.
Le Camere
la forma di governo


L’art. 56, come approvato dall’Assemblea Costituente [180] , specificava, al secondo comma, che “Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che, nel giorno delle elezioni, hanno compiuto i venticinque anni”: questa dicitura portò all’obiezione dell’On. Corbi che propose la soppressione dell’indicazione dell’età affermando che, se fosse stato approvato il progetto, si sarebbe creata una limitazione a danno di quella categoria di cittadini compresa tra i ventuno ed i venticinque anni.

La Commissione si disse contraria all’emendamento presentato dall’On. Corbi e fu proprio Ruini, facendo riferimento ai suoi studi riguardanti le Costituzioni del mondo, a specificare come “una differenza per il minimo di età tra elettore ed eleggibile è criterio ormai consueto ed accettato per quasi tutti i Parlamenti e in quasi tutte le Costituzioni” [181] ; l’Assemblea votò il testo del progetto.

Un’altra questione che sollevò diversi contraddittori tra i costituenti, in Assemblea, fu quella riguardante la durata che avrebbero dovuto avere le due Camere: le prime osservazioni, circa il progetto della Commissione, furono apportate dall’On. Nitti, che rimarcò come fosse importante dare continuità al sistema parlamentare, mantenendo in vita la Camera alta [182] , e dall’on Corbino che, sempre al fine di dare al Senato un carattere di continuità di esistenza, propose la parziale rinnovabilità a scadenza fissa di quest’istituto.

Contro questa proposta, di rinnovamento parziale, si schierarono l’On. Piccioni, il quale prospettò l’inopportunità di mettere in forse ogni due anni l’equilibrio politico e, quindi, la stabilità del Governo, e l’On. Clerici, che aggiunse la difficoltà che si sarebbe incontrata nella gestione del rinnovamento dei senatori eletti dalle regioni [183] ; lo stesso Clerici obiettò, poi, alla proposta di una diversa durata delle due Camere, sostenendo che l’istituto della prorogatio, grazie al quale non si sarebbe mai venuta a creare una situazione di vacatio legislativa, facesse mancare questa necessità.

L’On. Ruini, a nome della Commissione, osservò che questa era partita dal criterio di differenziare le due Camere, ma non di attribuire a ciascuna di esse diverse funzioni: si può anzi dire che il criterio della pianificazione funzionale si accompagnasse a quello della differenziazione costitutiva e, per questa ragione, fu adottata un’uguale durata per le due camere.

“Tutto il progetto – proseguì l’On. Ruini – è informato ad un criterio di simmetria e di equilibrio, che verrebbe meno con la diversa durata; non si avrebbero più, ad esempio, la legislatura, il funzionamento parallelo e sincrono delle due Camere. La Commissione, pur non respingendo la bicameralità, ha tenuto presente che il Parlamento deve essere concepito con una logica connessione e con una corrispondenza di funzioni che implica anche uguaglianza di durata… La nuova democrazia vuole due Camere differenziate, ma funzionanti in parallelo. Si aggiunga che le frequenti rinnovazioni parziali del Senato e la diversità di durata delle due Camere farebbero sorgere la necessità di continue elezioni, complicate e costosissime per lo Stato, e terrebbero in continua febbre elettorale il popolo, né gioverebbero a quella stabilità dei Governi che è necessaria all’interno dello Stato” [184] .

Posto in votazione, il principio della rinnovabilità del Senato fu respinto; sembrava quindi che l’Assemblea si orientasse verso il progetto ma, approvata una durata di cinque anni per la Camera, fu poi votata, su proposta dell’On. Lucifero, una diversa durata (sei anni) per il Senato. Il presidente della Commissione, dopo questa votazione, fece notare il suo disappunto: “Con l’ultima votazione, che ha portato a sei anni la durata del Senato, si viene ad intaccare il concetto di legislatura che era comune alle due Camere; e significava che le due Camere venivano elette nello stesso tempo e potevano essere sciolte nello stesso tempo. Faccio le mie riserve, non solo per questo punto, ma per altri; perché molte disposizioni sistematiche del progetto, basate sul parallelo delle due Camere, vengono meno” [185]

Tuttavia, nonostante che, durante il coordinamento finale, il termine “legislatura”, che compariva varie volte nel progetto, fosse stato sostituito con diverse formulazioni, questa parola rimase, e parve una pura dimenticanza, nel sesto comma dell’art. 135: ciò diede un riconoscimento della legislatura nella Costituzione.

Ruini, durante la presentazione del progetto di Costituzione, spiegò anche il nuovo istituto della prorogatio e i motivi che avevano portato i membri della Commissione alla sua introduzione: il fatto di “far sopravvivere un organo già morto” [186] venne giustificato per non privare il Parlamento, nell’intervallo tra le legislature, della possibilità di controllo e di azione: non, però, l’esercizio normale di poteri e di lavori delle Camere, ma il loro intervento nelle contingenze ove fosse stato necessario.

La forma di governo

Fu nella seconda Sottocommissione che, principalmente, si sviluppò il dibattito sulla forma di governo, tanto che Perassi sintetizzò in un ordine del giorno il lavoro svolto: “La seconda Sottocommissione, udite le relazioni degli onorevoli Mortati e Conti, ritenuto che né il tipo di governo presidenziale, né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l’adozione del sistema parlamentare, da disciplinarsi tuttavia con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo” [187] .

Il partito comunista prese decisamente posizione contro questa ipotesi, seguito, senza esitazioni, da quello socialista; fu La Rocca ad assumersi l’incarico di esprimere la dottrina costituzionale comunista [188] specificando che il regime parlamentare “dovrà avere caratteristiche particolari, con l’istituzione di un’Assemblea rappresentativa popolare che, nello stesso tempo, sia legislativa ed esecutiva, elabori la legge e ne controlli l’esecuzione, esamini, critichi e decida, sorvegli l’osservanza delle sue decisioni” [189] .

Personalmente, Ruini, riteneva che il regime democratico-parlamentare fosse il più adatto ai popoli sviluppati in senso etico-politico ed economico, ma, intravedendo sotto questo aspetto l’arretratezza della neonata repubblica, temeva che il regime parlamentare puro potesse esporre il popolo italiano “che per alcune zone è ai margini dello sviluppo … a pericoli marginali, anche politicamente” [190]

Nel dibattito fu chiaro che la proposta istituzionale comunista era molto lontana dall’ipotesi di “razionalizzazione” del parlamentarismo proposta dalle relazioni e Grieco, il più autorevole esponente del partito in Sottocommissione, con l’obiettivo di rinviare la seconda parte della proposta alla successiva discussione sui rapporti tra Governo e Parlamento, propose una votazione per la divisione dell’ordine del giorno.

La proposta Grieco non passò e l’ordine del giorno venne approvato con sei astensioni; la proposta comunista finì tuttavia col pesare fortemente, contribuendo a minimizzare quel tentativo di “razionalizzazione” del parlamentarismo che, unitamente, era stato proposto dai migliori esponenti della cultura istituzionale liberal-democratica e democratica-cristiana.

In Assemblea plenaria, fu Bozzi ad aprire il dibattito sull’art. 67 del progetto, proponendo di sostituirlo con “La funzione legislativo è collettivamente esercitata dal Presidente della Repubblica e dalle due Camere” e riprendendo la discussione avvenuta in seconda Sottocommissione intorno al potere di intervento del Capo dello Stato mediante la sanzione [191] . Bozzi, richiamando anche implicitamente alcuni caratteri dello Statuto Albertino, affermò in sostanza che il concetto in base al quale, in un regime democratico, la legge debba essere espressione delle Camere, depositarie della volontà popolare, non può portare alla esclusione del Presidente della Repubblica da qualsiasi forma di intervento, anche in quanto egli impersona lo Stato nei suoi tre poteri. La tesi fu decisamente avversata da Ruini, che ricordò come il progetto si fosse limitato a conferire al Capo dello Stato la promulgazione delle leggi.

L’articolo venne approvato nel testo proposto dalla Commissione per la Costituzione e rimase invariato nell’art. 70 della Carta Costituzionale (se si eccettua la posposizione dell’avverbio “collettivamente” alla parola “esercitata”). [192]

Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta ed urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.
I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni [193] .

Il Presidente della Commissione per la Costituzione rivelò che, dopo aver accantonato la soluzione di una limitazione “di sostanza” che riducesse i decreti-legge soltanto ad alcune categorie di atti, si era stabilito di ricorrere ad una limitazione di procedura, adottando, tra l’altro, una forma negativa per la possibilità di ricorso (“non possono essere ammessi”).

Codacci Pisanelli propose di introdurre l’espressione positiva: “In casi di straordinaria ed urgente necessità il Capo dello Stato potrà emanare, con suo decreto, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, norme aventi forza di legge ordinaria” [194] .

In seguito poi alle proposte di Targetti, venne approvato il testo: “Non si possono emanare decreti aventi valore di legge se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.

I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni” [195].
Il Presidente rinviò tuttavia al coordinamento finale l’ultimo comma, ricordando a Ruini l’impegno di trovare una formulazione più chiara.
Confrontando questa formulazione con il testo definitivo della Costituzione, si rileva che il Comitato di Redazione non intervenne solo formalmente: venne chiarito, infatti, tra l’altro (come aveva affermato Ruini in Assemblea), che non convertendo il decreto legge, la revoca ex tunc non avrebbe comunque comportato una caduta nel nulla dei rapporti e degli atti compiuti nel periodo intermedio: le Camere, nel momento della reiezione, avrebbero potuto deliberare al riguardo.

Riguardo alle critiche formulate da Vittorio Emanuele Orlando alla seconda parte della Carta (in particolare sulla eleggibilità del Capo dello Stato [196] ), il politico reggiano ammise che così come era stato possibile raggiungere una vasta intesa sulla parte dei diritti [197] , sulla parte della organizzazione dei poteri incombevano ancora “gli spettri di Cesare, di Bonaparte e di Hitler”. Difatti, “alcuni ritenevano con me che, senza arrivare alla identificazione americana col Capo del Governo, fosse da ammettere la designazione del capo dello Stato da parte del popolo, per dargli una maggiore autonomia e per stabilire un potere più durevole e saldo in mezzo alle fluttuazioni di forze e di partiti. Non presentai la proposta per timore che, come in altri paesi che non sono gli Stati Uniti d’America, si potesse andare a deviazioni bonapartesche ed autoritarie, ma aggiunsi: «Sta ad ogni modo che il Capo della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre Costituzioni»” [198] .

In definitiva, i timori derivanti dalla passata dittatura condussero alla concorde decisione di abbandonare la questione dell’elezione diretta del Capo dello Stato: “L’accordo (chiamiamolo pure compromesso) non si é potuto realizzare in certe questioni, ma in molte vi é stato, malgrado le divergenze oratorie, ed i voti ed i controvoti dell’assemblea. La nostra Costituzione vivrà in quanto sarà riuscita ad essere, al di fuori dei negoziati consapevoli delle parti, il compromesso richiesto dal momento storico”.

Stabilite quelle che avrebbero dovute essere le funzioni riservate al Capo dello Stato, il dibattito assembleare si spostò sul Governo e sulle modalità per giungere alla sua formazione; l’On. Ruini si fece carico di spiegare all’On. La Rocca la differenza esistente tra il primo ministro, così come inteso nell’art. 92 Cost., e la figura del cancelliere: il primo, un istituto già esistente in Costituzioni scritte così come in Costituzioni non scritte, sarebbe infatti stato responsabile sia davanti al Capo dello Stato, sia davanti al Parlamento: “Sono due atti distinti di nomina, e che lo siano è perfettamente logico e costituzionalmente corretto” [199] .

Il presidente della Commissione intervenne anche sull’art. 94 Cost. e, più precisamente, per controbattere gli emendamenti sul quinto comma: l’On. Rubilli aveva infatti proposto di demandare ai regolamenti interni delle Camere le modalità relative alla presentazione della mozione di sfiducia, ma Ruini replicò che, scopo della norma, era garantire la stabilità del Governo, in analogia a molte altre costituzioni, e che, a questa preoccupazione, si erano ispirati  la Sottocommissione e il Comitato di Redazione; bisognava assolutamente evitare gli “assalti alla diligenza” e le “bucce di limone” [200] con cui, in passato, si facevano scivolare i Governi grazie a votazioni di sorpresa su argomenti qualsiasi, dando al voto significato di sfiducia. La libertà di discussione, anche grazie all’esistenza di altri mezzi per parlare della politica del Governo quali, ad esempio, le mozioni ordinarie o le interpellanze, non sarebbe stata, secondo Ruini, minimamente violata; fatto ben diverso, e meritevole di una tutela particolare, era la possibilità di far cadere un Governo: ecco il perché della necessità di un’apposita mozione motivata, a garanzia della serietà dell’intento, e del quorum per la sua presentazione.

Posto ai voti, l’articolo fu approvato nel testo della Commissione, respingendo così la proposta Ruffilli ma, a scrutinio segreto, fu accettato l’emendamento presentato da Targetti sull’abbassamento del quorum da un quinto a un decimo.

Lo stretto legame fiduciario tra Parlamento e Governo, proprio del regime parlamentare previsto dalla Carta, era tutt’altro che indirizzato ad una forma di governo direttoriale; anzi, proprio Ruini ribadì (anche in seguito) l’autonomia, seppur limitata, del Governo “L’ottuagenario non ha creduto di rinnegare, anzi, i principi di sovranità popolare e di primazia parlamentare, sostenendo che il potere esecutivo può e deve essere chiamato «attivo»; nel senso che non si muove soltanto quale mero esecutore di comandi del Parlamento, ma ha attività ed iniziative sue, nei limiti normativi della Costituzione e delle leggi” [201] .


[180] Questo articolo venne infatti modificato, nel corso della terza legislatura, con legge costituzionale 9 febbraio 1963, n. 2.
[181] Atti Assemblea Costituente, seduta del 23 settembre 1947, p. 442, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 181
[182] Così Nitti: “Il Senato non si scioglie, deve durare… Il Senato vuol dire permanenza di qualcosa”, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 189
[183] Così Clerici: “Ma, tenuto presente che abbiamo già votato e deciso il principio che i senatori sono legati alla regione e che i seggi regionali non sono poi neanche numerosi, specie per le piccole Regioni, come è possibile risolvere il problema dello scomponimento in tre?”, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 189
[184] Atti Assemblea Costituente, seduta del 9 ottobre 1947, p. 1066, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 190
[185] Atti Assemblea Costituente, seduta del 9 ottobre 1947, p. 1076, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 190
[186] Atti Assemblea Costituente, seduta del 9 ottobre 1947, p. 1076, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 193
[187] Atti Commissione Costituente, II Sottocommissione, seduta del 4-5 settembre 1947, p. 103-129, in AA.VV., Il parlamento Italiano 1861-1988. 1946-1947: Repubblica e Costituzione. Dalla luogotenenza di Umberto alla presidenza De Nicola, Milano, 1989, vol. XIV, p. 138
[188] Questa era, per larga parte, tributaria dell’impostazione della prima Costituzione francese.
[189] Atti Commissione Costituente, II Sottocommissione, seduta del 4-5 settembre 1947, p. 114, in AA.VV., Il parlamento Italiano 1861-1988. 1946-1947: Repubblica e Costituzione. Dalla luogotenenza di Umberto alla presidenza De Nicola, Milano, 1989, vol. XIV, p. 139
190] Ruini Meuccio, Postille: se e come si può e si deve ripensare e rivedere la nostra Costituzione, appunti, bozze, corrispondenza e materiale inedito conservato in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[191] Atti Assemblea Costituente, seduta del 14 ottobre 1947, in Cheli Enzo, La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria all’Assemblea Costituente, Bologna, 1979, p. 363
[192] Cheli Enzo, La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria all’Assemblea Costituente, Bologna, 1979, p. 363
[193] Atti Assemblea Costituente, seduta del 17 ottobre 1947, in Cheli Enzo, La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria all’Assemblea Costituente, Bologna, 1979, p. 378
[194] Cheli Enzo, La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria all’Assemblea Costituente, Bologna, 1979, p. 378
[195] ibid
[196] Secondo Orlando, solo un’elezione diretta avrebbe legittimato i suoi poteri, Atti Assemblea Costituente, seduta del 10 marzo 1947, pp. 1930 ss.
[197] Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo. Come si é formata la Costituzione, Milano, 1961, p. 211
[198] Ruini Meuccio, Le confessioni pel domani (da un ultraottuagenario), Ricordi di pensiero e di vita e per la storia di domani, bozza inedita conservata in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[199] Atti Assemblea Costituente, seduta del 23 ottobre 1947, p. 1501, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 291
[200] Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 298
[201] Ruini Meuccio, Le confessioni pel domani (da un ultraottuagenario), Ricordi di pensiero e di vita e per la storia di domani, bozza inedita conservata in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)

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