IL MEDIO ORIENTE BRUCIA
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di LUCA MOLINARI


Ancora sangue in Medio Oriente. Il leader palestinese Yasser Arafat è stato isolato dai soldati israeliani nel suo quartiere generale di Ramallah in una sorta di esilio in patria.

Le truppe israeliane hanno rioccupato i territori palestinesi puntando i loro cannoni sui luoghi santi della Cristianità e dell'Islam provocando l'indignazione e la condanna della comunità internazionale. È stata la risposta voluta dal governo di Ariel Sharon alla lunga scia di attentati suicidi compiuti da kamikaze provenienti dalle file dell'estremismo arabo-palestinese.

Risposta che, non tenendo conto delle differenze esistenti nel mondo palestinese, rischia di far precipitare la situazione fino ad un drammatico punto di non ritorno.
La Palestina, e con essa l'intero Medio Oriente, continua a bruciare e far tremare il mondo.
Una lunga scia di lutti, attentati e rappresaglie sta segnando profondamente la storia di una delle zone più travagliate e importanti del pianeta. All'orizzonte non si vedono colombe, ma solo falchi. Nessuno spiraglio di pace, ma solo nubi che si addensano all'orizzonte lasciando presagire un'involuzione ancora più cruenta della crisi. Una deriva che genererà una spirale di violenza in uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi dell'età' contemporanea.

Cessata ogni trattativa, chiuso ogni margine di mediazione è stato definitivamente sepolto quello spirito di Oslo che aveva permesso al premier israeliano Rabin ed al leader palestinese Arafat di siglare gli accordi di Washington del 1993. Quei trattati che avevano fatto sperare in un futuro di pace. Invece sono tornate ad essere protagoniste le armi e il rumore della guerra si è fatto assordante, tanto da sovrastare tutte quelle voci che ancora, ostinatamente continuano ad invocare una soluzione negoziata del problema.

Voci sempre meno isolate che, in ogni parte del mondo, rivendicano giustizia e pace perché due popoli possano vivere pacificamente nella stessa terra in due stati distinti e autonomi e non più in una situazione di perenne tensione e violenza che ormai dura da oltre mezzo secolo. Da dove nasce questa feroce barbarie che genera un conflitto in quella terra, la Palestina, che ha visto la nascita delle più antiche civiltà e di tutte e tre le grandi religioni monoteiste? Siamo di fronte alla punte di un iceberg che è la spia di una più vasta tensione che pervade l'intero Medio Oriente e che rischia di destabilizzare gli ormai già precari equilibri internazionali profondamente provati da tutte le epocali trasformazioni dell'ultimo decennio e che stentano a trovare un nuovo equilibrio che sostituisca quello sepolto dalla fine della Guerra Fredda.

Senza dubbio l'essere stata la culla di grandi culture e la genitrice di quei grandi popoli di cui ancora oggi siamo in qualche modo eredi e debitori non è un elemento estraneo all'odierna tragedia. Tra il bacino del Mediterraneo e il Golfo persico si intrecciano troppi eventi epocali che creano una trama talmente fitta in cui è difficile districarsi. Si sovrappongono i drammi di due popoli erranti ed esasperati con i quali la storia non è certo stata generosa.

Da un parte gli Ebrei, perseguitati fin dall'antichità per i quali la Palestina prima e lo stato di Israele dopo sono quella Terra Promessa in cui vivere e prosperare dopo secoli di diaspora e prevaricazioni. Quella diaspora iniziata nel 70 d. C. quando l'imperatore romano Tito distrusse il Tempio di Gerusalemme disperdendo il popolo di David in tutto il mondo e che è terminata nel 1948 quando, alla luce della tragedia dell'Olocausto, con la nascita dello Stato di Israele, magra ricompensa per secoli di supplizi e di violenze.

Dalla parte opposta gli Arabi che, abbattuto il giogo coloniali vogliono affermare la propria autonomia di popolo libero e civile sul palcoscenico internazionale. Primo fra tutto il popolo palestinese che viveva nei territori in cui è sorto Israele e nelle terre limitrofe occupate dagli Israeliani dopo le numerose guerre vinte dai soldati di Tel Aviv ai danni degli stati arabi della regione.

I Palestinesi da oltre 50 anni rivendicano il diritto di avere anch'essi una propria patria autonoma ed indipendente. Il tutto si intreccia con le responsabilità delle nazioni coloniali, Gran Bretagna in primis, e le potenze internazionali che hanno sempre cercato di tutelare i propri interessi incentrati su quella che è la massima ricchezza del Medio Oriente: il petrolio.

La nascita di uno Stato palestinese è un reale obiettivo che da anni è all'ordine del giorno dei taccuini e dell'agenda politica internazionale, ma si scontra con l'occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele avvenuta dopo una serie di conflitti intrapresi con gli Stati arabi confinanti per tutelare la propria stessa esistenza.
Dopo decenni di alternanza tra trattative e guerre nei primi anni '90 ci si stava avviando verso una situazione di positivo equilibrio che apriva spiragli incoraggianti per il futuro. Da un lato, sulle orme di Sadat, il doveroso riconoscimento di Israele da parte della maggior parte del mondo arabo e degli stessi Palestinesi, dall'altro il lento, ma progressivo ritiro delle truppe israeliane dai territori che passavano sotto l'amministrazione palestinese dell'Anp di Arafat.

Fu questo il frutto dei trattati di Washington del 1993 che valsero il Nobel per la Pace ad Arafat, Peres e Rabin. Nel 1995 un estremista israeliano uccide Rabin e nel campo palestinese inizia indebolimento della leadership moderata di Arafat da parte degli elementi più fanatici.
È l'inizio della fine del sogno della pace possibile in Medio Oriente. Nel 2000 le trattative tra Arafat e il premier israeliano Barak di cui si era fatto mediatore il Presidente Usa Clinton, si interrompono a causa dell'impossibilità di trovare un accordo sullo status di Gerusalemme, città cara a Ebrei, Cristiani e Musulmani che sia gli Israeliani, sia i Palestinesi rivendicano come propria.

Nell'autunno dello stesso anno il leader della destra israeliani, il futuro premier Ariel Sharon si reca in visita sulla spianata delle Moschee. I gesto, di per se provocatorio, viene interpretato come un oltraggio dal mondo arabo e dà il via alla seconda Intifada che è tuttora in corso con il suo carico di attentati. Immediata e senza pietà è la rappresaglia di Sharon, eletto nel frattempo a grandissima maggioranza nuovo premier di Israele alla guida di un governo di unità nazionale.

Finisce così il già difficile dialogo tra i due popoli che lascia spazio la parola alle armi e agli elementi più oltranzisti di entrambi i campi che non lesinano il ricorso all'elemento religioso come ipocrita paravento per le violenze. La soluzione solamente militare sostenuta da Sharon non è certamente in grado di risolvere il problema né, tantomeno di garantire una durevole sicurezza per Israele. Altresì il terrorismo non è certamente un viatico vincente alla costituzione di uno Stato palestinese autonomo e sovrano.

È provato che Israeliani e Palestinesi non riescono a dialogare e a trattare da soli. È compito della comunità internazionale, in primis Stati Uniti e Unione europea, agire affinché le parti in causa riprendano la trattativa e in Terra Santa si sentano di nuovo pronunciare le parole Shalom, Salaam. Pace che non può prescindere dal riconoscimento e dalla soddisfazione delle richieste di entrambi i contendenti: Israele ha diritto ad essere riconosciuto dai vicini arabi e di vedere garantita la propria sicurezza con la fine degli atti terroristici che da anni insanguinano il suo territorio.
I Palestinesi, invece, hanno diritto ad una propria patria in ottemperanza con la storica risoluzione votata dall'ONU del marzo scorso.

Per la prima volta in 17 anni le Nazioni Unite hanno formulato, in Consiglio di Sicurezza, una proposta sul conflitto mediorientale che, significativamente è stata approvata da tutti i membri tranne la Siria che si è astenuta. Si concretizza l'idea di uno Stato palestinese affiancato a quello israeliano, i cui abitanti sono chiamati a vivere come buoni vicini entro confini sicuri.

La Risoluzione chiede la cessazione di ogni incitazione e forma di violenza e si dichiara a favore dei piani Tenet e Mitchell, fatti propri dal mediatore americano Anthony Zinni. Speranze che, però, sembrano disattese dalle recenti scelte di Sharon che ha optato solo per soluzioni militari radicali. Resta valido l'auspico del Segretario dell'ONU Kofi Annan, perché le due parti cessino le violenze e si risiedano al tavolo delle trattative.

Ne va del futuro della Pace mondiale. Come alle sue origini il futuro dell'Umanità passa per quella delicata regione che è il Medio Oriente.

di LUCA MOLINARI

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