RIVOLUZIONE FRANCESE

1815 - GLI EVENTI  di quest'anno
(i link inseriti sono per ulteriore approfondimento)

IL 1815, UNA DATA MEMORABILE
TORNO' A GALLA IL MEDIOEVO
filosofico, letterario, politico

da DE SANCTIS - Antologia critica sulla letteratura

Il 1815 è una data memorabile come quella del Concilio di Trento. Segna la manifestazione ufficiale di una reazione non solo politica, ma filosofica e letteraria, iniziata già negli spiriti, come se ne vedono le orme anche ne' Sepolcri, e consacrata nel diciotto brumaio. La reazione fu così rapida e violenta come la Rivoluzione. Invano Bonaparte tentò di arrestarla, facendo delle concessioni e cercando nelle idee medie una conciliazione. Il movimento impresso giunse fino al punto tale, che tutti gli attori della Rivoluzione furono mescolati in una comune condanna, giacobini e girondini, Robespierre e Danton, Marat. Il « terrore bianco » successe al « rosso », dissero preti, sovrani, e nobili.

Venne di moda un nuovo vocabolario filosofico, letterario, politico. I due nemici erano il materialismo e lo scetticismo, e vi sorse contro lo spiritualismo, portato fino all'idealismo e al misticismo. Al diritto di natura si oppose niovamente il diritto divino, alla sovranità popolare la legittimità, ai diritti individuali lo Stato retrivo, alla libertà l'autorità o l'ordine. Il medio evo ritornò a galla, glorificato come la culla dello spirito moderno, e fu corso e ricorso dal pensiero in tutti i suoi indirizzi.
Il cristianesimo, bersaglio fino a quel punto di tutti gli strali, divenne il centro di ogni investigazione filosofica e la bandiera di ogni progresso sociale e civile; i classici furono per strazio chiamati «pagani», e le dottrine liberali furono qualificate, senz'altro, pretto paganesimo; gli ordini monastici furono dichiarati benefattori della civiltà, e il papato potente fattore di libertà e di progresso (!). Mutarono i criteri dell'arte.

Ci fu un'arte pagana e un'arte cristiana, di cui fu cercata la più alta espressione nel gotico, nelle ombre, ne' misteri, nel vago e nell'indefinito, in un di là che fu chiamato « l'ideale », in un'aspirazione all'infinito, non capace di soddisfazione, perciò malinconica : la malinconia fu battezzata e detta qualità « cristiana »; il sensualismo, il materialismo, il plastico divenne il carattere dell'arte «pagana»: sorse il genere cristiano « romantico » in opposizione al genere « classico ». « Religione », « fede », « cristianesimo », l' « ideale », l' « infinito », lo « spirito », il « trono e l'altare », la « pace e l'ordine » furono le prime parole del nuovo secolo.

La contraddizione era spiccata. A Voltaire e Rousseau succedeva Chàteubriarid, Stàel, Lamartine, Victor Hugo, Lamennais. E proprio nel 1815 uscivano alla luce gli Inni sacri del giovane Manzoni. Storia, letteratura, filosofia, critica, arte, giurisprudenza, medicina, tutto prese quel colore. Avevamo un neoguelfismo, il Medioevo si drizzava minaccioso e vendicativo contro tutto il Rinascimento.
Il movimento non era solo fittizio e artificiale, era sostenuto da penne salariate, promosso dalle polizie, suscitato da passioni e interessi temporanei. Era un serio movimento dello spirito, secondo le eterne leggi della storia, al quale partecipavano gl'ingegni più eminenti e liberi del nuovo secolo.

Movimento esagerato, senza dubbio, ne' suoi inizi, perché mirava non solo a spiegare ma a glorificare il passato, a cancellare dalla storia i secoli, a proporre come modello il medio evo. Ma l'una esagerazione chiamava l'altra. La dea Ragione e la comunione de' beni avea per risposta l'apoteosi del carnefice e la legittimità dell'Inquisizione.
Ma l'esagerazione fu di corta durata, e la reazione falli ne' suoi tentativi di ricomposizione radicale alla Medioevo. Avea contro di sè infiniti nuovi interessi, venuti su con la Rivoluzione: interessi materiali, morali, intellettuali. D'altra parte il nuovo ordine di cose favoriva in gran parte la monarchia, che avea pure contribuito a promuoverlo. Non era interesse de' principi restaurare le maestranze, le libertà municipali, le classi privilegiate, tutte quelle forze collettive sparite nella valanga rivoluzionaria, nelle quali, essi vedevano un freno al loro potere assoluto.

Rimase dunque in piedi quasi dappertutto e quasi intero l'assetto economico-sociale consacrato da' nuovi codici, e la monarchia assoluta uscì più forte dalla burrasca. Perchè il clero e la nobiltà, un giorno suoi rivali, divennero i suoi protetti e i suoi servitori sotto titoli pomposi; e, scomparse le forze collettive naturali, potè con facilità riordinare la società sopra aggregazioni artificiali, necessariamente sottomesse alla volontà sovrana: burocrazia, esercito e clero.

La burocrazia interessava alla conservazione dello Stato la borghesia, che si dava alla caccia degl'impieghi, e, centralizzando gli affari, sopprimeva ogni libertà e movimento locale e teneva nella sua dipendenza province e comuni. Una moltitudine di impiegati invasero lo Stato come cavallette, ciascuno esercitando spesso per suo conto una parte del potere assoluto, di cui era strumento.
L'esercito, divenuto permanente, anzi una istituzione dello Stato, fu ordinato a modo di casta, contrapposto ai cittadini, evirato dall'ubbidienza passiva e avvezzo a ufficio più di gendarme che di soldato.

Il clero, stretta l'alleanza fra il trono e l'altare, si prese in mano l'educazione pubblica, vigilò su scuole, libri, teatri, accademie,

Il ministro della P.I. BACCELLI ancora nel 1894 nel fare il programma sulla nuova
"Riforma della Scuola" così si esprimeva nel suo preambolo:

"... bisogna insegnare solo leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta, insegnare la storia con una sana impostazione nazionalistica, e ridurre tutte le scienze sotto una.........unica materia di "nozioni varie", senza nessuna precisa indicazione programmatica o di testi, lasciando spazio all'iniziativa del maestro e rivalutando il pił nobile e antico insegnamento, quello dell'educazione domestica; e mettere da parte infine l'antidogmatismo, l'educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere. Non devono pensare, altrimenti sono guai!"

e si riteneva NON UTILE alla società alfabetizzare troppo il popolo.

""L'istruzione scolastica l'approvo per li giovini nobili destinati a famiglie cospicue, ma quanto a quelle di umile e povero stato, il buon padre di famiglia si contenti che sappiam leggere li figlioli "la vita de' Santi", e nel rimanente attendano a lavorar li campi. In quanto poi l'istruzione estesa perfino alle femmine io non l'approvo, ne so vedere quale utilità ne possa derivare alla società. Che insegnino li madri alle figliuole a filare, a cucire e ad occuparsi di esercizi donneschi. In quanto a leggere, al massimo insegnino loro quanto basta per leggere i libri delle preci" "Trattato dell'educazione politica sociale e cristiana dei figliuoli". 3 volumi di Silvio Antoniano- - Libro Terzo, pag 264, Milano, MDCCCXXI - 1821 !!!"
E più avanti condannava inoltre " l'uso pernicioso dei libri che pretendon di FARE cultura, anzi dicon essere quelli  "la conoscenza". E' solo il "nostro" maestro il veicolo della conoscenza " (!!!).

..... si osteggiò tutte le idee nuove, si mantenne l'ignoranza nelle moltitudini, ai trattò la coltura come sua nemica. Motrice della gran mole era la polizia, penetrata in tutte queste aggregazioni governative, divenuto spia l'impiegato, il soldato e il prete. Ne uscì una corruzione organizzata, chiamata «governo », o in forma assoluta o in maschera costituzionale.

Una reazione così fatta era in una contraddizione violenta con tutte le idee moderne, e non poteva durare. Sopravvennero i moti di Spagna, di Napoli, di Torino, di Milano, di Venezia, di Parigi, delle Romagne e perfino nella stessa Austria. Il sentimento nazionale si svegliava insieme col sentimento liberale. E il secolo decimottavo ripigliava il suo cammino con i suoi dritti individuali, con i suoi principi d'eguaglianza, con la sua « Carta » dell'Ottantanove. I prìncipi legittimi caddero.

La monarchia per vivere si trasformà, si ammodernò, prese abiti borghesi, divise il suo potere con le classi colte. E soddisfatta la borghesia, soddisfatti tutti. Il terzo stato era niente; il terzo stato fu tutto.
Su questo compromesso visse l'Europa lunghi anni. Le istituzioni costituzionali si allargarono. Il censo e la capacità apersero la via ai più alti uffici, rotte tutte le barriere artificiali. Continuò la guerra più aspra al feudalismo, alla manomorta, ai privilegi.

La borghesia trovò largo pascolo alla sua attività e alla sua ambizione ne' parlamenti, ne' consigli comunali e provinciali, nella guardia nazionale, nei giuri, nelle accademie, in quelle scuole sottratte al clero. Le industrie e i commerci si svilupparono; si apersero altre fonti alla ricchezza. Un nuovo nome segnava la nuova potenza venuta su. Non si diceva più «aristocrazia», si diceva «bancocrazia », alimentata dalla libera concorrenza. Chi aveva più forza vinceva e dominava, forza di censo, d'ingegno e di lavoro.

L'attività intellettuale, stimolata in tutti i versi, fra tanta pubblica prosperità faceva miracoli. All'ombra della pace e della libertà fiorivano le scienze e le lettere. Anche dove gli ordini costituzionali non poterono vincere, come in Italia, la reazione allentò i suoi freni, la borghesia ebbe una parte più larga alle pubbliche faccende, e vi s'introdusse un modo di vivere meno incivile. A poco a poco il vecchio si accostumava a vivere accanto al nuovo; il diritto divino e la volontà del popolo si associavano nelle leggi e negli scritti, formula del compromesso sul quale riposava il nuovo edificio; e venne tempo che una conciliazione parve possibile non solo fra il monarcato e il popolo, ma fra il papato e la libertà.

Dunque, sedati i primi bollori, quel movimento, che aveva aria di reazione, era in fondo la stessa Rivoluzione, che, ammaestrata dalla esperienza, moderava e disciplinava se stessa. I disinganni, le rovine, tanti eccessi, un ideale così puro, così lusinghiero, profanato al suo primo contatto col reale, tutto questo doveva fare una grande impressione sugli spiriti e renderli meditativi.

La reazione era il passato ancora vivo nelle moltitudini, assalito con una violenza che tirava in suo favore anche gl'indifferenti, e che ora rialzava il capo con superbia di vincitore.

L'esperienza ammaestrò che il passato non si distrugge con un decreto, e che si richiedono secoli per cancellare dalla storia l'opera dei secoli. E ammaestrò pure che la forza allora edifica solidamente quando sia preceduta dalla persuasione, secondo quel motto di Campanella che « le lingue precedono le spade ».

Evidentemente la Rivoluzione aveva errato, esagerato le sue idee e le sue forze; ed ora si rimetteva in via con minor passione, ma con maggior senso del reale, confidando più nella scienza che nell'entusiasmo. Che cosa fu dunque il movimento del secolo decimonono, sbolliti i primi furori di reazione? Fu lo stesso spirito del secolo decimottavo, che dallo stato spontaneo e istintivo passava nello stadio della riflessione, e rettificava le posizioni, riduceva le esagerazioni, acquistava il senso della misura e della realtà, creava la scienza della Rivoluzione. Fu lo spirito nuovo, che giungeva alla coscienza di sè e prendeva il suo posto nella storia. Chàteaubriand, Lamartine, Victor Hugo, Larnennais, Manzoni, Grossi, Pellico erano liberali non meno di Voltaire e Rousseau, di Alfieri e Foscolo-.

Sono anch'essi figli del secolo decimosettimo e decimottavo, il loro programma è sempre la carta dell'ottantanove, il loro «Credo » è sempre « libertà, patria, uguaglianza, diritti dell'uomo ». Il sentimento religioso, troppo offeso, si vendica, offende a sua volta; pure, non può sottrarsi alle strette della Rivoluzione.

Risorge, ma impressionato dello spirito nuovo, col programma del secolo decimottavo. Ciò a cui mirano i neocattolici non è di negare quel programma, come fanno i puri reazionari, con i gesuiti in testa; ma è di conciliarlo col sentimento religioso, di dimostrare anzi che quello è appunto il programma del cristianesimo nella purezza delle sue origini.
È la vecchia tesi di Paolo Sarpi, ripigliata e sostenuta con maggior splendore di parola e di scienza. La Rivoluzione è costretta a rispettare il sentimento religioso, a discutere il cristianesimo, a riconoscere la sua importanza e la sua missione nella storia; ma, d'altra parte, il cristianesimo ha bisogno come suo passaporto il secolo decimottavo, e prende quel linguaggio e quelle idee, e odi parlare di una «democrazia cristiana» e di un « Cristo democratico », a quel modo che i liberali trasferiscono a significato politico parole scritturali, come l' « apostolato delle idee », il « martirio patriottico », la « missione sociale », la « religione del dovere ».

La Rivoluzione, scettica e materialista, prende per sua bandiera « Dio e popolo » ; e la religione, dogmatica e ascetica, si fa valere come poesia e come morale, e lascia le altezze del soprannaturale e s'impregna di umanismo e di naturalismo, si avvicina alla scienza, prende una forma filosofica.
Lo spirito nuovo raccoglie in sè gli elementi vecchi, ma trasformandoli, assimilandoli a sè, e in quel lavoro trasforma anche se stesso, si realizza ancora più. Questo è il senso del gran movimento uscito dalla reazione del secolo decimonono, di una reazione mutata subito in conciliazione. E la sua forma politica è la monarchia « per la grazia di Dio e per la volontà del popolo ».

La base teorica di questa conciliazione è un nuovo concetto della verità, rappresentata non come un assoluto immobile a priori, ma come un divenire ideale, cioè a dire secondo le leggi dell'intelligenza e dello spirito. Onde nasceva l'identità dell'ideale e del reale, dello spirito e della natura, o, come disse Vico, la « conversione del vero col certo ». Il qual concetto da una parte ridonava ai fatti una importanza che era contrastata da Cartesio in qua, li allogava, li legittimava, li spiritualizzava, dava a quelli un significato e uno scopo, creava la filosofia della storia; d'altra parte realizzava il divino, togliendolo alle strettezze mistiche e ascetiche del soprannaturale e umanizzandolo. Il concetto dunque era in fondo radicalmente rivoluzionario, in opposizione recisa col medio evo e con lo scolasticismo, quantunque appaia una reazione a tutto ció che di troppo esclusivo e assoluto era nel secolo decimottavo. Sicchè quel movimento, in apparenza reazionario, dovea condurre a un nuovo sviluppo della Rivoluzione su di una base più solida e razionale.

Il primo periodo del movimento fu detto « romantico », in opposizione al "classicismo". Ebbe per contenuto il cristianesimo e il Medioevo, come le vere fonti della vita moderna, il suo tempo eroico, mitico e poetico.

Il Rinascimento fu chiamato « paganesimo », e quell' età, che il Rinascimento chiamava « barbarie », risorse cinta di nuova aureola. Parve agli uomini rivedere dopo lunga assenza Dio e i Santi e la Vergine e quei cavalieri vestiti di ferro e i tempii e le torri e i crociati. Le forme bibliche oscurarono i colori classici: il gotico, il vaporoso, l'indefinito, il sentimentale liquefecero le immagini, riempirono di ombre e di visioni le fantasie. Ne uscì nuovo contenuto e nuova forma.
Il papato divenne centro di questo antico poema ringiovanito, il cui storico era Carlo Troya e l'artista Luigi Tosti Bonifacio ottavo e Gregorio settimo ebbero ragione contro Dante e Federico secondo.
Cronisti e trovatori furono disseppelliti; l' Europa ricostruiva pietosamente le sue memorie, e vi si internava, vi s'immedesimava, ricreava quelle immagini e quei sentimenti. Ciascun popolo si riannodava alle sue tradizioni, vi cercava i titoli della sua esistenza e del suo posto nel mondo, la legittimità delle sue aspirazioni.
Alle antichità greche e romane successero le antichità nazionali, penetrate e collegate da uno spirito superiore e unificatore, dallo spirito cattolico. Si svegliava l'immaginazione, animata dall'orgoglio nazionale e da un entusiasmo religioso spinto sino al misticismo; e dal lungo torpore usciva più vivace il senso metafisico e il senso poetico. Risorge l'alta filosofia e l'alta poesia. Lirica e musica, poemi filosofici e storici sono le voci di questo ricorso.

Ma il romanticismo come il classicismo erano forme sotto alle quali si manifestava lo spirito moderno. Foscolo e Parini nel loro classicismo erano moderni, e moderni erano nel loro romanticismo Manzoni e Pellico. Invano cerchi il candore e la semplicità dello spirito religioso: è un passato rifatto e trasformato da immaginazione moderna, nella quale ha lasciato le sue vestigia il secolo decimottavo.
Non ci sono più le passioni ardenti e astiose di quel secolo, ma ci sono le sue idee : la tolleranza, la libertà, la fraternità umana, consacrata da una religione di pace e di amore, purificata e restituita nella sua verginità, nella purezza delle sue origini e de' suoi motivi. Una reazione così fatta già non è più reazione : è conciliazione, è la Rivoluzione stessa vinta, che non minaccia più, e lascia il sarcasmo, l'ironia, l'ingiuria, e, trasformatasi in apostolato evangelico, prende abito umile e supplichevole dirimpetto agli oppressori, e fa suo il pergamo, fa suo Dio e Cristo, e la Bibbia diviene l' « ultima parola di un credente ».
Lo spirito non rimane nelle vette del soprannaturale e nelle generalità del dogma. Oramai, conscio di sè, plasma il divino a sua immagine, lo colloca e lo accompagna nella storia. La «divina commedia» è capovolta: non è l'umano che si divinizza, è il divino che si umanizza. Il divino rinasce, ma senti che già prima è nato Bruno, Campanella e Vico.

La stella di Monti scintillava ancora, cinta di astri minori; Foscolo solitario meditava le Grazie, Romagnosi tramandava alla nuova generazione il pensiero del gran secolo vinto. E proprio nel 1815, tra il rumore de' grandi avvenimenti, usciva in luce un libriccino intitolato Inni, al quale nessuno badò. Foscolo chiudeva il suo secolo con i Carmi; Manzoni apriva il suo con gli Inni.
Il Natale, la Passione, la Risurrezione, la Pentecoste erano le prime voci del secolo decimonono. Natali, Marie e Gesù ce n'erano infiniti nella vecchia letteratura, materia insipida di canzoni e sonetti, tutti dimenticati.
Mancata era l'ispirazione, da cui uscirono gl'inni de' santi padri e i canti religiosi di Dante e del Petrarca e i quadri e le statue e i templi de' nostri antichi artisti. Su quella sacra materia era passato il Seicento e l'Arcadia, fino a che disparve sotto il riso motteggiatore del secolo decimottavo.
Ora la poesia faceva anche lei il suo « concordato ». Ricompariva quella vecchia materia, ringiovanita da una nuova ispirazione.

Ben presto il movimento teologico diviene prettamente filosofico. Dio è l'assoluto, l'idea: Cristo è l'idea in quanto è realizzata, l'idea naturalizzata; lo Spirito è l'idea riflessa e consapevole, il Verbo; la Trinità teologica diviene la base di una trinità filosofica. Il Dio teologico è l'essere nel suo immediato, il nulla, un Dio astratto e formale, vuoto di contenuto. Dio nella sua verità è lo spirito che riconosce se stesso nella natura. Logica, natura, spirito, sono i tre momenti della sua esistenza, la sua storia: una storia dove niente è incomprensibile e arbitrario, tutto è ragionevole e fatale. Ciò che è stato doveva essere. La schiavitù, la guerra, la conquista, le rivoluzioni, i colpi di Stato non sono fatti arbitrari: sono fenomeni necessari dello spirito nella sua esplicazione.

Lo spirito ha le sue leggi, come la natura; la storia del mondo è la sua storia, è logica viva, e si può determinare a priori. Religione, arte, filosofia, diritto, sono manifestazioni dello spirito, momenti della sua esplicazione. Niente si ripete, niente muore: tutto si trasforma in un progresso assiduo, che è lo spiritualizzarsi dell'idea, una coscienza sempre più chiara di sè, una, maggiore realtà.

In queste idee, codificate da Hegel, ricordi Machiavelli, Bruno, Campanella, soprattutto Vico. Ma è un Vico a priori. Quelle leggi, che egli traeva dai fatti sociali, ora si cercano a priori nella natura stessa dello spirito. Nasce un'appendice della Scienza nuova, nella sua metafisica sotto nome di «logica»; compaiono vere teogonie o epopee filosofiche, con le loro ramificazioni.
Hai la filosofia delle religioni, la storia della filosofia, la filosofia dell'arte, la filosofia del diritto, la filosofia della storia, illuminata dall'astro maggiore, la logica o, come dice Vico, la « metafisica ». Tutto il contenuto scientifico è rinnovato. E non solo nell'ordine morale, ma nell'ordine fisico. Hai una filosofia della natura come una filosofia dello spirito. Anzi non sono che una sola e medesima filosofia, momenti dell'idea nella sua manifestazione.

Il misticismo, fondato sull' imperscrutabile arbitrio di Dio e alimentato dal sentimento, dà luogo a questo idealismo panteistico. Il sistema piace alla colta borghesia, perchè da una parte, rigettando il misticismo, prende un aspetto laicale e scientifico, e dall'altra, rigettando il materialismo, condanna i moti rivoluzionari come esplosioni plebee di forze brute.

Piace il concetto di un progresso inoppugnabile, fondato sullo sviluppo pacifico della coltura : alla parola « rivoluzione » succede la parola « evoluzione ». Non si dice più « libertà », si dice « civiltà », «progresso», «cultura ».
Sembra trovato oramai il punto, ove s'accordano autorità e libertà, Stato e individuo, religione e filosofia, passato e avvenire. Anche le idee fanno la loro pace, come le nazioni. E il sistema diviene ufficiale sotto nome di «eclettism». La Rivoluzione getta via il suo abito rosso, e si fa cristiana e moderata, sotto il vessillo tricolore; vagheggiando, come ultimo punto di fermata, le forme costituzionali, e tenendo a pari distanza i clericali col loro misticismo e i rivoluzionari col loro materialismo.

Queste idee facevano il giro di Europa e divennero il «credo» delle classi colte. La parte liberale si costituì come un centro tra una dritta clericale e una sinistra rivoluzionaria, che essa chiamava i «partiti estremi». Luigi Filippo realizzò questo ideale della borghesia, e l'eclettismo lo consacrò. Sembrò dopo lunga gestazione creato il mondo. Il problema era sciolto, il bandolo era trovato. Dio si poteva riposare.

Chiusa oramai era la porta alla reazione e alla rivoluzione. Regnava il progresso pacifico e legale, governava la borghesia sotto nome di « partito liberale-moderato ». Teneva in scacco la dritta, perchè, se combatteva i gesuiti e gli oltramontani, onorava il cristianesimo, divenuto nel nuovo sistema l'idea riflessa e consapevole, lo spirito che riconosce se stesso.
Non credeva al soprannaturale, ma lo spiegava e lo rispettava; non credeva a un Cristo divino, ma alzava alle stelle il Cristo umano; e della religione parlava con unzione, e con riverenza dei ministri di Dio.
Così tirava dalla sua i cristiani liberali e patrioti e non urtava le plebi. E teneva a un tempo in scacco la sinistra rivoluzionaria, perchè, se respingeva i suoi metodi, se condannava le sue impazienze e le sue violenze, accettava in astratto le sue idee, confidando più nell'opera lenta, ma sicura, dell'istruzione e dell'educazione che nella forza brutale.
Per queste vie la Rivoluzione, sotto aspetto di conciliazione, si rendeva accettabile ai più e.... si rimetteva in cammino.

A Milano, caduto il regno d'Italia, le nuove idee raccolsero intorno a sè i giovani, e Manzoni divenne il capo della scuola romantica. Così, mentre la Germania, percorso il ciclo filosofico e ideale della sua coltura, si travagliava intorno all'applicazione in tutte le sue scienze sociali o naturali, in Italia si disputava ancora de' principi.
Naturalmente, nè Manzoni nè altri poteva assimilarsi tutto il movimento germanico, lavoro di un secolo, e non lo vedevano che nella sua parte iniziale e superficiale. Ammiravano Schiller, Goethe, Herder, Kant, Fichte, Schelling, ma conoscevano assai meglio í nostri filosofi e letterati, e di quelli veniva loro come un'eco, spesso per studi e giudizi di seconda mano, spesso attraverso scrittori francesi.
Rimasero essi dunque nella loro spontaneità, ponendo le questioni come le se le ponevano in Italia, con argomenti e metodi propri; e ne uscì un romanticismo locale, puro di stravaganze ed esagerazioni forestiere, accomodato allo stato della coltura, timido nelle innovazioni, e tenuto in freno dalle tradizioni letterarie e dal carattere nazionale.

Un romanticismo così fatto non era che lo sviluppo della nuova letteratura sorta col Parini, e rimaneva nelle sue forme e ne' suoi colori prettamente italiano.
In effetti, i punti sostanziale di questo romanticismo concordano col movimento iniziato nel secolo scorso, e non è maraviglia che la lotta, continuata con tanto furore e con tanta confusione, finì nella piena indifferenza del popolo italiano, che riconosceva se stesso nelle due schiere.

Volevano i romantici che l'Italia lasciasse i temi Classici? E già n'era venuto il fastidio, e avevi l'Ossian, il Saul, la Ricciarda, il Bardo della selva nera. Volevano che i personaggi fossero presi dal vero e che le forme fossero semplice e naturale? Ed ecco là Goldoni, che predicava il medesimo. Spregiavano la vuota forma? E sotto questa bandiera avevano militato Parini, Alfieri e Foscolo; e appunto la risurrezione del contenuto, la ristorazione della coscienza era il carattere della nuova letteratura. Cosa erano le tre unità e la mitologia, pomo della discordia, se non questioni accessorie nella stessa famiglia? Fino un concetto del mondo meno assoluto e rigido, umano e anche religioso, intravedevi ne' Sepolcri di Foscolo e d'Ippolito Pendemonte.

Dunque la scuola, romantica, se per il suo nome, per le sue relazioni, per i suoi studi e per le sue impressioni si legava a tradizioni tedesche e a mode francesi, rimase nel fondo scuola italiana per il suo accento, le sue aspirazioni, le sue forme, i suoi motivi; anzi fu la stessa scuola dei secolo andato, che, dopo le grandi illusioni e i grandi disinganni, ritornava ai suoi principi, alla naturalezza di Goldoni e alla temperanza di Parini.
Erano di quella scuola più i romantici, i quali avevano aria di combatterla, che i classici, suoi eredi di nome, ma eredi degeneri, dopo i quali la sua vitalità si mostrava esaurita nella pomposa vacuità di Monti e nel purismo rettorico di Pietro Giordani. La scuola andava visibilmente declinando sotto il regno d'Italia e, non avendo più novità di contenuto, si girava in se stessa, divenuta sotto nome di « purismo » un gioco di frasi, intenta alla purità del Trecento e all'eleganza del Cinquecento. Ritornavano in voga i grammatici, i linguisti e i retori ; ripullulava sotto altro nome l'Arcadia, l'accademia.

Così fu possibile la Storia americana di Carlo Botta, uscita a Parigi quando appunto uscirono gli Inni; e fu tal cosa, che gli stessi accademici della Crusca si sentirono oltrepassati e domandavano che lingua era quella. Furono i romantici che, insorgendo contro la scuola, la rinsanguarono, e in aria di nemici furono i suoi veri eredi. Essi le apersero nuovo contenuto e nuovo ideale, le spogliarono la sua vernice classica e mitologica, l'accostarono a forme semplici, naturali, popolari, sincere, libere da ogni involucro artificiale e convenzionale, dalle esagerazioni rettoriche e accademiche, dalle vecchie abitudini letterarie non ancor dome, i cui vedi le orme anche tra gli sdegni di Alfieri e di Foscolo.

Come, sotto forma di reazione, essi erano la stessa Rivoluzione, che, moderandosi e disciplinandosi, ripigliava le sue forze, tirando anche Dio al progresso e alla democrazia; così, sotto forma di opposizione, essi erano la nuova letteratura di Goldoni e di Parini, che si spogliava gli ultimi avanzi del vecchio, acquistava una coscienza più chiara delle sue tendenze e, lasciando gl'ideali rigidi e assoluti, prendeva terra, si accostava al reale.

L'ESIGENZA REALISTICA DEL ROMANTICISMO ITALIANO.
Questo sentimento più vivo del reale era anche penetrato nel popolo italiano. Non era più il popolo accademico, che batteva le mani in teatro alla Virginia e all'Aristodemo e applaudiva all'Italia nei sonetti e nelle canzoni. Vide la libertà sotto tutte le sue forme, nelle sue illusioni, nelle sue promesse, ne' suoi disinganni, nelle sue esagerazioni.
Il regno d'Italia, la spedizione di Murat, le promesse degli alleati, la lotta d'indipendenza della Spagna e della Germania, l'insorgere della Grecia e del Belgio aguzzavano il sentimento nazionale l'unità d'Italia non era più un tema rettorico, era uno scopo serio, a cui si drizzavano le menti e le volontà.

I più arditi e impazienti cospiravano nelle società segrete, contro le quali si ordinavano anche segretamente i sanfedisti. Fatto vecchio era questo. Ma il fatto nuovo era che nella grande maggioranza della gente istruita si andava formando una coscienza politica, il senso del limite e del possibile : la rettorica e la declamazione non aveva più presa sugli animi.
La grandezza degli ostacoli rendeva modesti i desideri, e tirava gli spiriti dalle astrazioni alla misura dello scopo e alla convenienza de' mezzi. La libertà trovava il suo limite nelle forme costituzionali, e il sentimento nazionale nel concetto di una maggiore indipendenza verso gli stranieri.

Una nuova parola venne su: non si disse più « rivoluzione », si disse « progresso ».
E fu il maestoso cammino dell'idea nello spazio e nel tempo verso un miglioramento indefinito della specie, morale e naturale.

Il progresso divenne la fede, la religione del secolo. Ed aveva il suo lasciapassare, perchè cacciava quella maledetta parola che era la «rivoluzione», e significava la naturale evoluzione della storia, e condannava le violente mutazioni.
Il progresso raccomandava pazienza ai popoli, dimostrava compatibile ogni miglioramento con ogni forma di governo e si accordava perfino con la filosofia cristiana, che predicava fiducia in Dio, preghiera e rassegnazione. Oltre a ciò, «libertà», «rivoluzione» indicavano scopi immediati e non tollerabili ai governi; dove « progresso », nel suo senso vago, abbracciava ogni miglioramento, e dava agio ai principi di acquistarsi lode a buon mercato, promuovendo, non fosse altro, miglioramenti speciali che parevano innocui, com'erano le strade ferrate, l'illuminazione a gas, i telegrafi, la libertà del commercio, gli asili d'infanzia, i congressi scientifici, i comizi agrari.

A poco a poco i liberali tornarono là ond'erano partiti, e, non potendo vincere i governi, li lusingarono, sperarono riforme di prìncipi, anche del papa: rifacevano i tempi di Tanucci, di Leopoldo, di Giuseppe, e rifacevano anche un po' quell'Arcadia.
Certo, una teoria del progresso, che se ne rimetteva a Dio e all'Idea, doveva condurre a un fatalismo musulmano, e, rendendo i popoli troppo facilmente appagabili, poteva sfibrare i caratteri, trasformare il liberalismo in una nuova Arcadia, come temeva Giuseppe Mazzini, che vi contrapponeva la Giovine Italia.
Pure i moti repressi del Ventuno e dei Trentuno, i vari tentativi mazziniani mal riusciti, la politica del « non intervento » delle nazioni liberali, la potenza reputata insuperabile dell'Austria, la forza e la severità de' governi, le fila spesso riannodate e spesso rotte disponevano gli animi ad uno studio più attento de' mezzi, li piegavano ai compromessi, fortificavano il senso politico, rendevano impopolare la dottrina del «tutto o niente».

Lo stesso Mazzini, ch'era all'avanguardia, aveva nel suo linguaggio e nelle sue formule quell'accento di misticismo e di vaporoso idealismo che era penetrato nella filosofia e nelle lettere e che lo chiariva uomo del secolo, si mostrava anche lui disposto a tener conto delle condizioni reali della pubblica opinione e a sacrificarvi una parte del suo ideale. Così, rammorbidite le passioni, confidenti nel progresso naturale delle cose e persuasi che anche sotto i cattivi governi si può promuovere la cultura e la pubblica educazione, i più smisero l'azione politica diretta e si diedero agli studi : fiorirono le scienze, si sviluppò il senso artistico e il genio della musica e del canto; la Taglioni e la Mahbran, la Rachel e la Ristori, Rossini e Bellini, le dispute scientifiche e letterarie, i romanzi francesi e italiani occupavano nella vita quel posto che la politica lasciava vuoto. In breve spazio uscivano in luce il Carmagnola, l'Adelchi e i Promessi Sposi; la Pia del Sestini; la Fuggitiva, l'Ildegonda, i Crociati e il Marco Visconti del Grossi; la Francesca da Rimini del Pellico; la Margherita Pusterla del Cantù- l'Ettore Fieramosca e, più tardi il Niccolò de' Lapi di Massimo d'Azeglio.
Ultime venivano, con più solenne impressione, le Mie prigioni. Ciclo letterario che fu detto « romantico » : un romanticismo italiano, che faceva vibrare le corde più soavi dell'uomo e del patriota, con quella misura, con quell'ideale internato nella storia, con quella storia fremente d'intenzioni patriottiche, con quella intimità malinconica di sentimento, con quella finezza di analisi nella maggiore semplicità de' motivi, che rivelava uno spirito venuto a maturità e ne' suoi ideali studioso del reale.

La rivoluzione aveva ravvicinati gl'italiani, suscitati interessi, idee, speranze comuni. Firenze, la cittą prediletta di Alfieri e di Foscolo, dopo la Restaurazione, dopo il '15 ma soprattutto dopo il '21, vide nelle sue mura accolti esuli illustri di altre parti d'Italia. Manzoni e D'Azeglio vi andavano raccattando voci e proverbi della lingua viva. Gl'italiani si studiavano di comparire toscani; i toscani, come Niccolini e Guerrazzi, si studiavano di assimilarsi lo spirito italiano.
Risorgeva in Firenze una vita letteraria, dove l'elemento locale prima timido e come sopraffatto ripigliava la sua forza con la coscienza della sua vitalitą. Firenze riacquistava il suo posto nella coltura italiana.
Certe finezze politiche, certe ipocrisie dottrinali, certe mascherate universali, sotto la quale ipocritamente ammiccavano le idee liberali gli "Arlecchini", gli "eroi da poltrona", furono materia di un riso non privo di tristezza.
Nel cercare di accontentare e conciliare certi estremi andò a finire irreparabilmente nel comico.

L'Insomma l'Italia dopo il '15 e il '21 era diventata un'altra cosa. E camminava verso il '48, verso il '61, cercando di riprendersi il tempo perduto, anche a costo di finire fucilati, impiccati, o sotto la ghigliottina del Papa (emulando Robespierre, e ignorando Beccaria) che la tenne in funzione a Roma fino al 1867.


fotografie dell'epoca

e si inginocchiavano pure !!

Infatti soprattutto dopo il '21, si scatenarono forti repressioni contro le forze rivoluzionarie, e queste stavano provocando nuove spirali di violenza. Censura, dura repressione, restaurazione di antichi privilegi, parrucche e codini nuovamente in giro, diffondevano un profondo malcontento negli ambienti liberali. Ambienti  non solo gremiti da nostalgici del bonapartismo, da rivoluzionari, da "comunisti" buonarrottiani, da societą segrete; ma virtualmente sono ambienti pieni di cittadini dalle Alpi alla Sicilia, che avvertivano che l'Italia non poteva ritornare nel sepolcro di prima della rivoluzione francese o del "tornado" napoleonico, perchč l'Italia non era pił la stessa.

Bibliografia:
F.DE SANCTIS - Antologia critica sulla letteratura

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