UNA SINTESI SULLA STORIA DI SPARTA

Allorquando volgiamo la mente all'antica Grecia il pensiero subito corre ad Atene, alla maestosa Acropoli col Partenone, al sapiente Solone, a Pericle, all'imprevedibile ma simpaticissimo Alcibiade, ai divini Socrate e Platone. Eppure l'attuale capitale della Grecia non fu l'unica polis dell'antica Ellade. Come dimenticare Corinto, Tebe, Samo, Argo, Sicione, Mileto e tante altre gloriose città greche? Come dimenticare, soprattutto, l'inclita Sparta? La città del Peloponneso non ci ha, è vero, lasciati monumenti e opere filosofiche e letterarie, ma questo perchè più grande era l'ambizione degli Spartiati: essi miravano a costruire uomini. Quale testimonianza più grande del sacrificio delle Termopili potevano lasciarci i Lacedemoni. Uomini come Leonida, Agide Agesilao, Brasida, Lisandro sono veri e propri monumenti trasmessi alla posterità. Certo essi furono il frutto di una legislazione e di un'educazione rigide, spietate se si vuole, ma proprio in virtù di queste Sparta non conobbe le terribili guerre civili, le dittature, le epurazioni che caratterizzano la vita di tante città greche non ultima proprio Atene.

LA LEGGENDA

Parlando di Sparta non possiamo non parlare di Elena. Proprio regina della città fu una delle donne più famose dell'antichità. Suo padre Tindaro la diede in sposa a Menelao, facendo giurare, prima dell'assegnazione, agli altri pretendenti, il fiore fra i sovrani della Grecia arcaica, che non solo non avrebbero nutrito rancori verso di lui e verso lo sposo, ma avrebbero soccorso questi in caso di sventura.
La sventura si presentò ben presto sotto i panni di un figlio di Troia, Paride, che bassamente approfittando dell'ospitalità di Menelao, gli rapì la moglie conducendola con sé nel paese dei Dardani.
La guerra infuriò per dieci anni, alla fine Troia fu distrutta ed Elena tornò in patria.
Un'altra leggenda vuole che la regina spartana sia stata affidata da Ermes al re d'Egitto Proteo, che la custodì per tutta la durata del conflitto, per poi restituirla a Menelao, l'Elena per la quale si combattè a Troia altro non era che una nuvola con le sembianze della bella tra le belle.

I DORI

La vera storia di Sparta comincia con l'invasione dei Dori, questo popolo, d'origine indoeuropea giunse in Grecia tra il 1200 e il 1000 a.C. Non bisogna pensare ad una vera e propria invasione sul modello di quelle barbariche, i Dori arrivarono in Grecia a piccoli gruppi, tra l'altro gli Achei che occupavano la regione erano del stesso gruppo etnico, e al loro arrivo non sembrano collegarsi particolari violenze.
Per giustificare la loro conquista i Dori s'appropriarono di una leggenda maturata in ambito acheo, secondo la quale i discendenti, di Ercole scacciato dal Peloponneso, sarebbero, un giorno, tornati a rivendicare questa terra. Si presentarono così non come conquistatori, ma come creditori che reclamavano un loro diritto. E' molto probabile che gli invasori stessi abbiano ideato questa leggenda, per legittimare il potere di fatto, che ormai detenevano su gran parte della Grecia.

LA GRANDE RHETRA

Sia Erodoto che Tucidide sono d'accordo nell'affermare che Sparta visse un lungo periodo caratterizzato da disordini sociali e d'anarchia. A questa situazione avrebbe posto rimedio il mitico Licurgo. La leggenda vuole che egli si sia recato a Delfi, da dove sarebbe tornato con quegli ordinamenti (la Grande Rhètra), che avrebbero per quattro - cinque secoli retto la polis peloponnesiaca. Una volta accettata la legge dai suoi concittadini, si fece giurare che non l'avrebbero modificata fino al suo ritorno, dopo di che allontanatosi dalla città e si lasciò morire di fame.
Le leggi licurghee, che non furono mai cosificate in forma scritta, regolavano sia la forma dello Stato, sia l'educazione dei cittadini.
Come caratteristica delle stirpi indoeuropee, lo Stato era diviso in tre classi, sul gradino più basso stavano gli iloti, probabilmente indigeni assoggettati, ogni anno erano fatti oggetto di una formale dichiarazione di guerra, tesa a ribadire il loro carattere più di nemici che di semplici schiavi, loro compito era occuparsi dei lavori agricoli. V'erano poi i Perieci, cui toccavano i lavori artigianali, è incerto se essi fossero già inseriti nella società dorica e continuassero a rivestire gli stessi compiti che avevano prima della conquista, o foosero come, gli iloti, indigeni assoggettati dopo l’invasione. I Perieci in teoria indipendenti non potevano, in realtà, prendere decisioni politiche è dovevano uniformarsi alle decisioni dagli Spartiati. Costoro erano al vertice della piramide, il loro numero era fissato a 9000, erano detti anche homoioi (uguali), e non potevano distinguersi gli uni dagli altri nell'ostentare ricchezze, uguali erano perfino le loro abitazioni. Gli uguali erano, inoltre, proprietari di un appezzamento di terreno(kleros) coltivato dagli iloti.

LA DIARCHIA
La diarchia, fu il governo stabilito per la città. I due re, entrambi discendenti d'Ercole, appartenevano alle famiglie degli Agiadi degli Europontidi. La stranezza di questa costituzione ha sollevato una miriade d'ipotesi, tutte valide, ma nessuna in grado d'escludere l'altra. In tempo di pace il loro potere era nullo, si trattava semplicemente due membri del senato, ma in guerra il loro potere era assoluto.

LA GERUSIA
Era il senato formato da trenta membri tutti, con l'esclusione dei due re d'età superiore ai sessanta anni. Il numero trenta ci fa comprendere che ogni philay (tribù) eleggeva dieci membri. Tre erano, infatti, le tribù doriche, quella dei Dimani, quella dei Pamfili, quella degli Illei.

GLI APELLA
Erano riunioni stagionali, cui partecipavano tutti gli Spartiati in grado di combattere, esse non avevano il potere di contestare le proposte della gerusia, potevano, al massimo, avanzare qualche piccola proposta di modifica, sulla quale l'ultima parola toccava sempre al senato.

L'EFORATO
Gli efori, magistrati incaricati di sorvegliare sul comportamento dei due re, non sono menzionati dalla Grande Rhetra. L'eforato fu istituito nel VIII secolo a. C., le prime liste di efori a nostra disposizione risalgono, infatti, al 754. Grande era il potere di questi magistrati. Potevano addirittura trascinare il re in giudizio. E' probabile che ognuno dei cinque obai (villagi), vale a dire Limna, Pitane, Cinossura, Mesoa, Amicle, dal cui sinecismo era sorta Sparta, eleggesse un eforo. Un limite a questo potere era costituito dalla durata, soltanto un anno, della magistratura, e dal processo cui i suoi membri erano automaticamente sottoposti una volta scaduto il loro mandato.

L'EDUCAZIONE
Gli Spartiati rischiavano la vita fin dalla nascita, se i neonati, infatti, presentavano delle malformazioni, o erano giudicati troppo gracili, venivano esposti sul Taigeto e lì lasciati al freddo ai lupi. Superata questa prova erano allevati in casa fino ai sette anni, dopo di che le famiglie li consegnavano alla città.
A sette anni si era pronti per l'agoghè, vera e propria accademia militare. I bambini erano divisi in gruppi detti branchi e a loro capo era posto un ragazzo più adulto chiamato mandriano. Come unico lusso era loro concesso un mantello, da portare sia d'inverno sia d'estate, se si pensa che la notte sul Taigeto, dove avveniva gran parte dell'addestramento, la temperatura scende regolarmente sotto zero, e che i ragazzi erano rasati e costretti a stare scalzi si comprende che ben poco conforto poteva recare tale indumento.
Era inoltre dato loro poco vitto, quanto bastava a farli sopravvivere, la pietanza principale era il brodo nero, maiale(poco) servito con sangue ed aceto. Si racconta che quando riferirono la ricetta ad un sibarita questi esclamò "ecco perchè agli spartani nulla importa della morte". Dioniso di Siracusa fece venire da Sparta un cuoco per prepararglielo, assaggiatolo il tiranno lo trovò disgustoso, lo"chef" rispose che per gustarlo davvero era prima necessario tuffarsi nell'acqua dell'Eurota: il fiume che passava vicino alla città.

A dodici anni l'addestramento diventava ancora più duro. Giunti a venti anni i ragazzi erano sottoposti ad un durissimo rito di passaggio. Sull'altare del tempio d'Artemide era disposta una gran quantità di formaggio, difesa da giovani più adulti, armati di fruste, gli iniziandi dovevano accaparrarsene quanto più possibile. La naturale competitività, lo sprezzo del pericolo, l'animosità degli armati di frusta, cui era raccomandato di non impietosirsi, facevano si che alcuni ragazzi si ferissero gravemente o addirittura morissero.
Altra particolare istituzione era la Kripteia, della quale entravano a far parte solo i migliori, coloro che sarebbero divenuti gli 007 di Sparta. Il loro addestramento consisteva nell'aggirarsi nei boschi, armati di coltello, assalendo gruppi d'iloti che tornavano dal lavoro e sterminarli fino all'ultimo uomo.
Il poco cibo fornitogli spingeva i ragazzi a rubare, erano anche incoraggiati a farlo, se scoperti erano severamente puniti, ma non per aver commesso il furto, bensì per l'essersi fatti scoprire.
L'educazione spartana non verteva tanto sul leggere e sullo scrivere, quanto sulla musica e la danza, necessarie per acquisire un ritmo che si rivelava utile nelle battaglie. A venti anni si poteva partecipare ai syssiti, pasti presi in comune con i propri commilitoni, utili sia a cementare il legame fra i soldati, ma anche, e soprattutto, come messo in luce da Platone, ad evitare i conflitti sociali e generazionali.

Le donne, allevate in casa, erano sottoposte ad una rigida educazione. Dovevano imparare a difendersi in caso d'invasione, si esercitavano nude nelle palestre dove svolgevano esercizi necessari per irrobustire il fisico. Erano di costumi più liberi rispetto alle loro connazionali. Ma erano formate ad una rigida fedeltà alla polis, per questa e non per se stesse partorivano.
Lo Spartiata era abituato a parlare chiaro, esprimendosi col minor numero di parole possibile, anch'oggi gli oratori di tal fatta sono detti laconici.
Giunto a trenta anni lo Spartiata poteva prendere moglie. Gli unici rapporti sessuali li aveva avuti, sino a quel momento coi suoi commilitoni, infatti i rapporti omosessuali nell'antica Grecia erano non solo tollerati, ma anche incoraggiati. Le donne per abituare i guerrieri a dormire con loro, si radevano i capelli e si ponevano sul volto una barba posticcia.

L'ESERCITO

L'esercito delle città greche era costituito dalla falange oplitica. L'oplita era armato di lancia, gladio e di un largo scudo pesante 10 chili. Lo scudo proteggeva il guerriero che lo portava e quello che gli stava a fianco. La falange era composta di sette od otto file di cinquanta uomini ciascuna. La sincronia e la cieca fiducia nei commilitoni erano, in questo tipo di combattimento, fondamentali. Un verso di Tirteo rende magnificamente questo concetto:
Chi si tiene unito al proprio commilitone e avanza assieme alla propria linea, durante gli scontri, ha meno possibilità di morire e copre quelli che gli stanno dietro.
Altri canti di Tirteo celebrano la bellezza di morire in prima fila al servizio della patria.
Sparta non nacque con queste leggi, le adottò una volta che ebbe assoggettato la Messenia, regione con una popolazione molto più numerosa, che imponeva agli spartani di stare sempre in guardia ed essere sempre pronti a domare possibili rivolte.
Gli spartani adottavano, dunque, quella che oggi è detta difesa preventiva, sicuri del loro primato nel Peloponesso, miravano solo a mantenerlo col timore che ispiravano ai barbaroi, termine col quale indicavano tutti gli stranieri Greci o no che fossero. Gli altri Greci designavano, invece, col nome di xenoi i cittadini delle altre città elleniche.

I - II GUERRA MESSENICA

La Grecia conobbe nel VIII secolo un'enorme esplosione demografica, i problemi da questa comportati furono risolti dalle polis con l'emigrazione, ma un po' dappertutto la crescita della popolazione agevolò anche il sorgere delle tirannidi. Sparta reagì in maniera diversa allo sviluppo demografico. Completata alla fine dell'ottavo secolo la conquista della Laconia, gli Spartani diressero contro la Messenia, regione confinante con i territori dei Lacedemoni, le loro mire espansionistiche.
La Messenia, più grande della Laconia e con una popolazione molto più numerosa, era una ricca regione agricola, che poteva inoltre contare su grandi giacimenti di ferro, minerale indispensabile alla costruzione delle armi. Proprio per queste sue caratteristiche attrasse l'attenzione degli Spartiati.
Il primo conflitto messenico durò circa vent'anni (dal 743 al 724, oppure dal 757 al 738). L'impresa si presentò subito irta di difficoltà per gli Spartiati, costretti ad aggirare la formidabile barriera del Taigeto per entrare in terra messena.
Una prima spedizione si risolse con un nulla di fatto. L'anno successivo i Lacedemoni, dopo aver giurato di non tornare in patria prima d'aver recuperato le terre perse, invasero, nuovamente, la regione. La guerra fu dura, ma alla fine gli spartani costrinsero i nemici ad asserragliarsi nella loro città di pietra posta sul monte Itome.
Il protrarsi dell'assedio rendeva inquieti gli Spartiati. Il loro numero, infatti, a causa della guerra tendeva sempre più a diminuire. Non potendo tornare in patria, a causa del giuramento prestato, mandarono a Sparta tutti i giovani Spartiati, con l'ordine di generare figli con le donne della città. Mai ordine dovette essere eseguito con maggiore entusiasmo. Ai figli nati da queste unioni, benché si fosse stabilito di trattarli come Spartiati puri, la condizione di "bastardi di stato" era, in comunque, fatta pesare. Così che riunitisi, decisero di lasciare Sparta alla volta dell'Italia dove fondarono Taranto.
Il lungo assedio stremava i Messeni. Il loro re Aristodemo non esitò, in omaggio ad un oracolo delfico, ad immolare la figlia pur d'ottenere la vittoria. A nulla valse questo sacrificio. L'assedio continuava spietato. Il re, vedendo la sua popolazione morirgli attorno decimata dalla fame e dagli stenti, si recise la gola sulla tomba della figlia.
I vinti furono subito ridotti al rango d'iloti, costretti a lavorare per altri la loro terra e considerati alla stregua di bestie da soma.
Questa situazione non poteva durare. Sotto la guida d'Aristomene, figlio del precedente sovrano, i Messeni, infatti, nel 684, si ribellarono. Sconfissero più volte gli odiati nemici, che per abbatterli, consigliati dall'oracolo di Delfi, chiesero un generale agli ateniesi, costoro mandarono invece un poeta, la presa in giro era evidente, Tuttavia il poeta attico, il già citato Tirteo, si dimostrò migliore di qualsiasi generale. Eccitati dalle sue rime, gli Spartiati tornarono a combattere con rinnovato vigore, domando la rivolta nel 668.
Le due terribili sconfitte e le durissime condizioni di vita eliminarono per lunghissimo tempo dalla testa dei Messeni ogni velleità di rivolta.

L'EGEMONIA NEL PELOPONNESO

Non bisogna credere che conquistata la Messenia, gli Spartiati abbiano smesso di combattere. Per lunghissimo tempo furono impegnati in guerre contro altre popolazioni del Peloponneso, Arcadi, Argivi, Tegeati, per stabilire a chi toccasse la supremazia sulla regione.
Tante leggende ammantano queste lotte ed è quasi impossibile capirci qualcosa. La storia afferma che, nell'ultimo anno della guerra messena (668), gli Spartiati furono duramente sconfitti dagli Argivi ad Isie. Dopo questo scontro le sorti delle varie guerre dovettero, però, volgere in favore di Sparta.
Nel 560 Corinto e i popoli arcadici entrano in alleanza con i lacedemoni. Poco dopo, o poco prima, questi ultimi s'assicurarono il controllo sulla Pisatide, la regione comprendente Olimpia.
Nel 550 conclusero un trattato con Tegea, quest'ultima conservava la propria indipendenza, ma perdeva gran parte del suo territorio e si obbligava a seguire militarmente gli Spartiati.
Otriade
Nel 540 - 535 a Parparo gli Spartiati inflissero una tremenda sconfitta agli Argivi. Narra Erodoto che i due eserciti invece di scontrarsi preferirono differire l'esito della guerra ad uno scontro, che avrebbe contrapposto 300 argivi a 300 lacedemoni. Chi non faceva parte dei 600, doveva tornare in patria ad attendere l'esito dello scontro. Dopo una dura lotta rimasero in vita lo spartiata Otriade e due argivi, i quali, dato che ormai calava la notte, si recarono in città ad annunciare la loro vittoria. Otriade, al contrario, raccolte le armi dei nemici caduti, restò sul campo. Il giorno dopo ambo le parti si attribuirono la vittoria, fu allora necessario ricorrere ad una vera battaglia vinta dagli Spartiati. Otriade, vergognandosi di non essere morto assieme ai suoi commilitoni, si tolse la vita dopo lo scontro. Questa sconfitta costò agli argivi la Tireatide, ricca regione di confine fra l'Argolide e la Laconia. Sparta aveva ormai ottenuto la supremazia sulla regione. Con gli altri stati del Peloponesso, Argo esclusa, gli Spartiati diedero vita alla Lega Peloponnesiaca. La supremazia di Sparta all'interno dell'alleanza non fu, ovviamente, posta in discussione.
Conferma dell'ormai conseguita superiorità spartana sul Peloponneso, è la richiesta d'alleanza rivolta ai Lacedemoni dal re di Lidia, Creso.

FUORI DAL PELOPONNESO

Divenuta la città più potente del Peloponneso, Sparta si trasformò in un punto di riferimento per tutta la Grecia. La politica spartiata fuori della regione natale sembra, in ogni modo, risentire dell'ingenuità dei Lacedemoni, abituati più al combattimento, che ai sottili giochi della politica.
Personaggio chiave di questo periodo, di poco precedente l'invasione persiana, è il re Cleomene. Di lui Erodoto afferma che sin dalla giovinezza diede segni di follia, in realtà sembra al più un ingenuo cui costò cara la fiducia negli altri.
Suo padre, Anassandrida, era sposato con una donna che non gli dava figli. Gli efori lo convocarono e gli imposero di prendere un'altra moglie affinché il suo casato non s'estinguesse. La seconda moglie diede, poco dopo, alla luce Cleomene. Dopo questo parto non ebbe, però più figli. L'altra, al contrario, poco dopo la nascita del futuro re, partorì Dorieo, e rimase subito incinta di Cleombroto e Leonida.
Alla morte d'Anassandrida, re Agiade, il trono passò a Cleomene (520). Dorieo infuriato abbandonò Sparta. Sarebbe morto esule in Sicilia.
In quello stesso periodo Atene era in mano al tiranno Ippia. Era stato suo padre, il simpatico e tollerante Pisistrato, ad impadronirsi della città. Per farlo aveva dovuto, ovviamente, pestare i piedi a qualcuno. Fra questi c'erano gli Alcmeonidi, ricca e nobile famiglia ateniese. Costoro corruppero l'oracolo di Delfi. Ogni Spartiata che si recava a consultarlo veniva a sapere che era desiderio del Dio che i lacedemoni liberassero Atene. I bacchettoni spartani, tra l'altro in rapporti d'ospitalità con Ippia, non subodorarono l'inganno e armato un corpo di spedizione spedirono Cleomene in Attica a liberare Atene.

Non appena affrancati, gli ateniesi cominciarono subito a litigare. Isagora, capo della fazione aristocratica, vedendosi sconfitto da Clistene, alcmeonide, alla testa del partito democratico, chiese l'intervento di Sparta. Cleomene scese di nuovo in Attica, costrinse Clistene alla fuga ed espulse da Atene 700 famiglie democratiche. Gli ateniesi reagirono e assediati gli Spartani sull'acropoli imposero loro d'andarsene dalla città. Tornato in patria Cleomene organizzò subito un esercito, e partì alla volta d'Atene. Giunti ad Eleusi i Peloponnesiaci si trovarono di fronte gli Ateniesi. Non ci fu alcuna battaglia, giudicando ingiusta la causa per la quale combattevano i Corinzi s'allontanarono dal campo, il loro esempio fu subito seguito da Demarato, l'altro sovrano spartiata, della stirpe degli Europontidi. A Cleomene non rimase che seguirli. Da quest'episodio fu istituita a Sparta una legge che proibiva ai re d'accompagnare insieme un corpo di spedizione.
Quando gli Spartiati seppero d'essere stati ingannati dagli alcmeonidi, decisero di restaurare la tirannide d'Ippia. Convocarono, quindi, un'assemblea della lega, che, però bocciò la proposta. Questi eventi si collocano in un periodo che va dal 511 al 506.

LA RIVOLTA IONICA

All'epoca in cui Sparta era impegnata nella conquista della Messenia, si sviluppava nelle altre polis elleniche un vasto movimento migratorio, una vera e propria diaspora, a seguito del quale non ci fu parte del mediterraneo che non fosse toccata dai coloni greci. Le città fondate sulla costa occidentale dell'odierna Turchia furono, a metà del VI secolo, conquistate dai persiani. Alcuni fra i greci riuscirono a divenire assai influenti alla corte del Gran re. Fra questi v'era Aristagora di Mileto, che sul finire del VI secolo convinse il sovrano, Dario, ad affidargli il comando di un corpo di spedizione col quale intendeva conquistare Nasso. L'impresa fallì miseramente ed Aristagora, temendo le reazioni del re persiano, istigò alla rivolta gli Ioni.
Il ribelle si recò, in cerca d'alleati, in Grecia e cercò di convincere Cleomene a combattere con lui. Ma il re spartiata, che degli Ioni, fossero d'Asia o di Grecia, non doveva, dopo lo scherzetto giocatogli dagli Alcmeonidi, fidarsi troppo, rispose negativamente, Aristagora cerco anche di corromperlo ma non ci fu nulla da fare. Il milesio allora si rivolse ad Atene, che, anche in nome della solidarietà ionica accettò d'aiutarlo. L'esercito ateniese fece meraviglie, e la rivolta terminò con la liberazione delle città greche d'Asia.
La libertà durò poco. Tornati a casa gli ateniesi, l'esercito del Gran re riportò all'ovile le polis ribelli.

MORTE DI CLEOMENE

Il sovrano spartiata, che aveva, rifiutato il proprio aiuto ad Aristagora, fu, mentre infuriava la rivolta ionica, impegnato in conflitto contro i sempiterni argivi. La battaglia di Sepeia del 494 fu un trionfo per gli Spartiati. L'episodio fu macchiato però da un atto d'indicibile ferocia. Parecchi soldati argivi, per sfuggire al massacro, si rifugiarono in bosco, dal quale non si riusciva a stanarli, di fronte alla loro ostinazione Cleomene ordinò d'incendiare il bosco, moltissimi argivi perirono tra le fiamme.
Poco dopo giunsero nelle principali città elleniche degli ambasciatori persiani. Essi chiedevano <<la terra e l'acqua>>, in pratica la sottomissione incondizionata dell'Ellade. Fra i popoli che si sottomisero vi furono gli Egineti, nemici giurati d'Atene, che denunciò a Sparta il tradimento. Cleomene mosse dalla città verso l'isola d'Egina. Ancora una volta l'intervento di Demarato, gli impedì d'agire. Tornato in città Cleomene era deciso a farla finita col collega. S'accordò con Leotichide, della stessa casata del rivale, al quale, una volta tolto di mezzo l'attuale sovrano, sarebbe toccato il trono. Cleomene mise in dubbio che Demarato fosse figlio del sovrano Aristone, affermando essere stato il collega generato dal primo marito della moglie del re defunto. Gli Spartiati, chiesero allora consiglio all'oracolo di Delfi. Cleomene, forte della sua precedente esperienza, non esitò a corrompere la sacerdotessa Perialla, che dichiarò Demarato figlio illegittimo.
Cleomene potè cosi punire, col sostegno di Leotichide, gli Egineti. Purtroppo per lui, poco dopo, si scoprì quanto aveva commesso a danno di Demarato, frattanto rifugiatosi alla corte del Gran re, così Cleomene perse il trono. Rifugiatosi presso gli Arcadi, prese a tramare contro la propria città, gli efori spaventati lo rimisero sul trono. Il re restaurato dava però evidenti segni di pazzia. Fu deciso allora di porlo in ceppi, mettendogli a guardia un ilota. Proprio costui, atterrito dalle minacce del sovrano, gli consegnò un coltello, col quale Cleomene si tolse la vita in maniera atroce.
A Cleomene successe il fratello Leonida. Con lui usciamo dalla storia ed entriamo nel mito.

DARIO E SERSE

Domata la rivolta ionica. Dario, il Gran re di Persia, decise di punire i Greci, per l'appoggio dato ad Aristagora. Il Gran re inviò, come gia detto, ambasciatori in tutta l'Ellade, chiedendo la terra e l'acqua. Pochi acconsentirono, gli Spartiati gettarono in un pozzo gli ambasciatori, garantendogli che lì avrebbero trovato tutta l'acqua e la terra che volevano. I messi mandati ad Atene furono lanciati giù dall'acropoli.
L'anno dopo (490) un esercito persiano s'imbarcò per la Grecia. Eretria, città che, come Atene, aveva inviato truppe e navi a sostegno della rivolta ionica, fu distrutta. I suoi uomini furono uccisi le donne e i bambini venduti come schiavi. I persiani sbarcarono, subito dopo, in Attica. Gli ateniesi li affrontarono a Maratona e grazie all'equipaggiamento oplitico e, soprattutto all'audace tattica dello stratego Milziade li distrussero. A fianco degli Ateniesi erano presenti le truppe di una sola città greca: Platea. Gli Spartiati avvertiti dagli ateniesi non rifiutarono il loro aiuto. Trattenuti, però, in patria da una festività religiosa, arrivarono ad Atene solo dopo lo scontro.
Dario non appena fu a conoscenza della sconfitta, giurò vendetta, ma morì prima di poterla attuare. Fu Serse, suo figlio e successore, istigato da Mardonio, che sperava di diventare governatore della Grecia, ad allestire un gigantesco corpo di spedizione per conquistare l'Ellade.
Il sovrano, al solito, mandò ambasciatori a chiedere la terra e l'acqua in tutta la Grecia, tranne che a Sparta e ad Atene. I Tessali, i Locresi, gli Achei di Ftia, i Beoti, con l'eccezione di Tespiesi e Platesi, e molti altri popoli si sottomisero.
Le polis non intenzionate a cedere si radunarono a Corinto dove l'assemblea panellenica, dopo aver annunciato la pace generale tra i greci, stabili l'invio di un corpo di spedizione per fronteggiare l'attacco. I soldati che lo componevano avrebbero dovuto attestarsi al passo delle Termopili.

LE PORTE DEL FUOCO

L'esercito di Serse era già in marcia. L'immensa armata si preparava ad attraversare l'Ellesponto. Sui ponti, appositamente costruiti, sfilarono, ininterrottamente per sette giorni e sette notti, i Medi, i Cissi, i Babilonesi, Gli Assiri, con i loro elmi di bronzo, gli Sciti d'Asia, con le loro spade afgane, gli Arabi, gli Egiziani, i giganteschi Etiopi, rivestiti di pelli di leopardi e leoni, i popoli delle isole dei deportati, i Libi, i Persiani e, per ultimi, i diecimila Immortali, la guardia scelta del Re dei re, vestiti di lunghe tuniche, che coprivano le loro corazze di ferro, brillavano per ornamenti d'oro a profusione.
Prima che sorgesse il sole, 300 opliti di Sparta, agli ordini del re Leonida, erano schierati in città, prima della partenza, le madri, bianco vestite e col capo velato, consegnarono loro lo scudo, ripetendo la tremenda formula: O con questo o sopra di questo. Terminato il rito, i guerrieri s'avviarono verso le Termopili, accompagnati dall'ossessiva musica dei flauti e dei tamburi degli iloti.
Le Termopili, porte del fuoco, uno stretto passaggio, non più di 20 metri, fra la montagna e il mare, erano considerate l'accesso per la Grecia, qui, dopo aver costruito un muro, s'installarono i guerrieri spartiati e i 7000 alleati greci, ad attendere l'arrivo dell'immenso esercito (più di 500.000 combattenti) degli invasori.
Quei pochi uomini, suscitarono l'ironia di Serse che, tramite un araldo, ingiunse loro di consegnare le armi ; "Venga a prenderle"; rispose Leonida.
Il Gran re attese per quattro giorni la resa dei Greci. Quindi, il 18 agosto del 480, ordinò ai Medi e ai Cissi di catturarli. Lo scontro durò tutto il giorno, il re inviò truppe su truppe, ma gli Spartiati non cedevano, calpestando i cadaveri, scivolando sul lago di sangue, in cui avevano trasformato lo stretto passaggio, continuarono il combattimento, mutandolo in un'orribile carneficina.
Il giorno dopo il sovrano di Persia mandò contro i Lacedemoni gli Immortali, il fiore del suo esercito, la ritirata, minacciò, sarebbe costata loro la vita. Il ridotto spazio di manovra, la maggiore lunghezza delle lance greche, la versatilità della falange spartana che, guidata dalla musica degli iloti, in continuazione mutava tattica di combattimento, fu loro fatale. Sul campo, ancora ingombro dei cadaveri del giorno prima, gli Spartiati, consci di quanta importanza avesse una decisa avanzata, prima, si lanciarono contro il nemico facendone strage, poi, non reggendone la pressione, presero a ritirarsi verso il muro, allora i Barbari presero ad inseguirli in disordine, raggiunta dai nemici, la falange, con una rapida manovra, si volse contro di loro, fu un orribile eccidio. I Persiani, investiti dai pesanti scudi, furono travolti e calpestati, i loro commilitoni erano sterminati dalle lunghe spade dei lacedemoni. All'orrenda mattanza pose fine il Gran re, ordinando la ritirata alle sue decimate truppe. L'esiguo spazio era traboccante di cadaveri, l'odore del sangue e della morte ammorbava l'aria.
Grande era lo sconforto nel campo barbaro, quando vi si presentò un greco, Efialte, che svelò al re, in cambio di denaro, l'esistenza di una strada che avrebbe consentito ai persiani di prendere alle spalle i Greci.

Avvertiti nella notte, da disertori greci del campo persiano, del tradimento. Gli Spartiati, la mattina dopo, congedarono gli alleati (solo i Tespiesi vollero rimanere a loro fianco) e si prepararono a ricevere la bella morte. Lisciarono i lunghi capelli, unsero i loro corpi lustrarono ed affilarono le armi, e attesero l'arrivo dei persiani. A mezzogiorno, del 20 agosto, le truppe dell'invasore iniziarono l'attacco. Gli Spartiati si portarono verso il punto più ampio del passo e iniziarono a combattere. Orribile fu la sorte degli uomini del re, costretti dalle scudisciate dei comandanti ad avanzare contro quei terribili avversari."Molti cadevano nel mare e vi perivano, e in numero ancora maggiore venivano calpestati vivi gli uni dagli altri. Gli Elleni, sapendo che li attendeva la morte da parte delle truppe che aggiravano il monte, spiegavano contro i barbari il massimo del loro vigore, sprezzando il rischio in un supremo oblio, quasi folli.

Gli Spartiati gettarono, poi, le lance infrante, e impugnate le spade continuarono a far scempio dei nemici. Uno spartiata ferito agli occhi, Eurito, si fece condurre dai suoi iloti sul campo di battaglia dove morì. Cadde, dopo aver compiuto eroiche gesta, il re Leonida. Attorno al suo cadavere montò violentissima la battaglia. Per quattro volte i Lacedemoni, stapparono dalle mani dei rivali il corpo del sovrano. Poi, all'arrivo delle truppe guidate de Efialte, i guerrieri di Sparta mutarono tattica. S'asserragliarono, infatti, su di un colle. Continuando a combattere con le mani nude e con denti. A quel punto i persiani, per evitare altre perdite, quel giorno persero la vita 20.000 barbari, li colpirono con le frecce fino a, quando non caddero esanimi.
Serse fece ricercare per il tutto il campo, il corpo del re Leonida. Quando i Persiani lo rinvennero, ordinò che la sua testa fosse infissa su una picca e il suo corpo crocifisso.
Sul sito della battaglia fu incisa quest'epigrafe:
"Straniero che passi, va a Sparta e di, che qui noi morimmo in ubbidienza alle sue leggi".
Fu inoltre innalzata una statua in onore di Leonida. Questi monumenti non sopravissero alle ingiurie del tempo e della storia. Possiamo ancora ammirarli grazie all' opera di 300 spartani emigrati, che nel secolo scorso ne hanno finanziato la ricostruzione.

SALAMINA PLATEA MICALE

In genere una sconfitta deprime chi l'ha subita ed esalta chi l'ha inflitta, nel caso delle Termopili l'effetto fu opposto. L'evento, proprio per com'era maturato, accese d'orgoglio gli Elleni e demolì il morale degli invasori.
Un mese dopo, grazie all'astuzia dell'ateniese Temistocle, i Persiani furono massacrati a Salamina. La sconfitta convinse il re Serse a tornarsene a casa, lasciando a Mardonio il comando delle operazioni.
La seguente primavera fu scenario della decisiva battaglia di Platea. Per 11 giorni gli avversari si fronteggiarono. Furono, poi i Persiani ad attaccare, l'esercito greco sarebbe stato soprafatto, se non fossero tempestivamente intervenuti i 5000 opliti Spartiati, condotti a Platea dal reggente Pausania. Proprio i Lacedemoni affrontarono i più forti reparti dell'esercito conquistatore, e sempre loro abbatterono Mardonio. La morte del comandante in capo diffuse il panico fra le truppe dei barbari, la loro fuga agevolò i Greci che poterono massacrarli in tutta comodità.
Al termine della battaglia fu proposto a Pausania di riservare al cadavere di Mardonio lo stesso trattamento inflitto alle Termopili a quello di Leonida ma il reggente vi si oppose. <<Far onta a un morto,>>, disse Pausania, << è un'azione che conviene più ai Barbari che agli Elleni. La vendetta di Leonida è stata pienamente compiuta. A lui e agli altri morti delle Termopili è stato reso onore con la vita di questi innumerevoli caduti>>.

Finita la battaglia Pausania si fece preparare una cena in stile persiano, dai cuochi dell'esercito vinto. Contemporaneamente i vivandieri spartani cucinarono il pasto tipico dei Lacedomi. Pausania invitò a mangiare gli altri generali greci, cui fece notare la stupidità dei Persiani, che avevano rinunciato a tutto quel ben di Dio, per derubarli del brodo nero.
Purtroppo, proprio in quest'occasione, il reggente cominciò ad apprezzare il genere di vita dei Persiani. Apprezzamento che avrebbe causato la sua rovina.
Sovente si crede che le guerre persiane siano terminate con la battaglia di Platea, In realtà le cose non stanno così, fugata la minaccia dalle loro terre, infatti, gli Elleni portarono la guerra in Asia, infliggendo a Micale, guidati dal sovrano spartiata Leotichide, un'altra durissima disfatta ai nemici. Dopo questa vittoria gli Spartiati tornarono in patria, gli Ateniesi, prima di andarsene presero anche Sesto.
Le istituzioni di Sparta sono state, nel corso dei secoli, da più parti criticate. A queste critiche si può cercare di replicare. E' vero che l'educazione inflitta ai giovani di Sparta, fosse quasi inumana, bisogna però tenere conto delle circostanze. Gli Spartiati erano circondati da popolazioni ostili. Non sarebbero sopravvissuti, dunque, senza quel particolare tipo d'addestramento. Inoltre, una volta assicuratosi il controllo della Messenia, la politica estera dei Lacedemoni puntò, non a sottomettere le altre popolazioni peloponnesiache, ma a farle entrare in un sistema all'interno del quale conservavano tutta la loro indipendenza, purchè riconoscessero la supremazia degli Spartiati in politica estera. L'apparato militare spartano non mirava, inoltre, come già evidenziato, all'indiscrimata sottomissione delle altre polis, ma solo a salvaguardarsi da eventuali attacchi di queste.

Molti hanno messa in dubbio la veridicità della battaglia delle Termopili. E' possibile replicare anche a costoro. Il valore militare degli Spartiati non può essere posto in dubbio. Il loro dominio sul Peloponneso, ottenuto in epoca precedente, all'invasione, è lì a dimostrarlo. Maestri nel combattimento oplitico affrontavano avversari che ne ignoravano l'arte. L'equipaggiamento, il pesante scudo con la labda rossa, le due spade una di due metri e mezzo, l'altra più piccola, la lancia più lunga delle persiane, era migliore di quello nemico. La falange spartiata delle Termopili può paragonarsi ad un vero e proprio carro armato, che muto e spietato travolgeva tutto ciò che incontrava. Il durissimo addestramento conferiva un'eccezionale resistenza fisica, inimmaginabile per noi moderni ed, anche, per molti popoli dell'antichità.

I combattenti erano anch'essi qualcosa d'eccezionale, avevano superato un durissimo addestramento, erano tutti padri, combatterono quindi con maggiore animosità, erano inoltre animatati da una potente ideologia guerriera. Scopo della loro vita era la ricerca della bella morte, quella ottenuta combattendo per la patria. Prima di una battaglia era ad Eros, il dio dell'amore che rivolgevano le loro preghiere, preparandosi a mutare la loro mortalità in qualcosa di più sacro e duraturo. Quest'ideologia guerriera è di derivazione indoeuropea, gli antichi Dori, infatti, credevano che la morte in battaglia spalancasse al guerriero le porte del paradiso. Nessun sacrificio è più gradito agli Dei di quello che si offre cadendo sul campo di battaglia. Questa concezione consentiva ai guerrieri d'elevarsi sopra i comuni mortali. Solo chi cade in battaglia ottiene l'immortalità dell'anima, gli altri sono destinati a gemere nell'Ade. La vita oltre la morte, è esclusivo privilegio di chi una particolare azione spirituale ha elevato, dalla natura umana a quella semi-divina.

LA PENTECONTAETIA

Col termine pentacontaetia si è soliti indicare il cinquantennio tra la fine delle guerre persiane e l'inizio della guerra del Peloponneso. Si tratta d'un periodo contrassegnato da conflitti ed episodi poco chiari, che, tra l'altro segneranno la fine dei due grandi eroi della guerra alla Persia, l'ateniese Temistocle e il reggente Pausania. E' la diffidenza a caratterizzare il rapporto tra le due potenza elleniche nella prima metà di questo periodo.

TEMISTOCLE E PAUSANIA

Tornati in patria gli ateniesi si preoccuparono di ricostruire le mura che i persiani avevano abbattuto. Sparta inviò loro un'ambasceria, per consigliargli d'astenersi dalla costruzione della barriera, che, in caso d un altro attacco persiano, si sarebbe rivelata più utile agli invasori che ai Greci. Temistocle suggerì, allora ai suoi concittadini, d'inviare lui a Sparta come membro di un'ambasceria, che si sarebbe completata più tardi, costituita allo scopo di discutere la questione.
Gli Spartani accolsero bene l'eroe di Salamina, attendendo l'arrivo degli altri ambasciatori. Questi giunsero a Sparta, quando il muro era già stato completato. Il piano di Temistocle era perfettamente riuscito. Agli Spartiati non rimase altro che fare buon viso a cattivo gioco.
La guerra con la Persia, intanto, continuava Pausania era il comandante generale di una spedizione nell'Ellesponto. Il comportamentodel reggente irritò gli Ioni, che affidarono il comando dell'impresa agli Ateniesi, cui erano, anche, uniti da vincoli di stirpe, Sparta richiamò il reggente ed inviò al suo posto Doride, cui però non venne riconosciuto il comando assoluto. A quel punto gli Spartiati richiamarono anche Doride lasciando agli ateniesi le redini della guerra.

Pausania fu, dopo il richiamo in patria, sottoposto a giudizio dagli efori, poiché il comportamento da egli tenuto in guerra era giudicato degno più di un tiranno, che di un reggente di Sparta, ma le accuse contro di lui caddero nel vuoto.
L'esito favorevole del processo non attenuò la diffidenza degli Spartiati nei suoi confronti. La sfiducia dei concittadini, non ostacolò il reggente, che riuscì a fuggire ed a raggiungere l'Ellesponto. Qui strinse rapporti col sovrano persiano, cui promise la sottomissione dell'Ellade. Tucidide afferma che i rapporti tra Pausania e il Re dei re risalivano alla prima venuta del reggente nell'Ellesponto.
Il reggente non riusciva, però, a mascherare le sue intenzioni, indossando vesti persiane e, addirittura, facendosi scortare da guardie del corpo del re. Allarmata da questo comportamento Sparta richiamò ancora Pausania, che di nuovo fece ritorno in patria.
Provare le accuse contro il reggente non era semplice. I messaggeri che portavano le sue lettere al sovrano persiano erano sistematicamente soppressi e, nonostante, alcuni iloti avessero confessato che Pausania aveva promesso loro la libertà in cambio della partecipazione alla rivolta, la loro testimonianza non era certo sufficiente per dichiarare colpevole un personaggio della levatura del vincitore di Platea.

A risolvere la situazione pensò l'ultimo messaggero che Pausania aveva inviato al sovrano, che comprendendo il motivo a causa del quale i messi che l'avevano preceduto s'era dato alla macchia, riapparve poi a Sparta dove inchiodò il reggente alle sue responsabilità. Il traditore si rifugiò allora nel santuario d'Atena Calcieca. Fargli violenza in un luogo simile sarebbe stato sacrilego, gli Spartiati pensarono d'ingannare la Dea lasciando morire di fame il reggente che fecero uscire dal santuario in fin di vita.
Temistocle, che un'ambasceria lacedemone ad Atene, aveva accusato di connivenza col reggente fuggì in Persia dove morì qualche anno dopo.

III GUERRA MESSENICA

La morte di Pausania avvenne nel 469. Intanto gli ateniesi, forti della mano libera lasciata loro dagli Spartiati, avevano dato vita ad una lega con le città greche d'Asia e di Tracia. Le città della lega ebbero, per un certo tempo, pari diritti, solo nel 471 l'imperialismo ateniese mostrò il suo vero volto assediando Nasso, città federata, che era in ritardo nel pagamento delle tasse. Nel 465 fu la volta di Taso. I Tasi chiesero, in segreto, agli Spartiati d'invadere l'Attica per costringere gli ateniesi a desistere dal blocco. L'esercito spartano si stava preparando all'invasione, quando la città fu sconvolta da un tremendo terremoto. Il sisma rase quasi al suolo Sparta e fece più di 20.000 vittime. Approfittando del terremoto gli iloti si ribellarono e attaccarono la città. Sparta era sprovvista di mura, a che rimproverava loro questa negligenza, gli Spartiati erano soliti rispondere che la miglior difesa della città erano i suoi giovani. L'attacco degli iloti confermò la veridicità di tale detto, guidati dai sovrani Plistoanatte e Archidamo, i giovani Spartiati si raccolsero fuori della città e forti della disciplina delle loro falangi riuscirono a respingere i ribelli, costretti a rifugiarsi nella loro antica città sul monte Itome.
L'assedio dei Lacedemoni non dava però i frutti sperati. Si decise, allora, di rivolgersi agli Ateniesi, maestri nel condurre gli assedi. Cimone, capo dei conservatori d'Atene, dovette faticare non poco a convincere l'assemblea della città ad esaudire la richiesta degli Spartiati. La causa messena aveva molti sostenitori in tutta l'Ellade. Giunti gli Ateniesi all'Itome, gli Spartiati cominciarono a temere che solidarizzassero con gli insorti, decisero quindi di rimandarli ad Atene. La città attica reagì con durezza, denunziò non solo l'alleanza con Sparta, ma ne strinse una con la polis d'Argo, nemica storica, come sappiamo, dei Lacedemoni. Solo nel 455 Sparta riuscì a domare la ribellione dei Messeni. Costoro stavano per essere presi per fame, quando un oracolo, che consigliava agli Spartiati di lasciare la libertà ai supplici di Zeus Itometa, intervenne a salvarli. I ribelli furono costretti a lasciare il Peloponneso. Gli Ateniesi concedettero loro di stanziarsi a Naupatto.

Può sembrare strano che un oracolo abbia fatto desistere gli Spartiati dal compiere una carneficina. Sparta era una città guerriera, considerava inoltre i Messeni una razza inferiore, perché non avrebbe dovuto sterminarli? La risposta è semplice. Gli Spartiati erano molto religiosi, tendevano, inoltre, ad attribuire ad errori verso gli Dei la causa delle loro disgrazie. Cleomene era impazzito e si era tolto la vita in quanto aveva corrotto la Pizia, il sisma aveva distrutto la città perché l'affaire Pausania l'aveva costretta a commettere un sacrilegio. Diviene, dunque, facile comprendere come la paura di nuove calamità, neanche dieci anni erano trascorsi dal terremoto, abbia spinto i Lacedemoni a liberare i supplici.

SCONTRO CON ATENE

La guerra messena non fu l'unica che gli Spartiati dovettero combattere in questo periodo. Nel 457 i Focesi avevano invaso la Doride, metropoli di Sparta. I Lacedemoni intervennero immediatamente sconfiggendo gli invasori. Una coalizione d'Ateniesi, Argivi, e Megaresi, neoalleati degli ateniesi li attendeva, però, ai confini fra Attica e Beozia per impedire loro il passaggio. I Lacedemoni furono costretti alla battaglia. La vittoria arrise loro, ancora una volta fecero una grande strage di nemici e tornarono in patria dopo aver saccheggiato la Megaride.
Gli Ateniesi non accettarono la sconfitta e, al comando del navarco Tolmide, circumnavigarono il Peloponneso, conquistando importanti piazzeforti spartane. Nel 454 Atene inviò un corpo di spedizione, a sostegno d'Amirteo ribelle all'impero persiano, in Egitto. I Persiani inviarono Megabazo, uomo di fiducia del Gran re a corrompere gli Spartiati e convincerli ad invader l'Attica. La proposta dell'ambasciatore fu seccamente rifiutata. Intanto gli Ateniesi avevano subito, ad Enofita, una durissima sconfitta. Questa disfatta, sommata alla distruzione del corpo di spedizione in Egitto, spinse gli Atene a stipulare una tregua quinquennale con i Lacedemoni (450).
Nel 446 l'Eubea si ribellò ad Atene. Al comando di Pericle, gli Ateniesi marciarono contro l'isola. Gli Spartiati, guidati da re Plistoanatte, invasero il territorio d'Atene, approfittando, anche, della defezione dei Megaresi dall'alleanza con l'Attica. Pericle tornò precipitosamente indietro e con molto denaro convinse il sovrano spartiata a rinunziare all'invasione. Il sovrano corrotto avrebbe preso poco dopo la via dell'esilio. Le due città rivali conclusero quello stesso anno una pace di trent'anni.

CAUSE DELLA GUERRA

Gli Ateniesi continuarono nella loro politica imperialista. Sottomettendo altre libere città greche, poi, dal 339, iniziarono a scontrarsi con i Corinzi, tradizionali alleati di Sparta. Gli ateniesi dapprima si schierarono a favore dei Corciresi, coloni dei Corinzi, in una guerra contro la loro metropoli; poi imposero a Potidea, anch'essa fondata da Corinto, di non ricevere più magistrati provenienti dalla città dell'istmo. Dinanzi al rifiuto dei Potidesi, Atene pose sott'assedio la colonia corinzia. Le proteste degli alleati non ebbero effetto, e Sparta proseguì la sua politica d'appeasement, solo, quando gli Ateniesi si rifiutarono di concedere mercato ai Megaresi, stiamo parlando d'un vero e proprio embargo, Sparta inviò un ultimatum alla rivale, Atene neanche rispose. Era la guerra.

RESPONSABILITA' DELLA GUERRA

Chi fu a volere la guerra? Dal punto di vista del diritto la risposta è semplice. Fu Sparta ad inviare ad Atene un ultimatum inaccettabile. Se, però, consideriamo la questione in maniera più ampia, scopriamo che le cose non sono cosi semplici.
Domandiamoci, innanzi tutto, cui prodest? A chi recava vantaggio la modifica dello status quo? Non certo a Sparta. La città raggiunta l'egemonia sul Peloponneso, non era, certo, intenzionata a mettere in discussione il suo primato. Gli Spartani inoltre non usavano quasi mai il denaro, la moneta spartana era di ferro ed il suo valore, di conseguenza, scarsissimo. L'economia eminentemente agricola si reggeva sul lavoro degli iloti, che producevano quanto bastava per lo scarso vitto degli Spartiati. Il regime economico spartano era, insomma, improntato alla più rigida autarchia. Una guerra, soprattutto una guerra contro Atene l'avrebbe messo in seria crisi.

Spostandoci sull'altro fronte scopriamo una realtà dei fatti totalmente diversa. Atene si è costruita dopo le guerre persiane un immenso impero. La città ha il dominio di quasi tutto il Mediterraneo. L'economia Ateniese per potersi ulteriormente sviluppare, secondo i desideri della classe mercantile, i cui interessi sono sempre importanti in un economia monetaria come quella attica, deve avere il controllo su tutto il Mediterraneo. Si spiega così il sostegno dato ad Amirteo contro la Persia, inoltre la città deve essere sempre pronta a domare eventuali rivolte degli alleati. Questa aggressiva politica estera non può spiegarsi in tutto il suo vigore, se ha alle spalle un possibile nemico, col potenziale bellico di Sparta, sia i Tasi sia i Persiani attaccati da Atene si erano rivolti alla città peloponnesiaca per indurre gli ateniesi alla ritirata.

Un' altra prova della responsabilità ateniese emerge da un'analisi del discorso che Pericle rivolse agli Ateniesi prima dello scoppio del conflitto.
Il ragionamento pericleo è quello di uno stratega che ha freddamente studiato tutta la situazione, ed è deciso alla guerra, l'intelligenza e la lucidità del primo cittadino d'Atene vi emergono nitidamente. Dapprima illustra la necessità della guerra: Il mio convincimento o Ateniesi rimane sempre lo stesso che non si deve darla vinta ai Peloponnesi. Sparta non protesta più, viene a dettare ordini. Comanda che si tolga l'assedio a Potidea, che si ridia l'indipendenza ad Egina, che si abolisca l'imposizione che riguarda Megera. Se cederete vi addosseranno un'altra imposizione più pesante. Decidetevi dunque senz'altro a piegarvi, o, se dev'essere guerra il che a me sembra la soluzione migliore a non cedere per nessun motivo.
Evidenziata l'inevitabilità della guerra, Pericle ha anche attribuito agli Spartiati la responsabilità del conflitto, lo stratego passa ad illustrare i rapporti di forza fra le due città: la difficoltà maggiore la incontreranno nella scarsezza dei capitali, ogni volta cercando di procurarseli perderanno tempo e le opportunità strategiche non aspettano. Né delle loro fortificazioni né della loro flotta vale la pena che vi preoccupiate. Quanto alle prime è difficile anche in tempo di pace che una città ne erga di paragonabili alle nostre. L'esperienza del mare non l'acquisteranno facilmente. Come potrà un esercito di agricoltori e non di marinai condurre un'azione degne di rilievo?
Pericle dimostra di aver perfettamente compreso il punto debole di Sparta, temibili nella guerra di terra, come tra l'altro gli ateniesi, gli Spartiati sul mare sono vulnerabilissimi, da qui la certezza che seguendo le indicazioni di Pericle: asserragliarsi nella città, disinteressandosi completatamene della sorte dei campi attici e rifornendosi dai territori dell'impero, la vittoria non potrà sfuggire agli Ateniesi.

LA GUERRA DEL PELOPONNESO

La guerra iniziò con un'azione tebana contro Platea. La piccola città riuscì, nell'Aprile 431, a scacciare gli invasori dal suo territorio. Il conflitto era aperto. In questa prima fase dello scontro assistiamo a due attacchi spartani (431 e 430) contro l'Attica, gli Ateniesi, seguendo la strategia di Pericle, non affrontarono in campo aperto i nemici ma assaltarono alcune piazzeforti spartane nel Peloponneso, nel difendere queste posizioni si distinse lo spartiata Brasida che riuscì a salvare la cittadella fortificata di Metone. Gli Ateniesi fecero valere la loro superiorità in mare infliggendo due dure sconfitte alla flotta peloponnessiaca nei pressi di Naupatto. Conquistarono inoltre Potidea, nella Calcidica. Gli effetti di questa vittoria furono ridimensionati dalla sconfitta patita a Spartolo dagli Ateniesi. Alcuni scontri in Ambracia ed Acarnania si risolsero in un nulla di fatto. Atene fu, in quel periodo, devastata dalla peste. Gli Ateniesi, prostrati dalla malattia, avevano anche mandato un'ambasceria a chiedere la pace ma Pericle, cui era attribuito lo scoppio della guerra riuscì ad evitare che andasse a buon fine. Lo stratego Alcmeonide fu anche costretto a dimettersi dalla carica, che, tuttavia, poco dopo, tornò ad occupare. Pericle governò poco perché la peste, dopo averlo privato di due figli si portò via anche lui.

428 - 425
Il 428 portò una crepa nell'alleanza ateniese la defezione di Mitilene, città dell'isola di Lesbo, dalla lega. I Mitilinesi, non solo abbandonarono Atene, ma strinsero un'intesa con Sparta, che invase ancora una volta l'Attica allo scopo di ritardare l'intervento ateniese contro gli insorti, inviarono anche una flotta per sostenere Militane. Gli Ateniesi riuscirono a riportare, comunque, l'isola sotto il loro controllo. Il demagogo Cleone propose, in assemblea, di uccidere tutti gli uomini di Mitilene e vendere come schiavi le donne e i bambini. La proposta, accettata in un primo tempo, fu, in seguito, respinta, dagli Ateniesi. Fu uno degli ultimi atti d'umanità di questa guerra. L'escalation di violenza che comincerà poco dopo è impressionante. Gli Spartiati conquistarono Platea, la rasero al suolo e ne uccisero i difensori, il tutto in omaggio ai Tebani che si stavano rivelando preziosi alleati. Poco dopo a Corcira, vi fu, con la complicità ateniese, un'orribile strage d'oligarchici. Intanto Atene inviò delle navi in Sicilia, a sostegno di Leontini in guerra con la dorica Siracusa. La flotta ateniese assicurò Messina agli Ioni. Continuarono gli scontri tra Acarniani ed Ambracioti, in questa zona, dove ad ogni vittoria Ateniese seguiva una Spartana e viceversa, i conflitti ebbero fine quando Acarnani ed Ambracioti decisero di non combattersi più fra loro.

425 - 421
Messina fu presto riconquistata dalle truppe Doriche di Locri e Siracusa. La notizia spinse gli Ateniesi ad armare una flotta per riprendere la città dello stretto. Demostene, uno dei capi della flotta, pensò di assalire Pilo città del Peloponneso non molto distante da Sparta. La presa di Pilo e la sua successiva fortificazione, preoccuparono gli Spartiati, che richiamarono immediatamente le truppe che, come abitudine, avevano invaso, al comando di re Agide, l'Attica. I Lacedemoni assediarono Pilo dalla terra e dal mare. Stanziarono, infatti, degli uomini sull'isola di Sfacteria, situata proprio di fronte alla città. Proprio dal mare avvenne il primo assalto contro gli Ateniesi, le truppe attaccanti temendo, di rovinare le navi, non combatterono con decisione, Brasida, infuriato con gli alleati, tentò un assalto con pochi uomini, ma gravemente ferito perse lo scudo, che gli Ateniesi portarono nella loro città come trofeo di guerra. L'arrivo delle navi ateniesi, provenienti dalla Sicilia, complicò ancor di più la situazione. Gli Spartiati di Sfacteria erano ora assediati.
Il governo spartano decise di inviare ad Atene un'ambasceria a chiedere la pace. Gli Ateniesi forti di quanto accadeva a Pilo rifiutarono. La situazione per gli Spartiati dell'isola non era tragica: il contrabbando con la terraferma garantiva loro di che vivere. Lo scoramento s'andava impadronendo degli assedianti. Nicia, il capo dei conservatori Ateniesi, propose di recedere dall'assedio, a lui si oppose Cleone, che il rivale sfidò a prendere l'isola. Cleone si recò allora a Pilo, dove fu baciato dalla fortuna. Un incendio divampato sull'isola, rendeva impossibile agli Spartiati muoversi senza essere visti, gli Ateniesi li attaccarono. Sommersi dal numero, e svantaggiati dalla pesantezza delle armi, i guerrieri di Sparta tenevano ugualmente testa al nemico, asserragliati in una sorta di fortino naturale. Gli Ateniesi decisero di evitare il corpo a corpo e di colpirli con le frecce. Gli Spartiati, a quel punto si arresero. La vittoria riempì Atene d'entusiasmo, quando i prigionieri giunsero in città non mancò chi li tacciò di vigliaccheria. Loro risposero che per comprendere chi fossero i vigliacchi sarebbe stato sufficiente dare un'occhiata alle armi che le due fazioni avevano adoperato sull'isoletta.
La sconfitta non nocque soltanto al prestigio degli Spartiati, da Pilo, infatti, partivano molte spedizioni di Messeni che devastavano varie parti della Laconia. Un'altra spedizione Ateniese saccheggiava il nord del Peloponneso. Nicia al comando di un altro esercito s'impadroniva dell'isola di Citera, di fronte alla Laconia, e di Tirea, città al confine tra la Laconia e l'Argolide.

A rendere ancora più disperata la situazione, venne anche l'attacco Ateniese a Megara, la guarnigione peloponnesiaca stanziata in città si dovette rifugiare nel porto della città, Nisea.
La paura di una rivolta d'iloti paralizzava la città, che in un decreto annunziò che avrebbe concesso la libertà a chi fra loro ritenesse di averle reso dei servigi. Risposero all'appello più di duemila iloti. Dopo essere stati ricoperti d'onori, sparirono. Gli Spartiati pensavano che costoro, che avevano avuto l'ardire di considerarsi loro benefattori fossero i più pericolosi.

La reazione spartana cominciò da Megara. L'artefice massimo della riscossa fu Brasida. Lo spartiata dapprima riconquistò Megara, dopo di che, con le sole armi della diplomazia e il suo personale prestigio, convinse molte città della costa Tracia ad abbandonare l'alleanza con Atene per schierarsi con Sparta. La perdita di queste città, fu per la capitale attica un colpo durissimo, venivano a mancare non solo i soldi della lega, ma anche la legna e i minerali di cui quella provincia era ricchissima. Cleone con un ingente esercito marcio allora contro Brasida, i due si scontrarono nei pressi d'Anfipoli. La vittoria toccò agli Spartiati. I due generali perirono entrambi nel corso della battaglia. Grande fu il servigio reso da Brasida alla città. Sparta poteva ora trattare la pace alla pari con Atene. I Lacedemoni dovevano chiudere in fretta la questione, anche perché stava per scadere una tregua trentennale stipulata con gli Argivi, che non avevano alcun'intenzione di rinnovarla. S'arrivò così alla pace di Nicia, mediante la quale le due parti s'accordarono per uno scambio di prigionieri e per la restituzione dei territori.

La pace

La confusione domina questo periodo. Si creano e si sciolgono alleanze con disarmante faciloneria.
La guerra ha gravemente scosso il prestigio di Sparta. I Peloponnesiaci, in primo luogo i Corinzi, delusi dalla pace, guardano ad Argo come nuova potenza egemone della regione. Si crea una lega fra Argivi, Mantinesi ed Elei, alla quale, dopo una breve alleanza con Sparta, aderiscono anche gli Ateniesi. L'unico mezzo a disposizione degli Spartiati, tesi a riacquistare il prestigio e l'egemonia goduti nella regione, è la guerra. Lo scontro fra Peloponnesiaci è inevitabile. Nel 418 le armate delle due leghe sono l'una di fronte all'altra. Da una parte Argivi, Elei, Mantinesi ed Ateniesi, dall'altra Spartiati e Tegeati. La tradizionale disciplina spartana venne meno durante questo scontro. I 300 spartiati che costituivano la guardia del re Agide, trovandosi di fronte, i nemici di sempre, gli ex alleati, e gli Ateniesi, vincitori di Sfacteria, si lanciano contro di loro, senza attendere gli ordini. Il panico si diffonde fra le truppe dei nemici, che fuggono calpestandosi a vicenda, più di mille sono gli Ateniesi caduti sotto il ferro spartano, poco meno gli Argivi, moltissimi i Mantinesi. Una sola giornata è bastata a Sparta per riacquistare l'antico carisma.

Alcibiade

Dietro il cruento riesplodere del conflitto, vi è la volontà di personaggi molto influenti sia a Sparta, gli efori, sia ad Atene, dove il principale sostenitore della guerra è, Alcibiade.
Alcibiade è, diciamolo subito, un pazzo scatenato, nipote di Pericle e bellissimo contava centinaia d'amanti, donne ed uomini, fra questi non ultimo il filosofo Socrate. Proprio Alcibiade spinge Atene verso un'impresa folle: la conquista della Sicilia. Il piano d'Alcibiade è semplice e geniale allo stesso tempo. Gli Spartani controllano la Tracia e sulla fedeltà degli alleati c'è da fare poco affidamento, perché allora non impossessarsi della ricchissima regione italiana, (distruggendo, tra l'altro, Siracusa, principale alleata di Sparta), in grado di garantire ad Atene tutto quello che le necessità. L'opposizione dei conservatori a nulla vale. Gli Ateniesi appoggiano con entusiasmo la proposta del leader della gioventù dorata.
La partenza della spedizione è funestata da un evento increscioso: la mutilazione delle Erme, statue poste in città un po' dappertutto che rappresentavano, il viso e l'enorme fallo del Dio Ermes. Proprio sui genitali della divinità si sono concentrate le profanazioni. Il colpevole, ancora oggi non si sa chi sia stato, è per tutti Alcibiade, che chiede d'essere sottoposto a processo immediatamente. I suoi nemici preferiscono, però, giudicarlo in contumacia. Vicino alle coste della Calabria, Alcibiade apprende d'esser stato condannato. Con l'audacia che lo contraddistingueva l'ateniese cercò rifugio a Sparta. Nella città dell'Eurota l'ateniese stravolse tutte le sue abitudini, si rasò i capelli, si vestì con abiti poveri, cominciò ad andare in giro scalzo, e perfino a bere il brodo nero dicendo, nel frattempo,peste e corna della democrazia, guadagnandosi subito la fiducia degli Spartiati. Fu lui a convincere i suoi ospiti a soccorrere i Siracusani, in difficoltà di fronte alla grandiosa spedizione ateniese. Sparta inviò in Sicilia Gilippo, sotto la sua guida, i Siciliani si trasformarono in un temibile esercito, che riuscì ad annientare i due enormi corpi di spedizioni, a quello giunto in Italia con Alcibiade, guidato da Nicia, se ne era aggiunto un altro guidato da Demostene, approntati dagli Ateniesi.
La tremenda sconfitta causò la defezione di moltissimi alleati degli Ateniesi. Alcibiade consigliò agli Spartani la fortificazione di Decelea, piccola piazzaforte sita in Attica. Alle annuali invasioni, che poco avevano prodotto, si sostituiva un esercito permanentemente stanziato sul territorio nemico i danni per Atene erano incalcolabili. Allo scopo di accelerare la fine del conflitto Alcibiade avviò dei rapporti con Tissaferme, satrapo persiano, che avrebbe dovuto sostener finanziariamente Sparta nella parte finale del conflitto.
Le sorti della guerra sembravano ormai decise, ma ancora una volta Alcibiade avrebbe sconvolto tutto. L'affascinante ateniese aveva fatto invaghire di se la regina Timea, che diede alla luce un neonato, il cui padre non poteva essere certo il re Agide da più di un anno a Decelea. Fuggito in Persia, il nipote di Pericle, mise a disposizione d'Atene la sua amicizia con Tissaferme, inflisse inoltre numerose sconfitte alla flotta peloponnesiaca, che a Cizico cadeva completamente nelle mani del terribile Alcibiade.

Lisandro

Sulle ali della gran vittoria Alcibiade ritorno ad Atene. Accolto da una città in delirio. Proprio in quel momento, però, il Gran re sostituiva a Tissaferme, il figlio Ciro. Con costui entrò subito in amicizia il navarco spartiata Lisandro.
A differenza d'Alcibiade Lisandro era un maestro dell'attendismo. Alla genialità dell'ateniese, non poteva contrapporre che la semplice intelligenza, all'irruenza la pazienza, alla follia il buon senso.
Al comando della flotta Alcibiade si reco a Notio. Qui lo attendeva Lisandro. Più volte provocato lo il navarco lacedemone non diede battaglia. Solo quando Alcibiade si allontanò, per recarsi sull'Ellesponto, Lisandro accettò d'incrociare i remi con Antioco, secondo d'Alcibiade, che gli aveva espressamente proibito di combattere, fino al suo ritorno. La vittoria di Lisandro fu grandissima. Gli Ateniesi delusi da Alcibiade, sospettato addirittura di tradimento, l'esiliarono
L'anno dopo a Lisandro successe Callicratida che subì una clamorosa disfatta alle Arginuse. Gli Ateniesi non seppero approfittare della vittoria. Tutto si sarebbe deciso ad Egospostami.
Rifulgono ancora le qualità di Lisandro. Per quattro giorni il navarca non dà battaglia, ma studia le abitudini degli Ateniesi. Il quinto li attacca, all'ora in cui sono soliti far colazione, e li sconfigge definitivamente. Dopo 27 anni la Guerra del Peloponneso è finita.
Otto mesi dopo Lisandro entra nel porto del Pireo. Le mura d'Atene sono distrutte fra la musica e le danze delle etere. Nella capitale attica s'insedia, come in tutte le città della Grecia, un governo gradito agli Spartiati.
Questo governo, passato alla storia col nome di"governo dei trenta tiranni, durerà poco meno di un anno. Per il ritorno della democrazia ad Atene sarà decisiva l'opera del re spartiata Pausania II. Il sovrano dapprima sconfisse i democratici Ateniesi, poi, segretamente, li esortò ad inviare ambasciatori a Sparta, garantendo che le loro richieste sarebbero state esaudite. Grazie a questo stratagemma il sovrano riuscì a superare la ferma opposizione di Lisandro restituendo agli Ateniesi la loro tradizionale forma di governo.

L'INIZIO DEL DECLINO

La vittoria fece affluire a Sparta un'enorme quantità di ricchezze. Gli Spartiati ( non preparati ad affrontare i rischi, che l'ingresso di tanto oro portava con se), e con essi le loro istituzioni ne furono travolti . La prima vittima della sete di denaro fu Gilippo. L'eroe della guerra di Sicilia, sorpreso a rubare oro da alcuni sacchi affidatigli, fu mandato in esilio. Più grave fu la decisione dell'eforo Epitadeo, che riconobbe per legge, agli Spartiati, la possibilità di cedere per testamento il proprio kleros. La ricchezza affluì nelle mani di ricche ereditiere. Il lusso entrava a Sparta e con questo le discordie sociali.

PRIME SPEDIZIONI IN ASIA

Nel 401 Ciro inviò degli ambasciatori a Sparta, ricordando il bene fatto agli Spartani durante la guerra, chiedeva un esercito che lo aiutasse a sconfiggere il fratello Artaserse, re di Persia. Gli efori accondiscesero alla proposta del giovane, inviando un esercito di 10.000 greci. La morte di Ciro a Cunassa rese inutile la spedizione, i 10.000 si salvarono, e tornati nei pressi dell'Ellesponto poterono aiutare gli Spartani in lotta con Tissaferme.

Qui è necessario un Flashback.

Il posto in precedenza occupato da Ciro, era stato affidato a Tissaferme, gli Ioni, che non lo desideravano come padrone, inviarono dei messi a Sparta a chiedere che i Lacedemoni, patroni, dopo la vittoria contro Atene, di tutta la Grecia, li aiutassero a conquistare la libertà. Sparta spedì Tribone in soccorso degli Elleni D'Asia. Lo spartano, non considerando sufficiente il numero dei suoi soldati, non attaccò battaglia fino all'arrivo dei 10.000.
Espugnate alcune città. Tribone puntò sulla Caria, la regione governata da Tissaferme. Prima di giungervi, però, fu sostituito al comando da Dercilida. L'avvicendamento era dovuto al saccheggio operato dal generale uscente sulle terre degli alleati, Dercilida attaccò non Tissaferme, bensì un altro satrapo, Farnabazo, col quale aveva vecchi conti da regolare. Lo spartiata conquistò 8 città in 9 giorni, ma queste imprese erano inutili alla causa degli Ioni, per giovare loro era necessario attaccare Tissaferme. Un' ambasceria degli Elleni d'Asia, chiarì questa situazione al governo di Sparta che ingiunse a Dercilida di marciare contro la Caria. Qui giunto gli venne incontro Tissaferme, lo spartiata gli ingiunse di liberare i Greci, il satrapo rispose che per ottemperare alla richiesta doveva ascoltare il parere del re, cui inviò dei messaggeri. I due stipularono allora una tregua (397).

AGESILAO

A Sparta, dopo un'ultima spedizione contro gli Elei, più che una guerra, un saccheggio cui aveva partecipato gran parte della Grecia, si era spento re Agide. La successione non fu pacifica ad essa miravano sia il Leotichida, figlio del re, sia Agesilao, fratello del defunto.
Agesilao era zoppo, la discendenza da Eracle gli salvò la vita, a sette anni, non essendo destinato al regno, fu, come ogni bambino di Sparta, sottratto alla famiglia perché gli fosse impartita l'educazione stabilita da Licurgo.
Il carattere d'Agesilao lo rendeva bene accetto, ai compagni d'addestramento, combattivo e ansioso di primeggiare, addolciva con naturale mitezza i tratti più aspri del suo carattere. Era sempre il primo a scherzare sul suo handicap, e a soccorrere i commilitoni in difficoltà.
Leotichide era figlio d'Alcibiade (sembra che Timea, quando pensava d'essere sola chiamasse il bambino col nome di Alcibiade), Agesilao gli contestò, dunque, il diritto a succedere ad Agide.
L'incertezza sulla successione continuò fino a, quando un oracolo non consigliò agli Spartani, di guardarsi da un regno zoppo. L'oracolo sembrava diretto contro Agesilao. Fu Lisandro a ribaltare la situazione, affermando, che il regno sarebbe stato zoppo se a sedere sul trono fosse stato non un discendente d'Eracle, bensì il figlio di un ateniese. Questa interpretazione dell'oracolo convinse gli Spartiati che assegnarono la corona ad Agesilao (400).

Poco dopo gli efori vennero a saper di una congiura capitanata da Cinadone, uno spartiata, che non faceva parti degli uguali. Gli efori riuscirono a catturarlo, quando gli fu chiesto i motivi della congiura, il giovane rispose che si era deciso a porla in atto perchè non voleva essere inferiore a nessuno. Appresi i nomi dei complici, gli efori condannarono costoro e il loro capo a fare incatenati il giro della città, fra le percosse della popolazione (399).

In seguito, gli Spartiati appresero che Tissaferme stava organizzando 300 triremi. Dove queste navi fossero dirette non si sapeva, ma la notizia preoccupava Sparta, si decise d'affidare ad Agesilao una spedizione diretta contro l'Asia. Il sovrano portò con sè, Lisandro, altri 30 spartiati, 2000 neodamoi, iloti da poco liberati, e 6000 alleati. Giunto in Asia Agesilao chiese l'indipendenza per gli Elleni di quella regione. Ancora una volta Tissaferme disse di non poter prendere alcuna decisione senza il consenso del suo sovrano. Fu dichiarata una tregua e gli ambasciatori persiani partirono alla volta della corte del Gran re.
Agesilao si ritirò ad Efeso, dove pur apprendendo che il satrapo aveva richiesto, al sovrano dei Persiani, l'inviò di un contingente militare, non violò la tregua.
Lisandro era molto conosciuto e stimato dai Greci d'Asia. Sempre circondato da un folto numero di clienti ed amici, che gli chiedevano favori, sembrava essere lui il sovrano di Sparta. Agesilao infastidito, cominciò a trattarlo freddamente e a non esaudire le richieste degli amici del vincitore d'Egospotami. Offeso da questo comportamento Lisandro tornò a Sparta.
Incoraggiato dall'arrivo del contingente persiano, intanto, Tissaferme dichiarò guerra ad Agesilao. L'esercito persiano fu annientato dai Greci presso Sardi (396).

Titrauste incaricato dal sovrano di sostituire Tissaferme. Fece uccidere quest'ultimo, e, convinto che Agesilao, intendesse sottomettere tutti i territori del Gran re, inviò un messo in Grecia con l'incarico di corrompere Tebani, Ateniesi, Corinzi, ed Argivi perché dichiarassero guerra agli Spartiati.
Per provocare gli Spartiati alla guerra i Tebani attaccarono i Focesi. Immediatamente accorsero Lisandro ed il re Pausania II. Il generale spartano non volle, però, attendere le truppe del sovrano, perse, così, una battaglia e la vita presso Aliarto.
Agesilao proseguiva, intanto, di successo in successo, stava puntando verso il cuore dei domini del Gran re, quando giunse un messo da Sparta, che informandolo delle vicende di Grecia, gli ingiungeva di tornare in patria (394).

Agesilao obbedì. Ha ragione Plutarco ad affermare che questa sottomissione d'Agesilao al volere della città, costituisca il più grande esempio d'ubbidienza e rettitudine. Il tradimento delle polis greche, corrotte dal denaro, fu la causa che impedì ad Agesilao di distruggere i domini del Gran re prima d'Alessandro Magno.

LA GUERRA IN GRECIA

Agesilao parti dall'Asia, fra il rimpianto dei Greci di quella regione. Intanto a Nemea si combatteva una gigantesca battaglia, fra gli Spartiati con i Tegeati da una parte ed i traditori dell'Ellade dall'altra. Gli Spartiati, guidati da Aristodemo, inflissero una durissima sconfitta ai nemici, travolsero prima gli Ateniesi, poi attaccarono su un fianco gli Argivi che si ritiravano, uccidendone un gran numero, quindi assalirono i Corinzi, che fuggirono, ed infine fecero strage dei Tebani che avevano sgominato i Tegeati.
Un altro scontro avvenne a Coronea, fra gli uomini d'Agesilao e un altro esercito della lega antispartana. In silenzio gli eserciti s'appressavano uno all'altro, la quiete fu rotta dall'urlo di guerra dei Tebani, che s'avventarono sui nemici, ma, dalla parte opposta del campo gli uomini d'Agesilao mettevano in fuga gli Argivi, e gli altri Greci. I Tebani, cercando di raggiungere i propri alleati, si ritiravano a ranghi serrati, sarebbe stato facile per Agesilao farli passare e prenderli alle spalle, ma il sovrano ordinò ai suoi d'assaltare frontalmente i nemici, lo scontro fu durissimo, ma alla fine pochissimi furono i Tebani sopravissuti.

Queste ed altre vittorie, fra cui una strage d'Argivi presso Corinto, sembravano assicurare la vittoria ai Lacedemoni, ma la distruzione di un contingente di Spartiati presso Megara e alcune sconfitte navali dei Lacedemoni, rendevano quanto mai incerto l'esito del conflitto.
La guerra fu risolta dalla diplomazia, lo Spartiata Antalcida ottenne, in cambio della rinunzia all'indipendenza per i Greci d'Asia, l'aiuto del Gran re Artaserse. Insediatosi ad Abido e forte di una flotta di 100 navi, 80 persiane e 20 siracusane, il negoziatore spartano divenne il padrone del mare. Atene, sottoposta anche ad attacchi operati da pirati egineti, è bloccata, anche Sparta desidera la pace, costretta come a tenere due reggimenti lontani dalla città, uno a Megara l'altro ad Orcomeno, la pace vogliono anche gli Argivi, che temono gli attacchi spartani, gli unici che vi si oppongono sono i Tebani, ma la minaccia di un attacco spartano li convince ad accettare.
La pace assegnava le polis d'Asia al Gran re e lasciava autonome le città greche del continente. In altri termini Atene, che aveva ridato vita ad una lega navale sul modello di quella precedente la Guerra del Peloponneso, e Tebe che, aveva riunito tutte le città di Beozia sotto il suo comando, erano obbligate a restituire l'autonomia ai loro alleati.
Sparta ha ottenuto ciò che voleva, ma questa guerra ha evidenziato le molte debolezze della città del Peloponneso.

LA FINE DELL'EGEMONIA

La pace d'Antalcida garantiva il primato degli Spartiati sul resto della Grecia, ma li obbligava, se volevano mantenerlo, a vigilare affinché nessuna città Ellenica accrescesse la sua potenza a scapito delle altre.
Mantinea si stava in quel momento rinforzando un po' troppo così che Sparta l'assalì, smembrandola nei cinque villaggi dalla cui unione era sorta.
Fu, quindi la volta d'Olinto, colpevole d'aver creato una lega fra le polis della Calcidica. Un primo contingente spartano sconfisse alcune volte gli Olinti, tuttavia per ottenere un successo completo era opportuno l'arrivo di un secondo esercito. Febida, lo spartano che guidava la spedizione, giunto a Tebe occupò la rocca della città (382). A nulla valsero le proteste delle altre città elleniche. Nel 379 Olinto s'arrendeva alle truppe spartane. Lo stesso anno, però, i Tebani, col sostegno degli Ateniesi, riuscivano a scacciare dalla città i Lacedemoni. Sparta fece sentire la sua voce ad Atene, che mise a morte o esiliò i sostenitori dei Tebani.
I rapporti fra le due città s'incrinarono poco dopo, più esattamente, quando Sfodria, un comandante spartano dislocato a Tespie, tentò, di sua iniziativa l'occupazione del Pireo Il suo tentativo, sventato dagli Ateniesi, creò qualche imbarazzo a Sparta, che però non punì il colpevole come avrebbe meritato. Il partito antispartano acquistava, anche in Attica, sempre maggiore potenza.
Nel 377 Atene creò un'altra lega, che raccoglieva alleati da tutta la Grecia, e apertamente si dichiarava antispartana. L'anno dopo una flotta lacedemone, riuscì a far defezionare dalla lega un gran numero di città delle isole. Sorpresa, sulla via del ritorno dagli Ateniesi, la flotta spartana fu, però, colata a picco. La vittoria assicurò ad Atene altri alleati (375).
Tebe distrutta, intanto, Platea si assicurò il dominio sulla Beozia. Gli effetti della pace d'Antalcida furono cancellati.
Si giunse, così, al congresso di Sparta (371), ancora una volta i Tebani si ersero a rappresentanti di tutti i Beoti, ancora una volta Sparta rifiutò di riconoscere loro tale ruolo e gli dichiarò guerra.
La resa dei conti fra le due città avvenne a Leuttra. L'esercito spartano, forte di 10.000 uomini, di cui 700 spartiati, fu annientato dai 7000 soldati messi in campo dal beotarca Epaminonda. L'egemonia spartana era finita.

A FERRO E FUOCO

La sconfitta di Leuttra aveva prostrato gli Spartiati ed esaltato il resto del Peloponneso. I primi ad approfittarne furono gli Arcadi, che formarono una lega, cui, però i Tegeati, non vollero aderire. Scacciati dalla loro città essi si rivolsero a Sparta. Agesilao parti per l'Arcadia. Le truppe del sovrano devastarono la regione per quattro giorni, ma nessuno degli Arcadi scese in campo contro di loro.
Agesilao e i suoi tornarono a Sparta rinfrancati, non potevano neanche immaginare la tempesta che stava per abbattersi sulla città.
Giunsero, in soccorso degli Arcadi, 40.000 opliti Beoti, guidati da Epaminonda. A loro si aggiunsero molti armati alla leggera e diversi altri, che li seguivano privi delle armi, interessati solo al saccheggio.
Una massa di 70.000 uomini si abbattè sulla Laconia. Agesilao mise i giovani Spartiati a presidiare la città, impedendo loro d'accettare la sfida di quell'immensa moltitudine d'opliti.
Le donne, non abituate ad essere oggetto di un'invasione, erano terrorizzate dalla semplice vista del fumo degli accampamenti nemici. Gli iloti abbandonavano la città per unirsi ai saccheggiatori. Gli spartani tradivano: alcuni uomini s'impadronirono di una rocca della città, Agesilao si recò da loro fingendo d'ignorare la loro rivolta, ed affermando che non avevano compreso i suoi ordini li dislocò in altri punti della città. La rocca fu occupata da altri soldati favorevoli alla patria e i ribelli furono eliminati poco dopo.
Per tre mesi i Beoti furono gli assoluti padroni della Laconia, alcuni riuscirono, anche, a varcare l'Eurota, gelato in quel periodo dell'anno, ma una sortita di giovani Spartiati li ricacciò indietro.
L'invasione dei Beoti non lasciò solo morte e distruzioni ma produsse un importante cambiamento geopolitico, dopo 5 secoli la Messenia tornava indipendente, I Messeni giungevano da tutte le parti, nella loro antica patria. Fu riedificata Messene, la città sull'Itome, e costruita Megalopoli, la città, le cui mura erano molto distanti dall'abitato, si proponeva di svilupparsi, rapidamente, in modo da divenire una delle capitali del Peloponneso.

Nel 367 gli Arcadi decisero di fare da soli una spedizione contro Sparta, anche questa spedizione che arrivò assai in fondo nel territorio lacone, recò molti danni. Stavolta Sparta rispose, guidati da Archidamo, figlio d'Agesilao, gli Spartiati ripresero le terre che gli erano state tolte ed invasero l'Arcadia, che devastarono. Quando stavano per rientrare in patria, i Lacedemoni trovarono a bloccargli il passo un esercito d'Arcadi ed Argivi, affrontarli era inevitabile.
Un discorso d'Archidamo galvanizzò i giovani spartiati, che senza neanche attendere gli ordini si scagliarono sui nemici facendone strage. Non uno dei Lacedemoni perse la vita in questo scontro, passato alla storia col nome di "battaglia senza lacrime". In realtà, alla notizia del trionfo, molte gocce di pianto solcarono il viso degli Spartiati rimasti in patria, che sempre fra le lacrime accolsero i giovani tornati dalla spedizione. L'episodio illustra la decadenza di Sparta. Prima di Leuttra la vittoria in una battaglia era considerata un fatto normale e le sconfitte rendevano allegri i parenti dei caduti.

La vittoria degli Spartani convinse le altre città Elleniche ad inviare ambasciatori alla corte del Gran re per trattare la pace. Il sovrano persiano, conscio dei mutamenti sopravvenuti in Grecia, accolse le richieste di Pelopida, ambasciatore dei Tebani. Vale a dire: libertà per la Messenia e disarmo della flotta d'Atene.
Le polis non presero neanche in considerazione le proposte del re. La guerra proseguì, fra episodi minori, fino al 362. In quell'anno all'interno della lega degli Arcadi emerse un orientamento contrario alla guerra, e, moderatamente, antitebano. Questa evoluzione all'interno della lega convinse Epaminonda ad organizzare una spedizione in Arcadia, per combattere le città che volevano staccarsi dall'alleanza con Tebe.

L'invasione dei Beoti spinse Mantinea, l'Elide e l'Acaia a rivolgersi agli Spartiati e agli Ateniesi per ricevere aiuti. I Tebani marciavano verso il Peloponneso assieme agli Eubei e ai Tessali, a questi si sarebbero, poi, aggiunti Argivi, Messeni, Tegeati e Megapoliti.
Epaminonda s'insediò a Tegea, dove apprese che l'esercito spartano stava muovendo alla volta di Mantinea per schierarsi in difesa della città. Il beotarca decise, allora, di marciare su Sparta rimasta incustodita. Agesilao, che guidava le truppe a Mantinea, appreso, da un disertore cretese, quanto stava accadendo, fece ritorno a Sparta, riuscendo a precedere Epaminonda. Il ritorno delle truppe del re non migliorava molto la situazione. La cavalleria e la stragrande maggioranza dell'esercito di Sparta, si trovavano a Mantinea. La difesa della città era affidata ad un drappello di valorosi.
I Tebani, accampatisi su un'altura, attaccarono in massa, da questa favorevolissima posizione, la città, gli Spartiati si difesero con indicibile audacia, un manipolo di giovani guidati d'Achidamo riuscì, infine, a mettere in fuga i Beoti. Ancora una volta i giovani si erano dimostrati le migliori mura che Sparta potesse avere.
L'ignominiosa sconfitta Tebana fece sì che le sorti della guerra fossero decise a Mantinea. Qui lo spartiata Anticrate trapassò da parte a parte Epaminonda, con un colpo di lancia. I Beoti, che stavano mettendo in fuga i nemici, non li inseguirono, ma si dispersero anche loro. L'unico effetto della battaglia di Mantinea fu d'aumentare, in Grecia, il disordine e la confusione (362).

LA MORTE DI UN GUERRIERO

Alla pace che seguì la battaglia di Mantinea e che li privava della Messenia i Lacedemoni non vollero partecipare. Ma per continuare la guerra vi era un disperato bisogno di soldi:gli Spartiati erano rimasti in pochi, e dovevano ricorrere, come tutti in Grecia, all'ampio utilizzo di milizie mercenarie.
Agesilao risolvette la situazione imbarcandosi, ad 84 anni, per l'Egitto dove avrebbe combattuto, con altri trenta spartiati, al soldo di un pretendente al trono.
(Qualche storico giudica vergognoso che un sovrano faccia il mercenario al soldo degli stranieri. Costoro non comprendono che per gli Spartiati, per qualunque degli Spartiati, qualsiasi umiliazione passava, non in secondo, ma in ultimo piano, se patita per la patria. Agesilao non combattè per sè in Egitto, ma per Sparta, questo non abbassa, ma ingigantisce ulteriormente la figura del sovrano Spartiata.)
All'arrivo d'Agesilao molti furono gli Egizi che, attirati dalla sua fama, accorsero per vederlo. L'anziano sovrano suscitò l'ilarità degli Africani, che lo presero in giro per la sua statura e per l'andatura claudicante. L'ilarità si trasformò in ammirazione quando, in due sanguinosissime battaglie, da lui magistralmente dirette e combattute, il sovrano di Sparta sbaragliò i nemici assicurando il trono a Nectanabide.
Agesilao parti dall'Egitto onorato da tutti e carico del denaro che serviva per il proseguimento della guerra. Purtroppo il vecchio sovrano non rivide l'amata patria. La flotta, a causa del maltempo, dovette ancorarsi in Libia. Più esattamente al porto di Menelao, proprio in quest'approdo, dedicato all'antico sovrano spartano, si spense il vecchio guerriero lacedemone.
Gli Spartiati che erano con lui, riportarono in patria la salma del re (260).
La guerra fu proseguita da Archidamo che però non riuscì a sottomettere i Messeni. Nel 338 il sovrano avrebbe perso la vita in una spedizione di soccorso ai Tarantini. Nello stesso anno Filippo II di Macedonia, avrebbe sconfitto gli Spartani, ritoccando, ancora una volta a vantaggio di Messeni ed Argivi, i confini della Laconia.

Sparta perse così la supremazia in Grecia, non tanto per cause esterne tanto per le proprie responsabilità.
Ho gia rilevato i guasti provocati dall'afflusso d'oro in città e dall'adozione di una politica monetaria. La guerra nocque però agli Spartiati anche sotto un altro aspetto. L'impero d'Atene, pur vessandoli con tassazioni elevatissime ed adoperando le loro flotte in guerre utili soltanto alla città dell'Attica, aveva protetto i Greci d'Asia dall'espansionismo del Gran re. Al crollo dell'esosa protettrice era ovvio che costoro si rivolgessero a Sparta per aiuto. Gli Spartiati fecero benissimo a venire incontro ai desideri dei loro connazionali, sicuri, com'erano, che in Grecia non vi sarebbero stati colpi di mano. Il tradimento di cui furono vittime, costrinse, poi, i Lacedemoni ad abbandonarli nelle mani del Gran re. Fin qui la politica estera di Sparta è " irreprensibile, " dalla pace d'Antalcida in poi, invece, si susseguono gli errori.
Gli Spartiati abbandonano la loro tradizionale politica di non ingerenza, e cominciano a far guerra contro questo e quello solo per mantenere un primato, che nessuna polis avrebbe loro contestato, purché esercitato con la discrezione precedente alla guerra del Peloponneso. Fu la politica estera di Sparta, così simile a quella d'Atene, a suscitare le ire della Grecia e a determinare il tracollo della città. Una politica estera dettata dal potere e dal lusso, brame che Licurgo aveva estirpato dalla città, determinò dunque il crollo di Sparta. Si fossero limitati a voler conservare la supremazia sul Peloponneso. Evitando intromettersi nella confusione del resto della Grecia, gli Spartani sarebbero stati intoccabili almeno fino all'arrivo di Roma.

IL LUNGO DECLINO

Sconfitti da Filippo gli Spartani non si rassegnarono alla perdita della Messenia. Continuarono la loro guerra contro il resto del Peloponneso, e soprattutto contro la Macedonia d'Alessandro. Re Agide III sacrificò eroicamente la sua vita sulle alture dell'Arcadia infliggendo pesantissime perdite alle legioni macedoni, che stavano conquistando l'Asia (331).
Le ripetute sconfitte e l'assommarsi delle ricchezze nelle mani di pochi ridussero Sparta ad una città dominata dalla meschinità, dalla noncuranza verso il bene comune. Il numero degli Spartiati si era ridotto a 700 unità. Pochissimi fra questi erano ancora proprietari dell'originario appezzamento di terreno stabilito dalla Grande Rhetra. Il resto della popolazione viveva nell'ozio.
Il compito di liberare il Peloponneso dalla presenza dei Macedoni fu assunto dalla lega Achea. Gli Achei, guidati da Arato di Sicione, che dopo aver scacciato i tiranni dalla sua città, l'aveva fatta aderire alla lega, riuscirono nel 243 ad occupare Corinto. Ben presto le altre popolazioni del Peloponneso, Sparta esclusa, sarebbero entrate a far parte della lega.

IL CANTO DEL CIGNO

Agide IV, sovrano della dinastia degli Europontidi, asceso al trono nel 244, tentò di riportare Sparta, se non ai fasti di un tempo, almeno a rivestire un ruolo di una certa importanza nel Peloponneso.
Il giovane, neanche ventenne, comprese subito, che per riuscire nei suoi scopi, la sua rivoluzione avrebbe dovuto essere una restaurazione.
Agide, ancora prima di ascendere al trono, viveva in conformità agli antichi usi di Sparta. Il suo programma politico, che prevedeva la cancellazione dei debiti, fonti di discordia fra i cittadini, e il ripristino degli antichi kleroi, fu entusiasticamente appoggiato dai giovani spartiati. Ad opporsi al suo disegno erano gli efori, la gerusia, le donne, nelle cui mani s'assommava gran parte della ricchezza di Sparta e l'altro sovrano Leonida.

Nel 243 Agide, sostenuto dall'eforo Lisandro e dallo zio Agesilao, che nonostante i parecchi debiti, era molto influente in città, presentò la sua proposta di legge, i cui punti cardine erano: la cancellazione dei debiti, la spartizione delle terre, in 4.500 lotti riservati agli Spartiati, e in 15.000 riservati ai perieci l'integrazione nei ranghi degli Spartiati, il cui numero era, come già ricordato, ridotto a 700, di perieci e stranieri giovani e robusti, la ricostituzione dei syssiti, che seguissero il modo di vivere prescritto da Licurgo. Il re avrebbe anch'egli contribuito al successo del nuovo regime, mettendo a disposizione della città il patrimonio di tutta la sua famiglia, la più ricca di Sparta, e 600 talenti.
La legge non fu approvata per un solo voto. Lisandro, allora, dichiarò illegittimo il potere di Leonida. Il re Agiade, aveva, infatti, concepito, contravvenendo ad una legge della città, dei figli con una straniera. Leonida fuggì a Tegea, Agide, venuto a sapere che Agesilao intendeva tendergli un agguato, lo fece scortare dai suoi più fidi soldati fino alla città dell'Arcadia.
Agide, a quel punto, decise di porre in atto la legge ma Agesilao, come gia detto, fortemente indebitato e, anche, proprietario terriero, lo convinse ad attuare solo la prima la parte del programma. Asserendo, che una volta applicata questa, le altre, sarebbero state più semplice esecuzione, ingannò sia il sovrano sia Lisandro.
Per un anno Agesilao riuscì ad impedire che le terre fossero distribuite, poi, nel 241, Agide dovette recarsi a Corinto per soccorrere Arato, da poco Sparta aveva concluso un'alleanza con la lega Achea.

Tornato, poco dopo, dalla spedizione il sovrano scoprì che la mancata divisione delle terre e il comportamento d'Agesilao gli avevano alienato il sostegno della popolazione. La situazione era così cambiata, che Leonida potè tornare in città, Cleombroto, che gli era successo, fuggì, Agide si rifugiò nel tempio d'Atena Calcieca. Gli efori riuscirono a farlo uscire dal tempio con l'inganno e lo assassinarono, anche la madre e la nonna del sovrano furono uccise, la moglie fu costretta a sposare Cleomene, figlio del re Leonida (240).

L'influenza della moglie si fece ben presto sentire sul giovane Cleomene, che una volta asceso al trono (235) pensò a come porre rimedio allo sfacelo che regnava, intendeva, anche, ridurre il potere degli efori, causa principale, a suo giudizio, della degenerazione di Sparta.
Cleomene riteneva che un conflitto esterno avrebbe reso più semplice l'attuazione dei suoi piani, approfittando delle prepotenze d'Arato, che intenzionato a far affluire in una lega, da lui diretta, tutti i popoli del Peloponneso, continuava a recar danni a quei pochi che non facevano parte della lega Achea, dichiarò guerra all'Acaia.
Inflitte due dure sconfitte agli Achei, Cleomene torno in patria, mise a morte gli efori, distribuì le terre, condonò i debiti, accolse gli stranieri più meritevoli nel novero degli Spartiati, ripristinò l'educazione licurghea e la diarchia, associandosi al trono il fratello Euclide; rese, in una parola, operante il programma di Agide.
Sistemate le faccende interne, Cleomene riprese la guerra, devastò la Messenia e puntò sull'Acaia (intanto Arcadi ed Elei allontanavano dalle loro città le guarnigioni achee e chiedevano di legarsi a Sparta), dove, nel 225 sconfisse, a Dime, gli Achei facendone scempio.
La lega Achea mandò ambasciatori a chiedere la pace. Cleomene rispose che l'avrebbe accordata, previo il costituirsi di una lega Peloponnesiaca alla cui testa fossero posti gli Spartani. Gli Achei, stregati anche loro dal carisma del sovrano Spartiata accettarono.

La situazione volgeva al meglio per tutto il Peloponneso, ma Arato, che mal sopportava d'essere stato messo in secondo piano da Cleomene, pur di non rinunciare al comando, si alleò con Antigono, invitandolo a scendere nella regione per muovere guerra agli Spartani.
L'atteggiamento d'Arato ha dell'incredibile: proprio lui che aveva mandato via i Macedoni dal Peloponneso, ora se li faceva alleati riportando, gli stranieri nella sua patria. L'aver preteso Cleomene il comando della lega Peloponnesiaca non giustifica assolutamente il tradimento del sicione: l'idea di una lega del Peloponneso era d'Arato, cui, nella sua visione, spettava il comando perchè condottiero della popolazione più forte, il mutato rapporto di forze, reso brutalmente evidente dalle tre sconfitte consecutive inflitte dagli Spartiati agli Achei, legittimava, seguendo lo stesso principio, la richiesta di Cleomene.
Entusiasta della politica d'Arato fu sicuramente sua nuora, che tradì il marito, Arato il giovane, con Filippo. Futuro re di Macedonia
Senza perdersi d'animo per il tradimento, il sovrano spartiata, riprese la guerra, conquistando alcune città dell'Acaia ed Argo, l'eterna rivale, che mai aveva conosciuto l'onta dell'occupazione, anche Corinto abbandonò Arato per associarsi ai Lacedemoni. L'arrivo d'Antigono provocò, però defezioni e tradimenti. Ben presto i domini di Sparta si ridussero alla sola Laconia.
Cleomene riuscì a risollevarsi, con un colpo di mano prese Megalopoli, che, irato per un tradimento dei Messeni, rase completamente al suolo. In seguito devastò l'Argolide senza che Antigono accettarsi di battersi, la mancanza di denaro costrinse, però Cleomene ad accelerare i tempi, si giunse cosi alla battaglia di Sellasia.
L'esercito spartiata riuscì in un primo momento a respingere le famose falangi macedoni, il successo sarebbe arriso a Cleomene se alle spalle delle sue truppe non fossero piombati gli Illiri. Il re, preoccupato di quest'evenienza, aveva, prima della battaglia, inviato un suo ufficiale a controllare cosa accadesse alle spalle delle milizie, ma costui, corrotto dall'oro macedone, aveva dichiarato che tutto procedeva nel migliore dei modi.
Cleomene salvò a stento la vita, e fu tra i pochissimi Spartiati a farcela, e si rifugiò in Egitto, Antigono entrò a Sparta, ma non commise alcuna violenza.
Il sovrano Macedone restaurò le istituzioni impostesi a Sparta prima del regno di Cleomene. Su uno dei due troni di Sparta s'assise Licurgo, che fu preferito ai discendenti d'Eracle e divenne re di Sparta, per aver dato a ciascuno degli efori un talento.
La miseria morale e spirituale che emerge dall'episodio lo qualifica come il punto ultimo, in tutti i sensi, della storia di Sparta.

ULTIMO ATTO

Il vero epilogo della storia di Sparta, quello più coerente e degno per la città e la sua storia, si concretò in Egitto.
Cleomene, fuggito da Sparta dopo la battaglia di Sellasia, anche in Egitto non smetteva di riflettere su come risollevare le sorti della patria. Il sovrano del paese del Nilo, Tolomeo III, dopo una fredda accoglienza cominciò ad apprezzare il re di Sparta, tanto da promettere d'aiutarlo a tornare nel suo regno. La morte non permise a Tolomeo di tenere fede al patto. Il suo successore, Tolomeo IV Filopatore, un degenerato, mise addirittura in prigione Cleomene e i tredici spartani, che l'avevano seguito in Egitto.
Gli Spartiati, non tollerando l'affronto e risoluti a riprendersi la patria, decisero di agire.
Evasi, dal luogo in cui erano rinchiusi, iniziarono a correre per le strade incitando il popolo alla rivolta, gli egiziani, pur lodando il coraggio degli Spartani, non ebbero la forza d'animo di impugnare le armi, intanto i Greci uccisi due comandanti delle guardie e i soldati che erano con loro, decidevano di recarsi al carcere, per liberare i detenuti ed ottenere il loro sostegno. Le guardie delle prigioni prevennero questo tentativo, barricandosi efficacemente. I tredici Spartiati, che vagavano, ormai, senza metà nella città spopolata dalla paura, decisero, allora di darsi la morte ed, uno dopo l'altro, si tolsero la vita, l'ultimo fu Panteo, il primo ad entrare a Megalopoli, che dopo aver controllato che tutti fossero morti si sdraiò accanto a Cleomene e si pugnalò.
Tolomeo, informato dell'accaduto, ordino di uccidere le mogli e i figli degli Spartani. I soldati egiziani, condottoli sul luogo dell'esecuzione uccisero prima i figli, poi le donne. La sposa di Panteo si fissatasi il vestito alla cintura, in silenzio, con serenità, si dava cura d'ognuna delle morenti e le rivestiva con quel che poteva trovare. Alla fine, dopo tutte le altre, preparò se stessa, non consentì che nessuno, fuorchè il carnefice, la toccasse, non ebbe bisogno che qualcuno, dopo la sua morte, componesse il corpo.
"Sparta mostrò che la virtù non può essere oltraggiata dalla fortuna".


Nirta Alessandro
sandrunirta@hotmail.com

Bibliografia
Erodoto, Storie, Roma, Newton 1997
V. M. Manfredi, Lo scudo di Talos, Milano, Mondatori, 2002
D. Musti, Storia greca, Bari, Laterza, 1990
Plutarco, Vite parallele. Agide e Cleomene, Milano, bur, 1991
Senofonte, Elleniche, Roma, Newton, 1997
Tucidide, La guerra del Peloponneso, Roma, Newton, 1997

 

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