ANTISEMITISMO - Una devianza dell'umanità
Prima di Hitler, a Siena li scannavano ancora nel 1799, 
e a Napoli esiste ancora il vicolo "scannagiudei"

 

EBREI 
CALUNNIATI
DISPREZZATI
SFRUTTATI
GHETTIZZATI
 

MASSACRATI
PER
2000 ANNI

di Marco Paganoni

I soldati della Decima Legione "Fretensis" che, in un giorno d’estate dell’anno 70 d.C., agli ordini di Tito Flavio, figlio dell’imperatore Vespasiano, dopo lunghi mesi di assedio fecero irruzione nella città di Gerusalemme mettendola a ferro e fuoco e distruggendone l’antico Tempio ebraico, non potevano certo immaginare quanto profonde e durature sarebbero state le conseguenze di quella che, ai loro occhi, doveva sembrare niente più di una semplice vittoria militare. Quattro anni prima, i giudei che abitavano in quella remota provincia dell’Impero si erano rivoltati contro Roma. E Roma aveva reagito da par suo, combattendoli con tenace determinazione fino a sconfiggerli sin dentro la loro capitale. Infrante le loro ambizioni, cancellati i simboli della loro indipendenza, i ribelli sarebbero stati uccisi o deportati, quella piccola nazione cancellata dalla faccia della terra e l’intera faccenda definitivamente conclusa.

Non andò così. Il popolo ebraico – che cinque secoli prima aveva forgiato gran parte della propria identità religiosa e culturale, oggi diremmo del suo "immaginario collettivo", nei cinquant’anni di cattività babilonese – si presentava come un gruppo umano particolarmente ben attrezzato, culturalmente e teologicamente, ad affrontare la dura prova della perdita dell’indipendenza politica, dell’esilio e della dispersione. Con l’avvio della grande elaborazione rabbinico-talmudica, infatti, l’ebraismo seppe dotarsi di una sorta di "ideologia dell’esilio" capace di preservare nel tempo, per secoli, e nella dispersione geografica un’originale concezione di sé e del proprio ruolo nella storia, e di interpretare il disastro nazionale – e le tragedie che sarebbero seguite – non come sconfitte e smentite, ma come motivi di conferma e di rinnovata attesa messianica.

In quello stesso anno 70, un altro gruppo di abitanti dell’Impero – destinato come pochi altri a giocare un ruolo centrale nella storia umana – contemplava con occhi ben diversi la distruzione di Gerusalemme e del Tempio. Per i primi cristiani, la violenta cancellazione dell’intero contesto culturale, religioso e sociale che aveva fatto da sfondo all’avvento di Gesù e che avrebbe dovuto vedere il suo ritorno "nel tempo della nostra vita", l’apparente sconfitta, quindi, di tante profezie e, soprattutto, la fine della Chiesa di Gerusalemme, travolta dalle sorti della guerra giudaica, ponevano problemi formidabili che rendevano necessaria una radicale rielaborazione del proprio pensiero e della propria dottrina.

"La vittoria sulla Giudea ribelle – scrive lo studioso Cesare Mannucci – viene celebrata a Roma con trionfi spettacolari; tutti i giudei, anche i più quietisti, appaiono sospettabili di scarsa lealtà verso l’Impero; tanto più sono esposti a questo rischio circoli messianici come quelli per i quali il chistos è Gesù. Si pone allora per i cristiani, che sono in grande maggioranza di provenienza gentile [cioè, non ebrei], il problema di distinguersi dai giudei, offrendo di se stessi l’immagine più rassicurante possibile. Il primo tentativo in questo senso viene fatto a Roma, dove le conseguenze della guerra giudaica si fanno particolarmente sentire; e a compierlo è colui che viene indicato con il nome di Marco, il quale viene incontro alle specifiche esigenze della congregazione cristiana di Roma con una nuova narrazione della vita e della morte di Gesù".

LA "QUESTIONE GESÚ" 

Anche nella capitale dell’Impero era ormai risaputo che, una quarantina d’anni prima, nella remota Gerusalemme le autorità romane avevano messo a morte per crocifissione un predicatore ebreo di nome Gesù accusato di sedizione, e il fatto non poteva essere taciuto. Ma l’interpretazione del fatto poteva cambiare. Ecco allora che Marco presenta lo spietato procuratore romano Ponzio Pilato come un pavido testimone dell’innocenza di Gesù, e attribuisce ai capi ebrei il progetto di eliminare fin dall’inizio Gesù in quanto Cristo, cioè Messia. Benché ebreo, vissuto e morto da ebreo, Gesù viene messo in contrapposizione a tutto l’ebraismo del suo tempo: è ripudiato dagli ebrei e a sua volta li ripudia. 

Gli ebrei diventano "gli assassini di Gesù", cioè del Cristo, cioè di Dio; la loro colpa, quella di essere stati ciechi davanti al Messia. Qualunque tentativo di mantenere vivo il legame originario fra giudaismo e fede cristiana appare, dunque, senza speranza. La rovina del Tempio mette fine al compromesso praticato dai giudeo-cristiani di Gerusalemme, i quali avevano visto Gesù come il Messia destinato a tornare in tempi brevi per ridare vita al Regno d’Israele: per costoro, essere cristiani era stato un modo molto particolare di essere ebrei. Dopo il 70 non c’è più nessun Tempio, tutto Israele sembra giunto alla fine, Gesù acquista senso solo nella concezione paolina di un essere divino, incarnatosi per la salvezza di tutto il genere umano: un redentore che è già venuto per salvare coloro che, al contrario degli ebrei, hanno fede in lui. Cancellata la Chiesa di Gerusalemme, essere cristiani diventa un modo particolare di non essere ebrei: una frattura decisiva, che tenderà ad accentuarsi sempre più, fino a trasformarsi in contrapposizione e, successivamente, in aperta ostilità.

Nell’antico mondo greco-romano è raro individuare forme di ostilità antiebraica in qualche modo riconducibili – pur con le cautele del caso [si veda la prima parte] – al concetto di antisemitismo. Certo, quando si scatena la sollevazione giudaica del 66-70, l’atteggiamento dei romani verso gli ebrei si irrigidisce. Con la sconfitta, il loro status ufficiale nell’Impero non cambia in modo sostanziale, ma Vespasiano sopprime, oltre al Tempio, l’autorità dei sacerdoti e del Sinedrio e obbliga gli ebrei a versare a Giove Capitolino il tributo che versavano a Gerusalemme. La situazione peggiora con Adriano, che decide di costruire un tempio pagano sulle rovine di quello ebraico e proibisce la circoncisione. 

Questi provvedimenti scatenano una seconda rivolta ebraica, capeggiata da Bar Kochba, che impegna le legioni romane dal 132 al 135 d.C. e finisce schiacciata nel sangue, con un ulteriore seguito di uccisioni e deportazioni, fino al divieto per gli ebrei di mettere piede a Gerusalemme. Per la presenza ebraica in terra d’Israele sarà un colpo quasi fatale, da cui si riprenderà solo molto più tardi, e lentamente. Tuttavia, dopo queste turbolenze, la situazione degli ebrei sparsi nella diaspora torna a poco a poco quasi normale, perché i romani rinunciano a vietare la circoncisione e riprendono la loro tradizionale politica di sostanziale tolleranza.

ACCUSATI DI MISANTROPIA - Non mancano, nell’antichità classica, manifestazioni di ostilità verso gli ebrei. Le celebri requisitorie antiebraiche di Tacito, Orazio, Giovenale e Marziale accusano gli ebrei di "misantropia" (per il loro attaccamento a tradizioni che li "separano" dagli altri), di "ateismo" (per il loro rifiuto di adorare divinità pagane) e, ovviamente, di tendenze politiche sediziose, visti i precedenti. Tuttavia, nel mondo classico il giudaismo non viene bersagliato in modo particolare, per lo meno non più di altri gruppi o minoranze, finché non diventa oggetto degli attacchi cristiani. Saranno le esigenze e l’ideologia della cristianità a gettare le basi di una legislazione restrittiva che diventerà, con l’aumento del potere delle Chiesa, sempre più vessatoria, trasformando gli ebrei in cittadini discriminati ed emarginati.

Nel IV secolo, in un arco di tempo di nemmeno settant’anni, la Chiesa passa da organizzazione tollerata di fatto (sebbene a tratti combattuta da qualche imperatore), a istituzione ufficialmente riconosciuta e favorita (da Costantino, con l’editto del 313), infine a religione unica di Stato, con Teodosio I nel 380. "Il proposito di Costantino e degli altri imperatori che condividono le sue idee – spiega Mannucci – è di unificare tutta la popolazione dell’Impero in un’unica religione che serva da nuovo cemento ideologico". Ciò comporta la necessità di combattere tutte le ideologie diverse da quella "cattolica" (cioè, universale): le religioni pagane, le altre chiese cristiane considerate eretiche dopo il Concilio di Nicea (325), e naturalmente il giudaismo. 

Contro queste "forze centrifughe" si agisce con la legge. Le prime misure contro gli ebrei vengono emanate già nel 315, e subito appare chiaro l’orientamento di fondo. Come prima cosa viene decretata la pena di morte per gli ebrei che importunino chi si converte "dalla funesta religione" ebraica a quella della Chiesa; subito dopo viene dichiarata delitto la conversione opposta, dal cristianesimo al giudaismo. È iniziata la lunga battaglia contro la persistenza ebraica: si prende atto che l’ebraismo persiste, ma si decreta che l’ebreo debba vivere nella sofferenza, a perpetua testimonianza del suo errore e della gloria della Chiesa trionfante. L’ebraismo sarà dunque tollerato solo come un fenomeno residuale, e la Chiesa condurrà la sua battaglia contro l’influenza ebraica, i testi ebraici, l’eredità ebraica senza esclusione di colpi, fino alle sue estreme possibilità. Non più tardi di 150 anni fa, nello Stato Pontificio, il drammatico caso di Edgardo Mortara – il piccolo bambino ebreo sottratto alla famiglia dalle guardie della Santa Inquisizione, e mai più restituito, col pretesto che era stato battezzato da una giovane domestica analfabeta – avrebbe ricordato a tutto il mondo la spietata ostinazione con cui la Chiesa si dedicava a contrastare la "religione concorrente" [si veda, appena pubblicato, Il caso Mortara di Daniele Scalise, Mondadori, 1997].

GLI INCENDI DELLE SINAGOGHE - Insieme ai decreti, ha inizio la predicazione. Gli ebrei – discriminati dai provvedimenti di legge e additati al pubblico disprezzo come un "popolo deicida" la cui dispersione stessa viene spiegata come punizione divina – a poco a poco diventano oggetto del disprezzo popolare. E la cosa dà presto i suoi frutti. Già al IV secolo risalgono i primi incendi di sinagoghe in varie parti dell’Impero e i primi eccidi, di pari passo con i nuovi divieti: di sposare donne cristiane, di accedere ai pubblici uffici, di costruire nuove sinagoghe.

L’esistenza degli ebrei nell’Europa cristiana nei secoli successivi è caratterizzata da vicende alterne e assai complesse. Secondo i tempi e i luoghi, periodi di relativa tolleranza sono preceduti o seguiti da periodi di persecuzione, momenti di serenità da momenti di terrore. Mentre alla originaria motivazione religiosa si vanno affiancando e aggiungendo altre e diverse motivazioni di ostilità antiebraica, anche gli atteggiamenti e i provvedimenti si modificano. Così come si modificano le attitudini e i comportamenti degli stessi ebrei, sotto il peso delle discriminazioni. Fino al punto di innescare, talvolta, una sorta di circolo vizioso, che dall’ostilità porta al divieto vessatorio, il quale genera un comportamento e un’immagine che a loro volta alimentano il pregiudizio ostile: un circolo vizioso che ha funzionato come un potente meccanismo di perpetuazione dell’atteggiamento antisemita.

Si pensi, per esempio, ai fenomeni del ghetto e dell’usura. Nell’antichità (come oggi, in Israele) gli ebrei erano stati anche agricoltori e manovali. Ma nell’Europa medievale cristiana – dove al generale disprezzo per l’ebreo si unì spesso il divieto esplicito di possedere e coltivare la terra – la necessità e la paura spingevano gli ebrei ad abbandonare le campagne e a concentrarsi nelle città. E, dentro le città, a raccogliersi in alcuni quartieri specifici che divennero noti col nome di "giudecche". Poi, a partire dal XVI secolo, nel pieno del clima persecutorio della Controriforma, alle giudecche si sostituisce l’istituzione coatta del "ghetto" (il primo nel 1516, a Venezia).

IMPRIGIONATI NEI GHETTI - La concentrazione degli ebrei in un quartiere non è più "spontanea", bensì imposta: tutti gli ebrei devono risiedervi e il quartiere viene circondato da mura, le porte d’accesso vengono chiuse di notte e sorvegliate. I ghetti si moltiplicano ovunque, soprattutto in Italia, e la vita al loro interno diventa ben presto penosa, in condizioni di sovraffollamento e di scarsa igiene. Il ghetto mantiene concentrati gli ebrei in un luogo ben definito e riconoscibile, alla mercé di ogni scoppio di ira popolare. Ma, paradossalmente, offre anche una sorta di protezione: nella brutale separazione dal mondo circostante che lo caratterizza, esso garantisce in qualche misura la possibilità di mantenere vive, all’interno, tradizioni e modalità di vita legate alla propria religione. Il ghetto finirà così col diventare molto più di un luogo fisico: diventerà il simbolo stesso della condizione ebraica in Europa e, persino, un tratto della mentalità di cui gli ebrei "emancipati" del secolo scorso e quelli "sionisti" di questo secolo cercheranno faticosamente di liberarsi.

Concentrati nelle giudecche o chiusi nei ghetti, che attività potevano svolgere gli ebrei del Medioevo? Era loro proibito dedicarsi alle professioni (salvo quella di medico), non potevano intraprendere la carriera militare, raramente era loro permesso possedere beni immobili. Restavano poche possibilità. Restavano, in sostanza, quelle attività commerciali e finanziarie che la mentalità medievale considerava con disprezzo: dalla compravendita di stracci e abiti usati (il misero mestiere che occuperà per generazioni tanti ebrei dei ghetti, dall’Italia alla Polonia), fino al prestito di denaro ad interesse. Per la Chiesa il denaro è materia vile e sterile, il prestito a interesse (inizialmente chiamato "usura" qualunque fosse il tasso esercitato) è peccaminoso e viene delegato volentieri a chi è già comunque escluso dalla "salvezza". D’altra parte per gli ebrei, sempre esposti alla minaccia di improvvisi saccheggi ed espulsioni, la tanto vituperata ricchezza "mobile" era l’unica che si potesse sperare di salvaguardare in qualche modo in caso di pericolo.

ASSALTI AI QUARTIERI EBRAICI - A partire dal XII si diffondono, dunque, tra gli ebrei d’Europa, queste attività di intermediazione finanziaria e il termine "usuraio" – con tutto ciò di negativo che porta con sé alle orecchie dei debitori – si sovrappone a quello di "ebreo". Governi, nobili, artigiani, contadini: tutti prima o poi devono ricorrere ai servizi delle famiglie ebree che prestano denaro; tutti coltivano rancore verso di loro e, soprattutto, cedono alla ricorrente tentazione di non restituire quanto dovuto: vuoi con un apposito provvedimento dell’autorità, vuoi con uno "spontaneo" scoppio di violenza popolare che si scaglia contro il quartiere ebraico dopo aver ascoltato qualche infiammato sermone religioso sul martirio di Gesù.

Si può dunque affermare che lo stesso antisemitismo costrinse gli ebrei a trasformarsi in una minoranza etnico-religiosa a carattere prevalentemente urbano, specializzata nelle attività di interscambio, ponendola suo malgrado nelle condizioni socio-culturali migliori per affrontare l’avvento dell’era borghese moderna (tant’è che Karl Marx, invertendo i rapporti di causa-effetto, nel suo libello del 1843 su La questione ebraica credette di poter descrivere la società borghese come l’avvento di una generale "giudaizzazione" della società).

Nell’Europa cristiana pre-borghese e, soprattutto, pre-industriale – che si nutre del mito dei cavalieri "disinteressati", disprezza il lavoro manuale del "vile meccanico", considera la moneta "sterco di Satana" – tutti in realtà hanno continuo bisogno di denaro. Dai re di Francia, d’Inghilterra e di Spagna – che devono finanziare guerre, vita di corte, costruzioni, esplorazioni – giù giù fino all’ultimo nobilotto locale, tutti si ingegnano per trovare il modo di sottrarre quattrini a chi li maneggia. Il mezzo ordinario consiste nell’imporre una tangente: gli ebrei sono costretti a versare notevoli percentuali dei loro guadagni. Poi vi sono i mezzi straordinari. C’è l’arresto in massa, seguito dalla liberazione dietro versamento di grossi riscatti. Vi sono i donativi obbligatori. Vi sono le multe esorbitanti imposte a intere comunità ebraiche, che devono così comprare la propria incolumità dopo che sono state lanciate accuse assurde nei loro confronti (avvelenamento dei pozzi, stregoneria, omicidi rituali).

Una pratica, questa, che verrà rinnovata il 26 settembre del 1943 da Herbert Kappler, comandante locale della Gestapo tedesca, quando imporrà agli ebrei del ghetto di Roma il pagamento di una taglia di 50 kg d’oro da consegnare entro trentasei ore (salvo poi procedere ugualmente, una volta riscosso il riscatto, alla deportazione di tutti gli ebrei romani verso i campi di sterminio il 16 ottobre dello stesso anno).

Vi è infine il metodo più drastico e redditizio: l’espulsione collettiva, seguita dal sequestro dei beni e la loro eventuale restituzione dietro pagamento. Nel 1182 Filippo Augusto re di Francia confisca tutti gli averi degli ebrei. Nel 1290 vengono espulsi gli ebrei dall’Inghilterra. Nel 1306 vengono espulsi dalla Francia una prima volta. Nel 1322, una seconda volta. Nel 1394, una terza. Nel 1492 è la volta dei reali cattolici di Spagna Ferdinando e Isabella che impongono l’aut aut: espulsione o conversione forzata. Duecentomila ebrei lasciano la Spagna, dove avevano vissuto per secoli e avevano contribuito in modo determinante al grande periodo di fioritura economica e culturale di quella terra, soprattutto nei secoli X e XI sotto dominazione araba. Pochi anni dopo, nel 1496, sono cacciati gli ebrei dal Portogallo e nel 1541 l’avvento del dominio spagnolo determinerà la fine della presenza ebraica in Italia meridionale.

A NAPOLI IL VICOLO "SCANNAGIUDEI" - Leggi discriminatorie, provvedimenti di espulsione, pubblico disprezzo sfociarono ripetutamente nella violenza fisica: com’è noto, la storia degli ebrei in Europa è dolorosamente costellata di massacri. Il primo grande eccidio in Italia di cui si abbia notizia ebbe luogo in Meridione nel XIII secolo, su istigazione della monarchia angioina. Furono uccise migliaia di persone. Resta, come un agghiacciante ricordo di quelle stragi, il vicolo Scannagiudei, a Napoli. Altre uccisioni si ebbero nel 1474 e poi ripetutamente nel XVI secolo, negli Stati della Chiesa, come diretta conseguenza del fervore controriformistico. Le ultime uccisioni in Italia – escluse le stragi naziste – si ebbero a Siena nel 1799.

Ma gli eccidi più gravi non si svolsero in Italia, dove paradossalmente proprio la presenza del papato esercitò un effetto di relativo contenimento delle manifestazioni più estreme. I grandi eccidi di massa si registrarono nel centro Europa, inizialmente in occasione della partenza delle Crociate. Nel 1096, con la prima Crociata, in Renania si contano 50mila ebrei uccisi. Nel 1189, con la terza Crociata, vengono massacrati gli ebrei in Austria. Nel 1144 a Norvich, in Inghilterra, si registra la prima "calunnia del sangue" (falsa accusa di omicidio rituale di bambini cristiani ad opera degli ebrei). Le calunnie del sangue si ripeteranno ossessivamente in tempi e luoghi diversi, scatenando invariabilmente la violenza popolare contro la più vicina comunità ebraica (così, per esempio, a Wurzburg in Germania, nel 1147; a Blois, in Francia, nel 1171; ancora in Francia, a Bray sur Seine, nel 1191).

Alla fine del ’200, una calunnia relativa alla presunta profanazione di un’ostia scatena i contadini al punto da portare al massacro delle comunità ebraiche di Wurzburg e di Norimberga. Nel 1348-50 la "peste nera" che flagella l’Europa dà adito a nuove accuse e calunnie: in tutta Europa gli ebrei vengono massacrati (solo a Strasburgo vengono bruciati vivi duemila ebrei), al punto che lo stesso papa Clemente VI cerca di intervenire per frenare le violenze. Nel 1389 viene sterminata la comunità ebraica di Praga. Nel 1391 vengono attaccate le sinagoghe in tutta la Spagna cristiana e in tre mesi vengono uccisi 50mila ebrei.

LE PERSECUZIONI IN RUSSIA - Stragi più "sistematiche" – corredate di torture, roghi, sequestro di bambini – si avranno a partire dal 1478 con l’istituzione della Santa Inquisizione, braccio secolare del potere ecclesiastico nei Paesi cattolici, che si adopererà con spaventosa ferocia nella lotta contro ogni "eresia" e contro ogni pratica "illegale" dell’ebraismo.

Nei secoli successivi, è l’Europa orientale il nuovo scenario dei massacri antiebraici. Nel 1648-49 vengono uccisi 100mila ebrei in Ucraina. Nel 1655-56 è la volta degli ebrei polacchi. Nel 1745 sono espulsi gli ebrei da Praga. Nel 1768 viene annientata la comunità ebraica di Uman, in Polonia. Nel 1791 vengono fissate zone di residenza coatta per tutti gli ebrei russi, una sorta di enorme "regione-ghetto".

Se nella illuminata e progredita Europa occidentale di fine ’800 il caso creato dalle false accuse contro il capitano francese Alfred Dreyfus, ebreo, e le violente campagne antisemite che le accompagnano rappresentano un brusco campanello d’allarme, in effetti è nell’arretrata Europa orientale che la cruenta tradizione dei grandi massacri che avevano insanguinato i secoli fra l’XI e il XV proseguirà fino alla fine del XIX secolo e oltre, nella forma dei temuti pogrom che si verificano nelle terre della Russia zarista: il pogrom di Odessa, 300 morti, è del 1905; altre migliaia di ebrei saranno uccisi nei pogrom del 1917, scatenati nel quadro della guerra civile. Saranno queste violenze – così "fuori dal tempo" – che porteranno, fra l’altro, all’emigrazione di milioni di ebrei: in gran parte verso l’occidente e il Nuovo Mondo, in piccola parte verso la Palestina ottomana e mandataria.

Quando, nel 1933, Adolf Hitler viene nominato cancelliere in Germania e dà avvio al folle progetto di purificare l’umanità dalla presenza stessa delle razze inferiori, prima fra tutte quella ebraica, il mondo in cui si muove non manca certo di precedenti cui ispirarsi. Pratica e ideologia antisemita vi hanno avuto libero corso per secoli. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, persino la rivelazione dell’orrore dei campi di sterminio nazisti – dove sono stati assassinati quasi sei milioni di ebrei, cioè un ebreo ogni due che vivevano in Europa alla vigilia dell’Olocausto – non sarà sufficiente a garantire che la malattia del pregiudizio sia stata estirpata per sempre dall’anima europea. 

di MARCO PAGANONI

Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente) 
il direttore di
 

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