GLI EBREI...

... RITORNANO NELLA TERRA PROMESSA

 

Ma il Paese vivrà fra guerre e attentati, scatenati da alcuni Paesi arabi contro gli ebrei ritenuti "usurpatori"
(in fondo i COMUNICATI STAMPA - CRONOLOGIA DELLA NASCITA DELLO STATO)

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UNA PAGINA
di FRANCO GIANOLA

prima parte

"Guarda la terra di Canaan, dice il Signore, che io darò in possesso ai figli di Israele... questa è la terra che io giurai ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe dicendo ‘Io la darò alla tua progenie’". Sono le quattro del pomeriggio del 14 maggio 1948 e queste parole, che Mosè ascoltò dall’alto del monte Nebo prima di morire (Antico Testamento, Deuteronomio), sembrano aleggiare sulla folla che si stipa in una spoglia sala del museo di Tel Aviv. Per il popolo ebreo, condannato ad errare nel mondo per secoli, perseguitato, umiliato, carcerato nei mostruosi e pestilenziali ghetti, privato dei più elementari diritti umani, vittima dei massacri perpetrati dalle legioni romane, dalle pie schiere dei Crociati, dalle orde musulmane e infine da quella macchina criminale rappresentata dalle SS germaniche, questo è un momento di profonda, inesprimibile commozione. Oggi nasce lo Stato di Israele. David Ben Gurion, circondato da un religioso silenzio, legge la proclamazione di indipendenza. La sua voce è tesa, appena incrinata dall'emozione."Eretz Israel (la Terra d’Israele, ndr.) fu la culla del popolo ebraico. Fu qui che si plasmò la sua identità spirituale, religiosa e politica. Fu qui che gli ebrei formarono il loro Stato, crearono valori d'importanza nazionale e universale e diedero al mondo il Libro dei Libri. Dopo esser stato esiliato con la forza dalla sua terra, il popolo ebraico mantenne la propria fede per tutta la diaspora e non cessò mai di pregare e sperare di poter, un giorno, far ritorno nella sua patria e riottenervi la sua libertà politica".
"Legati da questi vincoli storici e tradizionali, gli ebrei, una generazione dopo l’altra, lottarono per stabilirsi nell’antica patria. Negli ultimi decenni sono tornati in massa. Pionieri, maapilim (gli immigrati giunti in Israele infrangendo le leggi restrittive, ndr.) e difensori hanno fatto fiorire il deserto, hanno riportato a nuova vita la lingua ebraica, costruito villaggi e città e creato una prospera comunità che controlla la propria economia e la propria cultura, che ama la pace ma è in grado di difendersi, che reca i benefici del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspira all’indipendenza... Il 29 novembre 1947 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò una risoluzione che sanciva la costituzione di uno Stato ebraico in Eretz Israel; l'Assemblea generale chiese agli abitanti di Eretz Israel di compiere tutti i passi che da parte loro fossero necessari per l’applicazione di tale risoluzione.

Il riconoscimento da parte dell'ONU del diritto del popolo ebraico alla fondazione del proprio Stato è irrevocabile". "Questo è un diritto naturale del popolo ebraico: il diritto di poter disporre del proprio destino, come tutti gli altri popoli, nel proprio Stato sovrano". "Pertanto noi, membri del Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità ebraica di Eretz Israel e del Movimento sionista, siamo riuniti qui nel giorno della cessazione del mandato britannico su Eretz Israel e in virtù del nostro diritto naturale e storico e in conformità con la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la costituzione di uno Stato ebraico in Eretz Israel che si chiamerà Stato di Israele". Nella parte finale del discorso David Ben Gurion, che sarà il primo presidente del consiglio (19481954) del nuovo Stato, dichiara la volontà di pace del suo paese". "Chiediamo – mentre infieriscono le ostilità dirette contro di noi da mesi – agli abitanti arabi dello Stato di Israele di mantenersi in pace e di partecipare alla costruzione dello Stato sulla base della piena eguaglianza dei diritti di cittadinanza e con adeguata partecipazione a tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.

Porgiamo la mano a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli in un'offerta di pace e di buon vicinato e chiediamo loro di stabilire rapporti di cooperazione e di reciproca assistenza con il popolo ebraico sovrano che vive nel nostro territorio. Lo Stato di Israele è pronto a dare il proprio contributo a uno sforzo comune per il progresso dell’intero Medio Oriente". Quando Ben Gurion chiude il suo discorso e la dichiarazione viene firmata dai membri del Consiglio del Popolo, nella sala si leva una preghiera: "Che tu sia lodato, Signore, nostro Dio, Re dell’Universo, che ci hai mantenuti in vita e ci hai protetti e ci hai consentito di vedere questo giorno". Ma il momento della pace non è ancora giunto per il popolo di Israele. Poche ore dopo la dichiarazione di indipendenza riprendono in grande stile i mai interrotti attacchi contro la comunità ebraica in Palestina. Questa volta – il 15 maggio – si forma una "grande armata" nella quale sono riuniti gli eserciti egiziano, giordano, irakeno, siriano e libanese, affiancati da un contingente dell'Arabia Saudita. Con la massiccia aggressione, portata all'interno del nuovo Stato, gli arabi vogliono dimostrare in modo clamoroso il loro rifiuto del Piano di spartizione approvato dall'Onu nel novembre del 1947.
La guerra, che viene combattuta in diverse riprese, dura tredici mesi. Le Forze di difesa israeliane, che sono male armate e inferiori numericamente ma perfettamente addestrate, respingono la "grande armata" fuori dai confini di Eretz Israel. E nel luglio del 1949 il giovane Stato firma accordi separati di armistizio con l'Egitto, la Giordania, il Libano e la Siria. Come ha potuto questo David-Israel – 650.000 abitanti, un esercito popolare di qualche decina di migliaia di soldati – sostenere il colpo d’ariete del Golia arabo?

Per rispondere alla domanda, prima di continuare questa breve storia dello Stato ebraico, è necessario retrocedere nel tempo di oltre un centinaio d'anni. Partiamo dal 1840, che vede Israele ancora inglobato nel già declinante impero ottomano. Le condizioni di vita degli ebrei che sono rimasti nella loro terra d’origine – sono poche migliaia – migliorano lentamente e la situazione favorisce l'immigrazione dall’Europa. Nascono nuovi insediamenti ma Gerusalemme, Nablus e Haifa continuano a essere i maggiori poli di attrazione. Con l'aiuto degli ebrei che sono sparsi in tutto il mondo vengono acquistati diversi terreni agricoli. Non sono certo terre "buone": gli effendi, i latifondisti che vivono al Cairo, a Damasco o a Beirut vendono – e a caro prezzo – soltanto dune e paludi, non le fertili terre della Samaria. Ma lentamente quei fondi si trasformano e il duro lavoro dei nuovi proprietari li rende fecondi. Per impostare l'attività in modo più razionale e aumentare quindi la produttività, viene fondata a Mikveh Israel la prima scuola di agricoltura.

E' il periodo in cui si forma l’ossatura dell’Yshuv, ossia l’insediamento ebraico organizzato. Nel 1860 appare anche la prima stampa ebraica. Questo lento e sofferto momento storico è la matrice dalla quale nasce il "grande sogno": la costituzione di uno Stato. La prima proposta viene lanciata già nel 1839 da sir Moses Montefiore, finanziere ebreo inglese di origine italiana, che contribuisce generosamente agli sforzi dei suoi fratelli di fede che ogni giorno compiono il miracolo di far fiorire la vita dalla nemica sabbia del deserto. E se non uno Stato – dice sir Moses – almeno una comunità autonoma. Ma chi fa scattare il meccanismo inarrestabile che porterà alla realizzazione del sogno – quanto antico! – è il giornalista ebreo francese Theodor Herzl.
Nel 1896 scrive un libretto che, pur accolto da qualcuno e da qualche ambiente come "un documento bizzarro, una curiosità storica più che un programma di azione", cade come una scintilla in una situazione combustibilissima. L'Yshuv sta irrobustendosi. Nel 1878 ha cominciato a prendere una fisionomia precisa con la fondazione di Petah Tikva, madre degli insediamenti agricoli ebraici.

Nel 1887 la popolazione aumenta sensibilmente con l'arrivo della massa di ebrei della prima alià (letteralmente la "salita" alla terra promessa): sono coloro che fuggono dai grandi pogrom scatenati in Russia e Romania contro le comunità "giudee", pogrom che vengono presentate come "furia spontanea di popolo", ma che in realtà sono ispirati dalle autorità per scaricare i malumori di una popolazione vessata dalla spietata tirannide dello zar. E queste "furie spontanee" si lasciano dietro negozi distrutti, case bruciate, sinagoghe devastate e saccheggiate, donne violentate, morti e feriti; dal 1881 al 1921 si contano oltre duemila pogrom duemila massacri, duemila fiumi di sangue che inondano la società civile di tutto il mondo. La comunità fuggita dall'inferno russo si sparpaglia nei villaggi agricoli esistenti e ne fonda di nuovi nella Giudea (Rishon le Zion, Ekron, Edera), in Samaria (Zichron Ya’acov) e in Alta Galilea. Una parte va a vivere in città. E il lavoro per la ricostruzione dell’identità, nazionale e personale, prende impulso anche grazie a questi profughi provati nel corpo ma non nello spirito, perché nei loro miserabili ghetti hanno tenuto accesa la fiamma della cultura nazionale, della religione, hanno continuato a insegnare ai loro figli la dotta lingua ebraica, la gloriosa storia dei regni e dei re dell'antica terra di Israele.

Nell'Yshuv la lingua ebraica torna a vivere per tutti, e diventa elemento unificante, riscoperta dell’ebraicità. Nel 1892 un'assemblea di insegnanti fissa i termini ebraici da usare nella matematica e nelle scienze naturali e progetta un piano di studi scolastici unificato. Dopo circa dieci anni l’ebraico diventa la principale lingua di una comunità che prima comunicava faticosamente attraverso i vari dialetti o quella specie di neolingua rappresentata dall'yiddish, un cocktail di ebraico e tedesco nato dalla diaspora. Tuttavia l’Yshuv vive una vita dura. La popolazione è scarsa e dispersa, le comunicazioni e i trasporti carenti e insicuri, gran parte del suolo ancora in un profondo stato di abbandono, la malaria è endemica per la presenza di molte paludi, l’atteggiamento dell'amministrazione turco-ottomana è ostile e oppressivo.
All'inizio del 1882 viene emessa una legge che vieta l'insediamento degli ebrei dell'Europa orientale. L’acquisto delle terre viene sottoposto a restrizioni, diventa impossibile la costruzione di edifici senza uno speciale permesso che deve essere richiesto a Costantinopoli. L’opprimente politica del governo ottomano rende più difficile lo sviluppo agricolo e produttivo dell'Yshuv, ma non lo ferma. Anzi. La situazione è un terreno fecondo per la crescita dell'idea lanciata da Herzl nell'ironizzato libretto che corre nel mondo con quel suo esaltante titolo:"Lo Stato ebraico".

Nel 1897 Theodor Herzl organizza il primo congresso sionista e fonda a Basilea l’Organizzazione sionista mondiale. In questo movimento viene organizzata e prende forza la millenaria pulsione del popolo ebraico a ritornare alla sua terra. Il sionismo, movimento di liberazione nazionale, diventa la risposta moderna a secoli di discriminazione e ostracismo, di oppressione e persecuzione omicida e alla crescente coscienza che il popolo ebraico può liberarsi soltanto con l’autodeterminazione. Gli scopi dell'Osm sono precisi: ritorno degli ebrei alla terra d’Israele; rinascita, sul suolo patrio, della vita nazionale ebraica; raggiungimento di una dimora riconosciuta e legalmente assicurata agli ebrei nella loro patria storica. Da quell’anno la marcia verso la vittoria finale si fa più rapida. L’Yshuv riceve nuova linfa dall’arrivo di migliaia di ebrei che, delusi dal fallimento della rivoluzione russa del 1905, costituiscono la seconda ondata di immigrazione nel paese. Socialisti e sionisti entusiasti puntano a dar vita a una classe operaia ebraica, a riscattare la terra con "il sudore della fronte" e a impegnarsi in ogni tipo di lavoro manuale al fine di edificare una società pienamente produttiva e autosufficiente. L’influenza dei gruppi socialisti è determinante: la comunità ebraica comincia a darsi un’organizzazione politica.

Il primo kibbutz (così viene definita la colonia agricola collettiva di grandi proporzioni) viene fondato nel 1909 sulla riva meridionale del lago Kinneret (Tiberiade) sulla terra acquistata dal Keren Kayemet (Fondo nazionale ebraico). Quasi contemporaneamente viene fondato il primo gruppo ebraico di autodifesa, l’Hashomer (il Guardiano) che si assume la responsabilità della sicurezza dei nuovi villaggi ebraici dagli attacchi degli arabi. E' l’embrione di un futuro esercito che darà lezioni di tattica e strategia al mondo intero. Qualche tempo dopo, sulle dune a nord di Jaffa, sorge Tel Aviv. La vita degli uomini dell'Yshuv è dura, da pionieri; molti dei nuovi arrivati ripartono alla ricerca di una condizione meno stressante, ma la maggioranza resta a battersi.
E’ il 1914 e in Eretz Israel ci sono 85.000 ebrei. Nel 1800 erano 10.000. Il 1914 è un anno nefasto per il mondo e per la comunità ebraica che vive in terra d'Israele. Scoppia la prima guerra mondiale che investe anche il Medio Oriente, dove sono in gioco grossi interessi europei: uno dei più importanti è rappresentato dal canale di Suez. E la situazione d’emergenza – sono in marcia le truppe russe, inglesi e francesi – fa scattare i primi provvedimenti. Nel dicembre del 1914 il governo turco dà ordine di deportare gli ebrei stranieri, nella primavera successiva il sionismo viene messo fuori legge e i suoi sostenitori condannati all’esilio. Fra coloro che vengono cacciati vi sono David Ben Gurion e Ytzhak Ben-Zvi, futuro presidente della repubblica.

Alla fine del 1915 circa 12.000 ebrei sono costretti ad abbandonare Eretz Israel: La maggioranza finisce ammassata nei campi profughi dell’Egitto, 500 si arruolano nel Corpo sionista mulattieri che combatte con gli Alleati a Gallipoli. Non è il solo contributo che gli ebrei danno alla guerra contro i turchi. Del corpo di spedizione inglese, comandato dal generale Allenby, fa parte anche la Legione ebraica, formata da due battaglioni di fucilieri reali (il 38º London e il 39º American). E c'è un terzo battaglione, formato da 850 volontari locali, il First Judean. L’11 dicembre 1917 questi soldati assieme agli ebrei di tutto il mondo vivono un altro dei grandi momenti storici che nel giro di pochi anni modificheranno il destino del "popolo errante": il generale Allenby entra in Gerusalemme alla testa dei suoi uomini.

Dopo quattro secoli l'impero ottomano deve rinunciare al dominio sulla Terra Santa. Questa vittoria segna una svolta. Già nei primi mesi della guerra Herbert Samuel, un ministro del governo, Herbert Asquith aveva dimostrato ai suoi colleghi che l'Inghilterra e gli ebrei avevano un interesse comune a staccare la Palestina dall’impero turco, ragion per cui le aspirazioni sioniste andavano incoraggiate. Nel 1917 il ministro degli Esteri inglese, lord Balfour, formula la sua famosa dichiarazione nella quale viene riconosciuto il legame storico del popolo ebraico con la Palestina e che impegna l’Inghilterra ad appoggiare l’insediamento in Palestina di un national home (focolare nazionale). Questi punti vengono approvati dai vari governi alleati e nel giugno del 1922 vengono ribaditi da una risoluzione del Congresso degli Stati Uniti. Nel luglio dello stesso anno la Società delle Nazioni conferisce ufficialmente alla Gran Bretagna un mandato del quale la dichiarazione Balfour fa parte integrante.
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seconda parte

Anche se costantemente in stato di allarme per le continue incursioni e le azioni di disturbo degli arabi, l’Yshuv, ossia l’insediamento ebraico organizzato, continua a costruirsi una patria. Tra il 1919 e il 1929 la popolazione ebraica quasi raddoppia, raggiungendo la quota dei 160.000 abitanti. Sono stati acquistati 120.000 ettari di terra e da Metulla al nord e da Be’er Tuvia al sud vi è una fascia continua di territorio che, popolata da ebrei, costituisce già un vero e proprio territorio nazionale, anche se di ridotte dimensioni. E a poco a poco l’insediamento prende i connotati di un piccolo Stato organizzato. La cultura, classica e scientifica (che gli ebrei della diaspora hanno sempre considerato come valore primario, un valore che è stato un prezioso strumento di sopravvivenza morale e materiale) viene coltivata febbrilmente e con la stessa cura con la quale vengono coltivati i campi strappati al deserto. Letteratura, giornali e teatro ebraico sono una realtà: l’università ebraica di Gerusalemme e il Technion (il politecnico) di Haifa sono in piena attività.

Nel 1927 l'Yshuv viene riconosciuto come entità a sé e di conseguenza si dà le istituzioni tipiche di uno stato democratico: l'assemblea rappresentativa e quella esecutiva, il consiglio nazionale i cui membri vengono scelti dall’assemblea rappresentativa. L’Agenzia Ebraica, impiegando i fondi raccolti all'estero, finanzia l'immigrazione, assicura il sistema scolastico, dà forte impulso all'agricoltura, all'industria e al commercio e coordina il lavoro dell’organizzazione medica Hadassah, la cassa malattie, e di altre organizzazioni sanitarie.

Nel 1920 viene fondata l'Haganà, una nuova organizzazione di autodifesa, per proteggere la comunità durante le rivolte arabe di Gerusalemme e di Haifa: decisione necessaria, considerato che l’Yshuv non può contare sulla protezione delle truppe inglesi dato che il governo britannico del momento dà corda alle sommosse arabe.
Proprio per le contraddittorie posizioni assunte dagli inglesi nel corso del mandato, gli ebrei di Eretz Israel prendono coscienza che per conquistare l'indipendenza debbono difendersi su due fronti. Il terrorismo arabo, infatti, non conosce soste: il 24 agosto 1929, un sabato, gruppi di musulmani assassinano a sangue freddo 67 ebrei di Hebron – uomini, donne e bambini – e distruggono le sinagoghe, mettendo fine alla permanenza della comunità ebraica in quella città dei patriarchi dov’era vissuta per duemila anni. Quanto al governo inglese, cede sempre più all’aggressività degli arabi e raggiunge il limite quando blocca l’immigrazione degli ebrei in Palestina, impedendo addirittura lo sbarco di 4.500 reduci dai campi di sterminio nazisti giunti davanti alla costa palestinese, davanti alla Terra Promessa, a bordo del piroscafo battezzato simbolicamente "Exodus 47".

La nave viene rimandata sotto scorta ad Amburgo. Un fatto che lascia esterrefatti gli stessi tedeschi. Un episodio che porta l’Yshuv alla decisione inevitabile: organizzare la resistenza per liberare il territorio dal dominio inglese. E' l'unico modo per conquistare l’indipendenza definitiva e dar modo agli ebrei della diaspora, ai vari profughi, di tornare in Israele. E resistenza è, dura e decisa: la conducono l’Haganà, l'Irgun Zvai Leumi (Organizzazione militare nazionale) e il Lohamei Herut Ìsrael (Combattenti d'Israele per la libertà). Le organizzazioni agiscono indipendentemente, ma ognuna di loro conduce con maestria una guerriglia che, per la fulminea mobilità dei commandos, per l’intelligenza tattico-strategica con la quale questa task force si muove sui terreni più difficili, mette in ginocchio le truppe inglesi e porta a quel grande giorno che è il 14 maggio del 1948. Da queste tre organizzazioni, quando l'appena sorto stato ebraico si trova davanti all'attacco arabo, nascono le Forze di difesa israeliane.
Che, l’abbiamo visto, anche se dotate di potenza di fuoco e mezzi decisamente minori rispetto alla "grande armata" scatenata contro Israele, hanno dalla loro la velocità d’intervento e un tipo di addestramento prezioso: non quello acquistato nelle caserme o nelle scuole militari, ma quello appreso sul campo di battaglia. Ecco dunque le ragioni di questa incredibile vittoria. Dopo lo scontro del 1948 Israele gode di qualche anno di relativa pace e si dedica al perfezionamento delle sue istituzioni e della propria organizzazione in generale. Viene riconosciuto il diritto di ogni ebreo di vivere in Israele. È un punto fondamentale della legge dello stato ebraico: la "legge del ritorno" del 1950 accorda piena e automatica cittadinanza a ogni nuovo immigrato ebreo.

Alla fine del 1951 l’Yshuv raddoppia la popolazione con l’arrivo di oltre 750.000 persone: la metà sono ebrei fuggiti dai paesi musulmani. Di fronte a questo massiccio aumento della popolazione il pionierismo agricolo diventa una necessità, quindi viene dato forte impulso all'agricoltura e alle scienze funzionali a questo settore produttivo. Il paese dà dimostrazione di una grande capacità creativa nell’elaborare tecniche di ogni genere per superare gli ostacoli dati da un terreno arido e che nessuno prima aveva tentato di far rendere (e a questo proposito va ricordato un documento del 1937 stilato dalla Commissione inglese Peel nel quale si constatava che la Palestina, tradizionalmente paese di emigrazione araba, era diventato un paese di immigrazione araba a causa del rapido sviluppo economico ebraico). Vengono risolti diversi problemi sociali. La Knesset (il parlamento) vara come prima misura la legge sull’istruzione obbligatoria e nel 1951 viene sancita l’eguaglianza dei diritti delle donne. E' il periodo che vede presidente del consiglio BEN GURION e presidente della repubblica CHAIM WEIZMANN, illustre scienziato vissuto in Inghilterra che ha avuto una grande influenza su lord Balfour, l’autore della famosa dichiarazione. Altro passo importante, la creazione della scuola di stato. Questo periodo di pace e di intenso lavoro, che vede impegnato ogni israeliano alla crescita della nazione, non dura molto.

Si moltiplicano le azioni terroristiche scatenate dai feddayn, i guerriglieri arabi addestrati in Egitto. Le moderne armi con le quali i feddayn uccidono provengono dall'arsenale militare egiziano, massicciamente rifornito dall’Unione Sovietica. Sul conflitto israelo-arabo la posizione del Cremlino è bizantina: all’epoca dello scontro del 1948 la Pravda ha scritto che "l’Urss sostiene l’indipendenza dei popoli arabi, ma dev'essere però chiaro che gli arabi non si battono oggi per i loro interessi nazionali e per la loro indipendenza ma contro il diritto degli ebrei a costituire un loro stato indipendente. L’opinione pubblica sovietica non può quindi che condannare l’aggressione araba contro Israele". La situazione è tesissima. La propaganda sugli arabi rimasti in territorio israeliano è tambureggiante e ha un certo gioco soprattutto a causa di un tragico incidente accaduto nella notte del 9-10 aprile 1948.

L’episodio è annotato in "Israele: quarant'anni di storia", un ottimo libro scritto da Fausto Coen con ritmo giornalistico e rigore storico. In quella notte "nel villaggio arabo di Deir Yassin forze miste dell'Irgun e del gruppo Stern si macchiarono di un grave crimine uccidendo 250 arabi fra armati e civili. Il villaggio di Deir Yassin si trovava lungo la strada di Gerusalemme non lontano da Castel ma non era considerato posizione strategica vitale. Il fatto è però che le due formazioni autonome, la Irgun e la Stern volevano ottenere un loro successo personale in battaglia. Gli attaccanti lasciarono un corridoio nel villaggio per consentire alla popolazione non armata – avvisata con altoparlanti – di uscire. Più di 200 abitanti lo fecero e coloro che erano rimasti finsero di arrendersi. Quando però i reparti dell'Irgun avanzarono, vennero accolti da un fuoco nutrito scatenato dalle case piene di armi e di munizioni.

I reparti ebraici, che non si aspettavano l’agguato, perdono il quaranta per cento dei loro effettivi. E perdono anche la testa. La reazione è a questo punto violenta e irragionevole ma non premeditata. Gli uomini dell’Irgun investono il villaggio sparando all’impazzata. Molti civili rimangono uccisi. Tra i 250 cadaveri, al termine della battaglia, si scoprono anche i corpi di donne e bambini. Fu l'unica atrocità della guerra di indipendenza e anche l’azione che aveva meno giustificazioni tattiche. "L'Haganà, per ordine di Ben Gurion che già mal sopportava le due formazioni irregolari... entrò nel villaggio ingiungendo all’Irgun di abbandonarlo. Più tardi Ben Gurion scioglierà le due formazioni incorporandole nell’esercito. La radio ebraica è la prima a dare l'annuncio: "Non vogliamo più vittorie come quella di Deir Yassin". Ben Gurion telegrafa all’emiro Abdullah di Transgiordania esprimendo "la sua profonda riprovazione" per il massacro e il Gran Rabbino di Gerusalemme ne maledice gli autori. "Nonostante la deplorazione ufficiale da parte ebraica e la sincera unanime condanna che si levò dal paese, pochi giorni dopo, il 13 aprile, forze arabe davano una risposta non meno crudele... A un convoglio di medici e infermieri che si stavano recando all’ospedale di Monte Scopus, che domina la città di Gerusalemme, fu teso un agguato. Circondati, furono tutti massacrati con bombe a mano e fucili mitragliatori. Restarono sul terreno 77 morti, tutti ebrei, tutti medici e sanitari che correvano in soccorso di malati e feriti. Molti degli uccisi erano miracolosamente sfuggiti ai campi di sterminio nazisti (come l'italiana Anna Di Gioacchino Cassuto) e alcuni di essi erano giunti da pochi giorni in terra d'Israele.
Fra le vittime un illustre pioniere della psicanalisi italiana, il fiorentino professor Enzo Bonaventura". Gli arabi sfruttano la strage di Deir Yassin per seminare il terrore nella popolazione musulmana e convincerla ad abbandonare i territori controllati dagli ebrei. È un grande esodo. Lunghe colonne di arabi lasciano Haifa, Safed, Tiberiade, Jaffa: dal 15 aprile al 15 maggio del 1948 fuggono 250.000 arabi. Che non saranno certo sistemati dignitosamente, non avranno condizioni di vita civili, ma verranno ammassati in campi profughi dove vegeteranno in condizioni penose, privi di avvenire. Naturalmente il malcontento, la tensione provocate da questa situazione verranno indirizzate dalla propaganda degli alti comandi arabi verso l’Yshuv.

Nel 1956 l'attività dei feddayn si fa sempre più intensa e feroce, aleggia la minaccia di un'offensiva congiunta fra Egitto, Siria e Giordania. Con un rapido attacco, tipico delle Forze di difesa israeliane, vengono eliminate le basi dei feddayn dalla striscia di Gaza e l’esercito irrompe nella penisola del Sinai. Resta aperto il problema della libertà di navigazione nel canale di Suez, che il presidente egiziano Nasser ha nazionalizzato nel luglio di quell'anno, un problema che interessa non soltanto Israele ma anche molte altre nazioni, soprattutto Francia e Inghilterra. Dopo un intenso lavoro di mediazione diplomatica al quale prendono parte le grandi potenze, Israele accetta di ritirarsi purché gli vengano date precise garanzie. Siamo agli inizi del 1957. Viene creata una zona cuscinetto fra Egitto e Israele sorvegliata da una forza di emergenza delle Nazioni Unite. A Israele viene assicurato che le forze egiziane non torneranno nella striscia di Gaza: il giorno dopo l’accordo le truppe di Nasser marciano nuovamente sulla striscia. A Israele viene assicurato che il canale rimarrà aperto al passaggio delle merci da e per Israele, ma la promessa resta sulla carta. Di fronte a questa posizione gli Stati Uniti e altri quattordici paesi marittimi dichiarano pubblicamente il diritto di Israele al libero passaggio attraverso il golfo di Eilat (diviso dal canale di Suez dalla penisola del Sinai). Israele ammonisce che considererà un casus belli ogni interferenza contro questa libertà e alla Knesset viene sottolineato il diritto all’autodifesa nazionale garantito dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. La campagna del Sinai è durata tre giorni. E stata diretta dal generale Moshe Dayan: le chiavi di volta della sua vittoria sono state rapidità e audacia. La blitzkrieg è costata ad Israele 180 morti e quattro prigionieri.

All'Egitto oltre mille caduti e seimila prigionieri e la perdita quasi totale dell’arsenale bellico. Tre giorni di guerra fruttano quasi dieci anni di pace. Gli atti terroristici in questo periodo non mancano ma pur in questa atmosfera di continuo allarme, di provvisorietà, di inquietudine, Israele progredisce velocemente. Il tenore di vita dei circa tre milioni di abitanti è abbastanza buono. Il paese non solo produce ma esporta – scrive Coen nel libro citato – e la bilancia dei pagamenti, per uno stato costretto a sostenere l’onerosa spesa di un esercito efficiente e sempre all’erta, è meno catastrofica di quanto potrebbe essere. "E soprattutto in agricoltura si fanno grandi cose. Le terre produttive non solo si sono estese ma, grazie alla ricerca, si fanno grandi progressi nella qualità, Israele riesce a produrre già l'85 per cento di quanto consuma e riesce a esportare sui mercati esteri frutta e ortaggi sempre più apprezzati".

Ma la grande impresa, quella che dà linfa vitale al corpo di questo piccolo stato, è il completamento della costruzione dell'acquedotto nazionale che assicura l’approvvigionamento idrico a vaste zone per secoli deserte. Con un paziente lavoro diplomatico, aiutato soprattutto dalla stima e dal peso che la guerra-lampo del Sinai hanno dato al paese, i rapporti con la Francia e l’Inghilterra – che assicurano notevoli forniture di materiale militare per controbilanciare i massicci invii di armi sovietiche e cecoslovacche ai paesi arabi – e con gli Stati Uniti diventano più stretti. Vengono stabilite relazioni anche con l’Etiopia, la Turchia e l'Iran. E Coen mette in evidenza un fatto inaspettato. "Fu soprattutto con i paesi in via di sviluppo che Israele riuscì in questo periodo a creare stretti legami.

Scrive Ben Gurion che molti temevano che la campagna del Sinai suscitasse l’antagonismo dei popoli asiatici e africani mentre al contrario "Israele si è conquistato il rispetto e l'ammirazione di questi popoli". Prima la Birmania e il Ghana, poi via via in Africa, in Asia, in America centrale ben presto 65 paesi non solo allacciarono relazioni diplomatiche, ma soprattutto intense collaborazioni specialmente in campo agricolo. Israele per questi paesi era non solo un grande esempio di sviluppo tecnologico ma anche la dimostrazione di come un piccolo paese nato da un’atroce esperienza poteva "farsi da solo"... La preparazione dell’esercito fu in quegli anni un compito preminente. Prima con Ben Gurion e forse ancor più con colui che gli succedette, Levi Eshkol, il sistema di difesa israeliano venne potenziato e altamente modernizzato". Ma nel corso di questi anni la propaganda araba non ha smesso di lavorare. Nasser, che ha condotto l'Egitto sull'orlo della crisi economica, capisce che l'unico modo per distogliere l'attenzione di critici e oppositori e del paese stesso dai suoi errori è quello di ritirare fuori dal solaio il consunto ma sempre valido spauracchio del "pericolo ebreo". Nel 1964 il leader egiziano riesce a promuovere un vertice che ha come fine quello di impedire il completamento dell'acquedotto nazionale israeliano. Un giornale di Tel Aviv scrive che per gli arabi quel "giocare con l'acqua vuol dire giocare col fuoco".

E ai convenuti si fa capire chiaramente che non sarebbe tollerata la minacciata deviazione delle fonti del fiume che alimentano l'acquedotto, fonti che si trovano in Siria e in Libano. Un successivo vertice si conclude in modo più preciso: viene costituita l' OLP, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Nell'atto costitutivo il gruppo si pone due obiettivi: primo, liberare dal regime di re HUSSEIN la Giordania, paese abitato in grande maggioranza da palestinesi; secondo, spazzare dal territorio lo stato di Israele sgretolandolo in tempi anche lunghi con l’azione terroristica.
Ma nell’Olp è subito discordia e dalla contrapposizione di due correnti nasce AL FARTAH, gruppo giovane e fortemente politicizzato che guiderà il movimento e alla cui testa si pone YASSER ARAFAT. Dopo questi vertici nel giro di qualche anno la situazione precipita. Al Fatah comincia a svolgere il suo programma di incursioni terroristiche avendo come basi Siria, Libano e Giordania.

Nel 1966 la Siria proclama la "guerra popolare di liberazione contro Israele". Nel frattempo Nasser concentra il meglio del suo esercito nel Sinai e chiede che le forze d'emergenza delle Nazioni Unite vengano ritirate. Stranamente, considerata la situazione, la sua richiesta viene soddisfatta il 16 maggio del 1967. La marcia verso il conflitto assume tempi sempre più brevi. Il 22 maggio il presidente egiziano annuncia che lo stretto di Tiran viene chiuso alla navigazione da e per Israele. Subito dopo gli eserciti giordani, iracheni e siriani si ammassano lungo i confini israeliani. Alla fine di maggio re Hussein di Giordania respinge un'offerta di neutralità formulata dal primo ministro israeliano Eshkol e mette le sue truppe a disposizione dell’alto comando egiziano.

Ed è la "guerra dei sei giorni". Il generale MOSHE DAYAN, nominato ministro della Difesa, ordina l'intervento difensivo-preventivo. E' la mattina del 5 giugno. L'aviazione israeliana piomba fulmineamente sugli aeroporti egiziani, siriani e giordani: distruggendo a terra l’intera armata aerea di Nasser e alleati, conquista l’assoluto controllo dello spazio aereo. A terra la situazione è allarmante. La Giordania attacca Israele sul fianco orientale e la Siria scatena un'offensiva dal nord. Ma gli israeliani rispondono con una velocissima controffensiva e in pochi giorni travolgono i tre fronti e assumono il controllo della Giudea-Samaria, della zona di Gaza e del Sinai, delle alture del Golan.
Viene riunificata Gerusalemme, prima divisa in zona ebraica e araba, il famoso "muro del pianto" è restituito alla fede di tutti gli ebrei. Davanti a quell’antichissimo resto si vedono soldati con le lacrime agli occhi. Yael Dayan, soldato delle Forze di difesa, figlia del generale, scrive sul suo diario: "Era la gioia che faceva piangere i soldati più incalliti? L'orgoglio o il senso della storia?". Davanti a quel muro – ricorda Coen – Moshe Dayan dice: "Siamo tornati nei nostri luoghi più sacri. E tendiamo la mano ancora oggi ai nostri vicini arabi e con più solennità che mai".

Alla fine di questa fulminea operazione militare viene riaperto alla navigazione lo stretto di Tiran. Ma in Israele si continua ancora a vivere sotto tensione. Alla fine del vertice di Khartum del 1º settembre 1967 gli arabi rispondono con tre secche negazioni: "No al riconoscimento dello Stato di Israele No alle trattative No alla pace".
E sarà di nuovo guerra. Dopo una relativa quiete di tre anni nell’ottobre del 1973, nel giorno del kippur (una ricorrenza sacra per gli ebrei, dedicata all’espiazione) l’Egitto e la Siria investono con un’offensiva a sorpresa i fronti di Suez e del Golan. Nei primi tre giorni di guerra le forze israeliane si trovano in difficoltà. Il rapporto numerico gioca a favore degli arabi nella misura di 1 a 12 poiché, non essendo stato previsto l'attacco, le riserve non sono ancora state mobilitate.
Ma appena la forza d’urto dell'esercito viene ricostituita, la reazione si scatena con una serie di azioni tattiche che costringono gli arabi in posizione di stallo. L’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite intima il cessate il fuoco e chiede l’applicazione della Risoluzione 242 con la perentoria richiesta di negoziati fra le parti. C’è una schiarita. Gli accordi con l'Egitto, l'avversario più temibile e potente, vengono perfezionati tra il 1974 e il 1975 e sfoceranno nel trattato di pace israelo-egiziana firmato a Washington fra il primo ministro israeliano Menahem BEGIN e il presidente egiziano Anwar SADAT il 26 marzo del 1979. Con gli altri stati arabi solo accordi formali: una situazione ancora nebulosa per la quale si può parlare, sostanzialmente, di non belligeranza. Resta operante l'Organizzazione per la liberazione della Palestina che a un certo punto si installa nel, Libano meridionale stabilendo basi militari nel territorio adiacente alla regione settentrionale di Israele, la Galilea.

Nel giugno del 1982 le truppe israeliane entrano in Libano e con una serie di spedizioni militari costringono il grosso dell’Olp – dirigenti, impianti militari e strutture organizzative – ad abbandonare la zona e, frantumato in gruppi, a cercare rifugio nei paesi arabi disposti all'ospitalità. Nella storia recente i conflitti di Gaza, in Cisgiordania e altrove, attentati feroci. Che sono un monito a tutti i contendenti: se non si ferma la spirale della violenza, dell’odio e del fanatismo religioso, le due parti rischiano di distruggere il loro futuro. Per non correre questo rischio è necessario risvegliare la ragione. E il sonno della ragione genera i mostri della guerra.

 

Ringrazio
FRANCO GIANOLA
direttore di

per l'articolo
concesso a Cronologia


OBBIETTIVO del SIONISMO

L'obiettivo del SIONISMO politico fu formulato mezzo secolo prima da THEODOR  HERZL (lui il fondatore; famoso il suo libro Der Judenstaat - Lo Stato degli Ebrei - 1896).

Sosteneva che perdurando l'odio verso gli ebrei anche dopo un'eventuale assimilazione, l'unica soluzione della questione ebraica doveva essere cercata nella formazione di uno stato nazionale ebraico. (una tesi già avanzata da MOSES MONTEFIORE e da altri)

Il progetto suscitò immediato interesse tra gli ebrei dell'Europa orientale, tanto che già l'anno dopo, nel 1897 si potè organizzare a Basilea il primo congresso sionista. Herzl con il suo carisma, la sua intensa attività diplomatica,  andò a creare un organismo quasi permanente, che assunse - con il "Programma di Basilea" il carattere di un'assemblea costituente.  Herzl  acquistò così tanto prestigio che era ormai paragonabile a quello di un capo di stato; capo di un "popolo senza terra" che Herzl voleva trasferire in una "terra senza popolo"

Il suo progetto "nazionale" dalla forte carica ideologica, tendeva a combattere l'antisemitismo mediante il trasferimento degli ebrei in una sede autonoma garantita dal diritto internazionale; un modello laico, nazionalista, in luogo delle motivazioni religiose ("Ritorno a Sion" Terra Promessa). Quindi piuttosto pragmatico, e forse proprio per questo avversato apertamente dai religiosi ferventi che giudicavano blasfemo il tentativo di ricostruire uno stato ebraico prima del ritorno del Messia.
Herzl  voleva comunque trasformare in realtà il suo progetto, e per realizzarlo si rivolse al Kaiser  Guglielmo II nella speranza che esercitasse pressioni sull'impero ottomano per una soluzione palestinese; poi si rivolse allo stesso sultano Abdulhamid II, infine  nel 1903 alla Russia. Ma nel 1904 morì, lasciando in eredità il suo grande progetto politico.

Quello dell'italiano  Montefiore (1784- 1885-  diventato lord inglese) era solo un piccolo progetto; puntando sulla piccola comunità ebraica già esistente (5000 nel 1770 - 10.000 all'inizio dell'Ottocento) il suo era più che altro una colonizzazione economica; infatti acquistò dei terreni costruendoci un villaggio; in buona parte con capitali britannici.

Contemporaneamente nel 1882 in risposta alle frequenti persecuzioni religiose antiebraiche sorsero in Russia, Polonia, Romania numerose società di "Amanti di Sion" (Howevei Zion) che ebbero un discreto successo fondando in Giudea realmente la prima colonia sionista; quella di Rishon.
Seguirono poi altri insediamenti, ma sempre sovvenzionati da ricchi ebrei europei, tra i quali i Rothschild (imparentato con Montefiore) e i von Hirsch.

La svolta sionistica politica però avvenne con il sopra accennato Herzl. Ma come già accennato gli oppositori non mancarono. Oltre ostili per motivi religiosi (destra religiosa), c'erano i fautori dell'ebraismo riformista, forti in Germania e in Ungheria, favorevoli piuttosto all'integrazione degli ebrei negli stati di appartenenza; quindi svincolati da fattori storico-geografici. Della stessa idea gli esponenti dell'ebraismo americano, che addirittura sostenevano che erano gli Usa la terra promessa.

I seguaci di Herzl  non si scoraggiarono, rimasero legati al suo progetto, lo ratificarono al VII Congresso di Basilea nel 1905, poi la svolta fu nel 1917, grazie alla  Dichiarazione di Balfur, fatta propria dalla Società delle Nazioni.
Terminata come sappiamo la Grande Guerra, alla Gran Bretagna vincitrice nel 1922 fu affidato il mandato sulla Palestina. Questo sancì il principio di collaborazione tra sionismo (in buona parte inglese) e l'amministrazione britannica. Tra gli attivissimi dirigenti sionisti troviamo Ben Gurion, Weizman e David, che si dedicarono alacremente a gettare le fondamenta del futuro stato ebraico.
L'Inghilterra -conoscendo i famosi progetti autonomistici di Herzl - iniziò a preoccuparsi. Ed ecco infatti il manifestarsi dei primi contrasti. Gli inglesi non desideravano la nascita di uno stato (che ormai era già di fatto) tutto ebraico, ma lo voleva integrato con la popolazione araba. Solo così  (con questo dualismo) avrebbe potuto mantenere il suo protettorato. 
Ora se già nei primi anni del secolo l'immigrazione era  già considerevole, quando negli anni Trenta, con l'avvento del nazismo,  questa aumentò, e riversò in Palestina un numero considerevole di favorevoli allo stato "binazionale". E fra questi i marxisti di Hashomer Hatsair che dal 1935 in poi misero infatti  in minoranza gli altri.

Dopo gli sconvolgenti anni della seconda guerra mondiale, a ritornare sulla breccia (dopo essere  usciti proprio nel '35 dall'Organizzazione sionista mondiale) furono ancora una volta quelli che volevano la creazione di una maggioranza ebraica e uno stato ebraico in Palestina, da realizzarsi mediante un  massiccio confluire di esuli nella Terra di Israele, che avrebbe permesso di creare con l'alto numero una unità di popolo ebraico molto forte.

Definizione degli scopi di questa unità e dentro questa unità il ruolo dei sionisti del movimento mondiale, crearono molti contrasti negli anni precedenti e i seguenti alla nascita dello stato di Israele. Ben Gurion (e il rabbino statunitense Habba Hillel  Silver)  pur di raggiungere il suo scopo, iniziò a prendere le distanze dal movimento sionista mondiale. Non desiderava da questo una tutela, anche se riceveva da ogni parte del mondo aiuti economici  ed ogni altra forma di assistenza.

Infatti Ben Gurion riuscì a fare un distinguo sul movimento. Tutti gli ebrei della dispora sparsi per il mondo erano sì "sionisti" cioè "Amici di Israele", ma considerava sionisti in senso stretto soltanto gli ebrei che si erano trasferiti o si volevano trasferire in Palestina.
Inutile dire che queste dispute di carattere politico e religioso (appoggiando il nuovo governo una o l'altra fazione) crearono divisioni dentro lo stesso stato di Israele mentre era in fase di realizzazione la grande opera concepita da Herzl. 

Ben Gurion  verrà poi eletto primo ministro prima  nel governo provvisorio  poi riconfermato in quello ufficiale.

Ora ripercorriamo prima brevemente le tappe di questi due critici anni che vanno dal 1947 al 1949,  poi nelle successive pagine faremo una più ampia analisi dell'intero percorso politico: dall'inizio fino a questi due anni decisivi, poi in quelli successivi. Cioè agli anni più caldi, quando il  mondo scoprì nell'autunno del 1956 che il vecchio ebraismo pittoresco e bigotto dell'Europa centrorientale aveva subìto in Palestina una mutazione genetica. La GUERRA DI SUEZ creò un fortissimo patriottismo militare che divenne non meno importante, per la sopravvivenza dello Stato israeliano, dell'identità sionista e religiosa; Seguirà poi la GUERRA DEI SEI GIORNI, e la GUERRA DEL KIPPUR (fatti che leggeremo più avanti)
Ma non finiremo lì, ci spingeremo fino a RABIN e al suo assassinio per aver voluto la pace.

Mentre per quanto riguarda il dopo Rabin, saremo brevi, perchè più che fatti di storia sono fatti terribili di cronaca di questi ultimi anni di fine-inizio millennio.

CRONOLOGIA DEI DUE ANNI 1947-1948
LA FORMAZIONE DELLO STATO D'ISRAELE

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