ANNO 70 d.C.


*** TITO E IL MASSACRO DEGLI EBREI

**** INIZIA LA DIASPORA EBRAICA



Dopo i drammatici avvenimenti in Italia e a Roma, Vespasiano rientrato dall'Egitto, vorrebbe subito iniziare a governare prima ancora dell'investitura. Roma ne avrebbe la necessità, dopo un periodo così anarchico; avrebbe bisogno di una guida energica, autorevole, saggia e intelligente. 

Questo a Roma ma, da tempo, con il potere centrale assente o quasi,  nelle popolazioni delle province, soprattutto in Gallia, scoppiano contemporaneamente varie rivolte che sono a fatica domate dai piccoli presidi romani dislocati permanentemente nei vari territori conquistati.
Ma in una di queste nella Germania renana, troviamo un principe Batavo romanizzato, GIULIO CIVILE, che approfitta anche lui dell'assenza degli eserciti romani impegnati in Italia, e da' inizio a un movimento secessionista,  ponendosi a capo dei Batavi, che fra l'altro sono infiammati da una loro profetessa, VELLEDA. Hanno però vita breve, non hanno fortuna, viene a stento domata la rivolta da Petilio Ceriale.

Ma non è la sola. Seguono l'esempio le tribù di un'altra zona della stessa Gallia; vi troviamo tre condottieri che vogliono anche loro dar vita a un movimento secessionista, crearsi se non proprio un impero (Imperrium Galliarum) almeno uno Stato indipendente dai romani. Sono i condottieri Giulio Classico, Giulio Tutore, Giulio Sabino, e Giulio Valentino. Falliscono anche a loro, a Treviri; Petilio Ceriale e Annio Gallo li vogliono riportare alla ragione, non ci riescono, li sbaragliano sul campo, e sono subito eliminati.

Ma la rivolta più drammatica - non priva di conseguenze che dureranno 2000 anni - avviene in Palestina, a Gerusalemme. Qui abbiamo lasciato lo scorso anno Vespasiano che aveva posto in assedio la città da un anno intero dopo i tumulti e le ribellioni giudaiche che erano scoppiate fin dal 68. Per le vicende di Roma, seguita poi dalla sua nomina a imperatore, all'inizio di questo anno 70, in FEBBRAIO, Vespasiano aveva lasciato la Palestina, ed era partito per la capitale per ricevere sia il consolato che la corona d'imperatore.

Sul posto a far proseguire l'assedio della città fino all'espugnazione completa, ha lasciato il figlio TITO con l'ordine di domare le rivolte, e con una raccomandazione: una volta caduta la città doveva distruggerla completamente. Radere al suolo soprattutto il Tempio; una volta per tutte doveva eliminare e cacciare tutti gli Ebrei dalla Palestina, nessuno escluso.

TITO ligio agli ordini esegue con molto zelo il suo compito, scrupolosamente e da' inizio a una delle piu' contestate dispute territoriali di un popolo che durerà fino al Trattato del 1947, quando verrà creato lo STATO DI ISRAELE; ma come sappiamo in certe zone continuano tutt'oggi tale dispute. Ma non fu solo una disputa questa del 70, fu una strage, uno dei più grandi crimini dell'umanità. Una ferocia inaudita si accanì contro questo popolo che non voleva ingerenze di altri popoli e sovrani, aveva  la sua già  millenaria Legge e intendeva osservare solo quella.

Gli Ebrei già ripetutamente sconfitti all'esterno della città da Vespasiano, approfittarono del breve intervallo causato dal caos a Roma che tenne impegnato il neo imperatore, per riorganizzarsi, per rafforzare la difesa e anche per allargare la guerra sul resto del loro territorio. 
Ma non erano organizzati in un modo sufficiente e tale da opporsi ai romani. Nella primavera, in APRILE, fra gli stessi capi ebrei scoppiarono delle discordie con eliminazioni reciproche di capi che avevano una diversa visione della situazione. C'era chi voleva i compromessi e la pace che invece voleva combattere ad oltranza. O vincere o morire tutti.
Gerusalemme era circondata da tre poderose cerchia di mura. In MAGGIO cadde in mano ai romani il terzo muro, cinque giorni dopo anche il secondo, non rimaneva che il primo muro per penetrare nella città, dove nel grande tempio si erano radunati tutti gli ebrei, decisi a difenderlo o morirci.

In AGOSTO il 9, i romani abbatterono anche l'ultimo muro, penetrarono nella città e appiccarono il fuoco al tempio, poi iniziarono il massacro. Alcuni vollero arrendersi, ma Tito ignorò la pena dell'esilio che gli aveva suggerito suo padre Vespasiano, li volle tutti morti. (Simone Giora il migliore capo degli Ebrei che aveva organizzato la resistenza, venne poi portato a Roma e ucciso ai piedi del Campidoglio nel corso del trionfo di Tito, dove sfoggiò il bottino, che per lui erano comuni oggetti, ma per gli ebrei erano i preziosi simboli della loro religione: la Tavola degli Azimi e il Candelabro a sette braccia. 
Alcuni, durante il massacro  si rifugiarono e resistettero a Masada fino all'aprile del 73 (ci ritorneremo poi sopra), poi furono sopraffatti, e vista inutile ogni resistenza si suicidarono tutti. Quelli che scamparono, fuggirono all'estero spargendo i germi dell'ingiustizia subita. E mai un popolo così disunito... rimase così unito. Questo cozza contro quella logica di alcuni sociologi che affermano che  solo la popolazione etnica di un territorio può far nascere una coscienza nazionale, e non la cultura o una religione.

Su "la guerra giudaica", vi è anche un'altra interpretazione storica
nella ricostruzione degli avvenimenti.

Questi brani sono presi dalla "Guerra giudaica"(Libro VI) di Giuseppe Flavio, storico ebreo presente alla presa di Gerusalemme.

l'argomento è riferito al Tempio e all'atteggiamento di Tito nelle fasi finali della conquista, quando già in più occasioni i difensori avevano tentato di dar fuoco a tutto...

"Libro VI:239 Alcuni manifestarono l'avviso che esso dovesse subire i rigori delle leggi di guerra, poiché i giudei non avrebbero mai cessato di ribellarsi finché restava in piedi il tempio nel quale si radunavano da ogni parte;

Libro VI:240 altri espressero il parere che se i giudei lo evacuavano e nessuno vi piazzava sopra delle armi poteva essere risparmiato, mentre se vi montavano sopra per continuare la resistenza bisognava incendiarlo: così infatti non era più un tempio, ma diventava una fortezza, e da quel momento l'empietà sarebbe stata non dei romani, ma di chi ve li costringeva.

Libro VI:241 Tito però sentenziò che neppure se i giudei avessero preso posizione sul tempio per continuare a resistergli egli si sarebbe sfogato contro le cose invece che contro gli uomini, né mai avrebbe dato alle fiamme un edificio così maestoso; la sua rovina sarebbe stata una perdita per i romani così come la sua conservazione era di ornamento per l'impero.

Libro VI:251 Le fiamme ebbero inizio e furono causate ad opera dei giudei; infatti, ritiratosi Tito, i ribelli dopo un breve riposo si scagliarono di nuovo contro i romani e infuriò uno scontro fra i difensori del santuario e i soldati intenti a spegnere il fuoco nel piazzale interno. Costoro, volti in fuga i giudei, li inseguirono fino al tempio,

Libro VI:252 e fu allora che un soldato senza aspettare l'ordine e senza provare alcun timore nel compiere un atto così terribile, spinto da una forza sovrannaturale afferrò un tizzone ardente e, fattosi sollevare da un commilitone, lo scagliò dentro attraverso una finestra dorata che dava sulle stanze adiacenti al tempio sul lato settentrionale.

Libro VI:254 - 4, 6. Qualcuno corse ad avvisare Tito, che s'era anch'egli ritirato sotto la tenda per concedersi un po' di riposo dopo la battaglia; balzato in piedi, egli corse come si trovava verso il tempio per cercare di domare l'incendio.

Libro VI:255 Lo seguivano tutti i generali e dietro a questi le legioni in preda all'eccitazione, fra grande schiamazzo e confusione, com'era inevitabile nel muoversi disordinato di forze così numerose.

Libro VI:256 Sia con la voce, sia con la mano, Cesare diede ordine ai combattenti di spegnere il fuoco, ma essi né udirono le sue parole, assordati dai clamori più forti, né badarono ai segni della mano, essendo tutti presi alcuni dal combattimento, altri da una smania furiosa.

Libro VI:261 Poiché le fiamme non erano ancora penetrate da nessuna parte all'interno del tempio, ma stavano devastando solo le stanze adiacenti tutt'intorno, Tito giudicò che l'edificio poteva ancora essere salvato, come in realtà era, e, affrettatosi a uscire,

Libro VI:262 si mise a esortare personalmente i soldati a spegnere l'incendio dando ordine contemporaneamente a Liberale, centurione dei suoi lancieri di guardia, di mettere a posto a colpi di bastone chi non ubbidiva."

Vi spedisco questo scritto perché, avendo letto "la guerra giudaica", mi sembra che ci sia un errore di interpretazione storica nella vostra ricostruzione degli avvenimenti.

DIASPORA EBRAICA Ha inizio proprio dopo gli avvenimenti di sopra, dalla "dispersione" (migrazione - "diaspora" ) in varie parti del mondo del popolo che ha dovuto abbandonare suo malgrado il proprio territorio e nello stesso tempo a non essere accettati da altri popoli. Portando sempre con sé il radicato desiderio di ritornare un giorno nella propria terra.
Cosa che é poi avvenuta nel 1948 quando fu fondato lo Stato di Israele.
(qui ne parleremo in altre pagine).

Forse non a caso - secondo alcuni - nello stesso anno 70 d.C. (ma cosa c'entrano i Romani!!) viene tradizionalmente indicato la composizione del VANGELO CRISTIANO. Il piu' antico che si conosca, quello di MARCO (prima si credeva essere quella di MATTEO). Alcuni studiosi indicano l'anno nel periodo 64-70 altri invece lo considerano posteriore al 70. Il luogo, sempre in una forma tradizionale più che storica, viene fissato (guarda caso!) proprio in Roma, ma altri lo danno originario in Oriente o in Siria, scritto in Aramaico. Seguiranno i Vangeli di LUCA con materiali comune ai primi due, poi quello di GIOVANNI di molto posteriore e che si stacca in maniera rilevante per il suo contenuto, per la sua struttura, per la forma letteraria e per l'ambiente storico-culturale dal quale emerge, e contribuisce all'impronta originaria della sua teologia che ne fa ancora oggi un problema interpretativo particolare (Questione Giovannea).
Altri Vangeli sono quelli Apocrifi e sinottici. Perfino scritti dagli Ebrei, dai Nazerei, dagli Egiziani, e altri ancora. Poche informazioni ci hanno fino ad oggi fornito il ritrovamento dei "MANOSCRITTI DEL MAR MORTO", che sono attualmente in restauro e finora solo 45 righe sono apparse decifrabili con una sofisticata tecnica spaziale (laser radente) ed é quindi ancora poca cosa per fare congetture storiche. Si ritiene che fossero di una comunità ascetica di Qumran, una setta giudaica degli Esseni. (Ma che sia proprio giudaica si resta nel dubbio. Ndr.).

(Intervento di un lettore che forse vuole toglierci i dubbi).
"La scoperta di un frammento detto 7Q5 rivoluziona completamente la datazione dei Vangeli e comprova la loro storicità. Il frammento papiraceo detto 7Q5 poiché è il quinto rinvenuto nella settima grotta di Qumran, appartiene all'esiguo numero di testi scritti in greco anziché in ebraico, che gli "Esseni" della comunità di Qumran chiusero in diverse anfore e poi nascosero nelle grotte situate sulle pendici montane prospettanti il Mar Morto. Il fatto che gli uomini di Qumran abbiano nascosto lì i loro rotoli prelude all'arrivo dei Romani nel 70 e quindi alla distruzione o all'abbandono della comunità sulle rive del Mar Morto. Per merito del padre gesuita Josè O'Callaghan già nel 1971 le poche righe greche del 7Q5 vennero con sicurezza quasi matematica identificate con Mc 6, 52-53 grazie al fatto che in queste righe ricorre il nome della città di Gennezzaret che non può essere confuso con nessun altra parola greca.

Purtroppo questa grande scoperta non ha ricevuto subito l'adeguata risonanza poiché è stata fortemente ostracizzata dal mondo dell'esegesi biblica dominato fino a pochi anni fa dalla teoria storicista. Grazie allo studioso di scritture Carsten Peter Thiede, sostenuto da eminenti biblisti, storici e papirologi, finalmente la scoperta è stata divulgata fino all'esposizione del 7Q5 all'Arengario di Rimini nel corso della mostra "Dalla terra alle genti" nel 1996.
La grande importanza della scoperta sta nel fatto che se gli "Esseni" di Qumran possedevano già una copia in greco del Vangelo secondo S.Marco, questo deve essere stato scritto di prima mano negli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù e sicuramente entro il 70 d.C. poiché questo è l'anno in cui i manoscritti sono stati lasciati nelle grotte di Qumran. A riprova di questo il frammento 7Q4 corrisponde a 1 Tm 3, 16 e 4,1-3.

Di conseguenza le datazioni finora indicate come più probabili per i Vangeli devono essere spostate all'arco di anni che va all'incirca dal 30 al 60, corroborando la storicità di tutto quanto è descritto nei Vangeli.
Vedi Vangelo e storicità, a cura di Stefano Alberto, 1995, Rizzoli. ( By- Dott. Andrea Di Stefano)

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