PARTE TERZA

CAPITOLO V
Le assemblee parlamentari

Le folle parlamentari presentano la maggior parte dei caratteri comuni alle folle etorogenee non anonime - Semplicismo delle opinioni - Suggestionabilità e suoi limiti - Opinioni fisse irriducibili, ed opinioni mobili - Perché predomina l'indecisione - Funzione degli agitatori - Ragioni del loro prestigio - Essi sono i veri padroni di un'assemblea - Potenza assoluta da loro esercitata - Gli elementi della loro arte oratoria - Le parole e le immagini. Necessità psicologica degli agitatori di essere generalmente convinti e limitati - Impossibilità per l'oratore senza prestigio di far ammettere le sue ragioni - Esagerazione dei sentimenti, buoni o cattivi, nelle assemblee - Automatismo da loro raggiunto in certi momenti - Le sedute della «Convenzione » - Casi nei quali una assemblea perde i caratteri delle folle - Influenza degli specialisti nelle questioni tecniche - Vantaggi e pericoli del regime parlamentare in ogni paese - Esso è adatto alle necessità moderne; ma conduce allo sperpero delle finanze ed alla restrizione progressiva di tutte le libertà. ---- Conclusione dell'opera

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Le assemblee parlamentari rappresentano folle eterogenee non anonime. Nonostante la loro formazione variabile secondo le epoche e i popoli, si assomigliano molto nei loro caratteri. L'influenza delle razze attenua o esagera - ma non impedisce - la manifestazione di questi caratteri. Le assemblee parlamentari delle regioni più diverse, quelle della Grecia, dell'Italia, del Portogallo, della Spagna, della Francia e dell'America, presentano nelle loro discussioni e nei loro voti, molte analogie e lasciano i loro governi nelle identiche difficoltà.

Il regime parlamentare sintetizza l'ideale di tutti i popoli civili moderni. Esso esprime l'idea - psicologicamente errata ma generalmente ammessa - che molti uomini riuniti sanno dare meglio una decisione saggia e indipendente su un dato soggetto.
Ritroviamo nelle assemblee parlamentari le caratteristiche generali delle folle: semplicismo di idee, irritabilità, suggestionabilità, esagerazione dei sentimenti, influenza preponderante dei condottieri. Ma, secondo la loro speciale composizione, le folle parlamentari presentano qualche differenza.
Le indicheremo fra poco.

Il semplicismo delle opinioni è una delle loro caratteristiche più notevoli. In tutti i partiti, specialmente nei popoli latini, si riscontra una tendenza invariabile a risolvere i più complicati problemi sociali coi più semplici principii astratti e con leggi che generalmente sono applicabili a tutti i casi. I princìpi variano, naturalmente, secondo i partiti, ma per il solo fatto che gli individui sono in folla, tendono sempre a esagerare il valore di questi princìpi e a portarli sino alle più lontane conseguenze. Anche i parlamenti rappresentano soprattutto opinioni estreme.

L'esempio più perfetto del semplicismo delle assemblee fu dato dai giacobini della grande Rivoluzione.
Tutti dogmatici e logici, col cervello pieno di generalità vaghe, essi si preoccupavano di applicare dei princìpi fissi, senza curarsi degli avvenimenti, e fu detto molto giustamente che essi attraversarono la Rivoluzione senza vederla. Con qualche dogma credevano di rifare una società in tutte le sue parti, e portare una civiltà raffinata ad una fase molto anteriore dell'evoluzione sociale. Anche i loro mezzi per realizzare questo sogno avevano quest'impronta di semplicismo. Infatti i giacobini si limitavano a distruggere violentemente gli ostacoli che li imbarazzavano. Del resto, tutti i giacobini, montagnardi, termidoriani, ecc., erano animati dallo stesso spirito.

Le folle parlamentari sono molto suggestionabili e come sempre la suggestione emana dai condottieri circondati dall'aureola del prestigio; ma nelle assemblee parlamentari, la suggestionabilità ha dei limiti molto precisi che è necessario notare.
Ogni membro di un'assemblea possiede, su tutte le questioni di interesse locale, delle opinioni fisse, irriducibili, che nessuna discussione potrebbe smuovere. Il talento di un Demostene non potrebbe modificare il voto di un deputato su delle questioni come il protezionismo o il privilegio dei distillatori di acquavite, che rappresentano esigenze di elettori influenti. La suggestione anteriore di questi elettori è abbastanza forte per annullare tutte le altre, e mantenere fisse le opinioni (*).
(*) A queste opinioni fissate anteriormente e rese irriducibili da necessità elettorali, si riferisce certamente questa riflessione di un vecchio parlamentare inglese: «Da cinquant'anni siedo a Westminster e ho udito migliaia di discorsi; pochi sono riusciti a cambiare le mie opinioni; ma nessuno ha mutato il mio voto.»

Su delle questioni generali: rovesciamento di un ministero, imposizione di un'imposta, ecc., la immutabilità di opinione scompare, e le suggestioni dei capi possono operare, ma niente affatto come in una folla ordinaria.
Ogni partito ha i suoi capi, che esercitano talvolta una uguale influenza. Il deputato si trova dunque tra suggestioni contrarie e diventa fatalmente assai esitante. Di modo che lo vediamo, a un quarto d'ora di distanza, votare in modo contrario, aggiungere a una legge un articolo che la distrugge: togliere, ad esempio, agli industriali il diritto di scegliere e di licenziare i loro operai, poi quasi annullare tale misura con un emendamento.

E ciò avviene perché, a ogni legislatura, una Camera manifesta opinioni costanti ed altre assai incerte. In fondo, essendo le questioni generali le più numerose, l'incertezza domina, mantenuta per il costante timore dell'elettore, la cui suggestione latente arriva a controbilanciare l'influenza dei capi.
Questi ultimi sono tuttavia i veri padroni nelle discussioni in cui i membri di un'assemblea non hanno opinioni anteriori ben precisate.
La necessità dei capi é evidente poiché, sotto il nome di capi-gruppo, li ritroviamo in tutti i paesi. Essi sono i veri sovrani delle assemblee. Gli uomini che costituiscono una folla non saprebbero fare a meno di un padrone; e ciò perché i voti di un'assemblea generalmente non rappresentano che le opinioni di una piccola minoranza.

I capi, lo ripetiamo, agiscono troppo poco in virtù dei loro ragionamenti e molto per il loro prestigio. Se una circostanza qualunque li priva di questo prestigio, essi non hanno più influenza.
Questo prestigio dei capi é individuale e non proviene né dal nome né dalla celebrità. Giulio Simon, parlando dei grandi uomini dell'assemblea del 1848, di cui egli fece parte, ne dà un assai curioso esempio
« Due mesi prima d'essere potentissimo, Luigi Napoleone non era nulla.
« Victor Hugo salì alla tribuna. Non vi fu successo. Fu ascoltato come si ascoltava Felice Pyat; non lo si applaudì altrettanto".
« Non amo le sue idee, mi disse Vaulabelle parlando di Felice Pyat; ma é uno dei più grandi scrittori e il più grande oratore della Francia ».
Edgardo Quinet, questo raro e possente spirito, non era calcolato nulla. Aveva avuto il suo momento di popolarità prima dell'apertura dell'Assemblea; nell'Assemblea non ebbe alcuna popolarità.
« Le assemblee politiche sono il luogo della terra dove il genio si fa meno sentire. In esse non si tiene conto che di un'eloquenza appropriata al tempo e al luogo, e dei servizi resi non alla patria, ma ai partiti. Perché si rendesse omaggio a Lamartine nel 1848 e a Thiers nel 1871, fu necessario lo stimolo della necessità urgente, inesonerabile. Passato il pericolo, tramontò con la paura anche la riconoscenza ».

Ho riprodotto questo passo per i fatti che esso contiene, ma non per le spiegazioni che pone sott'occhio. Esse sono di una psicologia mediocre. Una folla perderebbe senz'altro il suo carattere se essa tenesse conto, rispetto ai suoi capi, dei servizi resi, sia alla patria, sia al partito. La folla subisce il prestigio del capo e non fa intervenire nella sua condotta alcun sentimento di interesse o di riconoscenza.
Il capo dotato di un prestigio sufficiente possiede un potere quasi assoluto. Si conosce l'influenza immensa che un celebre deputato esercitò per lunghi anni, grazie al suo prestigio, perduto poi momentaneamente in seguito a certi avvenimenti finanziari. Ad un semplice suo segno, i ministeri venivano rovesciati. Uno scrittore ha precisato benissimo nelle seguenti righe la portata della sua azione.
« Noi dobbiamo principalmente a C... d'aver comperato il Tonchino a un prezzo tre volte più caro di quello che avrebbe dovuto costare, di non aver preso nel Madagascar che un piede incerto, di esserci lasciati portar via tutto un impero nel basso Niger, di aver perso la preponderanza in Egitto. Le teorie di C... ci sono costate più territori dei disastri di Napoleone Bonaparte ».

Non bisognerebbe incolpare troppo il capo in questione. Ci é costato molto caro, é vero; ma una gran parte della sua influenza dipendeva dal fatto che egli seguiva l'opinione pubblica, che in materia coloniale, allora non era quella che é diventata oggi. Un condottiero ben raramente precede l'opinione pubblica, e di solito si limita ad adottarne gli errori.

I mezzi di persuasione dei capi, dopo il prestigio, sono i fattori che abbiamo enumerato parecchie vol
te. Par servirsene in modo proficuo, il capo deve aver penetrato, almeno incoscientemente, la psicologia delle folla, e sapere coma parlar loro, conoscere soprattutto l'influenza fascinatrice delle parola, delle formule e della immagini. Bisogna cha possieda una speciale eloquenza, composta di affermazioni energiche e di immaginazioni impressionanti inquadrate da ragionamenti molto sommari. Questo genere di eloquenza si ritrova in tutta le assemblee, compreso il parlamento inglese, che tuttavia é il più ponderato di tutti.

« Possiamo leggere sempre
- dice il filosofo inglese Maine - dai dibattiti alla Camera dai Comuni in cui la discussione consista in uno scambio di generalità assai deboli e di ingiuria assai violente. Questo genere di formule generali esercita un effetto prodigioso sull'immaginazione di una democrazia pura. Sarà sempre facile far accettare a una folla delle idee generali presentate con parole impressionanti, anche se queste idee non siano mai state verificate e forse non sia possibile verificarle. »

L'importanza dalla parole « impressionanti », indicata nel passo precedente, non sarà mai troppo esagerata. Abbiamo già insistito più volte sul potere speciale dalla parola e dalle formule scelte in modo da evocare immagini molto vive. La frase seguente, presa da un discorso di un capo di assemblee, ne é un eccellente esempio.
« Il giorno in cui la stessa nave porterà verso le terre malsana dalla relegazione il politicante sospetto e l'anarchico assassino, essi potranno intavolare conversazioni, e a vicenda si vedranno come i due aspetti complementari di uno stesso ordine sociale ».

L'immagine così evocata é netta, impressionante, e tutti gli avversari dell'oratore si sentiranno da essa minacciati. Essi vedranno nello stesso momento il paese delle febbri, il bastimento che potrà deportarli, poiché non fanno essi parte della categoria assai mal limitata dei politicanti minacciati. Essi provano allora il sordo timore che dovevano provare i convenzionisti - più o meno minacciati dalla mannaia della ghigliottina - nell'ascoltare i vaghi discorsi di Robespierre; e per questa paura essi cedevano di fronte a lui.

I capi hanno interesse di profondersi nelle più inverosimili esagerazioni. L'oratore di cui io ho citato ora una frase, ha potuto affermare, senza sollevare grandi proteste, che i banchieri e i preti assoldano i lanciatori di bombe, e che gli amministratori delle grandi compagnie finanziarie meritano le stesse pene degli anarchici. Sulle folle, simili mezzi agiscono sempre. L'affermazione non é mai troppo clamorosa, né la declamazione mai troppo minacciosa. Non c'é niente che meglio possa intimidire gli uditori. Protestando, essi temono di passare per vili o complici.

Questa particolare eloquenza ha regnato su tutte le assemblee, e nei periodi critici non faceva che accentuarsi. La lettura dei discorsi dei grandi oratori della Rivoluzione é molto interessante sotto questo punto di vista. Essi si credevano in dovere di interrompersi ad ogni istante per stigmatizzare il delitto ed esaltare la virtù; poi esplodevano in imprecazioni contro i tiranni, e Giuravano di vivere liberi o di morire.

Il pubblico si alzava, applaudiva con furore, poi, calmato, si sedeva di nuovo.
Il capo può essere a volte intelligente e istruito; ma ciò, di solito, più che essergli utile, gli nuoce. Dimostrando le complessità delle cose, e permettendo di spiegare e di comprendere, l'intelligenza rende indulgenti, e smussa moltissimo l'intensità e la violenza delle convinzioni necessarie ai seguaci. I grandi capi di tutte le epoche, principalmente quelli della Repubblica, sono stati molto gretti e, tuttavia, esercitarono una grande azione.

I discorsi del più celebre di essi, Robespierre, stupivano spesso per la loro incoerenza. Leggendoli, non vi troviamo nessuna spiegazione plausibile dell'immensa parte sostenuta dal potente dittatore.
«Luoghi comuni e ridondanze dell'eloquenza pedagogica e della cultura latina al servizio di un'anima più puerile che piatta, che par limitarsi nell'attacco e nella difesa, al « Vieni dunque ! » degli scolari. Non un'idea, non un lampo di abilità : é la noia nella tempesta. Quando si esce dalla grave lettura si ha voglia di metter fuori l'auf ! dell'amabile Camillo Desmoulins ».

E' spaventoso pensare al potere che una convinzione forte, unita a un'estrema angustia mentale, conferisce a un uomo circondato da un certo prestigio. Tuttavia queste condizioni sono necessarie, per ignorare gli ostacoli e saper volere. Le folle riconoscono per istinto, fra questi condottieri energici, il padrone che abbisogna loro. In un'assemblea parlamentare, il successo di un discorso dipende quasi unicamente dal prestigio dell'oratore, e non dalle ragioni che egli espone.

L'oratore sconosciuto che fa un discorso pieno di buoni ragionamenti, ma soltanto di ragionamenti, non ha nessuna probabilità d'essere ascoltato. Un vecchio deputato, Descubes, ha descritto nelle righe seguenti l'immagine del legislatore senza prestigio.
« Quand'egli ha preso posto nella tribuna, cava dal portafoglio un incartamento che spiega metodicamente davanti a sé, ed esordisce con sicurezza.
Si lusinga di far entrare nell'anima degli ascoltatori la convinzione che lo anima. Ha pesato e ripesato i suoi argomenti, ed é sovraccarico di cifre e di prove; é sicuro di aver ragione. Ogni resistenza, dinanzi all'evidenza dei suoi argomenti, sarà vana. Egli comincia, fiducioso nel suo buon diritto e nell'intenzione dei suoi colleghi, che, certamente, non domandano che di inchinarsi dinanzi alla verità. Egli parla, e, subito, é sorpreso dal movimento prodotto nella sala, e resta interdetto dal mormorio crescente. Come mai non si fa silenzio ? Perché questa generale disattenzione ? A che pensano quelli là che parlano tra loro ? Quale motivo così urgente fa lasciare il proprio posto a quegli altri ?
Una nube passa sulla sua fronte. Aggrotta le sopracciglia, si ferma. Incoraggiato dal presidente, riprende alzando la voce. Viene ascoltato sempre meno. Alza ancora il tono, si agita: il rumore raddoppia intorno a lui. Neppur lui sente la propria voce, si ferma ancora; poi, temendo che il suo silenzio provochi il grido importuno di: « Chiusura !» riprende di tutta lena. Il baccano diventa insopportabile ».


Le assemblee parlamentari, salite a un certo grado di eccitazione, diventano identiche alle folle eterogenee comuni, e di conseguenza i loro sentimenti presentano la caratteristica d'essere sempre estremi. Compieranno atti di eroismo o andranno ai peggiori eccessi. L'individuo cessa di essere sé stesso, e voterà le misure più contrarie ai suoi interessi personali. La storia della Rivoluzione dimostra fino a che punto le assemblee possano diventare incoscienti e subire le suggestioni svantaggiose per i loro interessi.
Per la nobiltà era un sacrificio enorme rinunciare ai propri privilegi, pur tuttavia, in una notte celebre per la Costituente, la nobiltà fece la rinuncia senza esitare. Per i convenzionisti era una continua minaccia di morte il rinunciare alla propria inviolabilità, e tuttavia lo fecero e non temettero di decimarsi reciprocamente, pur sapendo che domani era loro riservato il patibolo, sul quale vedevano ora salire dei colleghi.

Ma arrivati a questo grado d'automatismo che ho descritto, nessuna considerazione poteva impedir loro di credere alle suggestioni che li ipnotizzavano. Il passo seguente, tolto dalle memorie di uno di loro, Billaud-Varennes, é tipico a questo riguardo : « Le decisioni, che tanto ci si rimproverano, noi non le volevamo nè due giorni, né un giorno prima: soltanto la crisi le creava. »
Non c'é nulla di più giusto.
Gli stessi fenomeni di incoscienza si manifestarono durante tutte le sedute tumultuose della Convenzione.
« Essi approvano e decretano - dice Taine - ciò di cui hanno orrore, non soltanto le sciocchezze e le pazzie, ma i delitti, gli assassinii degli innocenti, la morte dei loro amici. La sinistra, unita alla destra, all'unanimità e con vivi applausi, manda al patibolo Danton, il suo capo, il grande promotore e condottiero della Rivoluzione. All'unanimità, e con gridi di ammirazione e di entusiasmo, con testimonianze di simpatia appassionata per Collot d'Hérbois, per Couthon e per Robespierre, la Convenzione con rielezioni spontanee e numerose, sostiene il governo omicida che il Piano detesta perché é omicida, e che la Montagna detesta perché la distrugge.
Piano e Montagna, la maggioranza e la minoranza, finiscono con l'approvare il proprio suicidio. Il 22 pratile, tutta la Convenzione ha offerto il petto; l'8 termidoro, durante il primo quarto d'ora che ha seguito il discorso di Robespierre, l'ha offerto ancora ».


Il quadro può sembrare cupo. Tuttavia é esatto. Le assemblee parlamentari sufficientemente eccitate e ipnotizzate presentano gli stessi caratteri. Esse diventano un gregge mutevole, che obbedisce a tutti gli impulsi. E assai tipica la descrizione seguente dell'assemblea del 1848, dovuta a un parlamentare di cui non si sospetterà la fede democratica, lo Spuller, e che riproduco dalla Rivista letteraria. Vi ritroviamo tutti i sentimenti esagerati, che ho descritto, delle folle, e quella eccessiva mobilità che permette di passare da un istante all'altro per la gamma dei sentimenti più contrari.
« Le divisioni, le gelosie, le supposizioni, e di volta in volta la cieca fiducia e le speranze illimitate hanno condotto il partito repubblicano alla perdizione. La sua semplicità e il suo candore non avevano di uguale che la sua universale diffidenza. Nessun senso della legalità, nessuna comprensione della disciplina : terrori e illusioni senza limiti : il contadino e il fanciullo sono in lui. La calma rivaleggia con l'impazienza. La rozzezza si uguaglia alla docilità. È questa la peculiarità di un temperamento per niente affatto maturo e di una educazione assente. Niente stupisce e niente sconcerta. Tremanti, paurosi, intrepidi, eroici, si getteranno attraverso le fiamme e retrocederanno dinanzi a un'ombra.
« Non conoscono affatto gli effetti e le relazioni delle cose. Altrettanto pronti agli scoraggiamenti quanto alle esaltazioni, soggetti ad ogni panico, sempre troppo esaltati o troppo avviliti, mai al giusto grado e nella misura che converrebbe. Più fluidi dell'acqua, riflettono tutti i colori e prendono tutte le forme. Quale base di governo possono sperare di stabilire? »

Per buona fortuna, tutti i caratteri che abbiamo ora descritti, relativi alle assemblee parlamentari, non si manifestano costantemente. Esse non costituiscono folla che in certi momenti. Gli individui che le compongono riescono a conservare la loro individualità in un gran numero di casi, e ciò perché un'assemblea può elaborare leggi tecniche eccellenti. Queste leggi sono, é vero, preparate da uno specialista nel silenzio dello studio; e la legge votata é in realtà opera di un individuo, e non più di un'assemblea. Queste leggi sono, naturalmente, fra le migliori. Esse non diventano disastrose se non quando una serie di emendamenti inadatti le rendano collettive. L'opera di una folla é ovunque e sempre inferiore a quella di un individuo isolato. Soltanto gli specialisti salvano le assemblee dalle misure troppo disordinate e troppo poco pratiche. Essi diventano allora dei capi momentanei. L'assemblea non agisce su di essi, ed essi agiscono sull'assemblea.

Nonostante tutte le difficoltà del loro funzionamento, le assemblee parlamentari rappresentano il miglior metodo che i popoli abbiano escogitato per governarsi, e soprattutto per sottrarsi il più possibile al giogo delle tirannie personali. Esse sono certamente l'ideale di un governo, almeno per i filosofi, i pensatori, gli scrittori, gli artisti e gli scienziati, in una parola per tutto ciò che costituisce il sommo di una civiltà.
Del resto, esse non comportano che due seri pericoli : lo spreco forzato delle finanze e una progressiva restrizione delle libertà individuali.

Il primo di questi pericoli é la necessaria conseguenza delle esigenze e della imprevidenza delle folle elettorali.
Se un membro di un'assemblea propone qualche misura che dia apparente soddisfazione a delle idee democratiche - assicurare, ad esempio, delle pensioni a tutti gli operai, aumentare lo stipendio dei cantonieri, dei maestri, ecc. - gli altri deputati, suggestionati dal timore degli elettori, non oseranno aver l'aria di disdegnare gli interessi di questi ultimi, respingendo la misura proposta. Essi sanno tuttavia che essa graverà sul bilancio e che necessiterà la creazione di nuove imposte. Ogni esitazione nel loro voto, é impossibile. Allorché le conseguenze dell'aumento delle spese sono ancora lontane e senza risultati molto preoccupanti per loro, le conseguenze di un voto negativo potrebbero, invece, apparire chiaramente il giorno vicino in cui bisognerà ripresentarsi dinanzi agli elettori.

A questa prima causa di esagerazione delle spese, se ne aggiunge un'altra, non meno imperativa : l'obbligo di accogliere tutte le spese di interesse puramente locale. Un deputato non saprebbe opporvisi, perché esse rappresentano ancora delle esigenze degli elettori, e ogni deputato non può ottenere quello di cui ha bisogno per la sua circoscrizione, se non a condizione di cedere alle domande analoghe dei suoi colleghi (*).
(1) Nel numero del 6 aprile 1895 l'Economiste faceva una curiosa rassegna di quello che vengono a costare in un anno queste spese d'interesse puramente elettorale, specialmente quelle delle ferrovie. Per collegare Langayes (città di 3.000 abitanti) situata su una montagna, a Puy, vota una ferrovia che costerà 15 milioni. Per collegare Beaumont (3.500 abitanti) a Castel-Sarazin, vota 7 milioni. Per collegare il paese di Ous (523 abitanti) con Seix (1.200 abitanti), 7 milioni. Per collegare Prades alla borgata di Olette (747 abitanti), 6 milioni, ecc. Soltanto nel 1895, sono stati votati 90 milioni per ferrovie che non hanno nessun interesse generale. Altre spese di carattere elettorale, non sono meno importanti.

La legge sulle pensioni operaie costerà un minimo di 165 milioni all'anno, secondo il ministro delle finanze, e di 800 milioni secondo l'accademico Leroy-Beaulieu. L'aumento continuo di tali spese ha per conseguenza il fallimento. Molti paesi in Europa: il Portogallo, la Grecia, la Spagna, la Turchia vi sono arrivati; altri stanno per arrivarci; ma bisogna preoccuparsene seriamente, poichè il pubblico ha successivamente accettato senza proteste la riduzione dei quattro quinti nel pagamento delle cedole per diversi paesi.

Questi ingegnosi fallimenti permettono allora di rimettere istantaneamente in equilibrio il bilancio dello stato. Le guerre, il socialismo, le lotte economiche ci preparano ben altre catastrofi, e nell'epoca della disgregazione universale in cui siamo, bisogna rassegnarsi a vivere giorno per giorno, senza troppa preoccuparsi del futuro che ci sfugge.

Il secondo dei pericoli menzionati più sopra, la forzata restrizione delle libertà per mezzo delle assemblee parlamentari, é meno evidente in apparenza, ma molto reale. E il risultato di innumerevoli leggi; sempre restrittive, di cui i parlamenti - col loro spirito semplicista - vedono male le conseguenze, e si credono obbligati a votare.
Questo pericolo deve essere pur inevitabile, poiché nell'Inghilterra stessa, dove esiste il tipo più perfetto di regime parlamentare, il rappresentante che è il più indipendente dei suoi elettori, non é riuscito a sottrarvisi. Herbert Spencer, in un vecchio lavoro, aveva dimostrato. che l'aumento della libertà apparente doveva essere seguito dalla diminuzione della libertà reale. Riprendendo la stessa tesi nel suo libro L'Individuo contro lo Stato, egli dice così riferendosi al parlamento inglese:
« Da quest'epoca, la legislazione ha seguito il corso che io indicavo. Le misure dittatoriali, moltiplicandosi rapidamente, hanno sempre teso a restringere le libertà individuali, e ciò in due modi : sono stati stabiliti dei regolamenti, e sempre in numero maggiore, che impongono al cittadino una restrizione dove i suoi atti erano prima completamente liberi, e lo o
bbligano a compiere atti che prima poteva compiere o no, secondo la sua volontà. Nello stesso tempo, le cariche pubbliche, specialmente locali, sempre più gravose, hanno limitato ancor più la sua libertà diminuendo la parte di profitto ch'egli può impiegare a modo suo, e aumentando la parte che gli é tolta per essere impiegata secondo la volontà degli agenti pubblici. »

Questa riduzione progressiva della libertà si manifesta in tutti i paesi sotto una forma speciale, che Herbert Spencer non ha indicata : la creazione di numerose misure legislative, quasi tutte d'ordine restrittivo, che necessariamente aumentano il numero, il potere, e l'influenza dei funzionari incaricati di applicarle.
Questi tendono a diventare i veri padroni dei paesi civili. Il loro potere é tanto grande che, negli incessanti cambiamenti di governo, la classe amministrativa sfugge a questi mutamenti, ed é la sola irresponsabile, impersonale e perpetua. Ora, di tutti i dispotismi, i più gravosi sono quelli che si presentano sotto questa triplice forma.

La continua creazione di leggi e regolamenti restrittivi, circondando i più semplici atti della vita con le formalità più bizantine, ha per fatale risultato di restringere progressivamente la sfera nella quale i cittadini possono muoversi liberamente.

I popoli, vittime di questa illusione, che moltiplicando le leggi, l'eguaglianza e la libertà si trovino più sicure, accettano ogni giorno i legami più gravosi. E non li accettano impunemente. Abituati a sopportare tutti i gioghi, essi finiscono col cercarli, e perdere ogni spontaneità ed energia. Non sono più che ombre vane, automi passivi, senza volontà, senza resistenza e senza forza.

Ma i moventi che l'uomo non trova più in se stesso, é costretto a cercarli altrove. Con l'indifferenza e l'impotenza crescenti dei cittadini, il compito dei governi é obbligato ad estendersi ancor più. Questi ultimi devono avere necessariamente spirito di iniziativa, di intraprendenza e di condotta che i singoli individui hanno perduto. Occorre loro tutto intraprendere, tutto dirigere, tutto proteggere. Lo Stato diventa allora un dio onnipossente. Ma l'esperienza insegna che il potere di tali divinità non fu mai assai durevole, né assai forte.

La restrizione progressiva di tutte le libertà presso certi popoli, nonostante una licenza che dà loro l'illusione di possederle, sembra risultare dalla loro vecchiezza, così come dal loro stesso regime. Essa costituisce uno dei sintomi precursori di quella fase di decadenza alla quale nessuna civiltà ha, sin qui, potuto sfuggire.

Se si giudica dagli insegnamenti del passato e da sintomi che da ogni parte si rivelano, parecchie delle nostre moderne civiltà sono giunte al periodo di estrema vecchiaia che precede la decadenza. Certe evoluzioni sembrano fatali per tutti i popoli, poiché si vede la storia ripeterne così di frequente il corso.
E facile notare sommariamente le fasi di queste evoluzioni. La nostra opera terminerà, appunto, riassumendole.

Conclusione dell'opera

Se prendiamo di mira, nelle loro grandi linee, la genesi della grandezza e della decadenza delle civiltà che hanno preceduto la nostra, che cosa scorgiamo ?

All'aurora delle civiltà, un insieme di uomini, di origine diverse, riuniti dal caso delle migrazioni, delle invasioni e delle conquiste. Di sangue, di lingua e di credenze diverse, questi uomini non hanno che un legame comune: la legge, riconosciuta a mezzo di un capo. Nelle loro agglomerazioni confuse si ritrovano, al massimo grado, i caratteri psicologici delle folle. Esse ne hanno la coesione momentanea, gli eroismi, le debolezze, gl'impulsi e le violenze. Nulla di stabile é in esse. Si tratta, insomma, di barbari.

Poi il tempo compie la sua opera. L'identità di ambiente, il ripetersi degli incroci, le necessità di una vita comune operano lentamente. L'agglomeramento di unità dissimili comincia a fondersi e a formare una razza, vale a dire un aggregato che possiede caratteri e sentimenti comuni, progressivamente consolidati dall'eredità. La folla é diventata un popolo, e questo popolo potrà uscire dalla barbarie. Tuttavia esso non potrà uscirne completamente se non dopo lunghi conati, lotte ripetute senza tregua e innumerevoli ritorni, se non quando avrà conquistato un ideale.

Sia questo il culto di Roma, la potenza di Atene, o il trionfo di Allah, esso basterà a dotare tutti gli individui della razza in via di formazione di una perfetta unità di sentimenti e di pensieri.

Allora può nascere una civiltà nuova con le sue istituzioni, le sue credenze e le sue arti. Trascinata dal suo sogno, la razza acquisirà successivamente tutto ciò che dà il fulgore, la forza e la grandezza. Senza dubbio, in certe ore, essa sarà ancora folla, ma dietro i caratteri mutevoli e vari delle folle, si troverà quel substrato solido, l'anima della razza, che limita rigorosamente le oscillazioni di un popolo e limita il caso.

Ma, dopo aver esercitato la sua azione creatrice, il tempo comincia quell'opera di distruzione alla quale non sfuggono né le divinità, né gli uomini. Pervenuta a un certo livello di potenza e di complessità, la civiltà cessa di ingrandire, e non appena non ingrandisce più, essa é condannata a declinare rapidamente. L'ora della vecchiaia ben presto suonerà.

Quest'ora inevitabile é sempre segnata dall'attenuarsi dell'ideale che sosteneva l'anima della razza. Via via che questo ideale impallidisce, tutti gli edifici religiosi, politici e sociali, di cui esso era l'ispiratore, cominciano a rovinare.

Col progressivo svanire di questo ideale, la razza perde ogni ora ciò che costituiva la sua coesione, la sua unità e la sua forza. L'individuo può crescere in personalità e in intelligenza, ma nello stesso tempo anche l'egoismo collettivo della razza è sostituito da un eccessivo sviluppo dell'egoismo individuale accompagnato dalla scomparsa del carattere e dallo assottigliarsi delle attitudini all'azione.

Ciò che formava un popolo, un'unità, un blocco, finisce per diventare un agglomeramento di individui senza coesione e che mantengono artificialmente ancora per qualche tempo le tradizioni e le istituzioni.

Allora, divisi dai loro interessi e dalle loro aspirazioni, non sapendo più governarsi, gli uomini chiedono di essere diretti nei loro più piccoli atti, e lo Stato esercita la sua influenza assorbitrice.

Con la perdita definitiva dell'antico ideale, la razza finisce per perdere anche la sua anima. Essa non é più che un residuo di individui isolati e ridiventa quel che essa era al suo punto di partenza: una folla, la quale presenta tutti i caratteri transitori, senza consistenza e senza avvenire.
La civiltà non ha più alcuna stabilità e cade alla mercé di tutti i casi. La plebe é regina e i barbari avanzano.

La civiltà può sembrare ancor viva perché conserva la sua fisionomia esteriore creata da un lungo passato; ma in realtà é un edificio tarlato, che nessuna cosa può ormai sostenere e che sarà sommerso dal primo uragano.

Passare dalla barbarie alla civiltà seguendo un ideale, poi declinare e morire non appena questo ideale ha perduto la sua forza, tale é il ciclo della vita di un popolo.

FINE

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