GRECIA (384- 322 a.C.)

ARISTOTELE
(prima parte)

POLITICA

SCHEDA BIOGRAFICA
384 a.C. - Nasce a Stagira (Macedonia)
367/347 - Studia con Platone in Atene (Grecia)
347 - Si reca presso Ermia, signore di Atarmo (Asia Minore) e ne sposa la nipote
345 - Si ritira in Mitilene (isola di Lesbo).
343/38 - È precettore di Alessandro a Pella.
335 - Tornato ad Atene, vi apre il Liceo
322 - Muore a Colcide (Eubea), in esilio
OPERE PRINCIPALI
Aristotele scrisse, pare, centinaia di opere, ma ne sono giunte fino a noi solo alcune decine, che sono appunti per le lezioni da tenere nella sua scuola. Tra le più importanti sono:
« ORGANON» (= strumento), il celebre trattato di logica;
« METAFISICA» , (= dopo i libri di fisica, dalla collocazione nella raccolta degli scritti aristotelici). Tratta i principali problemi filosofici;
« DE ANIMA», trattato di psicologia;
« ETICA A NICÓMACO», trattato di morale dedicato al figlio di Aristotele;
« POLITICA», trattato di politica;
« COSTITUZIONE DI ATENE», scoperta di recente. Le altre ricerche sulla costituzione di più di cento città greche e straniere sono andate perdute
« POETICA», trattato di estetica;
« RETORICA», trattato sull'oratoria e la composizione letteraria;
« FISICA», trattato sui fenomeni fisici;
« IL CIELO», trattato di astronomia;
« STORIA DEGLI ANIMALI», trattato di zoologia sotto il profilo storico.

Del migliore discepolo di Platone, di Aristotele, il filosofo che ha lasciato la traccia più profonda nella storia del pensiero occidentale, si sa poco dei suoi primi anni, e le poche notizie pervenuteci sono in aperta contraddizione tra loro. Tuttavia sappiamo che uscito dalla prestigiosa «Accademia», come si chiamava la scuola platonica, Aristotele non durò fatica a farsi un grande nome come filosofo, scienziato, maestro. Per questo il sovrano Filippo di Macedonia lo chiamò alla sua corte di Pella e gli affidò l'educazione del suo tredicenne figlio, il futuro Alessandro Magno.
Quando l'illustre discepolo, salito al trono, partì per la sua favolosa conquista del mondo, il maestro tornò ad Atene, dove aprì una scuola (335 a.C.). Sorgeva, questa scuola, presso un tempio dedicato al dio Apollo Licio, ossia « protettore del gregge contro il lupo » (dal greco lycos = lupo): per questo motivo essa prese il nonne di Liceo. Il Liceo, più che una scuola, era una comunità di studiosi.

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Ampliamo qui la sua biografia su base storica, e accenniamo pure alla sua opera, soprattutto quella che a noi qui interessa (l'opera politica) attingendo ancora una volta alla bellissima Storia della Filosofia di Will Durant, e insieme, alla "Istoria della Antica Grecia" di William Robertson
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ARISTOTELE, come accennato nella scheda biografica d'apertura, nacque a Stagira, città della Macedonia, a circa duecento miglia a Nord di Atene, nell'anno 384 a.C. Suo padre era amico e medico di Aminta, re di Macedonia e avo di Alessandro. Pare che lo stesso Aristotele sia stato membro della scuola medica di Asclepiade. Egli fu considerato buon conoscitore della medicina, come molti filosofi a lui posteriori furono tenuti in concetto di santità; ebbe tutte le occasioni e gli incoraggiamenti a sviluppare la tendenza scientifica della sua intelligenza; la natura era stata prodiga nel conferirgli tutte quelle prerogative, senza delle quali è inutile cosa applicarsi alle varie scienze. E Aristotele fin da principio venne preparato a diventare un grandissimo scienziato, per alcuni addirittura il fondatore della scienza dell'Occidente. Alla filosofia approdò trascinato dalla sua stessa curiosità scientifica: andare sempre più a fondo nella ricerca del «perché» delle cose, sempre più in là, alla radice del mistero della vita, degli esseri animati e inanimati, del cosmo intero.

Esiste una vasta collezione di leggende intorno alla sua gioventù. Una di esse narra che rimasto orfano del padre, essendo assai giovane, abbandonato così alla sua vivacità, condusse una vita licenziosa e sregolata dissipando così tutto il patrimonio lasciatogli dal padre. In seguito -per non morire di fame- si dedicò al mestiere delle armi entrando nell'esercito; tornò poi a Stagira per esercitare la professione di medico e finì per recarsi, all'età di trent'anni, ad Atene a studiare filosofia con Platone.
Un'altra, e più credibile versione, ce lo descrive in Atene già all'età di diciott'anni, dove si mette subito sotto la tutela del grande Maestro. Tuttavia anche in questo racconto più verosimile della sua vita, non manca di un breve periodo di giovinezza spensierata e dissoluta (Grote: Aristotele, Londra, 1872, pag. 4 - Zeiler: Aristotele e i primi peripatetici, Londra, 1897, vol. I, pag. 6 e segg.).

Il lettore scandalizzato si può consolare osservando che tutte le versioni però concordano nel ritrovare il nostro filosofo ancorato nel porto tranquillo dell' Accademia. Rimase alla scuola di Platone otto (o venti?) anni. Veramente il platonismo prevalente nelle speculazioni di Aristotele - persino in quelle più anti-platoniche - fa pensare al periodo massimo e non a quello minimo. Questi anni si vorrebbero immaginare felici per il brillante allievo di un Maestro incomparabile, e par di vederli entrambi passeggiare, come Greci innamorati, nei giardini della filosofia. Invece, essi erano geni ambedue, e si sa che i geni vanno d'accordo come il fuoco e la dinamite. Quasi quarant'anni d'età li separavano, ed era difficile, per capirsi, gettare un ponte sull'abisso de' loro anni e cancellare l'incompatibilità delle anime. Platone riconosceva la grandezza di quel nuovo strano alunno che veniva dal settentrione, creduto un paese barbaro, e parlò di lui una volta come del Nous dell'Accademia, cioè, come dell'intelligenza personificata.
Aristotele spese molto denaro per fare collezione di libri (vale a dire di manoscritti, ché a quei tempi la stampa era sconosciuta); fu il primo, dopo Euripide, a radunare una biblioteca; e tra i molti contributi ch'egli diede alla scienza, si deve ricordare anche la creazione e l'applicazione delle norme che regolano l'ordinamento delle biblioteche.

Perciò Platone battezzò l'abitazione di Aristotele «la casa del lettore», credendo di esprimere così la più sincera lode; ma qualche antico pettegolo insinuò l'idea che il Maestro (che amava il dialogo) abbia voluto infliggere un vigoroso colpo a quella specie di mania che Aristotele ebbe per i libri. Verso la fine della vita di Platone sembra sia sorto un più grave dissenso: il giovane ambizioso sviluppò chiaramente una «trama alla Edipo» contro il suo padre spirituale, in favore della filosofia, e spinto dal suo amore per essa, quindi, cominciò a insinuare che la saggezza non sarebbe morta con Platone.
D'altra parte, il vecchio savio accusò l'alunno di comportarsi come un puledro che si ribella alla madre, quando non ha più bisogno del suo latte (Benn: I filosofi greci, Londra, 1882, voi. I, pag. 283). Il dottor Zeller (Vol. I, pag. 11), nelle cui pagine Aristotele raggiunge l'apogeo della considerazione, ci invita a respingere simili dicerie; ma siamo indotti a concludere che, dove ora è tanto fumo, deve esservi stato, una volta, un po' di fuoco.
Ancor più incerti sono altri incidenti di questo periodo ateniese: alcuni biografi dicono che Aristotele fondò una scuola di eloquenza per rivaleggiare con Isocrate; e che ebbe tra gli allievi il ricco Ermia, il quale doveva poi diventare l'autocrate della città-Stato di Atarneo. Dopo aver raggiunto questo altissimo ufficio, Erma invitò Aristotele alla sua Corte; e nel 344 a.C. ricompensò il Maestro dei passati favori dandogli in moglie una sua sorella (o nipote). Si potrebbe dubitare che si trattasse di un dono alla greca, ma gli storici si fanno premura di assicurarci che Aristotele, malgrado il suo genio, visse abbastanza felice con la moglie, e parlò di lei, spontaneamente, nei termini più affettuosi.

Un anno dopo, Filippo, re di Macedonia, chiamò Aristotele alla Corte, in Pella, per assumere il compito dell'educazione di Alessandro. Il più grande sovrano di quel tempo, volendo il miglior Maestro come precettore del futuro padrone del mondo, scelse Aristotele: questo fatto manifesta l'alta reputazione raggiunta dal nostro filosofo.
"Ecco la lettera che scrisse al nostro filosofo "Vi rendo informato che ho avuto un figlio. Io ringrazio gli Dei non solo perchè mi ha fatto divenire padre, ma molto più perchè mi hanno concesso un figlio in un epoca nella quale egli può avere Aristotele per maestro. Io desidero che facciate di lui un figlio degno di me, ed un re degno della Macedonia". Le speranze di Filippo non restarono deluse. Alessandro fu istruito in tutte le scienze, in modo che egli stesso confessava di "essere debitore a Filippo di Vivere , e ad Aristolele di ben vivere". Aristotele, presso Alessandro rimase quattro anni". (Plutarco, - W. Robertson, op. cit. pag 47)

Filippo voleva che suo figlio usufruisse di tutte le possibili risorse educative, perché concepiva per lui i più grandiosi disegni. La conquista della Tracia, nel 336 a. C., lo aveva reso padrone di miniere d'oro, che cominciarono subito a dargli il prezioso metallo per un valore dieci volte superiore a quello fornito ad Atene dalle miniere argentifere del Monte Laurion, quasi esaurite. I suoi soldati erano contadini e guerrieri, ancora non guasti dal vizio e dalle dissolutezze cittadine: ecco gli elementi combinati che avrebbero reso possibile assoggettare un centinaio di minuscole città-Stati e di ottenere l'unificazione politica della Grecia. Filippo non aveva simpatia per l'individualismo che aveva alimentato l'arte e l'intelligenza in Grecia, che nello stesso tempo ne aveva disgregato l'ordine morale. In tutte le piccole capitali egli non vedeva la cultura che procura gioia, nè l'arte insuperabile, ma soltanto la corruzione dei traffici e il caos politico; egli vedeva i mercanti insaziabili ed i banchieri che succhiavano le risorse vitali della nazione, politici incompetenti e abili oratori, i quali traviavano il popolo laborioso, spingendolo a guerre e complotti disastrosi; le discordie dividevano le classi e le classi si solidificavano in caste. Tutto ciò, secondo Filippo, non costituiva una nazione, ma soltanto una confusione di individui... uomini intelligenti e schiavi. Egli volle metter ordine in tutto quel groviglio e far della Grecia un complesso unito e forte, centro politico e base del mondo.

A Tebe, in gioventù, Filippo aveva imparato dall'insigne Epaminonda le regole della strategia militare e dell'organizzazione civile; ed ora, con un coraggio sconfinato come la sua ambizione, cercava di migliorare la propria cultura. Nel 338 a. C. sconfisse gli Ateniesi a Cheronea e vide, finalmente, la Grecia unita, ma in catene. Poi, mentre sul solido terreno di questa vittoria organizzava altri piani, affinché lui e suo figlio potessero dominare e unificare il mondo, la sua vita fu stroncata da una mano assassina.
Aristotele fu messo vicino ad Alessandro quando questi era un acerbo giovinetto di tredici anni; irascibile, epilettico, quasi alcolizzato. Suo passatempo era domare i cavalli che agli altri apparivano indomabili. Gli sforzi del filosofo per moderare le eruzioni di questo vulcano in formazione non ebbero grande fortuna: otteneva più Alessandro dai suoi Bucefali che Aristotele da Alessandro.
«Per qualche tempo - dice Plutarco - Alessandro amò ed ebbe caro Aristotele, come se fosse stato un suo secondo padre: e che gli aveva insegnato l'arte di vivere. («La vita -dice un acuto proverbio greco - é dono della natura; ma viver bene è dono della saggezza»).

«Per parte mia - scrisse Alessandro in una lettera ad Aristotele- preferisco primeggiare in sapienza e in bontà, piuttosto che in somma di poteri e di dominio». Forse questo non era nulla più che un complimento di un giovane principe; ché sotto il novizio entusiasta di filosofia stava l'ardente figlio di una principessa barbara e di un indomito re. I freni della ragione erano troppo deboli per tenere al guinzaglio queste passioni ereditarie; e dopo due anni, Alessandro abbandonò la filosofia per salire al trono e scorrazzare per il mondo. La storia ci lascia liberi di credere (sebbene a noi questi pensieri ottimistici siano un poco sospetti) che la passione unificatrice di Alessandro derivò parte della sua forza e della sua grandezza dal Maestro, il più sintetico pensatore in tutta la storia del pensiero; e che la conquista dell'ordine realizzata dall'allievo nel campo politico e dal Maestro nel campo filosofico, furono soltanto aspetti diversi di un unico disegno epico e grandioso: due illustri Macedoni unificatori di due mondi caotici.
Partendo per la conquista dell'Asia, Alessandro lasciò dietro di sè, nelle città greche, governi a lui favorevoli, ma popolazioni risolutamente ostili. La lunga tradizione di un'Atene libera ed imperiale ad un tempo rendeva insopportabile una sottomissione, anche se il despota era un famoso conquistatore del mondo intero; e la più amara eloquenza di Demostene tenne sempre l'Assemblea sul punto di ribellarsi al «partito macedone», che teneva le redini del potere cittadino. Perciò, quando Aristotele, dopo un altro periodo di viaggi, tornò ad Atene nel 334 a.C., si trovò, naturalmente, alleato al gruppo macedone, e non si peritò di tenere segreta la sua approvazione alla legge unificatrice di Alessandro.

Studiando la notevole serie di opere, di meditazioni e d'indagini intorno alle quali Aristotele continuò a lavorare negli ultimi dodici anni della sua vita, e considerando i molteplici compiti da lui assolti per organizzare la sua scuola e coordinare un patrimonio di sapienza forse mai fino allora balenata nella mente di nessun uomo, sorge spontaneo il pensiero che tutto ciò non fosse tranquilla e sicura ricerca della verità; ma che, ad ogni momento, l'orizzonte politico poteva oscurarsi e lasciar cadere una tempesta su quella pacifica vita di filosofo. Soltanto tenendo ben presente questa condizione di cose comprenderemo la filosofia politica di Aristotele e la sua tragica fine.
Quando l'illustre discepolo, salito al trono, partì per la sua favolosa conquista del mondo, il maestro tornò ad Atene, dove aprì la sua scuola, il Liceo.(335 a.C.).

Ma - anticipiamo- ad Atene Aristotele trascorse questi anni assai amari. I cittadini vedevano in lui solo l'odioso maestro dell'odiatissimo «tiranno macedone», e chiedevano la sua morte o l'esilio. Nel 323 a.C. inaspettatamente Alessandro morì. Atene esultò e cacciò tutti quelli che erano stati in qualche modo legati al defunto sovrano. Aristotele si trovò accusato di empietà. Ma il filosofo non attese il processo. Abbandonò la città, affermando con ironica amarezza che così facendo rendeva un favore agli Ateniesi, perché impediva loro di macchiarsi di un nuovo crimine contro la filosofia, dopo quello commesso causando la morte di Socrate.
Nel 322, vecchio di 72 anni, Aristotele si ammalò di un male incurabile. Un antico storico, Diogene Laerzio, afferma che egli pose fine alla malattia, all'amarezza e ai suoi giorni bevendo una coppa di cicuta.
Non sappiamo se ciò sia vero. Ma potrebbe esserlo: subire passivamente il lento sfacelo di una malattia incurabile contrastava troppo con il carattere di un uomo che aveva posto nella piena armonia delle facoltà spirituali con quelle fisiche l'ideale della perfezione umana.

L'OPERA DI ARISTOTELE.

Non fu difficile, per il Maestro del re dei re, trovare alunni, sia pure in una città ostile come Atene. Aristotele fondò la sua scuola, a cinquantatré anni, e ad essa affluirono tanti alunni da rendere indispensabili complicati regolamenti per mantenere l'ordine tra loro. Gli studenti stessi stabilivano le norme ed eleggevano, ogni dieci giorni, uno di loro per sopraintendere alla scuola. Ma non dobbiamo pensare alla scuola di Aristotele come ad un luogo di rigida disciplina: è giunta fino a noi la visione di una comunità di allievi che prendevano i loro pasti in comune col Maestro ed imparavano da lui, mentre, in sua compagnia, passeggiavano innanzi e indietro per il viale, lungo il campo sportivo, da cui il Liceo prendeva nome (Il campo sportivo faceva parte dell'area circostante al tempio di Apollo Liceo, protettore delle greggi contro il lupo (lycos). Il viale era chiamato Peripatos (il passeggio); d'onde il nome di scuola peripatetica. I discepoli non solo ascoltavano, ma studiavano insieme al maestro e discutevano con lui passeggiando. Per questo motivo i discepoli di Aristotele furono chiamati Peripatètici, cioè "coloro che imparano passeggiando".

La nuova scuola non era una semplice replica di quella lasciata da Platone: l'Accademia era soprattutto specializzata negli studi matematici e nella filosofia speculativa e politica; il Liceo tendeva piuttosto alla biologia e alle scienze naturali. Se possiamo credere a Plinio (Storia Nat., VIII, 16; in Lewes: Aristotele, un capitolo dalla storia alla scienza, Londra, 1864, pag. 15).), Alessandro dispose che i suoi cacciatori, guardaboschi, giardinieri e pescatori provvedessero ad Aristotele tutto il materiale zoologico e botanico che desiderava; altri antichi scrittori ci dicono che aveva contemporaneamente a disposizione mille persone, distribuite in Grecia e in Asia, per raccogliere esemplari della fauna e della flora in tutti i paesi. Con simile ricchezza di materiale gli fu possibile costituire il primo giardino zoologico che si sia visto al mondo. Sarebbe difficile esagerare l'influenza di questa collezione sulla scienza e la filosofia aristoteliche.

Dove prendeva Aristotele i capitali per finanziare queste imprese? A quel tempo aveva egli stesso larghe entrate, avendo, col matrimonio, partecipato alla fortuna di uno de' più potenti uomini pubblici della Grecia. Ateneo (con qualche esagerazione, senza dubbio) racconta che Alessandro diede ad Aristotele, per ricerche e provviste di mezzi fisici e biologici, la somma di 800 talenti (al corso della moneta corrente circa 4 milioni di dollari - (Grant: Aristotele, Edimburgo, 1877, pag. 18.). Qualcuno crede che Alessandro abbia inviato una costosa spedizione ad esplorare le sorgenti del Nilo ed a scoprire le cause degli straripamenti periodici di esso, per suggerimento di Aristotele (La spedizione concluse che le inondazioni erano dovute allo sciogliersi delle nevi sui monti dell'Abissinia.).
Imprese come la raccolta di 158 costituzioni politiche, fatta da Aristotele, dicono ch'egli doveva avere un numero considerevole di aiutanti e di segretari. Insomma, si ha, nella storia europea, il primo esempio di un finanziamento scientifico in larga scala con pubblico denaro. Quante conquiste scientifiche sarebbero possibili se gli Stati moderni aiutassero le ricerche con proporzionale prodigalità!

Eppure, commetteremmo un'ingiustizia verso Aristotele se fingessimo di ignorare le quasi funeste limitazioni che accompagnavano questa offerta di mezzi senza precedenti. Egli era costretto «a misurare il tempo senza orologi, a paragonare stati di temperatura senza termometro, ad osservare il cielo senza telescopio, e il clima senza barometro... Di tutti i nostri strumenti matematici, ottici e fisici, egli possedeva soltanto la riga e il compasso, nonche i più imperfetti sostituti di alcuni altri. Erano sconosciuti l'analisi chimica, i pesi e le misure esatte, e qualsiasi applicazione della matematica alla fisica. La forza di attrazione della materia, la legge della gravitazione, i fenomeni elettrici, le condizioni che determinano la combinazione chimica, la pressione dell'aria ed i suoi effetti, la natura della luce, del caldo, della combustione, ecc., insomma, tutti i fatti sui quali sono basate le teorie fisiche della scienza moderna erano completamente, o quasi completamente, ancora da scoprire» (Zeller, vol. I, pagg. 264 e 443).

Vediamo, quindi, che le invenzioni fanno la storia: per mancanza di un telescopio, l'astronomia di Aristotele è un intreccio di fiabe infantili; per mancanza di un microscopio, la sua biologia vaga all'infinito tra errori. E veramente, in fatto di invenzioni tecniche industriali, la Grecia rimase a un livello bassissimo, a confronto del tipo generale delle sue impareggiabili creazioni. Il disdegno dei Greci per il lavoro manuale tenne tutti, tranne gli schiavi svogliati, lontani dalla conoscenza diretta del processo di produzione, da quello stimolante contatto con i meccanismi, che rivela imperfezioni e prevede possibilità, le invenzioni tecniche erano alla portata soltanto di coloro che ad esse non si interessavano e non potevano ritrarne nessun vantaggio materiale. Forse il costo estremamente vile degli schiavi ritardò le invenzioni: i muscoli costavano ancor meno delle macchine. E così, mentre il commercio greco conquistava il Mediterraneo, e la filosofia greca conquistava l'intelligenza mediterranea, la scienza greca sviava, e l'industria greca restava quasi al livello di quella egea al tempo della conquista dei Greci, cioè qual era a Cnosso, a Tirinto, e a Micene mille anni prima. E' questa, senza dubbio, la ragione per cui Aristotele si vale raramente dell'esperimento: non era ancora stato trovato il modo di farne; il meglio che si poteva fare era attendere a continue e quasi universali osservazioni. Ciononostante, l'ampia messe di dati raccolti da Aristotele e da' suoi assistenti costituì la base di ogni progresso scientifico; il libro di testo del sapere per duemila anni; una delle meraviglie dell'intelligenza umana.

Gli scritti di Aristotele sopravvivono ai secoli. Qualche antico autore li fa ascendere a quattrocento volumi, qualche altro persino a mille. Ne giunse a noi soltanto una parte, e tuttavia essi costituiscono una biblioteca... Da ciò si deduce la grandiosità e l'estensione di tutto il complesso. Precedono le opere di Logica: «Categorie», «Topici», «Analitica anteriore e posteriore», «Proposizioni» e «Confutazioni sofistiche»; lavori raccolti e pubblicati dai peripatetici posteriori, sotto il titolo generale di «Organo» di Aristotele, cioè l'organo e lo strumento del corretto pensare. Il secondo gruppo comprende gli scritti scientifici «Fisica», «Del cielo», «Dello sviluppo e della decadenza», «Meteorologia», «Storia naturale», «Sull'anima», «Le parti degli animali», «Il movimento degli animali» e «La generazione degli animali». Al terzo gruppo appartengono gli scritti di Estetica: «Retorica» e «Poetica». Nel quarto gruppo sono comprese le opere più strettamente filosofiche: «Etica», «Metafisica» e...«Politica» (Questo é l'ordine cronologico, o almeno conosciuto come tale (Zeller, vol. I, pag. 156).

In queste pagine, come già detto, tratteremo solo "Politica", il lettore che vuole indagare su altro, saprà procurarsi le opere illustrate e commentate dai numerosi autori antichi e moderni.
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In quel complesso di opere, quella era, evidentemente, l'Enciclopedia britannica della Grecia: vi trovano posto tutti i problemi intorno al sole e a quanto si svolge sotto il sole. Il lettore non si stupisca di trovare in Aristotele più errori ed assurdità che in qualsiasi altro filosofo di ogni tempo. Vi è, nelle sue opere, una tale sintesi di conoscenza e teoria, quale in nessun altro pensatore fino ai tempi di Spencer, ed anche allora non si raggiunse neppure metà di tanta magnificenza. È qui, più che nelle vittorie incostanti e brutali di Alessandro, una conquista mondiale.
Se la filosofia è la ricerca dell'unità, Aristotele è ben degno del nome sublime che venti secoli gli diedero; Ille Philosophus (il Filosofo).

Naturalmente, nell'intelligenza di un simile genio scientifico, difetta la poesia. Non dobbiamo aspettarci da Aristotele quello splendore letterario che inonda le pagine di Platone, il filosofo-drammatico. Invece di darci della letteratura, in cui la filosofia è incorporata (e offuscata) nel mito e nella fantasia, Aristotele ci dà scienza, tecnica, astrazione concentrata; se ci avviciniamo ai suoi libri per divertirci, possiamo reclamare la restituzione del danaro speso per acquistarli. Invece di creare termini letterari, come fece Platone, egli costruì la terminologia scientifica e filosofica; difficilmente possiamo, ancor oggi, parlare di qualsiasi genere di scienza senza adoperare termini da lui inventati; essi sono come fossili negli strati del nostro discorso: facoltà, mezzo, massima (che significa, in Aristotele, la premessa maggiore di un sillogismo), categoria, energia, attualità, motivo, fine, principio, forma; - tutte queste fondamentali monete del pensiero filosofico furono coniate nella sua mente. E, forse questo passaggio dal dialogo piacevole al preciso trattato scientifico era un passo indispensabile nello svolgimento della filosofia; e la scienza, base e spina dorsale della filosofia, non avrebbe potuto svilupparsi fin che non si fossero evoluti i rigidi metodi di procedura e di espressione di lui. Anche Aristotele scrisse dialoghi letterari, altamente reputati a suoi tempi, come quelli di Platone; ma essi andarono perduti, proprio come non sono giunti a noi i trattati scientifici di Platone. Forse il tempo ha preservato la parte migliore di ciascuno dei due Maestri.

Infine, è possibile che tali scritti attribuiti ad Aristotele non fossero suoi, ma ampie compilazioni di alunni e seguaci di lui, che avevano imbalsamato la disadorna sostanza delle sue conferenze nelle loro note. Non sembra che Aristotele abbia pubblicato in vita sua scritti tecnici, ad eccezione di quelli di logica e di retorica: e la forma attuale dei trattati di logica è dovuta ad edizioni posteriori.

Quanto alla Metafisica e alla Politica, pare che le note lasciate da Aristotele siano state riunite da' suoi esecutori testamentari senza revisione o alterazione. Persino l'unità di stile, che caratterizza le opere di Aristotele ed offre argomento in favore dei difensori della sua diretta autorità, può essere, dopo tutto, semplicemente un'unità conferita ad esse nella edizione comune della scuola peripatetica. Intorno a ciò infuria una specie di questione omerica di epica vastità, che al lettore occupato non interessa di penetrare, e su cui un modesto studioso è meglio non avventuri giudizi (Cfr. Zeller, vol. II, pag. 204, nota; e Shule: Storia degli scritti aristotelici). In ogni caso possiamo esser sicuri che Aristotele è l'autore in spirito di tutti i libri che portano il suo nome: forse la mano, in alcuni casi, è stata un'altra, ma la mente e il cuore sono suoi.
Il lettore che desidera mettersi a contatto con una sua opera personale, troverà un interessante esempio di lavoro scientifico nella Meteorologia; trarrà maggiori conoscenze pratiche dalla Retorica, e troverà il meglio di Aristotele nei vol. I e II dell' Etica e nel I e IV della Politica.

Noi qui ci soffermeremo su alcuni passi dell'"Etica", poi su "Politica".

"L'aurea mediocrità - dice il nostro pratico filosofo, non è tutto il segreto della felicità. Dobbiamo pure possedere una giusta quantità di beni mondani: la povertà rende avidi e avari, mentre la ricchezza consente quella liberazione dai fastidi e dalle cupidigie, che è la sorgente degli agi e del fascino aristocratico. Il più nobile di questi ausili esterni della felicità è l'amicizia. E davvero l'amicizia è più necessaria al felice che all'infelice, poichè la felicità si moltiplica facendone parte altrui. Essa è più importante della giustizia; poichè, «quando gli uomini sono amici, la giustizia non è necessaria; ma quando gli uomini sono giusti, l'amicizia è sempre un beneficio». «Un amico è un'anima in due corpi». Tuttavia, l'amicizia implica pochi, piuttosto che molti amici; «chi ha molti amici, non ha amici»; ed «essere legati a molte persone da perfetta amicizia, è impossibile». Un'amicizia delicata richiede durata, più che incostante intensità; e questo implica stabilità di carattere: ad alterazioni di carattere dobbiamo attribuire il caleidoscopio delle nostre amicizie. E amicizia richiede eguaglianza; poichè la gratitudine la mette, nella migliore ipotesi, su una base sdrucciolevole. «Comunemente si crede che i benefattori hanno più amicizia per gli oggetti della loro generosità, che non questi per loro. Questo si spiega, secondo il maggior numero delle persone, perchè gli uni sono debitori e gli altri creditori,... e i debitori desiderano togliersi dai piedi i creditori, mentre i creditori desiderano che i loro debitori si conservino ».

Aristotele rifiuta questa interpretazione; egli preferisce credere che la maggior tenerezza dei benefattori si spiega con un'analogia: l'affetto dell'artista per la sua opera, della madre per il figlio. Noi amiamo quel che abbiamo fatto (Etica, VIII, e IX).

E tuttavia, quantunque i beni e le relazioni esterne siano necessarie alla felicità, l'essenza di essa è dentro di noi, nella sfera della conoscenza e nella chiarezza dell'anima. Il piacere del senso non è, certamente, la via che conduce alla felicità; questa via è un cerchio: come Socrate si esprimeva circa la più grossolana teoria epicurea, noi grattiamo ciò che ci può dar prurito, e ci dà prurito ciò che possiamo grattare. Nè la via della felicità ci può essere aperta dalla politica, poichè vi marciamo soggetti ai capricci del popolo; e nulla è volubile quanto il popolo. La felicità dev'essere un piacere dell'intelletto; e dobbiamo fidarcene soltanto quando viene dalla ricerca o dal ritrovamento della verità. «Gli atti della mente... non mirano a nessuno scopo al di là della mente stessa, e in essa trovano il piacere che la stimola ad altri atti; e poiché gli attributi di auto-sufficienza, di instancabilità, e di capacità al riposo... appartengono semplicemente a questa occupazione, in essa dimora la perfetta felicità » (Etica, X, 7).

L'uomo ideale, secondo Aristotele, non è, tuttavia, un puro metafisico:
«Egli non espone se stesso inutilmente al pericolo, perché di poche cose egli si dà molto pensiero; ma nelle grandi crisi dà volentieri persino la vita, sapendo come, a certe condizioni, la vita non vale la pena di esser vissuta. Egli è disposto a render servigi a' suoi simili, sebbene abbia vergogna di farsi egli stesso servire. Fare atto di generosità è segno di superiorità; riceverne uno è segno di subordinazione... Egli non prende parte a pubbliche pompe... Mostra apertamente preferenze e antipatie; parla e agisce con franchezza, per disprezzo verso persone e cose... Non è mai ardente di ammirazione, perché non esiste nulla di grande a' suoi occhi. Non può essere cerimonioso con gli altri, se non con un amico, poiché la cerimoniosità è la caratteristica dello schiavo... Non si sente mai malizioso, e dimentica sempre le ingiurie... Non gli piace molto discorrere... Non ha merito, ne colpa se la gente lo loda o se biasima altri... Egli non parla male degli altri, neppure de' suoi nemici, se non affrontandoli direttamente. Il suo portamento è composto, la voce profonda, il discorso misurato; egli non ha fretta, perché si affanna soltanto dietro a poche cose; egli non è proclive alla veemenza, perché non stima nulla veramente importante. Voce stridente e passi affrettati appartengono alle persone che hanno molti pensieri... Egli sopporta gli accidenti della vita con dignità e compostezza, ricavando il meglio dalle circostanze, come un abile generale che schiera le sue forze limitate con tutte le regole della strategia... Egli è il miglior amico di se stesso ed ha piacere di star solo, mentre la persona priva di virtù o di capacità è il peggior nemico di se stessa e teme la solitudine» (Etica, IV, 3).
Ecco il superuomo aristotelico.




Nel prossimo capitolo

ANNO 384-322 a.C.
ARISTOTELE: STATO UTOPIA
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