GRECIA - STORIA
GLI DEI, I RITI, LA MITOLOGIA


Il monte Olimpo (2917 m.) - La dimora degli Dei
Alle sue pendici, in basso nella pianura, DIO


Dio, una grande città dell'antichità scomparsa nel nulla

LA SCOMPARSA DI DIO
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 



Questa è Dio...e dietro quelle mura ciclopiche...
(nulla di simile esiste in Grecia! )
(dei massi squadrati così enormi che occorrerebbero 10 camion per spostarli !!! )


... si estende una città immensa, con il corso centrale lungo un chilometro.
Un grande città scomparsa dalla faccia della terra, e non sappiamo ancora perché....


Ho assistito al ritrovamento di una lapide; dopo la pulizia della stessa dal fango, è apparsa una scritta:
"qui dominarono i consoli romani L. Mummio e Cecilio Metello".
E' stato emozionante. Ricordiamo che Mummio e Metello sconfissero in Grecia le leghe, s'impadronirono delle città e molte le distrussero dalle fondamenta (vedi Corinto) e portarono a Roma un immenso bottino, con una grande quantità di opere d'arte, statue, bronzi, pitture. Fu la fine della Grecia ! (anche se gli fu data l'indipendenza (sic!)).

LA FINE DI DIO - ANDRISCO

Negli stessi anni che le legioni romane assediavano Cartagine, nella Macedonia e nella Grecia accadevano fatti che a queste due regioni dovevano costare la perdita dell'indipendenza. Se nella prima - che i greci consideravano abitata da una stirpe barbara - il suo destino non ha una grande importanza, nella seconda che ha avuto, e avrà ancora in seguito una grande influenza in tutto il mondo occidentale, questa decadenza inciderà enormemente nel mondo ellenistico; un mondo che si esaurisce lentamente con l'integrazione nell'impero romano prima, e scompare del tutto - cinque secoli dopo- quando nei primi anni del 300 d.C. subentra il mondo dell'età bizantina; anni in cui termineranno le espressioni letterarie, lo sport, la musica, l'arte, le tradizioni, e inizierà l'era della rassegnazione. Anticipando di alcuni decenni la fine di Roma.
Ma cosa aveva detto Scipione durante la distruzione di Cartagine da parte di Atene?: "che l'orrendo delitto non poteva rimanere impunito e che la sorte toccata all'infelice città dovesse essere riservata, per legge fatale, a quell'altra che ne aveva voluta la fine". E infatti, dopo Cartagine, l'orrendo delitto del saccheggio, della distruzione e l'annientamento di un popolo e di una civiltà fu ripetuto in Grecia, in particolare a Dio e a Corinto.

EMILIO PAOLO, ritornando a Roma, credeva - e con lui Roma - di avere con la sua opera, assicurato a quei popoli la pace, ma s'ingannava. Greci e Macedoni alle crudeli repressioni delle armi romane avevano piegato la fronte, però nel loro cuore il desiderio della riscossa non si era spento, né dalla loro mente poteva esser cancellato il ricordo delle stragi e dei saccheggi commessi nel loro paese dagli eserciti della repubblica d'oltremare.
A Dio, in Tessaglia, che d'ora in avanti nessuno storico citerà più, calò un velo pietoso. Una ragione ci deve essere !! E sembra che sia stata immediatamente spopolata, uccisi o deportati tutti gli abitanti che, all'epoca di Lucio Emilio Paolo, il conquistatore di questo territorio, ne doveva contare (in base al numero di edifici, piazze, basiliche, teatri ecc.) un numero piuttosto considerevole, superiore ad Atene.

Sappiamo da Strabone, che quando questa regione fu sottomessa, centocinquantamila abitanti furono fatti schiavi, venduti e imbarcati per l'Italia. E che a Delo in un solo giorno ne furono imbarcati diecimila.

A DIO, che è posta sotto il Monte Olimpo, a 6 km dalla costa (dove oggi sorge la bellissima spiaggia di Gritsa Beach), Alessandro Magno aveva allestito il suo grande esercito, e da DIO, dopo aver fatto i sacrifici agli dei ai piedi dell'Olimpo, era poi partito per il suo straordinario viaggio senza ritorno, all'interno dell'Asia.
DIO l'accennava pure Omero. Ma allora, sia DIO, sia il MONTE OLIMPO era terra dei Traci (una civiltà di cui non si sa -ancora oggi- quasi nulla), prima che i Greci si impossessassero dei loro territori e perfino di tutti i loro dei. Quando in Tracia vi giunsero i Romani nel 46 d.C. trasformandola poi in provincia (chiamata in seguito Romania), della civiltà Trace non esisteva più nulla, i Greci in precedenza avevano cancellato ogni traccia; anche se una buona parte della loro nuova civiltà e così i loro dei, dalla Tracia avevano mutuato quasi tutto.

Né immaginavano i Romani (che -affermarono- di aver portato la civiltà) che alcuni abitanti ai piedi del Palatino, prima della fondazione di Roma, erano forse proprio Traci (vedi cronologia di Roma), e che forse furono proprio loro ad introdurre la vite in Italia dai villaggi palafitticoli sorti nei laghi prealpini (in quello di Ledro, la vite era coltivata nel 1400-1200 a.C. - In Etruria apparve nel 700 a.C., a Roma alcune viti, compaiono solo nel 600 a.C. il vino era ancora considerato quasi come un medicinale, poi anche proibito per i suoi effetti alteranti)

Tutta la mitologia greca, così i famosi "tocchi magici" dei loro dei nella creazione del grande "miracolo greco" é quindi da rivisitare. Non sostengo che ogni professore che insegna storia antica debba andare di persona in Grecia (in questo caso ci vada con in mano i libri degli storici antichi, per scoprire lacune, falsità e faziosità) ma almeno suggerisco di aggiornarsi con le nuove scoperte archeologiche. Chi qui scrive ha fatto l'uno e l'altro. E di scoperte (e non è difficile) ne ha fatte molte.
(Inoltre, molto interessante, sono proprio le ultime scoperte archeologiche (come le Tavolette Tartarie e i Cilindri - che anticipano la scrittura Sumera e Egiziana) nell'opera di Heinz Siegert, "I Traci" pubblicato da Garzanti, 1986 - Tavolette che erano dove non dovevano essere).

Dionisio era trace, e così suo padre Zeus. In lingua trace dio significa proprio zeus, e nysos significa giovinetto. Dunque, Dionisio é il giovinetto figlio di Zeus. Dei che solo nell'VIII-VII secolo a.C., iniziarono a penetrare in Grecia, quando i greci nei primi commerci scoprirono le sponde e le città trace del Mar Nero; e lì trovarono il "mondo degli dei traci" (diventati poi greci); trovarono un riflesso della società cavalleresca trace che si presenta a loro come un'aristocrazia celeste con tratti umani e una grande libertà morale; trovarono a Pomorie le saline (ci sono tuttora); trovarono le miniere d'oro e d'argento nel Pangeo; e trovarono una religione superiore, quella trace, che eclissò quella ancora aborigena com'era fino allora quella greca.

Dionisio (Bacco per i Romani - la vite era presente in Tracia nel 4000 a.C. - e anche di questo parla Omero "giungevano a Troia giare d'argilla sigillate con il dolcissimo vino trace di Taso") e Cibele (culti introdotti ufficialmente poi a Roma nel 205 a.C. dopo le guerre di cui ci siamo occupati in questi anni) sono entrambi NON di origine greca ma trace. La statuetta della Madre Terra, ritrovata nel Karanovo, è stata scolpita nel 4000 a.C. (3000 anni prima di arrivare come culto in Grecia, 3800 anni prima di arrivare a Roma).

Così Apollo (ritrovato a Dupljaja nel Banato) era venerato in Tracia 2000 anni prima di quello greco che però i greci fanno poi nascere a Delo nelle Cicladi, ma sempre figlio di Zeus era. Ad Apollonia sul Mar Nero (allora Trace) fondata nel V sec., proprio i greci eressero una statua ad Apollo alta tredici metri (scultore Calamide), ma allora era in onore del dio trace affinché proteggesse a sud della Tracia, cioè la Grecia.
Omero dice il vero quando ci parla del culto di Apollo praticato dai Traci, a Maronea sulla costa Trace, all'epoca della guerra di Troia, quindi molto prima della colonizzazione greca e la nascita di Atene.

Lo stesso Orfeo e l'orfismo era trace. Infine lo stesso Monte Olimpo ("dimora degli dei greci") era trace, perché posto nell'antichissimo territorio un tempo trace ed era la "dimora degli dei traci".
Tutta la storia scritta impostata sull'antica tradizione greca (storici come Erodoto, Tucidide, Timeo, Apollodoro) e la stessa storicità dei Dori diventerebbe tutta errata. I Dori erano null'altro che Traci, abitanti anche in Tessaglia (Omero non ce ne parla, che allora era Tracia. Samotracia, Nasso, Imbro e Coo erano stanziamenti di popolazioni traci.
Nell' Iliade, Omero, quando parla dell'eroe "trace" Reso, che ha "un armatura e un cocchio tutto d'oro, il cavallo più bello del mondo e veloce come il vento"; lo fa spuntare fuori come un mitico eroe di tempi remoti. Ma - con i "tempi remoti"! - non sbagliava Omero. Accenna a un già leggendario antico eroe Trace, e proprio a Varna è stata scoperta una necropoli con oggetti (monili, scettri ecc. "Tesoro di Varna") in puro oro a 24 carati, e armille a lamine d'oro battuto, non fuso, simili a quelle di Troia e Micene, come la maschera di Agamennone, soltanto che.... quella Trace è di 2000 anni prima della caduta di Troia, 1000 anni prima della colonizzazione della Grecia, dell'Argolide, dell'Attica e di Creta.
Il motivo di tutto quest'oro, era questo; che le mitiche miniere d'oro e d'argento erano nel Pangeo; i greci poi se ne impossessarono nel 467 a.C. Il generale Tucidide era uno dei concessionari (sic!) della grande miniera quando scontò l'esilio in Tracia e vi morì assassinato nel 396 a.C.. - Filippi situata a est del Pangeo era una vera e propria città di minatori d'oro. Scrive Aristotele nella "Piera Macedonica" ... "i Pieri risiedono nelle immediate vicinanze del monte Pangeo, ove si semina oro, si coltivano alberi d'oro e si raccoglie oro".
E Traci erano le favolose ricchezze dell'altrettanto favoloso re Mida, che sarebbe vissuto nella stessa zona del Bermio, un monte trace ricco d'oro puro.
L'uso delle lamine d'oro (nel tesoro di Varna o nella maschera di Agamennone poi) è dovuto al fatto che il minerale oro era presente nel Pangeo allo stato puro; e a quel tempo non si era ancora in grado di separare il metallo per fusione.
Come poi non ricordare, la spedizione di Traiano, nella zona tracica (o dacica) del monte Orastie. Vi portò via 260.000 chilogrammi d'oro e 290.000 d'argento, che gli consentì di risanare il deficit dello stato, e non solo togliere le imposte per l'anno 106 d.C., ma donare ad ogni contribuente dell'impero 650 denari.

A DIO e quindi in Tracia, scopriamo che non solo 4000 anni a.C. si era sviluppata l'agricoltura e l'allevamento del bestiame, compreso il primo cavallo; ma che vi era nata lì la civiltà palafatticola (a Varna esistono centinaia di villaggi palafitticoli, identici a quelli del Lago di Ledro, fondati nel 1500-1200 a.C. i cui abitanti indubbiamente risalirono nel corso di due e più millenni il Danubio, che nei pressi di Varna ha la sua foce); la ceramica a stile geometrico e a vivaci colori; le più antiche pitture su pareti intonacate (mille anni dopo comparvero a Creta); i primi lavori di tessitura del mondo; così il culto del Toro, che adotta poi mille anni dopo Creta; che era diffusa già la metallurgia, contemporanea con quella vicina di Hacilar in Anatolia (3000 a.C.); la comparsa di lucerne a triangolo equilatero; e che l'incenerazione dei morti era una consuetudine trace (i famosi popoli dei Campi d'Urne non provenivano dunque dal centro nord Europa, ma dal Mar Nero, da questa antica civiltà che stiamo scoprendo solo ora in Tracia!)
(Un pugnale trovato a Ledro è simile a quello trovato a Micene -nella casa dell'olio- datato 1500 a. C. - e chi qui scrive, li ha visti entrambi, a Micene e a Ledro- in quest'ultima località, esiste uno straordinario museo, unico in Europa, e che merita una visita per chi vuole "viaggiare" nella storia del 1500-1000 a.C.).

Del resto già Schliemann scoprì, e ne rimase molto sconcertato, che i distruttori di Troia, dovevano essere gli stessi che l'avevano fondata 1500 anni prima. Infatti, nello strato più antico, trovò moltissime espressioni della cultura balcanica: proprio quella dei Traci; stile nella costruzione di templi, architettura della casa, ornamenti, ceramica, monili in oro (e ignorava il "tesoro di Varna" scoperto solo nel 1973). Lo studioso Dimitar Dimitrov avanza l'ipotesi che i troiani erano i primissimi emigranti traci in Asia Minore nordoccidentale che avrebbero attraversato in una precedente spedizione l'Ellesponto tra il IV e il III millennio a.C. . L'invasione successiva dei Dori fu insomma una lotta fra antichi cugini, e non fu una invasione improvvisa ma graduale. E gli stessi Achei detti anche Micenei, non furono la prima popolazione di origine indoeuropea che si profilò nella storia europea, ma un popolo fratello: cioè Trace. (o "Popoli del Mare" o del Nord", che usavano bruciare i morti e comporli in urne (designati poi dagli archeologi "popoli dei campi d'urne". Questi migrazioni provenivano dalla Tracia. Una parte scese nel Peloponneso a distruggere gli Achei-Micenei, un'altra parte, da Varna (grande centro palafitticolo) alle foci del Danubio, in un millennio, risalgono il grande fiume, dalle Porte di Ferro scendono alla odierna Belgrado, proseguono per il medio Danubio (Austria, Baviera), scendono nei laghi prealpini, si stanziano fino al 1200-1000 nella pianura Padana, poi si disperdono per l'Italia. E Campi d'urne, le troviamo verso l'anno 1000 a.C. ai piedi del Palatino, dove sorgerà circa duecento anni dopo Roma.
----------------------------------

DIO, oggi, è ancora intatta, sotto una spessa coltre di quell'impalpabile terra della Magnesia che sembra borotalco. L'annientamento e quindi l'abbandono, fu molto probabilmente immediato. Forse un'orrenda strage dopo la conquista romana.

Da anni una moltitudine di archeologi portano alla luce quella che già dai primi scavi sembra una città, che allora, doveva essere più grande e con molti più abitanti della stessa Atene. Ciclopiche mura la circondano su un quadrato di due chilometri di lato. Massi enormi di centinaia di tonnellate, che ancora oggi sarebbero indistruttibili con un'artiglieria moderna.

Dietro queste mura, all'interno, scopriamo una città immensa, le vie sono molto simili a quelle della nostra Pompei; quella centrale è lunga un chilometro, con ai lati, case, palazzi, negozi, e in fondo edifici sacri, teatri, e altri luoghi pubblici. L'impressione è quella di una città ricca, opulenta, gremita di abitanti.
Nessuno -salvo qualche rivista di addetti- accenna a questa riscoperta; il luogo è ancora off-limit. Ma chi qui scrive, in qualche modo è riuscito a visitarla e fotografarla. Ed è la città che mi ha impressionato più di tutte quelle fino ad oggi in Grecia visitate.
La ragione è che la città, finita sotto la coltre di una spessa polvere, e forse è da ricercare proprio nel suo nome, un po' scomodo alla letteratura cristiana.

_____________________________-

Nel chiudere le pagine precedenti, dove abbiamo accennato alla religione greca antica, abbiamo detto che prima di inoltrarci nella vera storia greca, volevamo soffermarci sui personaggi di quelle avventure, che diedero luogo ad una quantità di racconti e miti greci, il cui complesso costituisce appunto la cosiddetta MITOLOGIA.
Nel farlo vogliamo subito far notare, che la religione degli Dei greci era locale, e pur chiamato con lo stesso nome, il dio di una città non era lo stesso dio di un'altra città anche se vicina. Così Zeus, Apollo e gli altri Dei principali si moltiplicarono, distinti nei diversi luoghi con soprannomi diversi.
A creare poi una ulteriore confusione ci si misero anche i Romani. I Latini iniziati alle lettere e alle arti dai Greci confusero i loro Dei nazionali con gli Dei della Grecia. Cosicchè dai Romani noi ereditammo l'abitudine di indicare i Dei Greci con i nomi latini. Nelle righe sotto, citando le principali divinità greche, affiancheremo a ciascuna (dentro la parentesi) anche il nome latino:


Zeus (Giove) ----------- Apollo (Febo) ------------ Hera (Giunone);
Poseidon (Nettuno); Hades (Plutone); Demetra (Cerere); Artemide (Diana);
Ares (Marte); Atena o Pallade (Minerva); Afrodite (Venere);
Efesto (Vulcano); Hermes (Mercurio); Moira (Fato) ecc. ecc.


Innanzitutto cosa significa MITO. Esso è un termine derivante dal greco
myhos, che in Omero significa "parola, discorso" ma anche "progetto, macchinazione". In età classica Platone (in Repubblica 392a) afferma che è un "racconto intorno agli dei, esseri divini, eroi e discese nell'aldilà". E tale si conservò fino all''800 e '900, "quando il mito viene assunto o come narrazione e struttura religiosa fondamentale, o come modalità di fondazione delle istituzioni culturali, o infine, come forma di pensiero, come creazione ideale, distinta dal pensiero logico e scientifico. Tuttavia nell'ambito di un preciso schema, il mito rimane uno dei fenomeni meno comprensibili nella storia delle società umane, e questo fa supporre che sia stato collocato dagli studiosi in un ambito e in uno schema errato alla radice, tanto da impedirne una reale interpretazione".
"Tuttavia, tutti coloro che hanno fino ad oggi studiato il mito, hanno, sia pure in modo diversi, sottolineato la sua importanza per la costruzione ideale e concreta delle istituzioni sociali e culturali"
(Mito - Enciclopedia della Filosofia, Garzanti, 1988)

Le forze della natura, non ancora spiegate dalla scienza, apparvero ai Greci come grandi esseri misteriosi, dotati di una volontà e di sentimenti simili a quelli degli uomini, e furono personificati in altrettanti Dei. Singolare è che i Greci pur essendo politeisti, riconobbero Zeus come il sommo dio, e tutti gli altri (Dee e Dei) soggetti a lui. Avevano sembianze umane, affetti umani, passioni umane. A differenza degli uomini erano però esseri immortali e avevano una potenza soprannaturale.
Il
"Culto degli Dei" pur provenendo da una oscura antichità ( e verosimilmente dalla Tracia) divenne ben presto una religione pubblica della Grecia, pur conservando i greci una religione domestica, cioè il "Culto degli antenati".

Nell'immaginazione dei Greci, gli Dei possedevano forza, intelligenza, bellezza, che non si alteravano col tempo, nè tantomeno perivano. Con la loro maestosità nell'aspetto, nel carattere nella statura, erano superiori alla natura umana; e come i sovrani in terra, vivevano in un grande palazzo situato sul monte Olimpo, il più alto che i greci di allora conoscevano. Sulla sua vetta (che è posta a 2917), tutti gli Dei tenevano consiglio sotto la "presidenza" di Zeus, oppure sedevano tutti insieme per banchettare.
Proprio perchè possedevano sembianze, affetti e passioni umane l'immaginazione popolare attribuì a questi Dei consuetudini simili a quelle degli uomini: matrimoni, nascite, parentele, liti, atti eroici, e anche rivalità tra di loro nelle unioni, dove nascevano gelosie, rancori, odi, infedeltà, adulteri.
Tutti questi loro fatti, queste loro avventure, questi loro contrasti, partoriti dall'immaginazione popolare, diedero luogo ad una quantità di racconti: che nell'insieme, come già detto sopra, costituiscono la MITOLOGIA.

Dunque ZEUS è padre degli Dei ma anche degli Uomini, reggitore dell'ordine e dell'armonia dell'universo, arbitro della vita e della morte e, delle vicende umane con imperscrutabile consiglio, dispensatore di beni e di mali, vindice della violata giustizia, protettore degli ospiti e degli oppressi, ispiratore di senno e di pentimento.
Eschilo nell'Agamennone parla di Zeus con la più alta e, per così dire, cristiana spiritualità, poichè infatti nella concezione e adorazione di questo dio supremo del popolato olimpo greco si manifestò sempre la tendenza monoteistica non solo insita nelle coscienze più profondamente religiose, ma più o meno latente nelle molteplici manifestazioni del pensiero e del culto politeistico.

Eppure la storia mitica del dio supremo è scandalosissima: incesti e adulteri, per cui egli assunse anche forme di cigno, di toro, di pioggia d'oro, e tese insidie e inganni, e commise soprusi e violò ogni legge. Strano e stridente contrasto fra ciò che viveva nella fantasia pur lontana e ottenebrata tradizione e ciò che viveva nell'intimo della coscienza, quasi un'onda limacciosa che circondasse e battesse contro le pareti inviolate di un santuario.
ZEUS venne sempre raffigurato dall'arte con un aspetto maestoso di dominio, con ricca chioma e barba, con lo scettro, simbolo della sovranità, e col fascio di fulmini dell'ira sua; fra gli animali gli fu sacra l'aquila, fra le piante la quercia.
HERA o ERA, sorella e moglie di Zeus, è la suprema divinità femminile del cielo; alta espressione di matronale dignità, protettrice del vincolo coniugale, datrice di fecondità. La sua storia mitica è storia di gelosie verso il marito infedele e di accanite persecuzioni contro le rivali e contro i figli nati da esse. Bastò un primo germe naturalistico a far nascere l'idea di questo contrasto, se veramente Hera è l'etra luminosa, ma poi era facile alla fantasia poetica svolgere largamente e liberamente sul tipo umano il ricco motivo dei dissidi coniugali.

L'arte figurò la dea di matura, nobile e imperiosa bellezza. Ebbe anch'essa scettro a simbolo del suo potere regale, e le fu sacro il melagrano tra i frutti e il pavone fra gli animali.
Ma creazioni divine assai più caratteristiche del genio greco furono Pallade Atena ed Apollo.
Pallade Atena, balzata in armi dalla testa di Zeus, è dea della guerra, ma insieme anche delle arti, delle industrie e di tutte le attività dello spirito geniale, fusione di vigoria, di bellezza, d'intelligenza, ben meritò che Atene la scegliesse a protettrice. Ella è gloriosa di verginità, e la storia mitica di lei, mancandovi l'amore, è meno ricca e più vereconda.
Portò sopra la lunga tunica la corazza, elmo in testa, lancia e scudo, oppure l'egida, la pelle ornata con la testa pietrificante della Gorgone. Sacro era a lei l'olivo di cui aveva fatto dono ad Atene, vincendo contro Posidone che aveva donato il cavallo. Fra gli animali le era sacra la civetta.

APOLLO o Febo, figlio di Zeus e Latona, che lo generò insieme ad Artemide nella ancor fluttuante isoletta di Delo, era il dio radioso della luce e dell'arte, dell'arco e della cetra, della poesia e della divinazione, della bellezza e della salute, e nessuna individualità divina impersonò meglio le più belle caratteristiche del genio greco perciò Roma non ebbe alcun suo dio da mettergli vicino.
I miti narravano di lui che giovinetto servì come pastore presso Admeto re di Tessaglia, e narravano poi numerose lotte vittoriose contro mostri come il gigante Tizio e il serpente Pitone, lotte certo simboleggianti quel contrasto fra la luce e le potenze tenebrose, sul quale s'imperniano tanti miti solari.
L'arte trasse da questo dio alcune delle sue più belle creazioni; gli diede una certa femminilità nell'Apollo Sauroctono e nell'Apollo Musagete, e una radiosa e snella vigoria piena d'impero nell'Apollo del Belvedere, che pare tradurre tutta la mirabile essenza di questo nume così profondamente ellenico. Ma già tanti secoli prima lo aveva "scolpito" il verso di Omero nel primo canto dell'Iliade
L'udì Febo e scese
Dalle cime d'Olimpo in gran disdegno
Coll'arco sulle spalle e la faretra
Tutta chiusa. Mettean le frecce orrendo
Sugli omeri all'irato un tintinnio
Al mutar de' gran passi, ed ei simile
A fosca notte giù venia.


Suoi attributi l'arco e la cetra; sacri a lui fra gli animali il cigno e il delfino, fra gli alberi l'alloro.
Sorella di Apollo è ARTEMIDE. Raccoglie in sè caratteri un po' eterogenei che si rivelano nella varietà stessa delle sue figurazioni. L'Artemide di Efeso sarebbe, come dimostra il simbolo, una divinità feconda della natura e delle sue forze nutritive; ma questa concezione, se ancor vi si cela, è trasfigurata nell'Artemide cacciatrice che gode errar libera in abito succinto per i boschi e per i monti inseguendo le fiere, seguita da un corteo di ninfe. Vergine come Atena, vanno a lei i voti delle vergini; ma in qualche luogo era venerata anche come dea della maternità, col titolo di Ilitia; fu detta anche Ortia e come tale ebbe nei Templi più antichi culto di sacrifici umani e sempre a Sparta davanti al suo simulacro venivano flagellati a sangue i giovinetti per la prova della forza virile. Sacra a lei è la cerva, l'animale che essa sostituì ad Ifigenia quando la rapi mentre stava per essere sacrificata dal padre.
ARE figlio di Zeus e di Hera, era il dio che si compiaceva di battaglie e di sangue, forse personificando le forze cieche e distruggitrici della natura.
Esizioso iddio
Che lordo ir gode d'uman sangue e al suolo
Adeguar le città,


.... lo dice Omero; ma l'inno lo invoca anche come «padre della vittoria, sussidio di Temi, condottiero dei giusti». II mito lo faceva padre del brigante Cicno, del selvaggio re tracio Diomede e delle bellicose Amazzoni; fu amante di Afrodite e nell'Odissea il vate rallegra la corte raccontando l'agguato del tradito Efesto ai due amanti presi nei lacci di una rete invisibile, fra le risate degli Dei accorsi allo spettacolo.

Pure figlio di Zeus e di Hera era EFESTO, il dio del fuoco nelle sue molteplici manifestazioni nella natura, e come tale protettore delle arti e delle industrie metallurgiche e di quanti usano il fuoco per la loro arte. Di lui narrava il mito che Zeus sdegnoso del suo intervento a favore di Hera, o Hera stessa vergognosa della sua deformità, lo avesse gettato dall'Olimpo in terra. Benchè fosse zoppo e poco seducente, il mito gli dava per moglie la bellissima Afrodite o una delle Cariti, ciò che per un'interpretazione allegorica ma arbitraria del mito potrebbe simboleggiare l'unione del lavoro e della bellezza. Fabbro divino, creò opere mirabili, come lo scudo di Achille, nella sua fucina dove aveva a ministri i Ciclopi, e fabbricava i fulmini a Zeus. Fu figurato vigoroso, barbuto, col berretto e la tunica d'operaio e cogli arnesi della sua arte, ma si prestò alle ragioni dell'arte meno dell'altro dio di pur modesti uffici, quale fu Hermes.

HERMES nacque in Arcadia da Zeus e da Maia e fu il dio della scaltrezza pratica e del lucro, della parola faconda e delle prudenti deliberazioni, del commercio e del traffico e quindi dei viandanti e delle vie, onde l'immagine sua, l'erma, frequente nei crocicchi e nelle piazze; come anche nei ginnasi, perchè egli era agile e destro negli esercizi del corpo.
Anche questo dio raccoglieva quindi in sè parecchi dei caratteri propri all'anima greca. Fu pure dio della pastorizia, poichè pastore fu egli stesso nella sua giovinezza, e dio della procreazione feconda. Molte imprese narrava il mito di lui a cominciar dal furto che ancor fanciullo egli fece delle giovenche di Apollo; la più importante fu l'uccisione di Argo dai cento occhi che teneva prigioniera lo, la fanciulla amata da Zeus e mutata in vacca errante da Hera; allegoria, dicono, del crepuscolo mattutino (Hermes), che spegne le luci del cielo stellato (Argo), fra cui brilla la luna cornuta (lo); ma per altri Hermes è il vento. Ebbe l'ufficio di messaggero degli dei fra l'Olimpo e la terra, e quello di psicopompo, ossia accompagnatore delle anime dei morti nell'Averno. Conciliava ai mortali il sonno e portava i sogni.
L'arte lo figurò o come pastore in atto di portar sulle spalle l'ariete, l'animale a lui sacro (Hermes crioforo), o Bacco bambino, oppure come palestrita, o come messaggero degli dei, colle ali ai piedi e al petaso e in mano il caduceo, cioè la verga d'araldo intorno a cui s'attorcigliano due serpenti. Un mirabile bronzo di Ercolano lo raffigura in attitudine di riposo prima di riprendere il volo, e il suo corpo è pieno di snella e leggiadra vigoria. Ma ci fu pure una raffigurazione di un Hermes maturo e barbuto.

Dal confluire di elementi diversi greci e orientali, come già si è detto, uscì la più bella delle divinità elleniche: AFRODITE, la dea della bellezza e dell'amore nelle sue varie espressioni, del più basso e sensuale (Afrodite Pandemia) come del più puro e ideale (Afrodite Urania); dell'amore e delle forze generatrici onde il mondo si perpetua. Fu detta figlia di Dione e di Maia, ma anche secondo l'apparente etimologia dei suo nome « nata dalla spuma » e questo nascita ebbe delle stupende espressioni nell'arte.
La sua storia mitica è un seguito di amori divini e umani da lei favoriti o contrastati, come quando favori Paride e Peleo innamorati, e punì Ippolito e Narciso restii; ebbe a marito Efesto e ad amante Are; orientale è il mito de' suoi amori con Adone il bellissimo giovinetto ucciso a caccia da un cinghiale e su cui pianse sconsolata Afrodite. Ha un lungo corteggio; le Ore e le Cariti ed Eros e Imero ed Imene, e sacri erano a lei fra gli animali le colombe, fra le piante il mirto.
Gli artisti greci espressero con Afrodite in capolavori insuperati (come la Venere Capitolina, la Medicea e quella di Milo), l'ideale della bellezza femminile in forme spiranti una grazia vereconda. Si veda come dalla testa della Venere di Milo, spiri nella bellezza sovrumana un senso ineffabile di pensiero e di impero.

Poca parte ha nel mondo divino e poca storia ESTIA, la sorella di Zeus. E' la dolce vergine dea del focolare domestico - che pur si disse estìa - dove arde la fiamma che fu il cuore della casa antichissima e il primo altare. Stanno quindi sotto la protezione di lei la famiglia ed anche lo Stato che è come una grande famiglia e possiede il suo focolare nel Pritaneo. La fiamma viva era la sua più diretta figurazione sensibile: scarse sono le figurazioni dell'arte.
A queste divinità maggiori dell'Olimpo s'aggiungono compagne e ministre molto minori ELIOS (il Sole) e SELENE (la Luna), EOS (l'Aurora) e i Venti, le nove Muse figlie di Zeus e di Mnemosine (la Memoria), create, dice Pindaro, a cantare la vittoria sopra i Titani, dee del canto e del suono, dell'armonia e del ritmo, dolce sollievo agli dei ed ai mortali; le tre CARITI, simboli gentili delle grazie che fanno miti i costumi e più cara la bellezza; EBE, la fiorente giovinezza, e GANIMEDE, il bellissimo giovinetto troiano rapito dall'aquila di Zeus e fatti l'una e l'altro coppieri ai conviti dell'Olimpo; EROS il piccolo e potente iddio dell'amore; e ASCLEPIO, figlio di Apollo, medico e risanatore, speranza di tanti infermi; e NEMESI vendicatrice d'ogni umana scelleratezza, e TYCHE, la Fortuna: tutto un nutrito popolo di numi celesti a cui, secondo i bisogni, si alzavano le mani dei supplicanti e degli adoratori.

Ed ecco un'altra schiera di forme divine, popolare le acque del mare. OCEANO marito a Teti, il più antico dio delle acque, padre dei fiumi; e PONTO, il Mare, che da GE, la Terra, generò NEREO, il vecchio dio pieno di senno e divinatore, abitante negli specchi profondi del mare, e PROTEO pastore di armenti marini, vaticinante a chi lo sapeva tener saldo nel suo mutarsi in molteplici aspetti di leone, di drago, di fuoco : e GLAUCO da pastore fatto dio marino per aver gustato una certa erba sulla spiaggia: e le SIRENE vergini con metà corpo pesce, muse del mare che ammaliavano col loro canto i naviganti traendoli a rovina, e infine il numeroso stuolo delle OCEANINE e delle NEREIDI, folleggianti fra le onde coN i TRITONI dalle biforcute code di pesci e soffianti nelle conche. Re di questo regno marino POSIDONE, fratello di Zeus e marito di Anfitrite. Scorreva maestoso sul suo carro tirato da verdi cavalli alati, impugnando il tridente, sollevando a tempesta o pacificando con il suo cenno le onde.

E' un quadro pieno di poesia, di colore, di plastica evidenza, ispirato alla fantasia dall'azzurra marina dell'Egeo, che coronava di spume le terre greche. Da meno remote fonti scendono i miti marini greci e per vie meno tortuose dalla visione della natura che nei vari aspetti, nel moto, nell'urto e nelle voci delle onde pare suggerire la creazione fantastica di personalità vive.
Nè meno popolata di numi la terra; la terra a cui l'uomo quanto più si risale alle origini tanto più è strettamente avvinto e ne sente il mistero; che accoglie il seme gettato dall'agricoltore e il corpo dei morti; donde sorgono le biade e spuntano le fonti; che si ammanta e si spoglia di verde e di fronde in una perpetua vicenda che si traduce in una vicenda di letizia e di dolore. Oggi pure, d'altronde, nel linguaggio del contadino che parla del suo campo, è frequente la metafora che dà ai fenomeni naturali quasi un senso di vita intelligente.
Sono diverse personificazioni della terra divinizzata: GE o GAIA, l'infaticata madre, onorata in Atene come curotrophos, ossia nutrice di figli; e REA la figlia sua identificata colla frigia CIBELE, o Gran Madre IDEA, che piange morto l'amante ATTI di cui poi è celebrata con gioia sfrenata la risurrezione; e DEMETRA, propriamente la Terramadre, che piange anch'essa la perduta figlia PERSEFONE rapita da PLUTONE e la cerca correndo per il mondo e la ritrova, ma non la riacquista che per una parte dell'anno : trasparenti miti che traducevano il lieto rinnovarsi della vegetazione dopo i tristi mesi invernali. L'arte fece di Demetra, una nobile e severa immagine di madre dolorosa.

Dio della generazione e più specialmente protettore degli orti o dei giardini fu PRIAPO che dalla Propontide e dall'Ellesponto si diffuse coll'oscena sua figura in tutta la Grecia: a lui era vittima preferita l'asino.
« Ma nessun dio terrestre ha storia più ricca, più fortunosa, più drammatica di DIONISIO o BACCO, il dio delle energie germinative della natura, della vita in specie. Nato da Zeus e da Semele, affidato bambino ad Hermes, educato da Sileno, girò per il mondo a diffondere il suo culto orgiastico, spingendosi fino all'Indo, seguito da un corteo di satiri ebbri e di baccanti agitanti tirsi o fiaccole, fra cento avventure. Fatto prigioniero da pirati tirreni, a un cenno del dio la nave s'inghirlanda miracolosamente di pampini; trovata ARIANNA, abbandonata da TESEO, la fa sua sposa; e dovunque arriva diffonde il suo culto con terribili vendette contro i restii e gli increduli, come Licurgo e Penteo, e si fa maestro di più miti costumi e di una vita sociale e lieta.

In una più mistica forma, come dio di rinascimento spirituale, Dioniso ebbe parte anche ne' misteri eleusini col nome di JACCO a cui inneggiavano gli iniziati nei loro riti; ma poi nella loro teologia gli orfici lo identificarono con ZAGREO, il figlio di Zeus e di Persefone, di cui si narrava che fu fatto a pezzi e divorato dai TITANI, ma che avendone Zeus mangiato il cuore ne rinacque un secondo Dioniso : perciò eterna negli uomini, nati dai Titani, la lotta fra l'elemento titanico e il dionisiaco o divino. Fattori naturalistici, allegorie filosofiche, fantasie di poeti confluivano così a tessere la storia di questo dio, storia di avventure, di giocondità, di dolori, di glorie, che offrì un materiale inesauribile alla letteratura e alle arti figurative d'ogni tempo. Barbuto e d'aspetto maestoso lo figura l'arte più antica; poi prevalse un tipo giovanile e quasi femmineo.

Altro dio terrestre, che da modesta importanza fu innalzato poi dal misticismo orfico a simbolo dello spirito universale che dà vita al mondo, fu PAN, cornuto e dai piedi di capra, che amò le selve e i pascoli, la rustica zampogna e le ninfe.
E infine come le onde del mare così popolò la fantasia greca le pendici dei monti, i boschi, le fonti, di ninfe e di geni coi nomi di Oreadi, Driadi, Amadriadi, Naiadi, di Satiri e Panischi, onde furono animate le solitudini, e il credente sentì da ogni parte l'alito del nume.
E se dalla superficie della terra scendiamo negli inferi, vi troviamo la coppia divina di ADES e PERSEFONE.
Ades o Plutone, fratello a Zeus, Persefone, figlia di Demetra, e da Plutone rapita mentre stava cogliendo fiori, dominano nel regno delle ombre e delle tenebre, dove i mortali tutti devono discendere; ma poichè la terra nel cui seno scendono i morti è pure la madre della vegetazione fiorente, le divinità infere sono anche divinità ctoniche e Plutone con Persefone ebbero culto nei misteri eleusini accanto a Demetra. Scarsa del resto la storia mitica di questo dio tenebroso, scarsissime anche le figurazioni dell'arte.

Sede negli inferi hanno altre terribili sembianze come le ERINNI ed ECATE. Nate le Erinni - prima di numero indefinito poi ridotte a tre : ALETTO, TISIFONE, MEGERA - dalle gocce del sangue di CROMO mutilato, o figlie, secondo altri, della NOTTE, furono le terribili dee della vendetta che persegue il colpevole e non gli lascia riposo, agitandolo col rimorso : furono anche dette con parola eufemistica che valeva il loro terribile potere, EUMENIDI, le propizie. Dea tenebrosa e terribile fu anche ECATE, che sorgeva dagli inferi per aggirarsi fra i sepolcri, per i trivii, onde fu detta triodite, ossia trivia, destando gli ululati dei cani vaganti e aiutando le arti delle maghe: a placarla si ponevano nei trivii cibi di cui godevano i poveri. Fu essa personificazione forse della luna e dei misteri paurosi delle notti piene di ombre? La teologia orfica trasformò anche la concezione popolare di Ecate con elementi mistici e ne fece una dea potente in cielo, in terra e sul mare, onde fu detta trimorfa e fu invocata come dispensatrice di grazie, di felicità, di vittoria, di senno.

Ma più che tutti gli dei che si son venuti fin qui ricordando, ineluttabile impera sugli uomini la MOIRA, che i latini dissero FATO; concetto, più che persona, del destino più forte di ogni volontà umana, inutilmente libera contro la segreta forza che conduce alla morte, alla pena, al delitto. Oscillante è della Moira la concezione secondo i tempi: ora s'identifica col volere degli dei, ora è ad esso superiore, perfino a Zeus; ora è destino cieco, crudele, invidioso, ora suprema e inviolabile legge morale che governa il mondo : oscillazioni che sotto altre parole furori di tutti i tempi e di tutti gli uomini che meditarono sulla sorte umana e sul fatale andare degli eventi. Curioso a questo proposito è il passo omerico in cui a Zeus, incerto se salvare o lasciar morire Sarpedene, Hera così parla
:

Che pretendi? Un mortale, un destinato
Da gran tempo alla Parca, or della negra
Diva ritorlo alla ragion? Fa' pure
Fa' pur tuo senno; ma degli altri Eterni
Non isperar l'assenso...


Ma nelle opere di tragici il Fato diventa un alto elemento di drammaticità; il contrasto fra il senso della libera volontà così vivace nello spirito greco e l'impero cieco del destino crea situazioni piene di tragica terribilità, che destano la visione del formidabile problema che travagliava anche nelle pagine de' filosofi lo spirito umano.
Personificazione vivace, benchè più modesta e ridotta, del terribile concetto, furono le tre Moire o Parche, LACHESI, CLORO e ATROPO, filanti con legge inesorabile lo stame della vita umana che Atropo tronca quando il destino è compiuto.
Fra gli dei e gli uomini stanno gli EROI, creazioni pure esse caratteristiche della genialità greca, e che di quel popolo traducono alcune spiccate tendenze morali e non solo fantastiche: lo spirito avventuroso, l'amor della gloria, il valore, l'individualismo prepotente. Sono i cavalieri erranti del mito greco.

Nella maggior parte dei casi non dovette essere diversa l'origine dell'eroe da quello del dio, e in molti degli eroi è ancora visibile la personificazione del fenomeno naturale. È probabile anzi che la maggior parte di essi abbia avuto all'origine dignità divina da cui decaddero per ragioni a noi ignote. Che poi in alcuni abbiano concorsi elementi storici oscurati e confusi dalla leggenda non sarebbe da escludere, e più di un indizio ci avverte che in alcune delle leggende eroiche greche deve essere scritta, almeno in qualche piccola parte, la preistoria della nazione, così come nelle pagine dei Nibelungi la storia e la preistoria della stirpe germanica.

Infine i Greci fecero tanti semidei dei loro, eroi, ai quali eressero altari e resero onori divini, in riconoscenza dei grandi servigi che quelli avevano resi all'umanità. Per esempio: HERACLES (Ercole), e gli altri di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente.

TEMPLI E SACERDOTI


"Gli antri, i boschi, gli alberi, le cime dei monti, le cavità esalanti vapori, le fonti, dovunque un solenne o misterioso fenomeno di natura destasse un più profondo o pauroso senso di riverenza, lì gli antichissimi Greci sentirono primamente e adorarono la presenza del nume. Anche quando sorsero i più splendidi templi di marmo, quei naturali ricetti del dio non cessarono d'esser onorati di culto, e ne sono notevoli esempi, le grotte di Dikte e dell'Ida in Creta, sacre al culto di Zeus dalla più remota antichità giù giù attraverso i secoli fino all'età romana". (Così il De Marchi).

Il tempio greco, a differenza della chiesa cristiana, è piuttosto il soggiorno, la sede del dio, che non l'ecclesia ossia il luogo per l'assemblea dei fedeli; meta e centro di processioni e di feste anniversarie, non accoglie giornalmente le turbe dei fedeli, non è rifugio sempre aperto alle anime pie o smarrite; fatto più per il culto cittadino che per la mistica preghiera dei devoti.
II tempio aveva rendite da campi, case, capitali, e la sua proprietà era rigorosamente amministrata dallo Stato e difesa gelosamente con prescrizioni rigorose. Minacce dell'ira divina o di multe e altre pene difendevano da manomissioni la proprietà del Dio.
Informi o rozze o impacciate, da prima, le figurazioni delle divinità vennero assumendo, come abbiamo visto parlando delle arti greche, forme sempre più umanamente ideali. A differenza dell'arte egiziana che pare irrigidirsi in tipi stereotipi, la greca segue nella manifestazione del divino lo svolgersi del gusto e della coscienza, fino alle immortali creazioni di Prassitele e di Fidia. "La religione e il culto in Grecia come nell'Italia medioevale e dei Rinascimento furono continui ispiratori all'arte, e come in Italia così in Grecia si vede nell'arte religiosa l'evoluzione progressiva dall'ingenuità quasi infantile alla possente e vigorosa maturità".

Innanzi al tempio si elevava a spire il fumo degli incensi, o guizzavano le fiamme dei sacrifici dalle are sorgenti a cielo aperto, diverse di forme e materiali, da quelle improvvisate con zolle erbose a quelle ricche di marmi e di sculture, elevate su ampie gradinate.
Ai templi e agli altari non chiunque e in qualunque modo poteva avvicinarsi e sacrificare : vi erano particolari indicazioni incise ed esposte al pubblico le quali prescrivevano quale specie di offerta fosse lecita, quale proibita, e le condizioni di purificazione necessarie per compiere l'atto sacro, e quali persone fossero escluse.
« Il carattere pubblico e insieme inviolabile del tempio -
continua il De Marchi - ne faceva anche un archivio di atti pubblici e privati. Trattati di pace e di alleanza, convenzioni, arbitrati, manomissioni, diplomi di cittadinanza e di benemerenza, trascritti nel marmo o nel bronzo, erano collocati ed esposti entro o presso ai templi perché rimanessero sotto la salvaguardia divina; e vi deponevano gli Stati i loro tesori e i privati i loro documenti.
« Intorno ai santuari più celebrati veniva poi a costituirsi - come avviene pur oggi - quasi una piccola città sacra di venditori d'immagine, statuette, oggetti di culto, che traevano il loro guadagno dall'affluenza dei numerosi pellegrini ».
Custode e funzionario del tempio era il sacerdote (
ieréus).

Scriveva Isocrate, parlando del regno, che esser re «non è cosa da chiunque come esser sacerdote», e le sue parole non suonavano disprezzo per la classe e per l'ufficio sacerdotale, ma dichiaravano uno dei caratteri che distingue il sacerdozio greco dal cristiano. «Nessuna o vocazione o preparazione o attitudine particolare era infatti necessaria al ministero sacerdotale; non da seminari o da scuole teologiche usciva il sacerdote, ma poteva divenirlo da un giorno all'altro, a certe condizioni, ogni cittadino. Ufficio sacerdotale compie il padre nella famiglia, il magistrato nella città; essendo la religione funzione di Stato, il sacerdote è di questo un pubblico funzionario, un consulente, un esecutore, e come un funzionario assume e depone, anche annualmente il suo ufficio ».

Dalle assemblee politiche e non da concili di sacerdoti emanano i sacri canoni e sono indette le pubbliche feste; i sacerdoti greci sono depositari di un rito e non di un dogma, sono riconosciuti e investiti dallo Stato e non consacrati da una Chiesa. Inoltre sono essi ministri di un dio e di un tempio, non della divinità in genere o di qualunque divinità; non hanno un primate, non sono ordinati in gerarchia, non costituiscono, come altrove in Oriente, una casta, onde la loro azione come corpo spirituale di fronte al corpo politico è nulla.
Nessuna traccia vi fu mai negli Stati greci di teocrazia; mancò quindi la condizione di lotta fra il potere civile e lo spirituale. L'anima cittadina e la religiosa si riunivano, a dir così, nell'unico corpo dello Stato politico in un'unità di salda coesione.
E nemmeno fu il sacerdote pubblico delle città greche il regolatore di coscienze, il diffonditore di una dottrina. Nessun libro sacro sfogliarono le mani sacerdotali che non fosse il rituale delle preghiere, dei sacrifici e delle purificazioni. Ma questi caratteri del sacerdozio greco -- i quali dipendono in molta parte dal carattere ritualistico e formale della religione stessa - non fecero necessariamente del sacerdote un materiale esecutore senza dignità e senza morale influenza.
Se egli non tiene le chiavi del regno dei cieli, possiede però la scienza del rito o quella del responso, sa le formule con le quali il dio si placa o concede le sue grazie; dall'adempimento esatto dei suoi doveri dipende la fortuna dello Stato, dall'esatta interpretazione dei segni divini la fortuna di una battaglia, dal rito ch'egli solo può compiere la quiete di una cittadinanza.

« Bianche erano di solito le vesti dei sacerdoti celebranti, - continua il De Marchi - il bianco, secondo Platone, era il colore più conveniente agli dei; bianchi tutti od orlati di porpora i manti e le lunghe tuniche scendenti fino ai piedi, e come distintivo del loro ufficio portavano corona: corona di lauro, di mirto, d'olivo, di fiori, onde le espressioni « assumere la corona » e « deporre la corona » si incontrano a significare assumere o deporre la carica sacerdotale. Ma mutavano gli abiti di colore e di forme secondo la necessità dei riti, onde, ad esempio, il supremo sacerdote di Platea deponeva le vesti bianche e indossava le purpuree quando celebrava la solenne commemorazione dei caduti nella guerra persiana. E anche di maggior pompa e atte a colpire fortemente i sensi e l'immaginazione dei fedeli furono le vesti di certi sacerdoti, in certe cerimonie, come negli augusti misteri eleusini ».

IL CULTO

Tutti i mortali dovevano onorare le diverse divinità con lodi, feste, preghiere, offerte, sacrifizi. Chi in tal modo si rendeva caro agli dei era chiamato dopo morte a godere una eterna primavera nei Campi Elisi; coloro invece che se li rendevano nemici venivano precipitati nel profondo abisso del Tartaro. Dal che si vede che i Greci credevano nella immortalità dell'anima e ammettevano che vi fosse un premio eterno per i buoni e un eterno castigo per i cattivi.
Il popolo greco pregava molto. Senza preghiera non si incominciava alcun atto pubblico o privato d'importanza; la preghiera accompagnava i banchetti e le sedute del Consiglio, gli spettacoli teatrali e le assemblee di popolo, la battaglia e il giudizio, e la parola theói, « gli dei », scritta in testa agli atti pubblici suonava come una breve invocazione, che metteva sotto la protezione divina la cosa deliberata.
« Giustamente mi consigli, o Socrate - fa dire Senofonte a Critobulo nell'Economico - a voler ogni cosa cominciare con gli dei, essendo gli dei arbitri non meno delle operazioni di pace che delle operazioni di guerra ». E nei Memorabili di Senofonte stesso è detto come Socrate insegnasse in qual modo si doveva pregare : « agli dei rivolgeva solamente la preghiera di concedergli il bene, ben conoscendo gli dei quale il bene fosse; e quelli che chiedevano oro, argento, potere e altre cose simili stimava non differire per nulla da quelli che chiedessero gioco di dadi o battaglie o altre cose di tal genere, manifestamente incerte nel loro esito ».

L'atto più importante del culto era il sacrificio (
ieron), che costituiva la funzione più solenne delle feste religiose e la manifestazione più alta della devozione. Molto si è indugiato sul significato e sulle origini di questa manifestazione del culto. « Fu la vittima - citiamo ancora il De Marchi - sacrificata e consumata dai fedeli un mezzo di comunione col dio, assimilandosi essi così l'animale sacro, il totem, che ne conteneva lo spirito? Oppure viene il sacrificio dal culto dei morti, concepiti come viventi e capaci e desiderosi di gustare dello stesso cibo di cui godevano i superstiti? Oppure è il sacrificio la naturale conseguenza della concezione antropomorfa del dio, che di esso doveva godere come un mortale, di cui gli si attribuisce l'anima e il senso? O il valore del sacrificio l'uomo sentì nel fatto di spontanea privazione di cosa a lui cara e necessaria?
Forse ognuno di questi sensi ebbe secondo i tempi e i luoghi e le persone una sua parte, ma basti dire qui che la prima opinione trova oggi largo seguito fra gli studiosi; benchè se mai un tal senso intimo e mistico ebbe il sacrificio, esso si era oscurato nei tempi posteriori e nella maggior parte dei casi, prevalendo il concetto già così esplicitamente espresso da Omero là dove parla di Nettuno che

... condotto a un'ecatombe s'era
Di pingui tori e di montoni ed ivi
Rallegrava i pensieri a mensa assiso.


Che se questa troppo materiale concezione offendeva gli spiriti più altamente religiosi, la funzione non cessava di essere un atto che traduceva in forma sensibile e tradizionale i sentimenti di pietà, di riverenza, di pentimento dell'uomo verso il nume, così come è la messa per tanta parte dei fedeli che sarebbero assai imbarazzati a dirne il mistico senso.
Le diverse fasi del sacrificio erano : la scelta e la decorazione della vittima, la purificazione dei celebranti, la consacrazione, l'offerta, il banchetto.
Le vittime dovevano essere scelte e senza difetti e non animali da lavoro, ma variavano di specie, di sesso, di età, di colore secondo il dio, la festa, il tempio.
La vittima doveva essere ornata di bende, di serti di fiori e anche le si indoravano le corna, come vien fatto nel sacrificio di Nestore, onde in un rendiconto finanziario del tempio di Delo vediamo segnate fra le spese: « foglie d'oro e mercede all'indoratore, dramme 125 »; e in alcuni rituali è prescritto che la vittima sia chrusókeros, ossia dalle corna dorate. Era segno sfavorevole se l'animale si avvicinava riluttante all'altare; ma gli animali piccoli vi potevano essere portati a spalla.

La consacrazione della vittima consisteva nello spargerle sulla testa la mistura sacra di orzo e sale,
e anche nello sfoltire alcuni peli che venivano buttati sulla fiamma; poi l'animale era colpito a morte.
Nei sacrifici a cui si accompagnava il banchetto erano buttate nella fiamma ad ardere le parti non commestibili e alcune delle interiora, come il fegato ed eccezionalmente il cuore. Frequente fu l'offerta della parte posteriore dalla schiena, e della coda, ma l'uso variava, non solamente secondo i casi, i riti, gli dei, ma anche secondo la più o meno generosa pietà degli offerenti. Agli Spartani si rimproverava che nei sacrifici offrissero all'altare solamente le ossa spolpate.
Le parti della vittima che non erano consumate dalla fiamma e non spettassero di diritto ai sacerdoti, erano arrostite - cotte a lesso raramente, come nel sacrificio delle Hore ad Atene e imbandite ai celebranti e agli assistenti al rito; e il banchetto, vi prendesse parte la famiglia o la cittadinanza, costituiva parte integrante della cerimonia.

Il banchetto non accompagnava però i sacrifici di purificazione e di espiazione compiuti dai privati
e dalle comunità sia per mondarsi da colpe commesse, specialmente da delitti di sangue, sia per stornare l'ira e i castighi divini; in tal caso la vittima era consumata tutta dalla fiamma e il sacrificio si diceva perciò
olókautos, parola che ebbe una lunga sopravvivenza metaforica nella nostra olocausto.
A placare l'ira degli Dei la Grecia ricorse anche ai sacrifici umani. Più frequenti nei Templi antichi questi furono via via sostituiti da forme simboliche più consone ai mutati costumi, ma del tutto non cessarono mai

Agli dei si offrivano anche primizie della terra, focacce di farina e di miele, che talvolta rappresentavano buoi o montoni, e oggetti d'ogni genere, spesso preziosi. Frequentissime erano le offerte votive di vasi, scudi, armi e perfino di chiome giovanili.

Da tutta questa rassegna non potevamo dimenticare LE ANFIZIONIE. Erano delle istituzioni originate dal sentimento nazionale; associazioni religiose e politiche, soprattutto fra Stati limitrofi, le quali mentre attendevano agli scopi per cui si erano costutuite, concorrevano pure a mantenere più stretti i vincoli di parentela fra gli Stati medesimi. La prima e la più celebre anfizione fu quella di Delfo, costituita dall'uomo che gli diede appunto il nome: Amfizione, fratello di Elleno.
Comprendeva 12 Stati della Tessaglia e dell'Ellade, ciascuno dei quali vi mandava i suoi deputati, e tutti insieme componevano il Consiglio amfizionico. L'incarico più importante era quello di amministrare il tempio di Delfo e di promuovere il culto della divinità; ma nello stesso tempo (come un odierno ministero degli Esteri) serviva a scopi politici, cioè regolava le relazioni fra le varie città, si interponeva nei loro interessi e nelle loro questioni, stabiliva dei premi per coloro che si rendevano benemeriti della Patria, e condannava chi l'aveva tradita o disonorata.

E la Patria dall'inizio del VI secolo, ebbe molto bisogno di benemeriti, anche se spesso -come vedremo- furono perseguitati dall'ingratitudine dei propri cittadini.
Ma di questo parleremo più avanti. Ora dobbiamo accennare al lungo cammino che stanno per intraprendere i due futuri e principali Stati con il loro governo: quello di Sparta e quello di Atene.

vedi i periodi nella TABELLA

Bibliografia e testi
WILLIAM ROBERTSON - ISTORIA DELL'ANTICA GRECA - 1822
PFLUGK-HARTTUNG - STORIA UNIVERSALE, LO SVILUPPO DELL'UMANITA' , Vol. 1 - Sei 1916
STORIA UNIVERSALE DELLE CIVILTA' - SONZOGNO, 1927
STORIA ANTICA CAMBRIDGE- VOL V- GARZANTI - 1968
JOHN D. GRAINGER Seleukos Nikator ECIG
FRANCA LANDUCCI GATTINONI -Lisimaco di Tracia - Jaca book 1992
RICHARD A. BILLOWS Antigonos the One-Eyed (University of California Press 1997)

INDICE TABELLA GRECIA


HOME PAGE STORIOLOGIA