ANNO 1914

gli eventi precipitano...
MA L'ITALIA TENTENNA

L'assassino, che indubbiamente era il frutto della propaganda nazionale serba, diede occasione all'Austria-Ungheria di accusare di complicità il Governo di Belgrado e di trarne pretesto per dare una durissima lezione alla petulante nazione vicina, la quale, cresciuta in territorio, in potenza e in orgoglio dopo la guerra balcanica, rappresentava un serissimo ostacolo alla politica orientale austriaca.
Il Governo austriaco sperava che l'aggressione alla Serbia non avrebbe provocato l'intervento della Russia e della Francia; ma nel caso d' intervento di queste due potenze era certa l'Austria che insieme con la Germania avrebbe avuto ragione dei due avversari.

Il 6 luglio 1914, l'Austria segretamente ha già ottenuto il pieno sostegno della Germania.
Ma perché l'accorto Guglielmo II, offre questo sostegno all'Austria?
La Germania mirava a ridisegnare la mappa della supremazia politica, dal momento che il suo peso politico era inferiore al peso industriale, commerciale e finanziario che aveva acquistato negli ultimi decenni. Il governo di Berlino non credeva nella solidità dell’Intesa (Inghilterra, Francia e Russia) e dava per scontata la neutralità dell’Inghilterra, troppo impegnata nel difficile problema irlandese. Riteneva pertanto che l’occasione fosse propizia per battere la Duplice franco–russa e porre su salde basi la propria potenza mondiale. Il piano, che il generale von MOLTKE aveva ereditato dal suo predecessore von Schlieffen, affidava alle deboli forze di von PRITTWITZ nella Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici l'incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato operato immediatamente verso la Francia. Ma fu un grosso errore di valutazione nei riguardi dell'Inghilterra. Gli inglesi da secoli padroni indiscussi dei mari e dei commerci intercontinentali, partecipano fin dal primo momento alla guerra proprio perchè hanno deciso di voler stroncare la crescente potenza industriale (e imperiale)  tedesca che aspira - dopo quello economico - anche al  peso politico.

Dell'alleata Italia Vienna non faceva conto; e quando quest'ultima stabilì di inviare un'aspra nota a Belgrado si limitò a fornire una informazione verbale a Di SAN GIULIANO dall'ambasciatore a Roma VON MEREY.
Tale decisione di non informare in anticipo l'alleato italiano nasceva dal timore che l'Italia potesse avanzare richieste di risarcimenti territoriali in una guerra che l'Austria riteneva già vinta, da sola, o al massimo con il suo alleato germanico.
Iniziò con il proposito di punire la Serbia, e credeva di poterlo fare senza che nessuno intervenisse. E invece intervenne la Russia, e poi la Francia, l'Inghilterra (che non aspettavano altro) poi l'Italia, l'America, tutto il mondo.

L' "ULTIMATUM" AUSTRIACO ALLA SERBIA
TENTATIVI DI SCONGIURARE LA GUERRA!

La nota austriaca ufficiale, redatta in forma di ultimatum con data del 19, fu consegnata a Belgrado la sera del 22 luglio 1914 (e per conoscenza il 24 a tutti i governi europei). Essa accusava il Governo serbo di avere tollerato, anzi favorito nella Bosnia e nell'Erzegovina la propaganda irredentista, che aveva causato l'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando preparato in Serbia con la connivenza di ufficiali e impiegati governativi; imponeva a Belgrado di sconfessare pubblicamente gli odiosi maneggi iugoslavi; esigeva che si consentisse ad una commissione austriaca di recarsi in Serbia per eseguire indagini e collaborare con le autorità serbe alla repressione dei sediziosi e concedeva infine 48 ore per la risposta.

Il Governo austriaco nel comunicare alle Potenze l'ultimatum, lo accompagnava con una nota contenente un commento oltraggioso alla Serbia ed aggiungeva che se il Governo serbo non accettava le domande di Vienna, questa avrebbe rotto i rapporti con Belgrado.
All'ITALIA, sebbene alleata, l'ultimatum e la nota di accompagnamento furono inviate nello stesso giorno che agli altri Governi.

Avuta notizia dell'ultimatum alla Serbia, il Governo russo si affrettò a chiedere a Vienna che fosse modificata la forma dell'ultimatum stesso e ne fosse prorogata la scadenza. Dal canto suo il ministro italiano degli Esteri, con nota verbale del 25 luglio, ammonì l'Austria dei pericoli cui l'ultimatum la esponeva, dichiarò che il governo italiano non avrebbe seguito l'austriaco nella politica che questa aveva assunta, ed avverti che un'invasione austriaca del territorio serbo avrebbe (implicitamente) conferito all'Italia il diritto di reclamare compensi secondo i patti dell'alleanza.

Quasi le stesse cose, quel giorno stesso, Di SAN GIULIANO le aveva dette all'ambasciatore germanico VON FLOTOW, come risulta da un suo telegramma inviato al duca d' AVARNA, ambasciatore a Vienna:

"Oggi abbiamo avuto una lunga conversazione a tre, il presidente del Consiglio, il signor Flotow ed io, che riassumo per informazione personale di Vostra Eccellenza e per eventuale norma di linguaggio. Abbiamo Salandra ed io fatto notare anzitutto che l'Austria non avrebbe avuto il diritto, secondo lo spirito del Trattato della Triplice Alleanza, di fare un passo come quello che ha fatto a Belgrado, senza accordo con i suoi alleati. L'Austria, infatti, per il modo come la nota è concepita e per le cose che domanda, mentre sono poco efficaci contro il pericolo panserbo, sono profondamente offensive per la Serbia e indirettamente per la Russia, e ha solo dimostrato che vuole provocare una guerra. Abbiamo perciò chiaramente detto al signor Flotow che per tal modo di procedere dell'Austria, e per il carattere difensivo e conservatore della Triplice Alleanza, l'Italia non ha obbligo di venire in aiuto dell'Austria in caso che, per effetto di questo suo passo, essa si trovi poi in guerra con la Russia, poiché qualsiasi guerra europea è in questo caso, conseguenza di un atto di provocazione e di aggressione dell'Austria".

RISPOSTA DELLA SERBIA
MOBILITAZIONI E DICHIARAZIONI DI GUERRA

Lo stesso 25 luglio, prima che scadessero le 48 ore, la Serbia, che dalla Russia e dall'Italia aveva ricevuto consigli di prudenza e remissività, fece pervenire per mezzo del ministro PASIC alla legazione austriaca la risposta all'ultimatum, che dichiarava di accettare quasi completamente, chiedendo però che fossero attenuate le richieste, essendo incompatibili con l'indipendenza nazionale.
Ma il ministro austriaco dichiarò insufficiente la risposta e, rotte le relazioni diplomatiche, lasciò Belgrado. Contemporaneamente il Governo serbo, allontanatosi dalla capitale con la Corte, ordinava la mobilitazione mentre il Governo russo dichiarava di non potere rimanere indifferente al conflitto austro serbo e annunziava che avrebbe mobilitato l'esercito.

Il 26 luglio, il Governo inglese per temporeggiare propose una conferenza delle grandi potenze, ma l'Austria rifiutò la proposta dicendo che il conflitto con la Serbia non doveva interessare gli altri Stati e assicurando, anche in nome della Germania, che sarebbe stata rispettata l'integrità territoriale serba.
Dal canto suo la Germania rifiutò tanto la conferenza proposta dall'Inghilterra che la mediazione dell'Inghilterra, dell'Italia e della Francia, proposta da quest'ultima.

La Germania (escluse di avere preventivamente conosciuto la nota austriaca alla Serbia, ma dichiarò di approvarla, augurando però che il conflitto rimanesse localizzato) aderì invece a una seconda proposta inglese; cioè che le Potenze persuadessero l'Austria ad accettare la risposta serba come base per ulteriori discussioni: ma neppure questa soluzione del conflitto fu gradita all'Austria che dichiarò sdegnosamente di non voler subire alcuna pressione da parte delle altre Potenze.

Tentò la Germania di evitare la guerra, facendosi intermediaria tra la Russia e l'Austria, ma non vi riuscì, nonostante l'azione personale di GUGLIELMO II presso lo ZAR, che il 29 luglio propose all'imperatore di deferire la questione austro-serba al tribunale dell'Aja.
Ma oramai la parola era al cannone: l'Austria, che da ventiquattro ore aveva proclamato la mobilitazione generale, con l'esercito regolare in armi già bombardava Belgrado e la Russia a sua volta già dalla sera del 30 aveva mobilitato il suo esercito tanto alle frontiere austriache che a quelle germaniche.

Alla mobilitazione russa ed austriaca seguì quella tedesca il giorno dopo.

Il 31 luglio, l'ambasciatore germanico a Parigi presentò al Governo francese un ultimatum con il quale si chiedeva che la Francia dichiarasse la neutralità in caso di una guerra della Germania e dell'Austria-Ungheria contro la Russia.
Lo stesso giorno un altro ultimatum fu presentato dall'ambasciatore tedesco a Pietroburgo; con questo s'intimava alla Russia di sospendere la mobilitazione già in atto.
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Per quanto riguarda l'Italia leggiamo i tre documenti originali:

L'Ambasciatore Austro-Ungarico a Roma, von Merey,
al Conte Berchtold

Roma, 30 Luglio, 1914 (Telegramma)

Il Ministro degli Affari Esteri ha spontaneamente introdotto oggi la questione dell'atteggiamento italiano nell'eventualità di una guerra europea.

Dato che il carattere della Triplice Allenza è puramente difensivo; dato che le nostre misure contro la Serbia possono precipitare in una conflagrazione europea; e infine, dato che non abbiamo preventivamente consultato questo governo, l'Italia non sarebbe stata obbligata a unirsi a noi nella guerra. Questo, tuttavia, non preclude l'alternativa che l'Italia possa, nell'eventualità, dover decidere per se stessa se i suoi interessi fossero serviti meglio alleandosi con noi in un'operazione militare o rimanendo neutrale. Personalmente si sente più incline a favore della prima soluzione, che gli appare la più probabile, purché gli interessi italiani nella Penisola Balcanica siano salvaguardati e purché noi non cerchiamo cambiamenti che probabilmente ci daranno un predominio dannoso agli interessi italiani nei Balcani.

VON MEREY
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L'ambasciatore tedesco a Roma, Barone Ludwig von Flotow,
al Ministero degli Esteri tedesco [tx5940]* Telegramma 161

Roma, 31 luglio, 1914

Il Governo locale ha discusso, al Consiglio Ministeriale tenuto oggi, la questione dell'atteggiamento dell'Italia nella guerra. Il Marchese San Giuliano mi ha detto che il governo italiano ha considerato la questione in ogni aspetto ed è giunto nuovamente alla conclusione che la procedura austriaca contro la Serbia deve essere vista come un atto di aggressione e che di conseguenza un casus foederis, secondo i termini del trattato della Triplice Alleanza, non esisteva. Perciò l'Italia avebbe dovuto dichiararsi neutrale.

Alla mia violenta opposizione a questo punto di vista il ministro continuò a dichiarare che poiché l'Italia non era stata informata in anticipo della procedura austriaca contro la Serbia, poteva con meno ragioni aspettarsi di entrare in guerra, dato che gli interessi italiani erano direttamente danneggiati dall'azione austriaca.
Tutto ciò che poteva dirmi ora era che il governo locale si riservava il diritto a determinare se fosse possibile per l'Italia intervenire più tardi tra gli alleati, se, al momento, gli interessi italiani fossero stati soddisfacentemente protetti. Il ministro, che era in uno stato di grande eccitazione, disse per spiegare che l'intero Consiglio dei Ministri, eccetto se stesso, aveva mostrato un'evidente avversione per l'Austria.
Era stato ancora più difficile per lui contestare questi sentimenti, perché l'Austria, come seppi io stesso, continuava così persistentemente con una riconosciuta offesa agli interessi italiani, tanto da violare l'articolo 7 del Trattato della Triplice Alleanza, e perché stava rifiutando di dare una garanzia per l'indipendenza e l'integrità della Serbia. Rimpiangeva che il governo imperiale non avesse fatto di più per intervenire a persuadere l'Austria a una temporanea condiscendenza.

Ho l'impressione che non sia ancora necessario rinunciare a ogni speranza per il futuro qui, se gli italiani venissero accontentati parzialmente riguardo alle domande richieste sopra o in altre parole, se venisse loro offerto un compenso. Tuttavia, non può essere negato che l'atteggiamento che l'Inghilterra ha assunto ha decisamente diminuito le prospettive di una partecipazione italiana in nostro favore.

Nel frattempo, ho fatto notare al ministro nella maniera più evidente possibile l'impressione estremamente spiacevole che un tale atteggiamento avrebbe provocato in noi, e ho richiamato alla sua attenzione le conseguenze che avrebbero potuto svilupparsi per l'Italia nel futuro come risultato.

VON FLOTOW
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L'Ambasciatore francese a Roma, M. Barrere,
a M. Rene Viviani, Presidente del Consiglio,
Ministro per gli Affari Esteri

Roma, 1 Agosto, 1914

Ho visto il Marchese di San Giuliano questa mattina alle otto e mezza, per avere precise informazioni da lui riguardo l'atteggiamento dell'Italia in vista degli atti provocatori tedeschi e dei risultati che essi potrebbero avere.

Il Ministro per gli Affari Esteri ha risposto che ha visto l'Ambasciatore tedesco ieri sera. Herr von Flotow gli ha detto che la Germania ha richiesto al governo russo di sospendere la mobilitazione e al governo francese di informarli riguardo le loro intenzioni. La Germania ha dato alla Francia un tempo limite di diciotto ore e alla Russia un tempo limite di dodici ore.

Herr von Flotow come risultato di questa comunicazione ha chiesto quali fossero le intenzioni del governo italiano.

Il Marchese di San Giuliano ha risposto che poiché la guerra intrapresa dall'Austria era aggressiva e non rientrava nel carattere puramente difensivo della Triplice Alleanza, particolarmente in vista delle conseguenze che potrebbero risultare da essa secondo la dichiarazione dell'Ambasciatore tedesco, l'Italia potrebbe non prendere parte alla guerra.

BARRERE
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Nelle stesse ore del 31 agosto, a Roma, nella riunione del consiglio dei ministri, pur non diffondendo alcun comunicato (anche se era già trapelato l'atteggiamento dell'Italia) la posizione da tenere era unanime, ed era quella più realistica, espressa con la seguente frase "Per ora non è possibile guerreggiare".
La stessa sera, giunse al Quirinale un inviato straordinario di Berlino, il colonnello von KLEIST; la Germania intenzionata a schierarsi con la sua alleata, sollecitava il Re per l'invio del contingenti di uomini e mezzi, come previsto dalla convenzione militare stipulata con la Germania il 1° febbraio del 1888 (e rinnovata in aprile di questo stesso anno 1914 dal generale Pollio. Il Re tergiversò, affermando che voleva prima ascoltare il Parlamento.
Tuttavia il generale LUIGI CADORNA (che da soli 3 giorni, dal 27 luglio era subentrato al defunto generale ALBERTO POLLIO) ligio alla convenzione presentava al Re il piano -come previsto -
per l'invio di truppe italiane sul Reno.

Il Re preso visione del memorandum, il 1° agosto, lo approvava in linea di massima, ma solo come "concetto di base", il giorno 2 agosto, proprio mentre il consiglio dei ministri annunciava la NEUTRALITA' dell'Italia. Anche se Vittorio Emanuele III, aveva tutte le facoltà di poter decidere lui all'istante, senza l'approvazione del Governo. Poichè occorre tenere presente, che in politica estera, la corona godeva di una larga autonomia, consentita dall'art.5 dello Statuto Albertino, ancora ispirato a princìpi assolutistici.
(Gli stessi princìpi che V.E. III poi usò nel 1940 per "entrare" in guerra "a fianco" della Germania, e usò lo stesso art. 5, per "uscirne" il 25 luglio 1943, destituendo Mussolini -Tutte le dichiarazioni di guerra furono sempre dichiarate e firmate da V.E. III).

TELEGRAMMI FRA I SOVRANI D'ITALIA E D'AUSTRIA
L'ITALIA DICHIARA LA NEUTRALITA
'

Nello stesso 1° agosto, FRANCESCO GIUSEPPE così telegrafava a Vittorio Emanuele: "La Russia, che si arroga il diritto di immischiarsi nel nostro conflitto con la Serbia, ha mobilitato il suo esercito e la sua flotta e minaccia la pace d'Europa. D'accordo con la Germania ho deciso di difendere i diritti della Triplice Alleanza, ed ho ordinato la mobilitazione delle mie forze di terra e di mare. Noi dobbiamo trent'anni di pace e di benessere al trattato che ci unisce e la cui identica interpretazione da parte dei nostri Governi è da me accolta con soddisfazione. Sono felice in questo momento solenne di poter contare sull'appoggio dei miei alleati e dei loro potenti eserciti, ed esprimo i voti più calorosi per il successo delle nostre armi e per il glorioso avvenire dei nostri eserciti".

VITTORIO EMANUELE III così rispose a FRANCESCO GIUSEPPE:

"Ho ricevuto il telegramma di Vostra Maestà. Non ho bisogno di assicurare la M. V. che l'Italia, la quale ha fatto tutto ciò che poteva per mantenere la pace e farà tutto ciò che è in suo potere per ristabilire al più presto possibile la pace, osserverà verso i suoi alleati un'attitudine cordialmente amichevole, rispondente al Trattato della Triplice Alleanza, ai suoi sinceri sentimenti ed ai grandi interessi che deve tutelare".

Nelle sedute del 1° e 2 agosto, gli onorevoli Salandra e Di San Giuliano esposero al Consiglio dei ministri le domande che l'Austria e la Germania avevano rivolto all'Italia perché si schierasse al loro fianco. Il Consiglio dei ministri considerò "in primo luogo la ripugnanza del popolo italiano alla guerra e l'impreparazione militare e finanziaria della nazione; in secondo luogo rilevò il carattere offensivo della guerra contrastante con il carattere difensivo e pacifico contenuto nei trattati della Triplice Alleanza; in terzo luogo notò come la guerra austro-serba pregiudicasse gl'interessi italiani nell'Adriatico e violasse i patti dell'alleanza, che stabiliva compensi all'Italia in caso di modificazione dello "status quo" orientale, compensi che però l'Austria non solo non offriva ma neppure accennava, dando motivo all'Italia di considerarsi sciolta da qualsiasi impegno".
Da ultimo il Consiglio ricordò (ma pochi ne erano fino allora a conoscenza) gli accordi dell'Italia con la Russia, con la Francia e specialmente con l'Inghilterra e decise di non partecipare al conflitto accanto agli alleati.

Tuttavia fu presa la decisione di chiamare in anticipo la classe 1894; e per i giorni successivi fu stabilito di prendere alcuni provvedimenti economici , come la chiusura delle borse, divieto di esportazione di molti prodotti soprattutto alimentari e l'emissione di moneta.

Il 3 agosto 1914 un manifesto del Governo annunziava ufficialmente la neutralità italiana nel conflitto europeo.

Il telegramma da Roma che notificava a GUGLIELMO II la decisione dell'Italia di restare neutrale, fu accolto dal Kaiser con una sfuriata isterica, accompagnata da epiteti di tenore poco protocollare all'indirizzo del Savoia (iniziò con "inaudito", continuò con "ipocrita" e terminò con quel "nano farabutto" che non aveva mai sopportato). Tuttavia nel tornare calmo, attribuì quell'atteggiamento ad una tattica "furba" del Sabaudo; cioè che Vittorio Emanuele, voleva far sospirare il proprio appoggio per ricavarne il massimo beneficio possibile. Fu proprio con questa convinzione che il prussiano si rivolse a Vienna affinché guadagnasse alla guerra gli italiani con più allettanti compensi; anche perchè non dava tutti i torti agli italiani, visto che l'ultimatum alla Serbia era stato notificato all'Italia a cose fatte, inoltre - e questo lo sapeva bene- il patto che legava l'Italia all'Austria era puramente di natura difensiva e non offensiva.
Quello che invece il Kaiser non sapeva, era che tre persone stavano intavolando con le potenze dell'Intesa, trattative segretissime per staccarsi dalle due alleate della Triplice Alleanza; ma non per rimanere neutrale, ma per attaccarla insieme alla Russia, Francia e Inghilterra.

Erano così segrete le trattative, che nemmeno CADORNA (con in mano già il piano per l'invio di truppe sul Reno per soccorrere l' "amica" Germania) non ne era a conoscenza.

Un motivo c'era. CADORNA era un filo-tedesco-austriaco; e non era il solo convinto "triplicista"; in Italia era in buon compagnia con militari e uomini politici; tutti costoro erano convinti che l'avvenire fosse dei popoli germanici. Molti lo pensavano fin dal 1870 (dopo Sedan).
Del resto tale convinzione era anche giustificata dal fatto che la Triplice Alleanza era in vigore da trent'anni; e ad ogni scadenza era stata rinnovata; anche dopo l'avvento di Vittorio Emanuele III e Giolitti. Quindi, non solo Guglielmo II e Francesco Giuseppe, ma molti a Vienna, a Berlino, a Roma e in Italia, lontanamente potevano supporre che il Re d'Italia stava avviando trattative segrete con il governo inglese (e furono così "segretissime", che quando poi sfociarono nel "Patto di Londra" il 26 aprile del 1915, ciò che vi era scritto in quel patto, il Parlamento italiano lo apprese solo a guerra quasi finita e... quando a Versailles ormai IL PATTO valeva poco, perchè chi vinse veramente la guerra non era a quel Patto nè presente né l'aveva firmato: "scritti o non scritti per me non valgono nulla, non sono più validi, perchè sono io che ho vinto la guerra!" Wilson).

L'Italia a Londra aveva chiesto Trieste, Trento, l'Istria, gran parte della Dalmazia, il protettorato sull'Albania, il possesso di Valona, Gorizia, l'Alto Adige e Fiume, tutto verbalmente, ma poi nell'atto formale ci "si dimenticò" di far scrivere dettagliatamente i precisi confini dell'Alto Adige e di Fiume ( per questa dimenticanza nasceranno a fine guerra grossi problemi che si trascineranno anche dopo la seconda guerra mondiale).

Cos'era dunque accaduto in Italia per far cambiare "cavallo" a Vittorio Emanuele? Che negli stessi giorni 1 e 2 agosto, la Triplice Intesa (stipulata fin dal 1907 tra Inghilterra, Russia e Francia) visto l'ostile atteggiamento dell'Italia nei confronti dell'Austria, i tre rispettivi ministri all'ambasciatore italiano a Londra, GUGLIELMO IMPERIALI, fecero il primo passo, e avanzarono la proposta all'Italia di intervenire in guerra al loro fianco; contro l'Austria e la Germania !!!!.

Il 9 agosto, SAN GIULIANO in una lettera segretissima inviata a SALANDRA, prospetta per la prima volta l'eventualità di un'entrata in guerra dell'Italia "contro" l'Austria, ma solo qualora "si abbia la certezza della vittoria", e solo "quando le sorti della guerra fossero sfavorevoli all'Austria".
Nella stessa lettera il ministro ritiene necessario prendere subito accordi diretti con l'Intesa, per garantire i compensi territoriali che otterrà l'Italia nel caso di un suo intervento al loro fianco.
Il 15 agosto, IMPERIALI da Londra, dopo aver sentito il ministro inglese GREY, telegrafa a San Giuliano, che non ci sono difficoltà nell'iniziare questi negoziati per garantire i futuri compensi territoriali avanzati dall'Italia se questa si schiera con l'Intesa..
Purtroppo con i primi grandi successi della Germania (nello Champagne), San Giuliano cade nei dubbi, fa il prudente, non vuole esporsi troppo, e quindi i negoziati s'interromperanno fino a settembre.
Quando San Giuliano li riprenderà (16 settembre) inviterà gli anglo-francesi ad intervenire con una flotta nell'Adriatico, dando così un aiuto ai rivoltosi Serbi e Montenegrini, in questo modo l'Italia -accusando gli austriaci d'incapacità a mantenere l'ordine sui Balcani- potrebbe così giustificare il suo intervento contro l'Austria.

Torniamo al 1° agosto, quando fuori dall'Italia neutrale, gli eventi stanno precipitando.

E queste -nell'arco di alcune settimane - sono le prime dichiarazioni di guerra

28 Luglio: Austria-Ungheria alla Serbia
1 Agosto: Germania alla Russia
3 Agosto: Germania alla Francia
4 Agosto: Gran Bretagna alla Germania - Germania al Belgio
5 Agosto: Montenegro all'Austria-Ungheria
6 Agosto: Austria Ungheria alla Russia - Serbia alla Germania
9 Agosto: Montenegro alla Germania
11 Agosto: Francia all'Austria-Ungheria
12 Agosto: Gran Bretagna all'Austria-Ungheria
22 Agosto: Austria-Ungheria al Belgio
23 Agosto: Giappone alla Germania
25 Agosto: Giappone all'Austria-Ungheria
1 Novembre: Russia alla Turchia
2 Novembre: Serbia alla Turchia
5 Novembre: Gran Bretagna alla Turchia
5 Novembre: Turchia alla Gran Bretagna


Le "Olimpiadi della morte" sono iniziate
e quelle di sopra sono le prime squadre scese in campo per le prime gare eliminatorie;
ma siamo appena all'inizio; sono solo i primi 5 mesi di guerra.

 

Come abbiamo letto nel precedente capitolo, l'Italia il 2 agosto proclamò formalmente la sua neutralità, dichiarando di non essere obbligata ad intervenire, data la natura difensiva della Triplice Alleanza.
Questo lo diceva saggiamente il Governo, mentre invece l'opinione pubblica si divideva tra interventisti, neutralisti e agnostici. Nei primi c'erano i nazionalisti con gli amici dell'ultima ora (i cattolici), mentre nei secondi c'erano i socialisti sia riformisti che rivoluzionari. Tutti comunque divisi sull'atteggiamento da assumere, o di non assumerne affatto.
Come già detto, gli avvenimenti precipitarono. Il 1° di agosto la Francia decretò la mobilitazione generale, ma la Germania si era già mossa. Quel giorno stesso truppe germaniche occuparono il Lussemburgo. Il giorno dopo, mentre l'Italia stabiliva di rimanere neutrale, il Governo tedesco dichiarò la guerra alla Francia e chiese formalmente al Belgio di attraversarne il territorio, impegnandosi di rispettar l'indipendenza del piccolo Stato e di risarcirne i danni.La violazione della neutralità del Belgio provocò l'intervento dell'Inghilterra, che il 3 agosto dichiarò guerra alla Germania, i cui eserciti, quello stesso giorno, invasero il territorio belga marciando su Liegi. Il 5 l'Austria intimò guerra alla Russia e, il Montenegro all'Austria; il 6 la Serbia dichiarò la guerra alla Germania, l'8 il Montenegro alla Germania, il 10 la Francia all'Austria, l'11 l'Egitto alla Germania; il 15 il Giappone intimò alla Germania di ritirar dalle acque dell'Estremo Oriente le navi da guerra e di sgombrare il territorio di Kiao-Ciao, poi il 23 le dichiarò guerra.
Mentre l'incendio cresceva di proporzioni, moriva, il 20 agosto, PIO X, dopo undici anni di pontificato. Il 31 si riuniva il Conclave, presenti 57 cardinali, e il 3 settembre veniva eletto Pontefice il cardinale GIACOMO DELLA CHIESA, arcivescovo di Bologna, che prendeva il nome di BENEDETTO XV.
L'8 settembre il nuovo Pontefice, nel suo primo concistoro, pronunciava parole di pace; ma intanto la guerra infuriava e traeva nel suo vortice altre nazioni. Due giorni dopo del concistoro, la Turchia avvertiva le potenze che col 1° ottobre avrebbe soppresso le "Capitolazioni"; il 27 settembre (timorosa di una espansione russa, chiudeva con i Dardanelli le comunicazioni tra la Russia e i suoi alleati) e il 13 novembre entrava in lizza a fianco degli Imperi centrali e proclamava la "Guerra santa".
Questa naturalmente non poteva non avere serie ripercussioni nella Libia, dove i Sentissi, d'accordo con la Porta, brigavano ai danni dell'Italia occupante e la guerriglia ricominciava con colpi di mano contro tribù già sottomesse e attacchi alle carovane che rifornivano i presidi italiani. Il commissario del Fezzan, colonnello MIANI, che invano aveva chiesto rinforzi, ricevuto l'ordine di raccogliere tutte le forze della regione a Brak, dava le dimissioni; furono sgombrate Nufiliah e Marsa Lurgia nella Sirtica, Semeref e Gheriat, Ghadames e Sinanen; Nalut fu assalita dai ribelli, il 15 dicembre liberata dalle truppe del colonnello ROVERSI, ma Sebha fu persa e da quel momento tutto lo Sciati occidentale entrò in rivolta.
Caduta Sebha, sede del commissariato, fu affrettato il ripiegamento di tutti i presidi del Fezzan. Quello di Murzuk il 12 dicembre giunse a Sokna, dove pervenne il 22 anche il colonnello VIANI con 35 ufficiali, 12 sottufficiali, 35 metropolitani, 700 eritrei, quattrocento meharisti, per ripartire il 26 diretto a Misurata e a Tripoli; il presidio di Ubari, attaccato da forze infinitamente superiori, resisté a lungo, ma non riuscì a salvarsi; quello di Ghat, invece, messosi in marcia a metà dicembre, poté, dopo una lunga marcia attraverso il territorio francese, raggiungere e mettersi in salvo sulla costa.
Ma ormai agli avvenimenti d'Europa più che a quelli di Libia era rivolta l'attenzione degli Italiani. Vario era l'atteggiamento dei partiti, dei quali qualcuno voleva che fosse mantenuta la neutralità, qualche altro che l'Italia intervenisse a fianco dell'Intesa, qualche altro ancora che l'Italia si schierasse con gli austro-tedeschi tenendo fede alla Triplice alleanza; e non mancavano infine coloro che spingevano il Governo a fare i soli interessi della nazione non badando ad amicizie od alleanze.

Sbagliato sarebbe qui pensare che gli industriali italiani della produzione bellica, appoggiassero l'intervento; per loro la neutralità voleva dire fare affari doppi, cioè rifornire entrambi i belligeranti. Inoltre prevedevano che Austria e Germania avrebbero risolto il conflitto in una quindicina di giorni. Non pensarono né che a vittoria ottenuta i due alleati della Triplice avrebbero punito in qualche modo l'Italia, né tanto meno preventivarono una guerra lunga, e né che l'avrebbero persa.

Il 6 settembre i riformisti approvavano a Roma il seguente ordine del giorno:

"La "Direzione Centrale del Partito Socialista" riformista e il Gruppo parlamentare, di fronte alle vicende del conflitto provocato dagli Imperatori di Germania e d'Austria-Ungheria per il predominio austriaco sulla Serbia e per essa sulla penisola balcanica, nonché per il trionfo quasi definitivo dell'egemonia germanica; mentre affermano che la dichiarazione di neutralità dell'Italia fu una doverosa sconfessione dei disegni di violenza e di rapina di cui insidiosamente i due imperi tendevano a farne complice l'Italia; affermano altresì che con questo atto, che deve essere interpretato secondo sincerità politica e in accordo con la coscienza del popolo italiano, il trattato della Triplice ha perduto ogni effettiva consistenza essendo venute a mancare, per fatto dei due contraenti, le ragioni essenziali di esso, e cioè il mantenimento delle pace europea e la garanzia contro le espansioni e il predominio austriaco nella penisola balcanica; ritengono inoltre che con la dichiarazione di neutralità il popolo d'Italia non ha inteso disenteressarsi alle vicende ed ai risultati del conflitto, destinato a ripercuotersi sulla vita politica, morale ed economica di tutte le nazioni; che, al contrario, esso ben avverte quale minaccia porterebbe allo sviluppo democratico il trionfo degli Imperi centrali, mentre la vittoria della Triplice intesa, essendo vittoriosa sulle forze e sulle tendenze più spiccatamente militariste, aprirebbe il varco alla possibilità di un generale disarmo, che permetterebbe all'Europa di rivolgere le sue energie alle grandi opere di pace e di civiltà, e permetterebbe al proletariato di tutti i paesi di svolgere le sue rivendicazioni per la giustizia sociale, onde in definitiva le forze armate della Triplice Intesa operano nel senso di una rivoluzione democratica e socialista; che anche dal punto di vista nazionale, in accordo con gli interessi proletari, la vittoria degli Imperi centrali avendo per conseguenza ineluttabile il prevalere dell'Austria-Ungheria sulla penisola balcanica creerebbe all'Italia il pericolo di vedersi ridotta alle condizioni in cui con la sua nota l'Impero austro-ungarico vuole ridurre la Serbia, donde il perpetuarsi di uno sforzo d'armamento da cui sarebbe paralizzata ad esaurita ogni potenzialità del nostro Paese; che, da ultimo, il popolo d'Italia non può dissimulare per egoistiche considerazioni le proprie solidarietà fraterne col Paese della grande rivoluzione, che invaso oggi dagli eserciti imperiali, attraverso la violata neutralità dell'eroico Belgio, trova la sua difesa nel proletariato socialista che dà il suo sangue sui campi di battaglia, mentre accetta nell'ora della sciagura nazionale la responsabilità del Governo; per queste ragioni fanno voto che il Governo italiano interpreti nei suoi atti la proclamata neutralità, non quale rinuncia preventiva ed assoluta ad ogni intervento nel conflitto e meno come aiuto indiretto agli Imperi coi quali deve intendersi rotta ogni dichiarazione di alleanza, ma la esplichi con rivendicata libertà d'azione da svolgersi secondo i criteri suindicati, nel momento e nelle forme più opportune, previe le deliberazioni dell'assemblea nazionale".
Lo stesso giorno il comitato centrale dell'"Associazione Nazionalista" votava all'unanimità il seguente ordine del giorno:
"Il comitato centrale dell' Associazione Nazionalista, ritenendo, per lo svolgimento delle guerra europea, ormai. potenzialmente e continuamente minacciati i nostri interessi nei Balcani e nell'Adriatico, delibera di intensificare nel Paese la propaganda per il conseguimento dei nostri legittimi fini e si augura che il Governo, dimostrandosi pienamente consapevole di tali alti fini, con virile sollecitudine conduca la preparazione militare di terra e di mare a quella forza indispensabile per passare all'azione non appena questa sia necessaria".
Il giorno 7 settembre, la sezione romana del "Partito Repubblicano", dopo un importante discorso di BARZILAI, approvava all'unanimità l'ordine del giorno seguente, presentato dalla Commissione esecutiva del partito:
"La sezione repubblicana romana, di fronte alle vicende del conflitto europeo, mentre si associa alla civile protesta contro l'offesa del diritto delle genti e gli eccessi di ferocia bellica degli eserciti tedeschi culminante nella distruzione della città di Lovanio, constata che la presente situazione internazionale implica il fallimento della politica triplicista seguita all'infuori del sentimento popolare durante trent'anni dal regno d'Italia; afferma che, se la riconquistata libertà d'azione ci ha consentito la neutralità, questa non potrebbe essere mai accolta come sinonimo di oblio delle tradizioni e rinunzia alle aspirazioni nazionali; riconosce pertanto nella parte repubblicana, in coerenza del suo passato storico, il dovere di un'azione diretta a impedire che pavidi opportunismi sorgano a certa ora a sopraffare la corrente dei sentimenti e le rivendicazioni dei diritti italiani".
Propositi interventisti a fianco dell'Intesa, venivano pure espressi dai sindacalisti. L'11 settembre, a Milano, il noto agitatore FILIPPO CORRIDONI, in un suo lungo discorso a sindacalisti, socialisti ed anarchici, accusava la Germania d'imperialismo e il socialismo tedesco di "tradimento" (così lo chiamò Lenin) all'Internazionale (*), elogiava la condotta dei rivoluzionari francesi e belgi e quella dei sindacalisti italiani che intendevano combattere per una guerra di rivoluzione contro una guerra di reazione e affermava che i rivoluzionari italiani dovevano, per il trionfo della libertà, del diritto e della pace, favorire l'intervento dell'Italia contro gl'Imperi centrali.
(*) questo voltafaccia fu proprio imbarazzante, difficile da digerire, per i socialisti italiani. Per quanto lo schieramento socialdemocratico si muovesse sul terreno nazional-patriottico era formalmente in contraddizione con le dichiarazioni e gli atteggiamenti ufficiali sanciti dai congressi della Seconda Internazionale. Ma dobbiamo anche dire che la socialdemocrazia tedesca era più legata di quella italiana alle realtà nazionali; non erano, i socialisti, come dicevano gli ottusi conservatori in Italia dei "corpi estranei" alla nazione; quindi non bisogna meravigliarsi di queste posizioni contraddittorie; fu l'ideologia patriottica che fece scattare una solidarietà interclassista.

Diversamente che in Italia, da qualche tempo i lungimiranti conservatori tedeschi, avevano abbandonato l'idea di annientare con misure repressive le forze social-democratiche; si erano invece impegnati ad integrarle con la strategia della "nazionalizzazione delle masse"; Thomas Mann questa forma di stato (ed era già in corso con qualche successo) lo definiva "Impero sociale". Del resto il credo politico e spirituale delle masse, dai tempi di Federico II il Grande (e ancora di più dopo Sedan 1870) era uno solo: l'idea di una grande nazione tedesca e quindi l'ideologia patriottica era al centro di ogni altro pensiero sia del singolo sia della massa. E se i conservatori e i progressisti avevano ancora qualche dubbio che esisteva in concreto questa salda unione, la conferma solenne ci fu quando in tutta la Germania, e da ogni parte, si sollevarono ondate di entusiasmo indescrivibili il giorno della dichiarazione di guerra.
La conferma fu clamorosa, la socialdemocrazia tedesca, che era considerata il baluardo, un modello, lo specchio da molti anni del socialismo internazionale, scioglieva il patto internazionale in nome di uno nazionale.
"Anche i socialisti tedeschi in uno dei momenti più belli della mia vita, non abbandonarono la Patria", in quel "poderoso agosto" dissero due intellettuali tedeschi tutt'altro che guerrafondai (gli storici F.Meinecke e E.Troeltsch).
Eppure la dichiarazione solenne e inequivoca alla Seconda Internazionale, votata nel congresso di Basilea del 1912, era "guerra alla guerra".
LENIN quando lesse sul "Vorwarts" del 3 agosto, la notizia che il gruppo parlamentare socialista aveva approvato i crediti di guerra, pensò a un falso messo in giro dallo stato maggiore tedesco per far sbandare le file socialiste. Quando invece apprese che era la pura verità, iniziò a chiamare i socialdemocratici tedeschi "traditori".
Ma torniamo in Italia.

In Italia, annotava PREZZOLINI: "Sarebbe vergognoso che l'unico socialismo in Europa a rifiutare le armi fosse quello italiano, quando l'andata al campo di tutti gli altri gli concede il più largo proscioglimento dagli obblighi di fratellanza" ...."credo che finito l'ultimo comizio per la neutralità, i socialisti faranno il loro dovere"
SALVEMINI rifletteva invece così fin dal 1909: “Certo, compiere il nostro dovere di socialisti e insieme di italiani non ci è facile: Noi camminiamo tra i carboni ardenti: dobbiamo protestare contro l’Austria, staccandoci dagli irredentisti; chiedere una politica più dignitosa al nostro Governo, reagendo contro i militaristi; assalire di fronte i nemici e difenderci alle spalle e ai fianchi dagli … amici”
.

Il 14 settembre pure quelli del "Partito Radicale", da Roma, facevano sentire la loro voce interventista con il seguente ordine del giorno:
"La Direzione Centrale del Partito Radicale Italiano, dinanzi all'ampiezza e all'intensità assunta dal conflitto europeo dal quale in ogni ipotesi usciranno profondamente alterate le condizioni dell'equilibrio internazionale, considerando che
* nell'Adriatico l'Italia, anche per eliminare possibili elementi di conflitti futuri, debba energicamente tutelare i propri interessi definiti e valutati secondo gli elementi nuovi della situazione e prescindendo dai criteri ai quali si uniformava lo Stato di transizione e di adattamento prima della guerra;

* che, pur non avendo in alcun modo provocato e desiderato lo sconvolgimento, l'Italia ha il dovere di non lasciar trascorrere il momento di rivendicare i confini naturali, compiendo così una lunga aspirazione non mai abbandonata;
* che l'Italia - sia per ben inteso interesse sia per rispetto alle sue tradizioni e ai principi del suo Risorgimento - deve energicamente cooperare od impedire che il conflitto possa risolversi in modo da determinare il predominio di tendenze militari e autoritarie, che avrebbero sinistre ripercussioni su tutta la vita politica europea ostacolando il progresso del principio democratico e delle tendenze pacifiste;

* che l'Italia deve essere posta in condizioni, all'atto della definizione del nuovo assetto internazionale, di far pesare nella maggior misura possibile la propria influenza allo scopo di tutelare le sue supreme esigenze nazionali e al tempo stesso i principi di nazionalità e di ossequio al diritto in nome dei quali l'Italia riconquistò la sua unità di Nazione;
* richiamandosi alla precedente deliberazione del 6 agosto nella quale già si affermava che la proclamata neutralità dovesse essere pronta a tramutarsi in valida tutela delle esigenze italiane;

* si augura che il Governo, nella piena conoscenza degli elementi di fatto interni ed esteri che egli solo possiede, voglia considerare con animo risoluto, con meditato ardimento e con fiducia nelle energie del Paese, la mirabile coincidenza degli interessi economici e politici della Patria con gli interessi ideali della civiltà che gli impongono ormai il gravissimo ma imprescindibile dovere di mutare la neutralità dell'Italia in attiva partecipazione al conflitto".
Favorevoli all'intervento a fianco dell'Intesa erano anche i Giovani liberali, la Massoneria, la maggior parte degli Israeliti, quasi tutta la gioventù studentesca, molti letterati, il ceto impiegatizio, i futuristi e, naturalmente, tutti quei dalmati, istriani e trentini emigrati da tempo o di recente in Italia, fra cui CESARE BATTISTI, che predicava nei comizi la liberazione delle terre soggette all'Austria.
I più impazienti avevano voluto dare l'esempio: sette, tra anarchici e repubblicani di Roma, già alla fine di luglio, si erano arruolati nell'esercito serbo ed erano caduti per una terra che non era la loro; altri si raccoglievano a Nizza nelle file di una compagnia che prendeva il nome di "Mazzini", mentre un figlio di Ricciotti GARIBALDI, PEPPINO, che aveva combattuto a Domokos, nel Transwal, ed era stato generale al Messico, raccoglieva volontari per costituire una "Legione garibaldina".
Man mano che giungevano notizie dai vari teatri della guerra e particolari sulle atrocità tedesche nel Belgio, crescevano in Italia i fautori dell'intervento con l'Intesa, e a Roma erano quotidiane le dimostrazioni popolari acclamanti all'esercito. E intanto voci autorevoli giungevano dall'estero, che incitavano l'Italia a schierarsi dalla parte dell'Intesa; degne di ricordo fra tutte quella del ministro francese degli Esteri DELCASSÉ, quella del romanziere inglese HALL CAINE e quella del ministro della Marina britannica WINSTON CHURCHILL.

Né mancavano da parte delle Potenze dell'Intesa gli inviti e gli allettamenti ufficiali. La Russia, consapevoli la Francia e l'Inghilterra, prometteva all'Italia in cambio dell'intervento il possesso di Trento, di Trieste e di Valona; Parigi, per mezzo del CLEMENCEAU, offriva all'Italia l'alleanza offensiva e difensiva, il rimborso di spese, il possesso dell'Adriatico e di tutte le terre italiane sottomesse all'Austria, il Dodecanneso, l'estensione della sfera d'influenza nell'Asia Minore, facilitazioni doganali ed economiche, miglioramenti nel trattato di lavoro per gli operai italiani e vantaggi in Africa; l'Inghilterra a sua volta prometteva di appoggiare le richieste italiane per l'assoluto dominio dell'Adriatico, per la rettifica dei confini in Tripolitania e in Abissinia e per ingrandimenti in Somalia.
(Tutte promesse; dimenticate poi a Versailles a conflitto terminato).

Per contro altre voci giungevano in Italia da altre parti, ed altre promesse venivano fatte. In un articolo sulla tedesca "Neue Freie Presse" il conte GIULIO ANDRASSY enumerava i vantaggi che sarebbero venuti all'Italia da un suo intervento a fianco degli Imperi centrali: tutta l'Africa settentrionale, Nizza, Savoia, la Corsica e l'egemonia nel Mediterraneo; e il barone MACCHIO, successo a von Merey come ambasciatore austriaco a Roma, annunciava alla Consulta che il Governo austro-ungarico era pronto a discutere con l'Italia intorno ai compensi nel caso di una occupazione anche temporanea di territori balcanici.
Né le voci provenienti dall'Intesa né quelle provenienti dagli Imperi centrali trovavano, naturalmente eco in quanti in Italia volevano che fosse mantenuta la neutralità. E non erano pochi i neutralisti, specie tra i proprietari terrieri, i socialisti ufficiali che rimanevano insensibili al grido di dolore che veniva dal Belgio, molti sindacalisti ed anarchici e l'Azione Cattolica.
A tutti costoro erano da aggiungersi i deputati del Gruppo liberale, che riunitisi il 30 settembre, votarono quest'ordine del giorno, da tutti interpretato come neutralista:

"Il Gruppo parlamentare liberale, riconoscendo la legittimità e la convenienza della dichiarazione di neutralità del nostro Stato allo scoppio della Guerra, riafferma la propria fiducia nel Governo, che ritiene conscio del suo alto dovere e della sua grave responsabilità verso la Patria e confida che saprà tutelare con meditata preparazione e con energica azione i supremi interessi nazionali
Commentando questo ordine del giorno, il Corriere della Sera scriveva fra l'altro:
"Ciò che non è stato considerato dai deputati di destra, ciò che non viene considerato da coloro che si sono compiaciuti del loro ordine del giorno perché non ha turbato la nostra neutralità, è il nostro isolamento. Nelle mani che ci vengono tese, nelle offerte che ci vengono fatte da tutte le parti noi vediamo non una ragione di compiacenza, ma un monito grave per l'avvenire. La guerra non è finita, né finirà tanto presto. Tocca al Governo decidere come e quando deve l'Italia provvedere ai casi suoi. L'on. Salandra, ne siamo certi, vede tutti i pericoli della neutralità; non se li dissimula, non se li diminuisce per amor di quieto vivere. Ma perché egli trovi la coscienza pubblica preparata ad ogni evento, noi dobbiamo non nascondere, ma porre in luce agli Italiani i termini della situazione in cui la guerra ha posto il nostro Paese. Trema la terra attorno a noi; sussulta anche il Paese nostro. Consideriamo già come una gran fortuna di poter tranquillamente preparare il nostro animo e le nostre forze".
Il 20 ottobre, nella grande assise socialista di Bologna, dalla quale doveva uscire il voto della neutralità assoluta, BENITO MUSSOLINI, direttore dell' AVANTI !, lanciava impetuosamente in faccia ai dirigenti del partito la sua opinione sulla neutralità e sulla guerra che contrastava con quella dei suoi compagni: "La nostra neutralità assoluta - disse allora il Mussolini - si capirebbe qualora aveste il coraggio di arrivare fino in fondo, e cioè provocare l'insurrezione, ma questa a priori la scartate perché sapete di andare incontro a un insuccesso. E allora dite francamente che siete contrari alla guerra perché avete paura delle baionette. Sarete più sinceri; così no; vi mantenete in un vicolo cieco dal quale uscirete indubbiamente colla testa rotta. Chi domani potrà seguirvi, se con l'intervento dell'Italia si affrettasse la fine di questa carneficina °? Chi fra di voi, fra i socialisti italiani, potrà inscenare uno sciopero generale per impedire la guerra? Riflettete un momento sulla gravità della situazione e vedrete che il vostro cinico atteggiamento non può essere approvato da nessun socialista".Dopo il voto di Bologna il MUSSOLINI si dimise da direttore dell'Avanti ! e fondò un giornale di battaglia, che tanta parte doveva avere nel trascinare la nazione alla guerra. Il "Popolo d'Italia" usciva a Milano il 15 novembre del 1914 e portava un interessantissimo articolo del suo direttore, che era insieme esame di coscienza e programma d'azione:

"All'indomani della famosa riunione ecumenica di Bologna - diceva l'articolo che riportiamo integralmente - nella quale, per dirla con una frase solenne, fui bruciato, ma non "confutato", io posi a me stesso il quesito che oggi ho risolto creando questo giornale di idee e di battaglie. Io mi sono domandato: "Debbo parlare o tacere? Conviene che mi ritiri sotto la tenda come un soldato stanco e deluso, o non è invece necessario che io riprenda, con un'altra arma, il mio posto di combattimento?" Vivere o morire, sia, pure inghirlandato di molti elogi .... postumi, alcuni dei quali avevano la deliziosa insincerità delle epigrafi pei defunti? Sicuro come sono che il tempo mi darà ragione e frantumerà il dogma stolto della neutralità assoluta, come ha spezzato molti altri non meno venerabili dogmi di tutte le chiese e di tutti i partiti, superbo di questa certezza che è in me, io potevo aspettare con coscienza tranquilla. Certo, il tempo è galantuomo, ma qualche volta è necessario andargli incontro. In un'epoca di liquidazione generale come la presente, non solo i morti vanno in fretta come pretendeva il poeta ma i vivi vanno ancor più in fretta dei morti. Attendere può significare giungere in ritardo e trovarsi dinanzi all'inevitabile fatto compiuto, che lamentazioni inutili non valgono a cancellare.

Se si fosse trattato o si trattasse di una questione di secondaria importanza, non avrei sentito il bisogno, meglio, il dovere di creare un giornale: ma, ora, checché si dica dai neutralisti, una questione formidabile sta per essere risolta: i destini dell'Europa sono in relazione strettissima con i possibili risultati di questa guerra; disinteressarsene significa staccarsi dalla storia e dalla vita. Ah ! no ! Noi non siamo, noi non vogliamo essere mummie perennemente immobili con la faccia rivolta allo stesso orizzonte, o rinchiuderci tra le siepi anguste della beghinità sovversiva, dove si biascicano meccanicamente le formule corrispondenti alle preci delle religioni professate; ma siamo uomini, e uomini vivi che vogliamo dare il nostro contributo, sia pure modesto, alla creazione della storia.
Incoerenza ? Apostasia ? Diserzione ? Mai più ! Resta a vedersi da quale parte stiano gli incoerenti, gli apostati, i disertori. Lo dirà la storia domani, ma la previsione rientra nell'ambito delle nostre possibilità divinatorie.
Se domani ci sarà un po' più di libertà in Europa, un ambiente quindi, politicamente più adatto alla formazione delle capacità di classe del proletariato, disertori ed apostati non saranno stati tutti coloro che al momento in cui si trattava di agire, si sono neghittosamente tratti in disparte? Se domani, invece, la reazione prussiana trionferà su l'Europa - dopo la distruzione dal Belgio - con il progettato annientamento della Francia - abbasserà il livello della civiltà umana, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che nulla hanno tentato per impedire la catastrofe.
Da questo ferreo dilemma non si esce, ricorrendo alle sottili elucubrazioni degli avvocati d'ufficio della neutralità assoluta, o ripetendo un grido di abbasso che prima della guerra poteva avere un contenuto e un significato, ma oggi non lo ha più.

Oggi - io lo grido forte - la propaganda antiguerresca è la propaganda della vigliaccheria. Ha fortuna perché vellica l'istinto della conservazione individuale. Ma per ciò stesso è una propaganda antirivoluzionaria. La facciano i preti temporalisti e i gesuiti che hanno un interesse materiale e spirituale alla conservazione dell'impero austriaco; la facciano i borghesi, contrabbandieri o meno, che - specie in Italia - dimostrano la loro pietosa insufficienza politica e morale; la facciano i monarchici, che, specie se insigniti del laticlavio, non sanno rassegnarsi a stracciare il trattato della Triplice che garantiva, oltre alla pace (nel modo che abbiamo visto), l'esistenza dei troni; codesta coalizione di pacifisti sa bene quello che vuole e noi ci spieghiamo ormai facilmente i motivi che inspirano il suo atteggiamento.
Ma noi, socialisti, abbiamo rappresentato - salvo nelle epoche basse del riformismo mercatore e giolittiano - una delle forze vive della nuova Italia: vogliamo ora legare il nostro destino a queste forze morte in nome di una pace che non ci salva oggi nei disastri della guerra e non ci salverà domani da pericoli indubbiamente maggiori e in ogni caso non ci salverà dalla vergogna e dallo scherno dei popoli che hanno vissuto questa grande tragedia della storia ? Vogliamo trascinare la nostra miserabile esistenza alla giornata-beati nello status quo monarchico e borghese - o vogliamo invece spezzare questa compagine sorda e torbida di intrighi e di viltà ? Non potrebbe essere questa la nostra ora ? Invece di prepararci a subire gli avvenimenti preordinando un alibi scandaloso, non è meglio tentare di dominarli ? Il compito di socialisti rivoluzionari non dovrebbe essere quello di svegliare le coscienze addormentate delle moltitudini e di gettare palate di calce viva nella faccia di morti - e sono tanti in Italia! - che si ostinano nella illusione di vivere? Gridare "Noi vogliamo la guerra !" non potrebbe, essere allo stato dei fatti, molto più rivoluzionario che gridare "abbasso" ?

Questi interrogativi inquietanti, ai quali, per mio conto, ho risposto, spiegano l'origine e gli scopi del giornale. Questo che io compio è un atto d'audacia e non mi nascondo le difficoltà dell'impresa. Sono molte e complesse, ma ho la ferma fiducia di superarle. Non sono solo. Non tutti i miei amici di ieri mi seguiranno, ma molti altri spiriti ribelli si raccoglieranno attorno a me. Farò un giornale indipendente, liberissimo, personale, mio. Ne risponderò solo alla mia coscienza e a nessun altro. Non ho intenzioni aggressive contro il Partito Socialista, o contro gli organi del Partito nel quale intendo restare (ma il 25 novembre Benito Mussolini fa espulso - Ndr.); ma sono disposto a battermi contro chiunque tentasse di impedirmi la libera critica di un atteggiamento che ritengo per varie ragioni esiziale agli interessi nazionali e internazionali del proletariato.
Dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. Io cammino ! E riprendendo la marcia -dopo la sosta, che fu breve - è a voi, giovani d'Italia; giovani delle officine e degli atenei; giovani d'anni e giovani di spirito; giovani che appartenete alla generazione cui il destino ha commesso di fare la storia: è a voi che io lancio il mio grido augurale, sicuro che avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie.
Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: Guerra !".

MORTE DELL'ON. DI SAN GIULIANO
OCCUPAZIONE ITALIANA DI VALONA E DI SASENO
IL NUOVO GABINETTO SALANDRA
IL PRINCIPE DI BULOW A ROMA; INCONTRO COL GIOLITTI
LA LETTERA DELL'ON. GIOLITTI A PEANO
TRATTATIVE TRA L'ITALIA E L'AUSTRIA -
DIMISSIONI DEL CONTE BERCHTOLD - IL BARONE BURIAN MINISTRO AUTRIACO DEGLI ESTERI
Il 16 ottobre 1914 moriva Di SAN GIULIANO, portando nella tomba la neutralità italiana; e il portafoglio degli Esteri era assunto interinalmente dall'on. SALANDRA, il quale insediandosi alla Consulta, diceva ai funzionari del Ministero: "Occorre incrollabile fermezza d'animo, serena visione dei reali interessi del Paese, maturità di riflessione che non escluda al bisogno prontezza d'azione; occorre ardimento non di parole, ma di opere, occorre animo scevro da ogni preconcetto, da ogni pregiudizio, da ogni sentimento, che non sia quello dell'esclusiva ed illimitata devozione alla patria nostra; del sacro egoismo per l'Italia".Ardimento non di parole, ma di opere; non discussioni inutili, ma azione. E l'azione dell'Italia in quel momento era indispensabile che fosse rivolta alla vicina Albania, che il principe di Wied il 3 settembre aveva dovuto precipitosamente abbandonare per la situazione insostenibile che vi si era creata e che i Serbi dal nord e i Greci dal sud avevano cominciato a mordere.Vivo il Di San Giuliano, il Governo italiano era venuto nella determinazione di porre fine all'anarchia albanese e aveva avvertito le Potenze che intendeva intervenire sia diplomaticamente, sia occorrendo, militarmente. Ma l'azione non poté essere iniziata che nella seconda quindicina di ottobre. Il 23 di quel mese fu mandata a Valona una missione sanitaria, in soccorso degli Albanesi decimati da epidemia, ma essa fu protetta da uno sbarco di marinai e da una squadra navale (Dandolo, Agordai, Calabria, Etna e un paio di torpediniere) al comando del contrammiraglio PATRIS, che rimase ad incrociare nelle acque albanesi. Più tardi fu occupata l'isola di Saseno e truppe di terra, fra cui il 1° bersaglieri, diedero il cambio a Valona ai marinai (29 dicembre).Mentre i marinai italiani sbarcavano a Valona, il Governo russo, per mezzo del Krupensky, suo ambasciatore a Roma, proponeva all'Italia di consegnarle alcune migliaia di prigionieri austriaci di nazionalità italiana a patto che non fossero rimandati in Austria. La proposta era insidiosa e contraria alla neutralità e perciò fu respinta da Salandra.
Alcuni giorni dopo (il 29 ottobre) la Turchia entrava in guerra a fianco degli Imperi centrali. L'intervento ottomano rendeva più difficile all'Italia il persistere nella neutralità e imponeva uno stanziamento di nuovi fondi per la preparazione militare. Lo stanziamento di circa 600 milioni per l'Esercito e per la Marina e la richiesta, da parte del ministro del Tesoro RUBINI, di nuove imposte per compensare quello stanziamento, determinava una crisi ministeriale che s'iniziava con le dimissioni, presentate il 30 ottobre, dal Rubini, neutralista.

SALANDRA, volendo costituire un Gabinetto più omogeneo e più disposto alla Guerra, provocò allora le dimissioni dell'intero Ministero, nel quale, negli ultimi tre mesi erano avvenuti dei mutamenti. Infatti, a MILLO, dimessosi per motivo di salute, era stato il 13 agosto sostituito il viceammiraglio VIALE, e a GRANDI, dimessosi l'8 ottobre da ministro della Guerra per disaccordo con il generale LUIGI CADORNA (successo a luglio al generale Pollio nella carica di Capo dello Stato Maggiore) era stato, l'11, sostituito il generale VITTORIO ZUPELLI.
Ricevuto, il 2 novembre, l'incarico di costituire il nuovo Gabinetto, l'on. SALANDRA, lo formò quattro giorni dopo, riassumendo la presidenza del Consiglio e il portafoglio degli Interni, mantenendo alle Colonie, FERDINANDO MARTINI, alla Guerra il generale ZUPELLI, alla Marina il viceammiraglio VIALE, ai Lavori Pubblici AUGUSTO CIUFFELLI, all'Agricoltura, Industria e Commercio il senatore GIANNETTO CAVASOLA, e alle Poste e ai Telegrafi VINCENZO RICCIO, passando EDOARDO DANEO dall'Istruzione alle Finanze e affidando gli Esteri a SIDNEY SONNINO, il Tesoro a PAOLO CARCANO, la Grazia e Giustizia a VITTORIO EMANUELE ORLANDO e l'Istruzione Pubblica a PASQUALE GRIPPO.

Il 3 dicembre, SALANDRA, presentando alla Camera il nuovo Gabinetto, disse, spesso interrotto da applausi:
"Mentre - confortato dalle ripetute attestazioni della vostra fiducia - il Governo si accingeva a preparare utili riforme amministrative, tributarie e sociali, scoppiò senza alcuna nostra partecipazione od intesa, improvviso e rapidissimo il conflitto che invano, per la tutela della pace e della civiltà, ci adoperammo a scongiurare. Dovette il Governo considerare se le clausole dei trattati c'imponessero parteciparvi. Ma lo studio più scrupoloso della lettera e dello spirito degli accordi esistenti, la nozione delle origini e le manifeste finalità del conflitto, c'indussero nel sicuro e leale convincimento che non avevamo obbligo di prendervi parte. Tuttavia la neutralità, liberamente proclamata e lealmente osservata, non basta a garantirci dalle conseguenze dell'immane sconvolgimento, che si fa più ampio ogni giorno e il cui termine non è dato ad alcuno di prevedere.
Nelle terre e nei mari dell'antico continente, la cui configurazione politica si va forse trasformando, l'Italia ha vitali interessi da tutelare, giuste aspirazioni da affermare; una situazione di grande potenza da mantenere intatta non solo, ma che da possibili ingrandimenti di altri Stati non sia relativamente diminuita. Non dunque inerte e neghittosa, ma operosa e guardinga, non dunque impotente, ma poderosamente armata e pronta ad ogni evento doveva e dovrà, essere la neutralità nostra. L'esperienza che ci viene dalla storia e più dai casi presenti, deve ammonirci, che, ove cessi l'opera del diritto, alla salute di un popolo rimane unica garanzia la forza, la forza umana organizzata e munita di tutti i perfezionamenti e costosi strumenti tecnici della difesa.

L'Italia, che non ha propositi di sopraffazione, deve tuttavia organizzarsi e munirsi, quanto più le sia consentito e col massimo vigore possibile, per non rimanere essa stessa prima o poi sopraffatta. Così la pace interna dovrà essere a qualunque costo assicurata. Lungi del resto da noi ogni dubbiezza che possa turbare il popolo nostro; il quale sente che oggi la Patria, per la propria salute e grandezza, impone concordia di animi pronti ad ogni sacrificio.
Ad altri tempi le competizioni politiche ed economiche ad altri tempi le gare fra i partiti, i gruppi, le classi. Oggi è necessario che si affermi solennemente, con le parole e con gli atti, la solidarietà di tutti gli Italiani. Il Governo, al quale ogni criterio e intendimento di partito parrebbe oggi un sacrilegio, fa appello alla patriottica cooperazione di tutto intero il Parlamento. Dal Parlamento soltanto potrà attingere la vigoria necessaria ad assolvere l'arduo suo compito. L'ora che corre domanda un Governo forte e sicuro. Se forza e sicurezza avremo dal vostro voto potremo sostenere il grave peso delle nostre responsabilità; potremo proseguire nel lavoro intenso e continuo cui diamo tutte le energie dell'anima nostra, nella efficace difesa degli interessi presenti della Patria e nella vigile cura delle sorti avvenire dell'Italia nel mondo".
Grandi applausi coronarono il discorso dell'on. SALANDRA, che, due giorni dopo, ottenne quel voto di fiducia da lui stimato necessario al suo Governo in quelle difficili circostanze. Infatti, 433 deputati, contro 49, approvarono l'ordine del giorno dell'ammiraglio Bettolo così concepito:
"La Camera, riconoscendo che la neutralità dell'Italia fu proclamata con pieno diritto e ponderato giudizio, confida che il Governo, conscio delle sue gravi responsabilità, saprà spiegare, nei modi e coni mezzi più adatti, un'azione conforme ai supremi interessi nazionali".
La fiducia nel Governo fu approvata, e all'unanimità, anche al Senato il 15 dicembre. Due giorni dopo, a sostituire von FLOTOW, ma specialmente per far concludere un accordo fra l'Italia e l'Austria, fare in modo che fosse mantenuta la neutralità italiana e salvaguardare gl'interessi economici e finanziari tedeschi nella penisola e il rifornimento di generi alimentari e bellici, giungeva a Roma l'ex-cancelliere-germanico BERNARDO von BULOW, ricco di amicizie e di cospicue parentele in Italia (aveva sposato la figlia di Minghetti, ed era un uomo molto amante della cultura italiana e un profondo conoscitore della storia italiana, meglio di tanti politici italiani).Giungendo a Roma era preceduto da un'intervista concessa allo scrittore norvegese Bjoernson, nella quale, fra l'altro aveva detto:
"Credo che il popolo italiano commetterebbe il più grave errore della sua storia se si lasciasse indurre dalle influenze inglesi, francesi e russe a prendere un'attitudine ostile a riguardo dell'Austria-Ungheria. Io so bene ciò che separa l'Italia dall'Austria: conosco anche i legami che uniscono l'Italia e la Francia. Ma si tratta di sentimenti e di considerazioni che non hanno alcun rapporto col nocciolo della questione, il quale è questo: che tanto la sorte dell'Austria come l'avvenire dell'Italia dipendono dalla vittoria delle nostre armi. Fra lo sviluppo delle condizioni di vita dell'Italia e della Germania esiste omogeneità, e non soltanto di natura apparente, più che con la Francia. Thiers sapeva quello che faceva quando combatté accanitamente gli sforzi unitari degli Italiani e dei Tedeschi. La situazione di grande potenza dell'Italia, la sua indipendenza e la sua unità rimangono intatte. Esse cadranno nello stesso tempo della potenza della Germania. L'indebolimento della Germania avrebbe sulla situazione dell'Italia nel Mediterraneo, e per conseguenza sulla composizione dell'Italia, un'inevitabile profonda reazione. Il trionfo del panslavismo minaccia la civiltà e la nazionalità italiana in ben altro modo che le male accortezze dell'uno o dell'altro funzionario del Trentino o di Trieste. Un'azione dell'Italia contro l'Austria-Ungheria, dopo decine d'anni d'alleanza, sarebbe una violazione del diritto delle genti, quale il mondo non avrebbe mai veduta. Sarebbe il caso di ripetere la frase di Talleyrand dopo l'esecuzione del duca d' Enghien; "Più che un delitto è uno sproposito". Con ciò il vincolo fra l'Italia e la Germania sarebbe infranto, la situazione mondiale avvenire dell'Italia sarebbe sacrificata. con leggerezza a piccoli successi momentanei, a vuote frasi, a promesse mendaci".
Il 29 dicembre BULOW si recava a far visita al ministro SONNINO e il 30 era ricevuto in udienza dal Re, al quale presentava le credenziali. I due colloqui, non essendo stati resi pubblici, diedero motivo alla stampa di sbizzarrirsi in congetture e queste aumentarono quando si seppe che il barone Macchio lasciava l'ambasciata di Roma e ritornava a Vienna.
Altro argomento di cui si alimentarono i giornali fu la visita fatta dall'on. GIOLITTI, il 20 dicembre, al Bulow. Giolitti era notoriamente neutralista ed ammiratore della Germania; aveva votata la fiducia al Governo, ma da poco tempo i suoi rapporti con Salandra erano alquanto tiepidi, avendo il presidente del Consiglio scelto come ministro degli Esteri Sonnino e da non pochi si credeva che il deputato di Dronero aspettasse l'occasione propizia per rovesciare il Gabinetto attuale e formarne uno neutralista e germanofilo.

Volendo troncare le dicerie che la stampa spargeva sul suo conto, GIOLITTI indirizzava da Cavour, il 24 gennaio del 1915, all'on. PEANO, già suo capo di gabinetto, la lettera seguente, che fu pubblicata dalla "Tribuna":
"E' stranissima la facilità con la quale, parte in buona e parte in mala fede, si formano le leggende. Ora due tendono a formarsi: una di pretesi miei rapporti col principe di Bulow, l'altra l'opinione che mi si attribuisce che si debba mantenere in modo assoluto la neutralità in qualunque caso. Conosco il principe di Bulow da molti anni, ho grande stima del suo ingegno e del suo carattere, l'ho sempre trovato amico dell'Italia, ben inteso mettendo sempre in prima linea il suo Paese, come è suo dovere. Egli, quando era a Roma come semplice privato, veniva spesso a visitarmi. Ora che venne a Roma come ambasciatore, lo incontrai per caso in piazza del Tritone; mi disse che voleva venirmi a trovare. Gli risposi che essendo io un disoccupato, sarei andato io da lui, e così feci l'indomani. Si parlò in modo affatto accademico dei grandi avvenimenti; ma mi guardai bene dall'entrare nell'argomento del contegno che debba tenere l'Italia. Avrei mancato al mio dovere; né egli entrò in tale argomento, perché è uomo che non viene mai meno alle convenienze. Alcuni giorni dopo venne a restituirmi la visita. Io non ero in casa. Mi lasciò una carta da visita. E non lo vidi più, essendo io partito da Roma.
La mia adesione al partito della neutralità assoluta: l'altra leggenda. Certo io considero la guerra non come una fortuna, ma come una disgrazia, la quale si deve affrontare solo quando sia necessario per l'onore e per i grandi interessi del Paese. Non credo sia lecito portare il Paese alla guerra per un sentimentalismo verso altri popoli. Per sentimento ognuno può gettare la propria vita, non quella del proprio Paese. Ma, quando necessario, non esiterei ad affrontare la guerra; e l'ho provato. Potrebbe essere, e non apparirebbe improbabile, che, nelle attuali condizioni dell'Europa, parecchio possa ottenersi senza una guerra; ma su questo, chi non è al Governo, non ha elementi per un giudizio completo. Quanto alle voci di cospirazioni e di crisi, non le credo possibili. Ho appoggiato e appoggio il Governo, nulla importandomi delle insolenze di chi gli si professa amico e invece è forse il suo peggiore nemico".
Mentre erano vive le polemiche sull'atteggiamento dell'on. Giolitti, laboriose pratiche correvano tra i Governi italiano ed austro-ungarico. Esse erano cominciate l'11 dicembre del 1914. Quel giorno, l'ambasciatore italiano a Vienna duca D'AVARNA per incarico del Governo italiano aveva fatto presente al conte BERCHTOLD che l'occupazione della Serbia alterava l'equilibrio balcanico a danno dell'Italia e dava al nostro paese diritto a compensi secondo i patti della Triplice, e aveva chiesto che si venisse a un sollecito scambio d'idee prima e a negoziati poi per gli affari balcanici e i compensi italiani.
BERCHTOLD aveva risposto che i movimenti dell'esercito austriaco in Serbia non significavano occupazione e che se l'Austria fosse stata in seguito costretta dalle circostanze ad occupazioni territoriali allora avrebbe accettato lo scambio d'idee e i negoziati.
La risposta del ministro degli Esteri austro-ungarico era ispirata dall'atteggiamento di FRANCESCO GIUSEPPE, il quale non voleva sentir parlare di negoziati con la fedifraga alleata; ma, insistendo energicamente il Governo di Berlino che l'Austria trattasse con l'Italia, il conte BERCHTOLD, il 20 dicembre, dichiarò a l' AVARNA di esser disposto ad entrar subito in scambi d' idee per stabilire i compensi italiani in caso di occupazione austriaca di territori balcanici. Secondo il Berchtold questi compensi dovevano ricercarsi nella Serbia o in Albania, ma l'on. Sonnino, il 7 gennaio, dichiarò all'ambasciatore Macchio che non sarebbero stati accettati territori che non appartenessero all'Austria.
Era questo anche il parere del Bulow, il quale sapeva che niente si sarebbe ottenuto dall'Italia senza il soddisfacimento di alcune ispirazioni nazionali. Gli Italiani aspiravano a Trento e Trieste e non si potevano trascurare queste aspirazioni se si voleva che i negoziati italo-austriaci fossero coronati dal successo.
Ma nello stesso tempo il Bulow non poteva danneggiare gl'interessi germanici con la cessione all'Italia di Trieste, sbocco di primaria importanza della Germania nel Mediterraneo. Egli cercava pertanto di convincere l'on. Sonnino che l'Italia doveva accontentarsi del Trentino, italiano di razza e di interessi, e abbandonare l'idea di venire in possesso di Trieste per le speciali condizioni del suo porto e del suo commercio. In quanto a Trieste, era meglio "procurarle una certa autonomia e l'incremento del suo carattere nazionale, cominciando a farle ottenere la tanto contesa Università italiana".

Erano a questo punto gli scambi d'idee tra Roma e Vienna e tra SONNINO e BULOW, quando, il 13 gennaio 1915, il conte BERCHTOLD si dimetteva da ministro degli Esteri e gli succedeva l'ungherese barone STEFANO BURIAN. Il principe di Bulow rassicurò la Consulta che con il mutamento del ministro non sarebbe mutata la politica della Ballplatx nei riguardi dell'Italia. In verità il 12 febbraio ricominciarono le trattative tra Roma e Vienna, ma queste non progredirono di un passo, anzi tornarono al punto di partenza, perché il nuovo ministro BURIAN risollevò tutto le obiezioni pregiudiziali che nel dicembre aveva sollevate il suo predecessore e inoltre fece riserve sull'occupazione italiana del Dodecanneso e di Valona in Albania.

Tutto questo servì solo a far ampliare in Italia i movimenti a favore dell'intervento
e fra questi, improvvisamente fare emergere uno dei più accesi interventisti: Benito Mussolini.

Tuttavia il problema intervenire-non intervenire, non era così semplice.
"Che l'Italia non potesse, per il raggiungimento dei suoi fini nazionali, rimanere neutrale indefinitivamente, era chiaro a molti ma non a tutti gli italiani. Però era altrettanto chiaro che, trattandosi di impegnare la nazione a fondo in una lotta per la vita o per la morte, l'Italia doveva essere lasciata giudice della scelta del momento, in cui entrare in azione; questo momento avrebbe dovuto logicamente essere quello, nel quale le sue forze militari fossero pronte. L'Italia invece, venne stretta da un duplice assedio diplomatico da parte dell'Intesa e soprattutto da parte della Alleanza, spinta ad entrare in azione quando l'esercito non era ancora pronto e quando la situazione strategica era in entrambe tutt'altro che favorevole". (Tittoni - Nuovi scritti di politica interna ed estera - in "Fatti e cifre inconfutabili" del generale Marietti - Ediz Ist. Nastro Azzurro, Torino, pag.14).

Il 13 e il 14 marzo 1915 ebbe luogo alla Camera la discussione di un disegno di legge sulla "difesa economica e militare dello Stato"; il 15 la Camera, con 251 voti contro 15 e 1 astenuto, accordò la fiducia al Governo e, con 234 voti favorevoli e 25 contrari, approvò il disegno, che il 20 fu discusso in Senato e approvato con 145 voti favorevoli e 2 contrari. La Camera prese le vacanze il 22 marzo; una settimana dopo le prese anche il Senato.
Lo stesso 29 marzo si svolse a Roma un congresso della "Trento e Trieste" che per il numero e la qualità degli intervenuti e di coloro che aderirono costituì un'affermazione interventista importantissima.
Parlarono BARZILAI, in nome di Trieste aspettante, IVANOE BONOMI per i riformisti, la cui anima, non poteva rifiutarsi "di accogliere la voce del sentimento, i moniti della storia e le speranze dell'avvenire"; poi parlò ENRICO CORRADINI, che in nome dei nazionalisti polemizzò con i neutralisti: "conservatori borghesi e conservatori socialisti, uomini tutti di pancia in un mondo commestibile, pancia borghese e pancia rivoluzionaria, nonché ufficiale" ed espresse l'augurio della liberazione del Trentino, dell'Istria e della Dalmazia; quindi fu approvato all'unanimità il seguente ordine del giorno: "Il convegno indetto dalla "Trento-Trieste", riassumendo le vibrazioni migliori dell'anima italiana attraverso la concordia e la disciplina di cittadini d'ogni regione e d'ogni parte politica, aspetta dal Governo, che ha rivendicato libertà piena, corrispondente a responsabilità illimitate per l'esaudimento delle aspirazioni nazionali, le non troppo tarde decisioni supreme per cui dovranno, con le armi, essere fissati i confini e la grandezza d'Italia".
PEPPINO GARIBALDI infine portò il saluto dei volontari delle Argonne e chiuse dicendo: "Amici, arrivederci a Trieste !".
Terminata la cerimonia, una colonna di alcune migliaia di persone percorse le vie della capitale cantando gl'inni patriottici, si recò poi a far una dimostrazione ostile sotto il palazzo dell'Ambasciata austriaca che a stento fu protetta dalla truppa, ruppe i vetri del Gambrinus, del Norddeutscher Lloyd e del "Popolo Romano" neutralista e si sciolse dopo avere gridato davanti a Palazzo Braschi sotto le finestre del Presidente del Consiglio: "Viva l'Italia! Viva Trieste! Vogliamo la guerra!".


IL GENERALE PORRO NOMINATO SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE
SEGNI FORIERI DELL'INTERVENTO

Alcuni giorni dopo, il 3 aprile, si diffondeva la notizia che il generale CARLO PORRO dei conti di Santa Maria della Bicocca era stato nominato sottocapo dello Stato Maggiore. La nomina di Porro, amico di CADORNA, che nel 1914 aveva rifiutato il ministero della Guerra perché non era stato accettato un suo noto programma richiedente l'impiego di circa 800 milioni, fu considerato come un segno di prossimo intervento anche perché quel giorno stesso il Bollettino Militare pubblicò un vasto movimento negli ufficiali generali. Né questo del resto era il solo segno. Altri si erano avuti, i quali davano al pubblico la sensazione che il Governo si preparava.
Notiamo fra essi la febbrile preparazione militare, il disegno eccezionale per la difesa economica e militare dello Stato, il disegno per il richiamo in servizio d'autorità degli ufficiali di complemento (2 marzo) il decreto che prorogava di 20 giorni la permanenza alle armi dei militari di prima categoria della classe 1888 ascritti all'artiglieria da campagna e pesante campale, dei militari di prima categoria della classe 1881 ascritti agli alpini e dei militari di terza categoria delle classi 1891, 1892, 1893 e 1894 ascritti agli alpini, chiamati alle armi il 28 gennaio (26 marzo), il decreto per il quale erano chiamati alle armi per un periodo di 45 giorni a cominciare dal 7 aprile i militari alpini di prima categoria della classe 1883 (27 marzo), il decreto che trasferiva da Mantova a Venezia il comando dell'artiglieria da fortezza e da Venezia a Mantova il comando della brigata "Puglia" (21 marzo), il decreto che indicava di quali notizie di carattere militare era proibita la pubblicazione (28 marzo), infine il decreto che vietava l'esportazione di ogni genere di navi (3 aprile).

IL GENERALE PAU IN ITALIA

Questi segni, naturalmente, facevano intensificare nel paese la propaganda interventista, che, nell'aprile, si esplicò con manifestazioni clamorose. Il 6 aprile Catania accoglieva con calorosa dimostrazione il generale francese PAU reduce dalla Grecia, il 7 a Genova oltre 25.000 persone ascoltavano la parola di PEPPINO GARIBALDI, dell'on. CANEPA e di COSIMO PALA e andavano davanti al consolato belga ad acclamare all'eroica nazione; l'8 il generale Pau fu accolto con grande entusiasmo dagli interventisti romani.

Una grande manifestazione per l'11 aprile in tutta Italia preparavano intanto "fasci di azione rivoluzionaria". Questi diramavano a Roma il seguente manifesto agli Italiani: "L'ora di agire è maturata. La storia e l'avvenire della Nazione non soffrono ulteriori temporeggiamenti. E proprio in questo momento si fanno più concrete e più gravi le voci di turpi passi che senza produrre l'unità nazionale ci asservirebbero disonorandoci per sempre all'Impero tedesco. E' minacciato il nostro più povero patrimonio di libertà acquisito. Si sta per decidere dei nostri più vitali interessi politici ed economici, nazionali ed internazionali. Mentre nella triste intimità dei Gabinetti si trama la tela di ragno in cui si dovrebbero soffocare le aspirazioni più doverose, giuste e sante del nostro popolo, è dovere di tutti gl'Italiani d'ogni dottrina e di ogni tendenza affermare un'ultima volta solennemente ma fermamente da un capo all'altro della penisola che la guerra ai pirati di Europa, la guerra ad ogni costo contro l'Austria padrona e tormentatrice di genti italiane, e sopratutto contro la Germania rovesciatrice di ogni libertà, deve essere intrapresa.
Bisogna dimostrare che la preparazione ai necessari sacrifici sarà pari alla grandezza dell'impresa. Noi, proprio noi sovversivi, in nome dei rivoluzionari interventisti che ci si raccolgono intorno, lanciamo oggi un ultimo appello a tutti i cittadini, un ultimo monito pacifico al Governo. Dalle vie e dalle piazze delle nostre città, esso, prorompa domenica prossima verso la Reggia e i suoi Ministri. Dopo ciascuno al proprio posto di battaglia. Italiani, a voi !" .

Così concepito era il manifesto del FASCIO MILANESE d'Azione rivoluzionaria:
"Proletari milanesi! per domenica prossima, 11 corr., i Fasci d'Azione Rivoluzionaria, hanno organizzato in tutte le città d'Italia delle manifestazioni popolari per reclamare dal governo della monarchia, insieme con la denuncia dell'infausta Triplice Alleanza, la dichiarazione di guerra agli Imperi Centrali. A Milano la dimostrazione avrà luogo nelle ore serali in Piazza del Duomo. Proletari milanesi! Ascoltate la nostra parola fraterna e sincera. Noi non siamo dei "guerrafondai" né dei nazionalisti. Voi stessi - affollando le assemblee dei Fasci - avete fatto sovrana giustizia di queste stupide calunnie. Nessuno di noi vuole la guerra per la guerra, ma tutti noi, pur militando in frazioni diverse del sovversivismo siamo convinti della necessità indeprecabile della guerra dell'Italia contro l'Austria e contro la Germania. Proletari milanesi! Considerate e riflettete. La neutralità è voluta dalla monarchia che non osa rischiare la Corona, dal Vaticano che vuole conservare l'Austria, dalla borghesia contrabbandiera, dai senatori germanofili, dai venduti all'oro di Bulow, da tutti, insomma, i rappresentanti della conservazione sociale. Fra gli stessi socialisti i favorevoli all'intervento sono moltissimi. Coloro che vi dicono che il proletariato italiano è neutrale mentiscono sfacciatamente. A Parma e a Genova - per citare due città dell'alta Italia - la classe operaia è partigiana della guerra. Volere la guerra non è un delitto di leso socialismo. Da Krapotkine a Malato, da Hyndmann a Plekanoff, da Gaillaume a Cipriani, i migliori e i più devoti militanti della Rivoluzione sociale sono tutti favorevoli ella guerra contro l'Austria e la Germania. Proletari milanesi! Noi vogliamo la guerra per ragioni nazionali, sociali, umane. Finché vi saranno nazioni oppresse e smembrate come la Polonia ed il Belgio, l'Internazionale che noi vagheggiamo sarà un sogno irrealizzabile. L'Austria-Ungheria che opprime otto popoli deve sfasciarsi e gli Italiani di Trento e di Trieste, che furono decimati in Galizia e soffrono in questi giorni dolori inenarrabili, devono tornare all'Italia. Abbandonarli ancora alle feroci rappresaglie austriache, sarebbe un'infamia senza nome. La guerra contro la Germania e l'Austria deve liberare l'Europa dall'incubo del militarismo prussiano. Le ragioni umane del nostro atteggiamento stanno nella convinzione che l'intervento dell'Italia abbrevierà la guerra e risparmierà milioni di giovani vite.
Proletari milanesi! La neutralità è egoismo, è interesse, è calcolo, è cinismo, ma la classe operaia è, deve essere generosa. Il proletariato italiano ha sempre dato la sua solidarietà ai sofferenti e agli oppressi di tutto il mondo. Resterebbe ora sordo dinanzi alla rovina del Belgio? No: non lo crediamo. Ecco perché vi rivolgiamo questo appello. Noi, o proletari, siamo stati al vostro fianco ieri, saremo al vostro fianco domani. Non vi chiediamo voti o stipendi o applausi, non vi lusinghiamo, vi additiamo invece la via del dovere che è anche quella dell'onore. Pensate: se voi non ci aiuterete a spezzare la neutralità del Governo, i vostri fratelli che emigrano saranno domani reietti da tutto il mondo civile. Proletari, venite con noi nelle strade e nelle piazze a gridare basta alla politica mercantile corrompitrice della borghesia italiana e a reclamare la guerra contro gli Imperi responsabili della conflagrazione europea. Viva la guerra liberatrice dei popoli! Il Comitato del Fascio".

LA GIORNATA DELL'11 APRILE
I MANIFESTI DEI FASCI DI AZIONE RIVOLUZIONARIA
UN ARTICOLO DEL " POPOLO D' ITALIA " SULLA DISCIPLINA NAZIONALE

L'11 aprile, giorno della manifestazione popolare, il "Popolo d' Italia" recava un articolo del proprio direttore, intitolato "Disciplina?" in risposta a quanto raccomandava il ministeriale "Giornale d' Italia".

"La disciplina "nazionale" -scriveva MUSSOLINI - c'è stata. Due miliardi sono stati spesi, settecento mila uomini sono sotto alle armi e nessuno ha protestato. Ma ora la disciplina comincia a pericolare. Il popolo che ha atteso, per lunghissimi nove mesi, una parola, oggi non ne può letteralmente più, e domanda e vuol sapere qual destino gli sia riservato, di qual morte deve morire. È umano. Abusare ancora della sua pazienza, sarebbe bestiale. Intanto che cosa fa il Governo? Ci consiglia di mettere il "cuore in pace", ci fa sapere che attende un evento decisivo per muoversi e che l'attesa gioverà a rendere perfetta la nostra preparazione militare. Noi ci domandiamo - esterrefatti - in quale stato di incredibile disorganizzazione doveva trovarsi il nostro esercito nel mese di agosto, se con due miliardi e nove mesi non siamo ancora "al punto".
O l'impreparazione è una scusa per le interrogazioni diplomatiche - O è annunciata per reclamare nuovi miliardi- Quanto al fatto decisivo, che tutti aspettano e che non viene mai, non ha dunque considerato il Governo la verità di questa proposizione fondamentale: che il miglior modo per rendere un fatto decisivo" è quello di contribuire a crearlo- Przemysl "pareva un fatto decisivo, adesso il fatto decisivo sarebbe costituito dalla ormai avvenuta traversata dei Carpazi da parte dei russi. Ma non è intuitivo che se domani le baionette italiane si affacciassero alle frontiere austriache, si faciliterebbe l'invasione dei russi in Ungheria, e si sarebbe compartecipi del "fatto decisivo", impedendo anche una precipitosa pace nutro-russa ? Noi siamo indotti a sospettare che l'eventualità di una pace austro-russa lusinghi i nostri diplomatici e i nostri governanti. Se la Germania da una parte e la Triplice Intesa dall'altra acconsentono a una pace separata austro-russa, i nostri diplomatici farebbero il loro gioco e raggiungerebbero il loro obiettivo che è quello della piccola guerra soltanto contro l'Austria. Se la Germania -, dopo una pace austro-russa si disinteressa dell'Austria-Ungheria - la Germania si disinteresserà allo stesso modo di una guerra dell'Italia contro l'Austria, guerra che, non coinvolgendo la Germania, renderebbe ancora possibile una collaborazione diplomatica italo-tedesca.
Con la Serbia è facile raggiungere un accordo particolare. Sono ipotesi, eventualità, ma questa incertezza perdurante rende legittimo ogni sospetto e, fra poco, ogni esasperazione. Noi restiamo quindi sordi agli appelli per la disciplina nazionale. Per esigere la "disciplina" di un popolo nel secolo XX, bisogna "illuminarlo". Noi "indisciplinati" abbiamo la coscienza di avere assolto a un nobilissimo dovere patriottico. Rendendo popolare la necessità della guerra, noi abbiamo contribuito a creare il morale delle truppe che dovranno combattere domani. Gli "interventisti" disseminati nella compagine dell'esercito, saranno di sprone agli altri e saranno i migliori soldati perché sapranno la "ragione" della guerra. Data la compagine prevalentemente "rurale" dell'esercito italiano, questa infusione di elementi idealisti avrà, senza dubbio, benefiche ripercussioni sull'esito della guerra. I nostri propositi sono chiari. D'ora innanzi noi accettiamo una sola disciplina: quella della guerra. Se il generale Cadorna non dirà la parola che attendiamo, l'Italia sarà fatalmente in sanguinata dalla guerra civile".

Il giorno prima lo stesso giornale aveva pubblicato una dichiarazione redatta a Roma in un convegno, in cui avevano partecipato persone appartenenti a tutte le gradazioni del rivoluzionarismo italiano. Essa portava, fra le altre, le firme di BENITO MUSSOLINI, MARIA RYGIER, LIVIO CIARDI, ALCESTE DE AMBRIS, UBALDO COMANDINI, MICHELE BIANCHI, ATTILIO LONGONI, OLIVIERO OLIVETTI, LIBERO TANCREDI e GIOVANNI MARINELLI e diceva:

"All'intervento .... - che non può esplicarsi altrimenti che con la rottura violenta della Triplice Alleanza e la guerra contro gl'Imperi Centrali a fianco della Triplice Intesa - noi siamo pronti a dare tutto il nostro appoggio, accettando di condividerne la responsabilità nella forma più leale: diciamo cioè che, qualora la monarchia dichiari la guerra che noi auspichiamo, sentiremo il dovere collettivo di continuare fino a vittoria raggiunta nella tregua rivoluzionaria, ed il dovere personale di accorrere sui campi di battaglia per offrire il nostro sangue alla causa della libertà dei popoli contro il militarismo teutonico. Ma con eguale franchezza diciamo che né sangue, né tregua possiamo promettere per ogni azione che la monarchia avesse in animo di svolgere compromettendo l'Italia nelle viltà e nelle speculazioni tristi di una politica obliqua e usuraia. La grave responsabilità della guerra può essere da noi accettata soltanto per altissime ragioni ideali (la rivendicazione dei diritti di tutte le nazionalità) e per la necessità di abbattere un ostacolo formidabile al progresso umano (il militarismo tedesco): ben altro contegno ci detta l'eventualità che l'Italia ufficiale abbia a fare il giuoco della Germania con qualche diversivo sostanzialmente ostile alla Triplice Intesa. In questo caso, non l'opposizione passiva, ma la più vivace opposizione attiva di tutte le nostre forze ci si imporrebbe come un dovere assoluto. E lo stesso dovere noi compiremmo anche contro ogni mercato della nostra neutralità a base di compensi territoriali.
Noi diciamo che la sola neutralità onesta - anche se imbelle - è quella che non chiede di essere pagata. La neutralità che specula sui conflitti, nei quali gli altri profondono sangue e ricchezza, è la neutralità di Sylock. Un popolo non può ricavare da una simile politica usuraia che odio e disprezzo, entrambi ben meritati. Perciò se anche le trattative avviate da Bulow potessero darci - cosa impossibile - i più larghi compensi territoriali, noi affermeremo per sempre la nostra decisa ed assoluta opposizione all'ignobile traffico dell'onore italiano, separando fin da ora la responsabilità nostra da una simile vergogna che dovrà pesare tutta intera ed esclusivamente sulla monarchia restando a noi il compito di fargliela scontare con la più sollecita severità. Questo anche nel caso non difficile che la baratteria venisse dissimulata con una finzione di guerra sul tipo di quella che nel 1866 ci coprì d'onta e di ridicolo".

Quella dell'11 aprile fu, in tutta Italia, una giornata "calda". Il Governo cercò di impedire che i comizi indetti dagli interventisti avessero luogo; ma avvennero lo stesso e provocarono immancabili tumulti. A Roma si ebbero conflitti con la forza pubblica in piazza della Pilotta e in piazza dell'Esedra e furono tratti in arresto BENITO MUSSOLINI, F. T. MARINETTI e ARTURO VELLA, segretario del Partito Socialista Ufficiale.
Tafferugli si ebbero a Napoli; violente dimostrazioni a Firenze con legnate e colpi di rivoltella e l'arresto di parecchi, fra cui DECIO CANZIO; chiassate e conflitti e arresti a Torino, ad Ancona, a Venezia, a Verona, a Siena; ferimenti si ebbero a Parma; colluttazioni violente a Milano con l'uccisione di un operaio; a Brescia la commemorazione delle Dieci giornate si trasformò in manifestazione interventista, significativa per la compostezza e la solennità e per l'intervento di liberali, democratici, massoni, cattolici, di rappresentanze delle scuole, dei corpi municipali della provincia e dell'esercito e di un folto gruppo di irredenti e di senatori e deputati.

GLI INTERVENTISTI RIVOLUZIONARI E LA MONARCHIA
UN CONVEGNO DEI PARTITI INTERVENTISTI MILANESI L'AGITAZIONE DEGLI STUDENTI

Il 13 aprile in una riunione dei partiti interventisti milanesi, nella quale parlarono l'avv. LUZZATTO, il prof. GIUSEPPE RICCHIERI ed altri, fu approvato per acclamazione il seguente ordine del giorno:

"I soci e aderenti delle Società e Gruppi: Democratica lombarda, Lega nazionale italiana, Partito socialista riformista, Unione liberale democratica, Segretariato radicale lombardo, Gruppo liberale Nazionale, Società Patria per Trento e Trieste, Comitato lombardo per l'azione dell'Italia nel conflitto europeo; riuniti in assemblea comune il 13 aprile 1915, riaffermano l'imprescindibile necessità dell'intervento dell'Italia nel conflitto europeo; ritenuto essere ormai tempo di porre fine all'attuale situazione, la quale prolungandosi aumenterebbe il disagio morale all'interno, diminuirebbe il prestigio della Nazione all'Estero, ne determinerebbe l'isolamento politico; ritenuto che l'intervento dell'Italia nell'attuale momento farebbe indubbiamente decidere le sorti del conflitto e le procurerebbe oltre al raggiungimento degli ideali nazionali, l'onore di avere affrettata la vittoria della giustizia e della civiltà; ritenuto che, all'opposto, l'indecisione del Governo in questo momento cagionerebbe irreparabile pregiudizio agli interessi della Patria ed al suo avvenire, e di fronte a ciò il Paese insorgerebbe; affermano solennemente la solidarietà dei diversi sodalizi interventisti in tali idee e propositi; deliberano d'intensificare la propaganda nel popolo per elevare il sentimento patriottico e prepararlo alle supreme decisioni, di esprimere direttamente al Governo, a mezzo del Consiglio federale, la decisa volontà dei sodalizi federati".

Ma oramai i platonici voti dei partiti e delle associazioni erano soffocati dalle dimostrazioni, dai comizi e dai tumulti della parte più irrequieta degli interventisti; anche gli studenti universitari medi tumultuavano scagliandosi contro l'insegnamento di professori stranieri o germanofili o neutralisti e li confortava nell'agitazione l'autorevole voce del senatore MARAGLIANO, rettore dell'università genovese. Che affermava pubblicamente: "Le Università italiane siano degli Italiani".
Si respirava aria di guerra, i canti del Risorgimento risuonavano nelle vie di ogni città; notizie di incidenti alla frontiera austriaca, veri o inventati, eccitavano gli animi; Peppino Garibaldi fu ricevuto dal Re e gli chiedeva di poter costituire un corpo di volontari; correva voce che l'Italia sarebbe uscita dalla neutralità alla prossima riapertura del Parlamento e intanto tramontava l'aprile e s'avvicinava a gran passi il 5 maggio, nel qual, giorno Gabriele d'Annunzio, esule volontario in Francia, aveva promesso di fare ritorno in patria per esaltare, davanti al monumento ai Mille che doveva inaugurarsi a Quarto, la leggendaria impresa garibaldina e spingere alla nuova più grande impresa l'Italia.

I NEGOZIATI FRA L'ITALIA E L'AUSTRIA-UNGHERIA
LE RICHIESTE ITALIANE E LE TERGIVERSAZIONI DI VIENNA
IL GOVERNO ITALIANO TRATTA CON L'INTESA
NUOVE PROPOSTE DI BULOW E DI BURIAN
LE CONTROPROPOSTE ITALIANE

Parve, verso la metà di febbraio, che i negoziati italo-austriaci dovessero esser troncati. Il 12 di quel mese SONNINO faceva comunicare al Governo austro-ungarico dall'ambasciatore a Vienna quanto segue:
"Di fronte al contegno persistentemente dilatorio a nostro riguardo, non è possibile ormai nutrire più alcuna illusione sull'esito pratico delle trattative. Onde il Regio Governo si trova costretto, a salvaguardia della propria dignità, ritirare ogni sua proposta o iniziativa di discussione e a trincerarsi nel semplice disposto dell'art. 7, dichiarando che considera come apertamente contraria all'articolo stesso qualunque azione militare che volesse muovere da oggi in poi l'Austria-Ungheria nei Balcani sia contro la Serbia, sia contro il Montenegro o altri, senza che sia avvenuto il preliminare accordo richiesto dall'art. 7.
Non ho bisogno di rilevare che se di questa dichiarazione e del disposto art. 7 il Governo austro-ungarico mostrasse con il fatto di non voler tenere il dovuto conto, ciò potrebbe portare a gravi conseguenze delle quali questo Regio Governo declina fin da ora ogni responsabilità".

Anzi, qualche giorno dopo, SONNINO incaricava il duca d' AVARNA di dichiarare al barone BURIAN che la su riferita comunicazione aveva il preciso significato di un veto apposto dall'Italia ad ogni azione militare austriaca nei Balcani prima che si fosse verificato l'accordo sui compensi giusta l'art. 7 del trattato della Triplice Alleanza.
Nonostante il rifiuto del barone Burian di ammettere il punto di vista italiano, i negoziati continuarono. Il 4 marzo il ministro Sonnino riassumeva così il suo pensiero:

"1°. Nessuna azione militare dell'Austria-Ungheria nei Balcani deve potersi iniziare senza che sia stato antecedentemente portato a termine l'accordo sui compensi, tenendoci noi rigorosamente al testo dell'art. 7.
2°. Ogni infrazione di quanto sopra sarà da noi considerata come un'aperta violazione del trattato, di fronte alla quale l'Italia riprende la sua piena libertà d'azione a garanzia dei propri diritti e interessi.
3°. Nessuna proposta o discussione di compensi può condurre ad un accordo se non prospetta la cessione di territori già posseduti dall'Austria-Ungheria.
4°. Valendoci del disposto dell'art. 7, esigiamo compensi per il fatto stesso dell'inizio di un'azione militare dell'Austria-Ungheria nei Balcani, indipendentemente dai risultati che tale azione abbia a raggiungere; non escludendo però che si possano stipulare altri compensi sotto forma condizionale e proporzionali ai vantaggi che effettivamente l'Austria-Ungheria riesca a conseguire.
5°. Quella quota fissa di compensi che serve di corrispettivo per l'inizio stesso dell'azione militare indipendentemente dai risultati, dovrà, anziché tenersi segreta, essere portata ad effetto, con il trapasso effettivo dei territori ceduti e l'occupazione loro immediata per parte dell'Italia.
6°. Non ammettiamo alcuna discussione di compensi da parte nostra per l'occupazione del Dodecaneso e di Valona".

Le pressioni di Berlino inducevano BURIAN a dichiarare, il 9 marzo, che il Governo austro-ungarico consentiva a discutere la questione dei compensi sulla base proposta dall'Italia, e allora il Sonnino proponeva i punti di partenza da chiarire preventivamente e cioè:

1° assoluto segreto dei negoziati;
2° esecuzione immediata dell'accordo;
3° l'accordo doveva investire l'intera durata della guerra.

BURIAN però si rifiutava recisamente di dar esecuzione all'accordo e il Governo italiano, non nutrendo più fiducia nei negoziati e convinto che con questi l'Austria si serviva soltanto per guadagnare tempo, ritenne necessario di trattare con l'Intesa. I primi approcci furono fatti con l'Inghilterra.
Il 4 marzo il marchese IMPERIALI, ambasciatore italiano a Londra, comunicò a sir EDWARD GREY che l'Italia era disposta a scendere in campo a fianco della Triplice Intesa, e gli consegnò un memorandum in cui erano enumerate e spiegate le condizioni alle quali l'Italia avrebbe partecipato alla guerra.
Il Governo italiano chiedeva: che la Francia, l'Inghilterra, l'Italia e la Russia, non avrebbero dovuto concludere la pace o l'armistizio separatamente; la Russia avrebbe dovuto continuar la guerra contro l'Austria-Ungheria; all'Italia sarebbero stati dati il Trentino fino al Brennero, Trieste e l'Istria fino al Volosca, con l'isola di Cherso, la Dalmazia tra Fiume (esclusa, questa andava alla Croazia) e il Narenta con tutte le isole a nord e ad est della stessa Dalmazia, Valona dal Vojussa al Chimara, l'isola di Saseno, il Dodecaneso, compensi in Africa se l'Intesa si fosse appropriate le colonie tedesche, compensi in Turchia se l'impero ottomano fosse stato diviso, diritto di occupare Adalia e il territorio circostante se fosse stata occupata l'Asia Minore; la Santa Sede sarebbe stata esclusa dai negoziati di pace; l'Italia avrebbe eventualmente consentito al Montenegro, alla Serbia e alla Grecia di acquistar territori in Albania purché il rimanente territorio fosse eretto in Stato mussulmano indipendente e neutrale e fosse neutralizzata la costa da Cattaro al Vojussa e dal Chimara al Capo Stylos.

A questi patti l'Italia s'impegnava di scendere in campo entro il 25 maggio contro l'Austria, la Turchia e gli altri nemici dell'Intesa, eccettuata la Germania e anche questa se gli eserciti tedeschi avessero aiutato direttamente gli austriaci contro l'Italia.
Il 10 marzo sir EDWARD GREY comunicò a PAUL CAMBON e al conte BENCKENDORF, ambasciatori della Francia e della Russia, il "memorandum" italiano e non mancò di fare rilevare l'importanza dell'aiuto dell'Italia, sia dal lato militare che dal lato politico. I due ambasciatori presero visione dei patti del Governo italiano e risposero che li avrebbero comunicati a Parigi e a Pietroburgo.

PROPOSTA AUSTRIACA PER LA CESSIONE DEL TRENTINO
IL TRATTATO DI LONDRA

Benché non progredissero di un passo, i negoziati italo-austriaci intanto continuavano, aiutati dal principe di BULOW, il quale, il 20 marzo, era fiducioso di superare la difficoltà poste dal rifiuto ostinato di BURIAN dell'immediata esecuzione dell'accordo, comunicando a SONNINO che il Governo tedesco lo aveva incaricato di dichiarare che la Germania assumeva di fronte all'Italia la piena ed intera garanzia che la convenzione da concludersi fra i due Governi italiano ed austro-ungarico sarebbe stata eseguita fedelmente e lealmente dopo la conclusione della pace.
Il Governo italiano non fece buon viso alla dichiarazione germanica, ma poiché da Londra tardavano a giungere notizie intorno alla nostra offerta, SONNINO disse che non avrebbe insistito sulla condizione dell'esecuzione immediata se l'Austria avesse fatto proposte precise e concrete.

Le proposte BURIAN le fece il 27 marzo:
"L'Italia s'impegnerebbe a osservare fino alla fine della guerra attuale verso l'Austria-Ungheria e i suoi alleati una neutralità benevola dal punto di vista politico ed economico; in quest'ordine d'idee l'Italia si obbligherebbe inoltre per tutta la durata della guerra attuale a lasciare all'Austria-Ungheria piena e intera libertà d'azione nei Balcani e a rinunziare in anticipazione a qualsiasi nuovo compenso per i vantaggi territoriali o altri che risulterebbero
eventualmente per l'Austria-Ungheria da tale libertà d'azione.
Questa stipulazione però non si estenderebbe all'Albania, rispetto alla quale l'accordo esistente fra l'Austria-Ungheria e l'Italia, nonché le decisione della riunione di Londra, rimarrebbero in vigore".

Il duca d'AVARNA, che comunicava tali proposte, aggiungeva: "Il barone BURIAN mi ha fatto quindi conoscere che dal suo lato l'Austria-Ungheria sarebbe pronta ad una cessione di territori nel Tirolo meridionale, compresa la città di Trento. La delimitazione particolareggiata sarebbe fissata in modo da tener conto delle esigenze strategiche che creerebbe per la Monarchia una nuova frontiera, e dei bisogni economici delle popolazioni".

Ma Sonnino dichiarava vaghe, incerte ed insufficienti, come base di negoziati le proposte di BURIAN, in quanto che "non soddisfacevano abbastanza le aspirazioni nazionali, non miglioravano in modo apprezzabile le condizioni militari italiane e non rappresentavano un compenso adeguato alla libertà d'azione nei Balcani all'Austria".

Nel frattempo, il 20 marzo il ministro inglese GREY rimetteva al marchese Imperiali un "memorandum" in cui dichiarava che l'Intesa era disposta ad accettare in linea di massima le proposte italiane, ma che l'Italia doveva rivedere il suo disegno riguardo all'Adriatico, poiché "la domanda italiana della Dalmazia, unita alla proposta di neutralizzare una larga parte della carta orientale adriatica e la pretesa delle isole del Quarnaro lasciavano alla Serbia opportunità e condizioni molto ristrette per il suo accesso al mare, e rimaneva chiusa nelle sue province jugoslave, che avevano con ragione guardato a questa guerra come a quella che avrebbe assicurato loro le legittime aspirazioni di espansione e di sviluppo di cui erano state fino allora private".

L'ambasciatore italiano insisteva nelle richieste, dichiarando che non avrebbe giovato all'Italia combattere per sostituire nell'Adriatico la supremazia austriaca a quella jugoslava; ma la Francia e la Russia difendevano apertamente gl'interessi serbi e l'Inghilterra, sebbene fosse d'avviso che le esigenze italiane fossero grandi e andassero ridotte, consigliava i Governi alleati a non insistere su questo punto qualora l'Italia aderisse alla "dichiarazione di Londra" del 5 settembre 1914, per la quale le potenze dell'Intesa si erano impegnate a fare insieme la guerra e la pace.
Il marchese IMPERIALI dichiarò che l'Italia avrebbe aderito alla "dichiarazione di Londra" e, il 29 marzo, consegnò a sir EDWARD GREY un "memorandum" in cui le richieste italiane circa il confine meridionale della Dalmazia erano alquanto ridotte. Il 30, dietro richiesta del ministro degli Esteri inglese, l'ambasciatore italiano presentò un terzo "memorandum" riducendo ancora le richieste dell'Italia, e, dichiarando che quello era l'ultimo testo, chiese una sollecita risposta.

Duravano intanto i negoziati con Vienna. Il 2 aprile BURIAN spiegava quali concessioni territoriali l'Austria intendesse fare all'Italia e cioè:
"i distretti (Politische Bezirke) di Trento, Rovereto, Riva, Tione (ad eccezione di Madonna di Campiglio e dei suoi dintorni) nonché il distretto di Borgo. Nella vallata dell'Adige il confine rimonterebbe fino a Lavis che resterebbe all'Italia". (Lavis è situato a 8 chilometri a nord di Trento - Ndr)

Richiestone dal barone Burian, Sonnino, l'8 aprile, formulava, le seguenti controproposte:
"1°. L'Austria-Ungheria cede all'Italia il Trentino con i suoi confini che ebbe il Regno italico nel 1811, cioè dopo il trattato di Parigi del 28 febbraio 1810.
2°. Si procede ad una correzione a favore dell'Italia del suo confine orientale, restando comprese nel territorio ceduto le città di Gorizia e Gradisca. Da Trogofel il confine nuovo si stacca dall'attuale volgendo ad oriente fino all'Osterning e di là scende dalle Carniche fino a Saifiniz. Indi per il contrafforte tra Seisera e Schilza sale al Wirsehberg e poi torna a seguire il confine attuale fino alla sella di Nevea, per scendere dalle falde del Rombone fino all'Isonzo passando ad oriente di Plezzo. Segue poi la linea dell'Isonzo fino a Tolmino, dove abbandona l'Isonzo per seguire una linea più orientale, la quale passando ad est dell'altipiano Pregona-Planina e seguendo il solco del Chiapovano, scende ad oriente di Gorizia ed attraverso il Carso di Comen termina al mare tra Monfalcone e Trieste nella prossimità di Nabresina.
3°. La città di Trieste con il suo territorio, che verrà esteso al nord fino a comprendere Nabresina, in modo da confinare con la nuova frontiera italiana (art. 2) e al sud tanto da comprendere gli attuali distretti giudiziari di Capo di Istria e Pirano, saranno costituiti in uno Stato autonomo e indipendente nei riguardi politici internazionali militari, legislativi, finanziari e amministrativi, rinunziando l'Austria-Ungheria ad ogni sovranità su di esso. Dovrà restare porto franco. Non vi potranno entrare milizie né austro-ungariche né italiane. Esso si assumerà una quota parte del Debito Pubblico austriaco in ragione della sua popolazione.
4°. L'Austria-Ungheria cede all'Italia il gruppo delle isole Curzolari, comprendendo Lissa (con gli isolotti vicini di Sant'Andrea e Busi), Lesina (con le Spalmadori e Torcola), Curzola, Lagosta (con gli isolotti e scogli vicini), Cazza e Meleda, oltre Pelagosa.
5°. L'Italia occuperà subito i territori ceduti (art. 1°, 2° e 4°) e Trieste e suo territorio (art. 3°) saranno sgombrati dalle autorità e dalle milizie austro-ungariche, con congedamento immediato dei militari di terra e di mare che provengono da quelli e da questa.
6°. L'Austria-Ungheria riconosce la piena sovranità italiana su Valona e sua baia compreso Saseno, con quanto territorio dell'Hinterland si richieda per la loro difesa.
7°. L'Austria-Ungheria si disinteressa completamente dell'Albania compresa entro i confini tracciati dalla conferenza di Londra.
8°. L'Austria Ungheria concederà completa amnistia e l'immediato rilascio di tutti i condannati e processati per ragioni militari e politiche provenienti dai territori ceduti (art.1°, 2° e 4°) e sgombrati (art.3°).
9°. Per la liberazione dei territori ceduti (art. 1°, 2° e 4°) dalla loro quota parte di obbligazione del Debito Pubblico austriaco o austro-ungarico, nonché del Debito per pensioni ai cessati funzionari imperiali e reali e contro l'integrale ed immediato passaggio al Regno d'Italia di ogni prosperità demaniale, mobile, meno le armi, che si trovano nei territori stessi, e a compenso di ogni diritto dello Stato riguardante detti territori in quanto vi si riferiscono sia pel presente sia per l'avvenire, senza eccezione alcuna, l'Italia pagherà all'Austria-Ungheria la somma capitale in oro di 200 milioni di lire italiane.
10°. L'Italia s' impegna a mantenere una perfetta neutralità durante tutta la presente guerra nei riguardi dell'Austria-Ungheria e della Germania.
11°. Per tutta la durata della presente guerra l'Italia rinuncia ad ogni facoltà di invocare ulteriormente a proprio favore le disposizioni dell'art. 7 del Trattato della Triplice Alleanza; e la stessa rinunzia fa l'Austria-Ungheria per quanto riguardi l'avvenuta occupazione italiana delle isole del Dodecaneso".

Il 16 aprile BURIAN respinse le proposte italiane e fece una proposta per la cessione del Trentino. Secondo questa nuova proposta la nuova linea di confine, partendo dall'attuale frontiera presso Zufallspitze, seguirebbe lo spartiacque tra il Noce e l'Adige fino all'Illmespitze; passerebbe ad ovest di Proveis (che rimarrebbe al Tirolo), raggiungerebbe il torrente Pescara, ne seguirebbe il thalweg fino alla confluenza col Noce, da cui si distaccherebbe il confine settentrionale dal distretto di Mezzolombardo e raggiungerebbe l'Adige a sud di Salorno. La linea salirebbe sul Gelesberg, seguirebbe lo spartiacque tra la valle dell'Avisio per il Castiore e si dirigerebbe verso l'Hornspitze e il Monte Comp; volgerebbe quindi a sud ed, evitando il comune di Altrei, risalirebbe fino al colle di S. Lugano; seguirebbe lo spartiacque tra le vallate dell'Avisio e dell'Adige passerebbe per la cima di Rocca e il Grimmjoch fino al Latemar; discenderebbe verso l'Avisio e, tagliatolo tra Moena e Forno, risalirebbe verso lo spartiacque tra le vallate di San Pellegrino e Travignolo, e raggiungerebbe il confine attuale a est della cima di Bocche.

Naturalmente non era più il caso di continuare le trattative con l'Austria-Ungheria, sia perché questa mostrava chiaramente di non volerle condurre a termine, sia perché quelle avviate con l'Intesa stavano per concludersi felicemente.
E si conclusero infatti con il Trattato di Londra, del 26 aprile 1915, firmato da sir EDWARD GREY, da JULES CAMBON, dal marchese IMPERIALI e dal BENCHENDORFF. In esso l'Italia s'impegnava di entrare in guerra entro un mese e non oltre il 26 maggio coerentemente all'impegno delle potenze dell'Intesa di aiutare con tutte le loro forze, per terra e per mare, l'Italia a conseguire, i suoi scopi territoriali. Alla fine della guerra l'Italia riceverebbe: il Trentino fino al Brennero; Trieste e suoi dintorni; le contee di Gorizia e di Gradisca; tutta l'Istria fino al Quarnaro, comprese Valosca, Cherso e Lussin e le altre minori isole; tutta la Dalmazia nella sua attuale estensione aggiungendovi a nord Lissarika e Trebinga, a sud i territori fino a una linea che partendo dalle vicinanze del capo Planka e seguendo gli spartiacque, lascerebbe all'Italia tutte le valli le cui acque sboccano presso Sebenico; e più tutte le isole a nord e ad ovest della costa dalmatica; Valona e Saseno. L'Italia acconsentiva che alcuni distretti adriatici fossero concessi alla Croazia, alla Serbia e al Montenegro e cioè tutta la costa del golfo di Valona presso la frontiera italiana fino alla frontiera della Dalmazia, comprendente la costa attualmente appartenente all'Ungheria, la costa croata, il PORTO DI FIUME, i porti di Nevi e di Carlopago e le isole di Veglia, Perukio, Gregorio, Kali e Arbe. Il porto di Durazzo potrebbe essere assegnato al piccolo Stato autonomo albanese di cui l'Italia dirigerebbe le relazioni estere.

Desiderandolo le potenze della Intesa, l'Italia non si opporrebbe alla spartizione tra il Montenegro, la Serbia e la Grecia dell'Albania settentrionale e meridionale. Inoltre l'Italia consentiva che si neutralizzassero le isole a lei non attribuite, tutta la costa dal capo Planka alla penisola di Sabbioncello, una parte della costa, a partire da dieci chilometri a sud di Ragusa vecchia fino al fiume Vojussa a sud, in modo da comprendere nella zona neutralizzata tutto il golfo di Cattaro coi suoi porti Antivari, Dulcigno, San Giovanni di Medua e Durazzo. All'Italia si riconoscerebbe il pieno dominio del Dodecaneso. Se durante la guerra le potenze dell'Intesa occupassero distretti dell'Asia turca, l'Italia potrebbe occupare il distretto di Adalia.
L'Italia concorrerebbe all'indennità in proporzione ai suoi sforzi e sacrifici. Qualora i possessi coloniali francesi e inglesi in Africa si accrescessero con territori tolti alle colonie tedesche, la Francia e l'Inghilterra riconoscerebbero all'Italia il diritto di estendere i suoi possessi dell'Eritrea, della Somalia e della Libia sui confinanti territori delle colonie francesi ed inglesi. In corrispettivo dei vantaggi assicuratile e in considerazione degli accordi stipulati, l'Italia s'impegnava a condurre la guerra con tutte le sue forze a fianco dei tre alleati e contro gli Stati in lotta con essi.

Lo stesso 26 aprile gli ambasciatori italiano, russo e francese e il ministero degli esteri inglesi firmavano alcune dichiarazioni del trattato. Con una di esse l'Italia si associava alla dichiarazione fatta dalla Francia, dall'Inghilterra e dalla Russia di lasciare l'Arabia e i Luoghi Santi dell'Islamismo sotto uno Stato musulmano indipendente; con un'altra dichiarazione la Francia, la Russia e l'Inghilterra s'impegnavano a sostenere l'Italia per impedire che la Santa Sede svolgesse azione diplomatica per la conclusione della pace e per la sistemazione delle questioni connesse con la guerra; con altra dichiarazione i governi italiano, inglese, francese e russo s'impegnavano mutualmente a non concludere armistizi e pace separate durante la guerra e, convenivano che, giunto il tempo,di discutere i termini della pace, nessuna potenza alleata poteva porre condizioni senza preventivo accordo con ciascuno degli altri alleati; infine con un'altra dichiarazione veniva stabilito quanto segue:

"La dichiarazione del 26 aprile 1915, con la quale la Francia, la Gran Bretagna, l'Italia e la Russia si impegnavano a non concludere pace separata, durante l'attuale guerra europea, rimarrà segreta. Dopo la dichiarazione di guerra da parte dell'Italia o contro di essa, le quattro potenze firmeranno una nuova dichiarazione identica, che sarà resa pubblica in quel momento".

IL GOVERNO ITALIANO DENUNCIA IL TRATTATO D'ALLEANZA FRA L'ITALIA E L'AUSTRIA-UNGHERIA

Così si concludevano le trattative tra l'Italia e l'Intesa e terminavano quelle con l'Austria-Ungheria, nelle quali nulla avevano potuto l'abilità e le aderenze di BULOW, la furberia da sensale del deputato cattolico ERZBERGER, tutta la buona volontà di MACCHIO e del duca d'AVARNA e infine il gran numero dei neutralisti italiani. Il 3 maggio, l'on. SONNINO incaricava l'ambasciatore italiano a Vienna di presentare al barone BURIAN una comunicazione, la quale rimproverando all'Austria la violazione del trattato della Triplice e ricordando gli sforzi del Governo italiano di creare una situazione favorevole al ristabilimento tra i due Stati di quei rapporti amichevoli che costituiscono la base essenziale di ogni cooperazione nel terreno della politica generale, terminava così:

"Tutti gli sforzi del Regio Governo s' infransero nella resistenza del Governo Imperiale, che dopo parecchi mesi, si è soltanto deciso ad ammettere gli interessi speciali dell'Italia a Valona e a promettere una concessione non sufficiente di territori nel Trentino, concessione che non comporta il regolamento normale della situazione né dal punto di vista etnico né dal punto di vista politico o militare. Questa concessione inoltre non doveva essere eseguita che ad epoca indeterminata, alla fine della guerra. In questo stato di cose il Governo italiano deve rinunciare alla speranza di giungere ad un accordo e si vede costretto a ritirare tutte le sue proposte. È egualmente inutile mantenere all'alleanza un'apparenza formale, la quale non sarebbe destinata che a dissimulare la realtà di una diffidenza continua e di contrasti quotidiani.
Perciò l'Italia, fidando nel suo buon diritto, afferma e proclama di riprendere da questo momento la sua intera libertà d'azione e dichiara annullato e ormai senza effetto il suo trattato d'alleanza con l'Austria-Ungheria".



... intanto l'interventismo montava, poeti e giornalisti si esaltavano
e più di ogni altro Gabriele D'Annunzio....

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