magistrati papali e nel palazzo del Quirinale per cercarvi ed asportare due processi intentati contro cittadini delle Marche. Poco tempo dopo, il Miollis, temendo una rivolta a causa delle gravi notizie che giungevano dalla Spagna, fece chiudere in Castel S. Angelo mons. TOSI vescovo di Anagni, fece arrestare il cardinale ANTONELLI, prefetto della Sacra Penitenzeria, che fu mandato a Spoleto, e confinò monsignore AREZZO, governatore di Roma, in Corsica.

Anche al Pacca si tentò di far violenza. Il....
6 SETTEMBRE due ufficiali francesi penetrarono nel suo ufficio del Quirinale e gli intimarono di partire entro ventiquattro ore per Benevento sua patria, dove sarebbe stato accompagnato da una scorta di dragoni. Il cardinale rispose che non riceveva ordini dalla Francia, ma dal Pontefice e che avrebbe in proposito interrogato il suo sovrano; ma gli ufficiali gli proibirono di recarsi dal Papa e gli permisero soltanto di scrivergli un biglietto. Informato così, Pio VII raggiunse il suo ministro e, rivoltosi ai due francesi: "…Andate - disse - annunciate al vostro generale che io sono stanco di soffrire tanti insulti da parte di un uomo, che osa ancora chiamarsi cattolico. Non ignoro lo scopo di queste violenze; si vuole, separandomi a poco a poco da tutti i miei consiglieri, mettermi nell'impossibilità di esercitare il mio ministero apostolico e di difendere le ragioni della mia sovranità temporale. Ordino al mio ministro di non obbedire alle ingiunzioni di un'autorità illegittima. Sappia il vostro generale che per tradurlo prigioniero egli dovrà far atterrare tutte le porte del mio palazzo, e lo dichiaro fin d'ora responsabile di tutte le conseguenze di un sì enorme attentato…".

Per l'energico intervento del Pontefice il cardinale Pacca rimase a Roma, ma le violenze dei Francesi non ebbero termine. Nello stesso mese di...
SETTEMBRE .....l'anconetano GIUSEPPE CANNI, colonnello al servizio borbonico siciliano e capo di uno dei tanti drappelli che si tenevano pronti nelle vicinanze di Roma per agevolare un'eventuale fuga del Papa, fu arrestato e, nonostante i reclami pontifici, fucilato.
Il 19 GENNAIO del 1809 il Miollis dichiarò prigioniero in casa l'ambasciatore spagnolo Antonio Vargas e gli fece sequestrare tutte le carte. Centoquaranta cittadini spagnoli, essendosi rifiutati di prestar giuramento al re Giuseppe, furono incarcerati.
Avvicinandosi il carnevale, il Papa proibì le maschere e le feste pubbliche; il Miollis invece le permise e le organizzò lui, ma non riuscì a far divertire il popolo, che, quasi per protesta, il 2 febbraio fece trovar chiuse le finestre e rimase tappato in casa.
Il 20 MARZO però, anniversario dell'incoronazione di Pio VII, furono fatte grandi feste e Roma mostrò l'aspetto dei giorni di festa.

Nel maggio, dopo le prime vittorie contro l'Austria, accadde finalmente quel che da qualche tempo Napoleone gli occupava la mente e che l' Europa non pensava potesse avvenire.
Il 17 di quel mese l'imperatore emanava da Vienna il famoso decreto con il quale aboliva il potere temporale dei Papi e univa all'mpero gli Stati della Chiesa. "…Considerando - egli scriveva - che, allorquando Carlomagno, Imperatore dei francesi e nostro augusto predecessore, fece donazione di parecchie contee ai vescovi di Roma, le donò per il bene di questi stati e che per questa donazione Roma non cessò di far parte del suo impero; che, in seguito, questo insieme di potere spirituale e di autorità temporale è stato ed è ancora sorgente di dissensi e ha portato spesso i Pontefici a impiegare l' influenza dell'uno per sostenere le pretese dell'altra; che, così, gli interessi spirituali e le cose celesti, che sono immutabili, sono stati mescolati agli affari terrestri, i quali per la loro natura cambiano secondo le circostanze e la politica del tempo; che tutto ciò che noi abbiamo proposto per conciliare la sicurezza dei nostri eserciti, la tranquillità e il benessere dei nostri popoli, la dignità e l'integrità del nostro impero con le pretese temporali dei Papi, non s' è potuto realizzare, noi abbiamo decretato e decretiamo quanto segue .... ".

Seguivano sette articoli in cui si stabiliva che gli Stati della Chiesa si riunissero all'Impero, Roma dichiarata città imperiale e libera, che le quattro proposizioni della Chiesa gallicana e i futuri Pontefici ne giurassero l'osservanza, che al Papa fosse assegnata una rendita annua di due milioni di franchi, che Egli potesse risiedere in qualsiasi città dell'impero e i suoi palazzi e le sue terre fossero esenti da ogni imposta e avessero speciali immunità, e che i cardinali e il collegio di propaganda fossero mantenuti dallo Stato.
Con un secondo decreto si ordinava di formare una Consulta straordinaria, presieduta dal generale Miollis e composta dal Saliceti, dal Janet, dal De Gerando, dal Del Pozzo e da Cesare Balbo, la quale doveva curare il trapasso dal vecchio al nuovo regime, dividere il territorio in dipartimenti, nominare un senato di sessanta membri ed applicare il Codice civile.

Il 10 GIUGNO 1809 a suon di tromba il decreto imperiale fu notificato in Roma e contemporaneamente da Castel S. Angelo e da tutti gli edifici pubblici fu abbassata la bandiera pontificia per lasciare posto al tricolore francese.
Pio VII ricevette la notizia con molta serenità e al Cardinal Pacca disse: "…Consumatum est!…". Quindi indirizzò ai suoi sudditi un proclama: "….Sono finalmente compiuti i tenebrosi disegni dei nemici della Sede Apostolica. Dopo lo spoglio violento ed ingiusto della più bella e considerevole porzione dei nostri domini, Noi ci vediamo con indegni pretesti e con tanto maggiore ingiustizia interamente spogliati della nostra sovranità temporale con cui è strettamente legata la nostra spirituale indipendenza. In mezzo a queste fiere persecuzioni ci conforta il pensiero che Noi incontriamo un così gran disastro non per alcuna offesa fatta all'Imperatore o alla Francia, la quale è stata sempre l'oggetto delle nostre amorose, paterne sollecitudini, non per alcun intrigo di mondana politica, ma per non aver voluto tradire i nostri doveri e la nostra coscienza…".

Il Pontefice continuava dichiarando nullo il decreto imperiale, e respingeva ogni rendita o pensione che l'imperatore voleva assegnare a lui e ai membri del Sacro Collegio, dichiarando che preferiva condurre la vita nella miseria anziché accettare il vitto da un usurpatore dei beni ecclesiastici.

Lo stesso giorno fu composta la bolla di scomunica "Quum memoranda", che durante la notte fu affissa nelle basiliche di S. Pietro, di S. Giovanni Laterano e di S. Maria Maggiore e che subito dopo fu strappata dai Francesi.

Tuttavia questa scomunica è stesa in una forma ambigua, poiché nella bolla non è fatto il nome di Napoleone, ma si riferisce a coloro che hanno favorito, consigliato o approvato gli attentati diretti contro la santa Sede. Non vuole pronunciare il terribile nome, o è mancanza di coraggio nell'assumersi questa grande responsabilità. Ma non dimentichiamo che è un papa quasi ottantenne, e in una circostanza come questa, questo papa si eleva ad una delle altezze più eccelse, con un coraggio che è pari a quello napoleonico, ed affronta una delle lotte più disuguali e più eroiche che conosca la storia della Chiesa.

Nove giorni dopo Napoleone scriveva a Gioacchino Murat, dopo la partenza di Giuseppe per la Spagna, era divenuto re di Napoli: "…Se il Papa, contro lo spirito del suo grado e del Vangelo, predica la rivolta e vuol servirsi dell'immunità della sua casa per fare stampar manifesti, si deve arrestarlo ....Filippo il Bello fece arrestare Bonifazio e Carlo V tenne a lungo in prigione Clemente VII; e questi avevano fatto anche meno…".
Il 20 GIUGNO 1809, avuta notizia della scomunica, tornò a scrivergli: "… Basta con gli accomodamenti; è un pazzo furioso e bisogna rinchiuderlo. Fate arrestare il cardinal Pacca ed altri aderenti del Papa…".

In queste lettere imperiali si parlava della possibilità dell'arresto del Papa, ma non si ordinava di arrestarlo; e certo se i Francesi, a Roma, avessero avuto i nervi a posto avrebbero evitato un atto che non poteva recar nessun vantaggio all'Imperatore. Ma in quei giorni i Francesi di Roma erano in grande agitazione.
Il Quirinale rimaneva chiuso come se dentro si preparasse qualche cosa; si era sparsa la voce che Pio VII volesse il giorno di S. Pietro comparire in pubblico e percorrere le strade in processione con il Crocifisso in mano per sollevare i cittadini, e il generale Radet, mandato da Firenze a Roma per coadiuvare il Miollis, scriveva al ministro della guerra: "…Il Papa governa con le punta delle dita molto meglio di noi con le nostre baionette…".

Questo stato d'animo suggerì le soluzioni più avventate. Fu alla fine stabilito, di arrestare il Pontefice.
Il 5 LUGLIO 1809 giunsero da Napoli a Roma ottocento soldati al comando del generale PIGNATELLI CERCHIARA, e quel giorno stesso il MIOLLIS avvisò il colonnello SIRES, direttore generale di polizia, di fare i preparativi per il colpo che doveva essere eseguito all'alba del giorno dopo.

Nelle prime ore del 6 luglio, mentre i soldati di Napoleone si preparavano ad attaccare gli Austriaci nella pianura di Wagram, a Roma il generale RADET scalava in tre punti le mura dei giardini del Quirinale e con l'aiuto di alcuni impiegati infedeli abbatté le porte e, seguito da soldati, gendarmi e borghesi filo-francesi e anticlericali, penetrava negli appartamenti del Pontefice, il quale si era già alzato e insieme al cardinal Pacca ed altri prelati ed aspettava sereno.
Il Radet, quando fu al cospetto del Capo della Chiesa, in nome del governo imperiale invitò a rinunziare al potere temporale. A lui rispose Pio VII: "…Noi non possiamo né cedere né abbandonare quello che non ci appartiene. L'imperatore potrà farci a pezzi, ma non potrà ottenere questo da noi. Dopo quanto abbiamo fatto per lui dovevamo attenderci una simile condotta ?…". E quando il Radet gli comunicò l'ordine di arresto, soggiunse: "… Ecco la ricompensa che mi è riservata per quanto ho fatto per il vostro imperatore. Ecco il premio per la mia grandissima condiscendenza verso di lui e verso la chiesa di Francia ! Ma forse sotto tale riguardo sono stato colpevole dinanzi a Dio; è adesso che vuol punirmi mi sottometto a Lui con umiltà…".

PIO VII chiese due ore di tempo, ma non gli furono concesse; espresse il desiderio di essere accompagnato da alcune persone di sua fiducia, ma soltanto la compagnia del cardinal Pacca gli fu accordata; allora il Pontefice prese un breviario e un Crocifisso e, montato in una carrozza, si mise sulla via dell'esilio.
I due illustri viaggiatori non possedevano che pochi quattrini e, avendo il cardinale osservato: "…Viaggiamo proprio all'apostolica…", il Papa esclamò: "…E' ciò che mi resta del mio principato…".

Accompagnato dal Radet e da una scorta di gendarmeria, Pio VII fu condotto a Firenze, in quella Certosa che dieci anni prima aveva accolto Pio VI; poi a Genova, Alessandria, Torino, Grenoble, Valenza infine Avignone.
Separato dal cardinal Pacca, che fu invece rinchiuso nel forte di Finestrelle. Il papa poi iniziò in Francia a diventare un peso ingombrante, e fu ricondotto in Italia e, per Nizza, Monaco, Oneglia e Finale giunse il 17 agosto 1809 a Savona, ma poi nuovamente obbligarono il vecchio e infermo pontefice a trasferirsi a Fontainebleau, vicino a Parigi; ma il viaggio per lui infermo fu così faticoso che rischiò pure di morire, infatti al passo del Moncenisio, gli fu impartita l'estrema unzione. Superato il pericolo e giunto in salvo a Fontainebleau rigorosissimamente sorvegliato fu chiuso nella fortezza e vi rimase fino al 1812.
Nel 1813 PIO VII ritornò a Roma, dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, e ne vide ancora delle belle, perché moriva addirittura dopo Napoleone, nel 1823.
Dopo la Restaurazione l'indomito PIO VII ebbe tutto il tempo di ricostituire lo Stato Pontificio più forte di prima.
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INTANTO SU ALTRI FRONTI ....

1 MARZO - Napoleone temendo una invasione inglese in Spagna, o i rifornimenti con il contrabbando, fa presidiare le coste da oltre 100.000 soldati francesi. L'intera Spagna é così paralizzata nella sua economia, ed é una situazione drammatica che sta trascinando la popolazione nella più nera miseria. Le responsabilità sono palesemente francesi a causa del blocco voluto da Napoleone, che sta causando il tracollo delle economie di tutti i paesi d'Europa.
Ma dal malcontento - e dopo le numerose rivolte della popolazione - Napoleone ribalta la situazione  e trova il pretesto per eliminare i suoi nemici dandoli in pasto al popolo (qui Machiavelli non è assente!). Infatti,  scarica le responsabilità agli inetti governanti che regnano, e costringe prima il re di Spagna CARLO IV ad abdicare a favore del figlio FERDINANDO, poi subito dopo lo esautora e nomina Re di Spagna suo fratello GIUSEPPE, già re di Napoli. Una decisione che si rivelò poi gravida di impensate conseguenze.
10 MAGGIO - GIUSEPPE s'insedia a Madrid in un ambiente molto ostile. Infatti, nella capitale spagnola scoppia una orchestrata e ben strumentalizzata insurrezione popolare contro i francesi: suo cognato GIOACCHINO MURAT appena nominato da Napoleone Re di Napoli al  posto di Giuseppe, deve correre in suo aiuto, ma é sconfitto nella battaglia contro gli insorti a Bailen. Dopo aver perso 23.000 uomini, Murat deve ritirarsi oltre il fiume Ebro.
Approfittano della situazione negativa subito gli inglesi, nel vicino Portogallo; alla testa del futuro duca di WELLINGTON vi sbarcano il ....
21 AGOSTO, battono le truppe francesi del presidio e li costringono ad abbandonare il paese. Per gli inglesi é una grossa vittoria. Hanno ora una testa di ponte in Portogallo, e davanti a loro l'intera popolazione spagnola divenuta insofferente nei confronti dei francesi, e che ovviamente gli inglesi con mezzi e uomini offrono aiuto. Gli spagnoli sono l'ultima speranza degli inglesi. La Spagna è ormai l'unico Paese che oppone ancora resistenza sul continente a Napoleone.
Una situazione che é ben chiara anche a Napoleone ed é costretto ad intervenire di persona per punire severamente i cittadini rivoltosi, soprattutto nella capitale, a Madrid, dove regna l'incapace fratello Giuseppe, già fuggito a gambe levate dal palazzo reale alla prima sommossa.
Sorgono nel frattempo in Spagna governi ombra popolari, alla guida di CORTEZ, che proclamano la resistenza nazionale. Hanno già creato nelle Asturie e in Andalusia dei governi provvisori cercando di coinvolgere i nobili spodestati dalla "rivoluzione" napoleonica, e il clero dopo l'imprigionamento del Papa. Quest'ultimo, un atto che ha colpito molto il sentimento religioso degli spagnoli fedeli alla Chiesa. (Napoleone questo non l'ha messo in conto; alla prima difficoltà in Russia non ci saranno francesi abbastanza per controllare la rivolta spagnola, sapientemente guidata dagli inglesi rimasti in opportunistica attesa in Portogallo).
 11 NOVEMBRE - Napoleone rotti gli indugi con la sua "Grande Armada" formata da 200.000 uomini scende a punire la Spagna in ribellione avanzando fino a Madrid. Per conquistarla sostiene due battaglie: una a Burgos, l'altra il....
13 DICEMBRE ....nei pressi di Espinosa vincendole entrambe; poi entra a Madrid rimettendo sul trono il fratello Giuseppe e ordinando ai suoi soldati una feroce e sanguinaria repressione nella capitale. Atti d'inusitata ferocia che seminano altro odio in ogni strato della popolazione, sempre più vasto, e che sta ora coalizzandosi.
Infatti, in Spagna la popolazione in rivolta è ora organizzata non solo da cittadini ridotta in miseria, ma è guidata dalla nobiltà e dal clero. Insurrezione che sta divampando in un modo insolito e sta mettendo in difficoltà il grande esercito napoleonico. I combattimenti non sono più condotti in campo aperto, ma sono fulminei colpi di mano. Una novità anche la guerriglia urbana, i sabotaggi e le imboscate improvvise, cui nulla può fare un esercito, anche quello bene organizzato e guidato da Napoleone; nulla può fare la sua geniale strategia. Il nemico è come un fantasma, appare e scompare ovunque,  procura molti danni e ha perdite trascurabili.
Di questa anomala guerra spagnola Napoleone non riuscì mai a venirne a capo, nonostante l'impiego dei suoi migliori generali e l'invio continuo di rinforzi. In Spagna vi morirono 400.000 soldati francesi.
Napoleone è poi costretto il prossimo anno, per la nascita in Germania della V Coalizione anti-francese, ad interrompere l'azione in profondità nel resto della Spagna ormai tutta in fermento dopo le notizie dei successi nella capitale (altre sommosse le leggeremo all'inizio del prossimo anno).
Alcuni problemi anche nel nord Europa. Qui la Danimarca dopo che é salito al trono FEDERICO VI, prosegue la sua politica anti-francese, ma deve scontrarsi con gli svedesi, prima nemici dei francesi e ora alleati di Napoleone.
Indiretto mutamento politico anche sui Balcani. Da tempo le forze insurrezionali serbe con a capo KRAGJEORGIE tentavano di ricostituire la nazione Serba. Nominato comandante supremo delle forze rivoluzionarie approfitta delle difficoltà dei Turchi impegnati con la Russia, per guidare un'insurrezione contro gli Ottomani. Li caccia dal Paese, e fa riconquistare alla Serbia la propria autonomia, che diverrà oggetto di altre complesse e drammatiche dispute in avvenire con l'Austria dopo la Restaurazione.
ALTRI FATTI NEL CORSO DELL'ANNO
*** Negli Stati Uniti viene proibito il commercio degli schiavi africani.
(su questo argomento presto ci ritorneremo, analizzando questo ipocrita divieto che non mise affatto fine alla schiavitù. Anzi la moltiplicò per cinque)
*** LUSSAC enuncia la "sua" Teoria Cinetica dei gas, DALTON la Teoria Atomica riprendendo il nome "ATOMO" dall' ipotesi di Democrito (470-370 a.c). entrambe estese da AVOGADRO nel 1811, che pero' fa una netta distinzione fra atomo e molecola.
Bibliografia:
ADOLPH THIERS - Storia della Rivoluzione Francese - 10 Volumi
R.CIAMPINI, Napoleone, Utet, 1941
EMIL LUDWIG Napoleone, Mondadori, 1929
NAPOLEONE, Memoriale di Sant'Elena (prima edizione (originale) italiana 1844)
Storiologia ha realizzato un CD con l'intero MEMORIALE - vedi presentazione qui )
E un grazie al sig. Kolimo dalla Francia - http://www.alateus.it/rfind.html
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