LETTERATURA

( Letteratura e Politica nel Risorgimento )

dalla "CONTEMPLAZIONE all'AZIONE"

* IL MOVIMENTO PEDAGOGICO - * LE CINQUE PIAGHE D'ITALIA
* LA RIGENERAZIONE DELLA CHIESA E L'OPERA DEL ROSMINI
LA RIFORMA ROSMINIANA - IL PENSIERO POLITICO DEL ROSMINI (!?)

* IL MOVIMENTO PEDAGOGICO
Tommaseo e Cesare Cantù sono i primi a scendere dalla sfera della pura contemplazione manzoniana per venire nel campo dell'azione. La loro azione non esclude delle velleità intorno alla grande società umana; ma essa si volge principalmente all'istruzione e all'educazione del popolo. Il che é d'accordo con lo spirito stesso del cristianesimo sul quale si fondava quella letteratura, che ha cercato sempre il suo appoggio e la sua leva nell'istruzione e nell'educazione delle moltitudini.

Fu utile quell'opera alla quale concorsero tanti uomini eminenti oltre quei due, il Lambruschini, l'Aporti, il Thouar, il Parravicino ? Certo, se guardate al fine ed ai risultati, non possiamo disconoscere che, volgendo a quel fine la letteratura, essi contribuirono alla civiltà italiana, perché, fin d'allora e prima per opera loro, si pervenne alla persuasione che a rigenerare l'Italia non bastasse l'istruzione della borghesia ma fosse necessaria quella di tutto il popolo. E furono cercati molti metodi ingegnosi per rendere l'arte del leggere facile e piacevole, e furono cercati molti metodi pedagogici perché l'istruzione non fosse solo raccolta di notizie geografiche, naturali, fisiche, astronomiche, storiche, utili e necessarie al popolo, ma fosse accompagnata anche dall'educazione cristiana. Ora non guardo nei particolari di quell'opera e sarebbe ingiustizia e parzialità non riconoscere il bene che ha prodotto.

Quale é la base di quest'educazione? Fu un ritorno a ciò che costituiva l'indirizzo della scuola cristiana nel Medioevo ed anche nei secoli posteriori, degenerata allora e corrotta in un clero ineducato e poco istruito esso stesso. Quelli dissero : il cristianesimo fu un bene per la civiltà quando, trovandosi davanti ale forze barbare e violente che invadevano l'impero romano, predicò l'umiltà, la pace, l'obbedienza, la disciplina, il perdono. Fu in certo modo lo strumento per cui, a poco a poco, in mezzo a tanto disordine, si giunse ad una relativa mitezza di costumi. La civiltà, nel senso più generoso della parola, é costumi sempre più miti, repressione delle forze violente.
Credettero quindi di ricondurre la scuola a quel tipo, e che nel secolo XIX fosse utile ciò che aveva prodotto tanto bene ne' primi tempi del cristianesimo: predicare un complesso d'idee che valessero a mitigare i costumi, a rendere gli animi pazienti, disciplinati, disposti alla obbedienza.


Qui, mi pare, fu il loro errore. Sbagliarono il tempo; volendo riuscire a certi risultati, riuscirono ad altri opposti. Se posso dire così: presero il problema a rovescio. Si concepisce nei tempi barbari un'educazione che facesse appello più alla pazienza ed alla moderazione che alla gagliardia ed alla forza, perché il male é appunto l'eccesso della forza. In mezzo a popolazioni giovani e vigorose, non sottoposte ad alcun freno stabile, si comprende quanto bene faccia una religione che, ad oppressi e ad oppressori, presenta immagini di pace, di umiltà, raccomanda la preghiera, parla di un'altra vita, agli uni come di una minaccia, agli altri come di una ricompensa.
Ma che cosa era il secolo XIX? Che era esso in Italia? giacché in Italia dobbiamo vedere la convenienza di simile educazione. Quale era il male che si voleva estirpare ?
Il male era appunto, non un rigoglio di forze individuali e barbare; era, al contrario, la depressione, l'avvilimento nelle moltitudini, la soverchieria e la violenza in chi dominava. La posizione era rovesciata, non richiedeva gli stessi rimedi.
Quando dico oppressione dei governanti, vorrei intendeste bene. Volgarmente, il governo di quel tempo si crede il re assoluto, con un popolo impotente. Ma i governi o sono associazione di forze in armonia col resto, ed in tal caso c'é libertà e felicità, o di forze soverchianti sul resto, ed il governo è arbitrario.


Nel secolo XIX non c'erano più certamente le forze governanti, che avevano eccitato la collera di Alfieri, di Foscolo, del secolo precedente, non più clero e nobiltà come caste; tutto questo era caduto al soffio della rivoluzione. Eppure, finché durarono queste caste bene ordinate, furono un certo contrapposto al volere di un governante assoluto che si trovava di fronte resistenza ed orgoglio : tolte le caste di mezzo, quali forze formarono la base del potere assoluto, perché esso non é come campato in aria, ha bisogno di certi sostegni che costituiscono la società governante?

Ci fu una triplice base. Da una parte il clero stesso che, se non fu più casta dominante, continuò pure a dominare avendo in mano l'istruzione, l'educazione, la censura de' libri e tante altre ingerenze nella società laicale. Inoltre, la burocrazia, qualche cosa di peggio dell'antica nobiltà, essa stessa divenuta un privilegio fra le altre forze, con la quale si giunse a contentare una parte della borghesia, eccitando la sete non ancora spenta di onorificenze e d'impieghi, ed a formare una vasta unione di forze dipendenti dal potere assoluto. E, finalmente, non una casta, ma quasi una classe a parte, il militarismo, l'esercito permanente, a partire dai più bassi fondi, dal poliziotto e dal gendarme, e salire fino alle più alte cariche dello Stato.
La società é veramente rinnovata, sono sparite le antiche caste; ma il clero, la burocrazia, il militarismo costituiscono l'arbitrio assoluto, le forze soverchianti. Sotto non c'é niente d'organizzato, gli uomini sono come atomi disgregati, tremanti o rassegnati.

Domando ora: che educazione volevasi dare agl'Italiani in queste condizioni? Nessuna parola la quale rinnovi l'energia di Sant'Ambrogio che chiamava a dovere l'imperatore, e faceva comprendere alle forze governanti che esse erano fuori della giustizia e fuori della legge. Che si diceva al popolo ? Pregare Iddio, umiltà, obbedienza, disciplina, perdono e perdono e poi perdono come aveva detto Manzoni, in una vita infelice pensare ad un'altra vita migliore come compenso. Se mi permettete un bisticcio, quegli uomini facevano il contrario del loro dovere: rinforzavano i forti, indebolivano i deboli.

Qui è la parte debole della loro opera.
Voi mi direte: - Ma che concetto avete voi di quegli uomini? sono da biasimare, da vituperare? sono di mala fede? - Vorrei abituarvi a lasciare le esagerazioni, anche combattendo le opinioni altrui, ed a guardare le cose con occhio tranquillo. Certamente il Tommaseo, il Cantù, il Lambruschini e gli altri sono uomini pii e religiosi, amanti del bene, di perfetta buona fede. Basta leggere quei libri che scrivevano per il popolo per convincersi che quel modo di educazione viene dal loro stesso modo di concepire. Abbiamo innanzi un errore, non un inganno.
Dobbiamo, inoltre, prescindere dalle condizioni presenti, trasportarci in quell'ambiente. C'erano gli animi formati da Alfieri e da Foscolo, i giovani che si rifugiavano nelle sette e nelle congiure, violenze di governanti, violenze di congiurati, gli eccessi degli uni spiegano gli eccessi degli altri. Per questo lato non si può dire che quegli scrittori avessero altri fini segreti, come parecchi insinuano, oltre quelli manifesti. E c'erano anche circostanze attenuanti.
Che tempi erano quelli! Pensate se era possibile sotto gli occhi dei preti, della censura, scrivere libri che avessero efficacia di costituire una generazione virile e forte. Eppure, sotto quel manto evangelico ed umile, riuscirono a diffondere alcune idee proibite, come quelle di libertà e di patria, su cui si passava senza badarci per l'indole cattolica dei libri e degli scrittori. Così comprenderete senza collera e senza esagerazione quell'opera.

LA RIGENERAZIONE DELLA CHIESA E L'OPERA DEL ROSMINI

Rosmini Serbati, Antonio, filosofo italiano (Rovereto, Trento 1797 - Stresa, Novara 1855). Avviato al sacerdozio, prese gli ordini nel 1821 a Padova. Nel 1826 lasciò Rovereto e si recò a Milano per meglio soddisfare gli interessi filosofici che si erano frattanto venuti sviluppando con ampiezza. Restò due anni a Milano, dove conobbe il Manzoni e a lui si legò di viva amicizia. Durante questo soggiorno chiaramente si delinea l'orientamento politico arti-austriaco che lo espose ad una forma di persecuzione da parte dell'Austria. Sul piano sociale e politico Rosmini si sforzò, come sul piano filosofico, di conciliare esigenze di conservazione e di progresso, nel tentativo di aggiornare una visione teocentrica della vita. Lo stesso atteggiamento si rivela nei suoi scritti di carattere pedagogico: Sull'unità dell'educazione, 1826; Del principio supremo della metodica e di alcune sue applicazioni in servizio dell'umana educazione, 1857, postumo.
Antonio Rosmini era del Trentino. - Che fece ne' suoi giovani anni? Quello che fece Manzoni. Questi operò una reazione contro Alfieri, Foscolo, Rosmini contro Melchiorre Gioia e Romagnosi, contro i filosofi del secolo XVIII. Avevamo le idee acquistate per mezzo dei sensi, risorgono le idee innate; c'era il saggio sull'intendimento di Locke, ed ecco il saggio sulle idee di Rosmini; avevamo il sensismo, ed ecco lo spiritualismo. Spiritualismo divenuto estetico in Manzoni, filosofico in Rosmini.
Non voglio ora presentarvi il filosofo, rimasto nella speculazione; ne dirò solo quanto basta per farvi comprendere l'azione che ebbe nel rinnovamento politico d'Italia.

Risuscita con lui la psicologia. Oggi che questa é assorbita da una scienza più vasta, l'antropologia, oggi che il progresso delle science spiega naturalmente molti fenomeni che Rosmini spiegava con ragionamenti astratti, tutta quell'ideologia non ha più valore. Su tutto quell'edificio c'é un tentativo metafisico, una formula : estraete dall'individuo, rimane la specie; estraete dalla specie, rimane il genere; estraete dal genere, rimane l'essere.
E questo può essere non necessario; bisogna andare fino alla necessità, alla possibilità, o, come si diceva, all'idea dell'essere. È qui che Rosmini crede trovare il primo filosofico, nell'idea dell'essere e nell'essere possibile.
Vi trovate in un campo astratto : essere é una forma del nostro spirito senza esistenza al di fuori; come dall'astratto si salta alla vita, all'esistente di Gioberti? Hegel getta lì in mezzo il divenire, Gioberti il creare, Rosmini rimane fortificato all'essere; la sua ideologia é un tessuto di proposizioni logiche senza corrispondenza nella realtà.
Vi dirò una mia impressione. Quando leggo Rosmini, mi pare sia un successore immediato degli scolastici e filosofi del secolo XVI. Per lui come non fossero stati i due secoli posteriori, tanto é vicino, nel formare argomenti e deduzioni, al modo di filosofare scolastico.
Il libro del Rosmini nella parte letteraria - così importante per l'efficacia che dà alla dottrina - può considerarsi di poco utile o di poco male, secondo le opinioni; non mai efficace. Due qualità ne rendono difficile ed ingrata la lettura: é secco ed acuto al tempo stesso, così acuto che tiene il cervello in continua tensione a seguire le sottili fila della sua logica, tanto secco che non dà tregua e riposo da ristorare le forze intellettuali. Non potete seguirne la lettura a lungo, senza stanchezza.


Dico questo per venire alla parte efficace dei suoi scritti, alla sua riforma. Come Rosmini da filosofo si trasformò in uomo politico? Come sotto il pensatore sorse l'uomo di azione? Non è domanda oziosa; il carattere della scuola lombarda é stato sempre di rimanere fuori del campo dell'azione, come fu dello stesso Rosmini ne' primi suoi anni. Che era avvenuto di nuovo, che lo eccitò a cercare il modo di rigenerare la Chiesa e l'Italia?
Manzoni terminò i Promessi Sposi nel 1827, lo stesso anno che morì Foscolo. Seguì il 1830 con avvenimenti che suscitarono tante speranze e costrinsero anche il giovane Ferdinando a fare il liberale. La rivoluzione in Francia trasse come conseguenza la rivoluzione nel Belgio e una sommossa in mezza Italia, capo quel Luigi Bonaparte che poi fu imperatore: - sommossa diretta non tanto contro i principi quanto contro lo Stato pontificio. Intanto Rosmini era in una villa del Padovano, e là, mentre gli altri si battevano, egli fantasticava e pensava. Là si formò quel primo germe che lo portò a dettare tutto un programma politico. Scrisse le Cinque piaghe di Santa Chiesa . L'avevano contro lo Stato pontificio, ed egli cercò modo di riformarlo, applicando il principio stesso della letteratura manzoniana; ricondurre la Chiesa alla sua purezza primitiva.
Gli avvenimenti cambiarono; vennero proscrizioni, carceri, esili. Rosmini mise in serbo il libro e non se ne parlò più. Nel '46 mori l'abborrito papa Gregorio, sorgeva una nuova stella, Pio IX; intorno a lui gl'Italiani si serravano come intorno a papa liberale; Rosmini attendeva la riforma da un papa e disse: ecco l'uomo. Il libro fu pubblicato a Napoli in mezzo alla agitazione del '48 (Ma la prefazione è del 1832). Né contento di questo, poiché tutti gridavano costituzione da Torino a Napoli, egli scrisse un libro sul migliore statuto secondo la giustizia sociale ("La costituzione secondo la giustizia sociale", Firenze 1848. In appendice uno scritto sull'Unità d'Italia).

Si anelava all'unità nazionale, ed egli dettò un piccolo discorso sull'unità italiana. - Ecco tutta l'attività intellettuale di Rosmini intorno alla rigenerazione della Chiesa e dell'Italia.
Quale successo ebbe questo libro? Immediatamente, nessuno. I liberali alzarono le spalle, erano troppo innanzi con le idee, credevano vedervi un ritorno al Medioevo. - Per darvi un saggio del modo come lo ricevettero i clericali, ricorderò che un prelato romano disse Rosmini ha sbagliato, le piaghe della Chiesa non sono cinque ma sei, e la sesta é Rosmini. Erano tempi di azione, le idee andavano innanzi o retrocedevano con violenza, come suole avvenire.


Eppure quel libro esercitò una grande influenza, specialmente in quel partito liberale detto neo-guelfo o neo-cattolico, che ripone nel cattolicismo riformato la pietra angolare del nuovo edificio nazionale. Quelle idee, trasformate a poco a poco, elaborate in altra forma, vivono ancora; alcune si sono anche affacciata in parlamento, ed é oggi bandiera di un partito politico. Non é dunque un libro di cui si possa fare un cenno e passare innanzi, come di qualche cosa sparita appena comparsa: fissa il punto di partenza d'un indirizzo politico.
Un pensatore come Rosmini, quando prende la penna, non si perde nei particolari, ha un disegno, uno scopo. Quale scopo? Ricostituire il papato nell'antico potere, dargli il primato su tutte le chiese cristiane e col primato della Chiesa ricostituire il primato italiano su tutte le genti cattoliche. C'é già quell'idea del Primato svolta dopo con tanto splendore.
Ora questo concetto é uscito tutto armato dal cervello di Rosmini ? In tal caso sarebbe arbitrario, non ce ne cureremmo. Ma no, se guardiamo la storia d'Italia, troviamo la storia di questa idea, di cui primo eloquente e appassionato interpreti fu il celebre Campanella; il quale anche lui cercava il primato d'Italia in quello della Chiesa ed il primato della Chiesa in quello del papato. La troviamo nella propaganda reazionaria che seguì il Concilio di Trento: era l'argomento rettorico dei gesuiti e di tutti coloro che ragionavano in quel senso; anche oggi ne troviamo traccia negli scrittori e nei giornali clericali.
Si diceva agli Italiani: avete perduto la nazionalità e l'indipendenza, siete servi della Spagna, dell'Austria, della Francia, non avete più la civiltà di una volta, siete un popolo decaduto. Ma consolatevi e pensate che, poiché il papa é in Italia, se il papato é potente, questo potere si riflette sulla terra ove risiede; avvezzatevi a considerarvi non come popolo italiano, ma come il primo dei popoli cattolici. Avete di chi rallegrarvi : guardate le vittorie del cattolicesimo sui Turchi, sui Riformati. - Potete anche da ciò comprendere quella letteratura che seguì il Concilio di Trento; Torquato Tasso scrisse la Gerusalemme, dove il motivo non é italiano, é cattolico; il Chiabrera, il Filicaia, gli altri poeti celebravano le vittorie sui Turchi, la difesa di Vienna, come se l'Italia fosse stata il cattolicismo.

Ma un sentimento, per qualche tempo potente in un popolo, a lungo andare perde l'efficacia se non trova riscontro nella realtà.
Quel papato, come più va innanzi, più perde potere, rimane alla mercé della protezione straniera, all'ultimo si riduce alla difesa d'un palmo di terra e ad ingrandire nipoti e parenti.
E Campanella immaginava farne l'arbitro di Europa !
Eppoi, un altro sentimento si faceva strada : se anche un popolo per qualche tempo rimane inerte, quando non é interamente morto, risorge in lui il sentimento dell'umiliazione. Gli Italiani un tempo si consolavano dicendo: siamo figli di Bruto e di Catone. Poi dissero abbiamo il papato, siamo alla testa dell'Europa. Anche oggi si sente ripetere quel verso: Regina tornerai la terza volta; e la stessa idea é nutrita anche da uomini molto savii, lo stesso sentimento rimani in fondo ai loro cuori. Però sorse man mano un altro pensiero quando la realtà era sì contraria alle aspirazioni, ed il popolo italiano che doveva essere a capo del mondo non era neppure capo di sé, ira naturale se dicesse pensiamo prima ad esseri noi nazione e nazione libera, quando ci saremo formati, allora sarà il caso di vedere se avremo destini più splendidi, più bello avvenire.
E' un pensiero più serio, che ha prodotto la reazione del sentimento nazionale contro il sentimento cattolico •cosmopolita, ed ha portato l'Italia al punto in cui si trova.

Rosmini nel secolo XIX, quando il sentimento nazionale s'é sviluppato con la siti della libertà politica, ed il papato é ridotto all'ultima debolezza, sicché i rivoluzionari di Romagna puntano le armi contro di esso; quando la Chiesa é interamente scaduta nella opinioni, non riverita, considerata corrotta e degenerata, - Rosmini, dunque, ripiglia la bandiera di Campanella: un grande papato con una grandi Italia.

Nondimeno egli tieni conto delle mutate condizioni, altrimenti sarebbe un volgare utopista. Si accorge che l'ltalia non é più quella del secolo XVI, che c'é già il sentimento nazionale, che la Chiesa é decaduta. Se la sua idea é antica, il disegno é nuovo; tenendo conto di nuovi fatti, cerca raggiungere l'antico scopo con nuovi mezzi. Riformare la Chiesa in modo che sia riverita e rispettata, fare del papato non un ostacolo all'indipendenza ed alla libertà, ma una leva, sì che si aiutino l'uno con gli altri, conciliare i nuovi fatti con gli antichi fini, ecco il problema che si propone Rosmini : quel problema che oggi diciamo della conciliazione. Vediamolo, ora, por mano all'opera.


Base é la riforma della Chiesa, la quali, così com'é, non può stare. Ciò che in Manzoni era vaga idea, in Rosmini piglia corpo, si applica alla società vivente. Ma, prima di parlare della riforma, in quell'anima pia e religiosa sorge uno scrupolo. Riformare! Ma significa che nella Chiesa c'é qualche cosa di cattivo; ed é permesso ad un cattolico dirlo? Non è temerarietà se la Chiesa è da Dio? E premette un capitolo, quasi introduzione, importante perché fa comprendere lo spirito con cui e concepita la riforma. - Perché no? egli si dice.
I santi padri, i più grandi mistici del Medioevo, santa Caterina, santa Teresa, sono illustri per aver tuonato contro quei mali con la stessa eloquenza con cui Dante li flagellava in poesia. Parecchi papi non riconobbero, non tentarono far sparire quei mali, specialmente Paolo III ? Che sono i Concili se non riforme della Chiesa? Dunque, non é temerarietà seguire l'esempio di tanti illustri, ed io non esco dall'ortodossia.

Ma Rosmini é filosofo, non si contenta di questi esempi, e se per cautela ogni cosa che dice la circonda di testi di santi padri, di teologi, di scolastici per darle efficacia, si domanda poi: é permesso credere che nella Chiesa ci sono vizi o, come dice lui, piaghe ? E qui per difendere la sua ortodossia e dimostrare che i suoi concetti non sono eretici, delinea una filosofia della storia in poche parole.
Se guardate come procede l'umanità, vedete due periodi nella vita di tutte le società umane, un periodo di marcia, uno di stazione; nel primo una società si organizza, cammina; nell'altro, raggiunta l'idea che le ha dato la spinta, quella società si riposa. Il quale riposo, a poco a poco, diviene stagnazione, una nuova idea non si affaccia; pure la vita é necessaria: ecco succedere la crisi, la dissoluzione; l'idea che ha dominato fino allora é combattuta nei suoi eccessi, ne nasce una nuova e perciò altro organismo, altro cammino e poi nuovamente sosta e dissoluzione.


Ora, dice il Rosmini, la Chiesa anch'essa ha la sua storia, fatta da uomini, e gli uomini hanno le loro debolezze: questa storia, nella parte umana, soggiace a tutte le modificazioni cui soggiacciono le altre storie. Essenzialmente, é istituzione divina, serba il divino disegno con cui fu concepita. È dunque sempre la stessa nella sua essenza, ha l'assistenza continua del cielo, ha l'immortalità. Le società umane sorgono, si sviluppano, periscono : la Chiesa non può perire perché non può perire il pensiero divino. Se la mia riforma riguardasse l'essenza della Chiesa, il dogma, il disegno divino, sarei eretico, farei atto di cattivo cattolico; ma non intendo riformare la Chiesa se non nella parte umana, intendo modificare l'esistenza accidentale, e credo mio dovere di vedere i mali ed indicare i rimedi.

Dopo questo prologo, sentendosi sicuro da accuse di eresia, e persuaso ch'egli non vuol mutare la base della Chiesa, comincia il libro, - la riforma.
Ogni riforma deve avere una idea sviluppata in singole parti. Le cinque piaghe sono cose accozzate senza disegno? E se disegno c' é, qual é ? Egli non lo dice ; ma chi legge con spirito filosofico, trova subito il concetto generale che spiega le parti del suo lavoro. Chiesa, - pensa il Rosmini - non é il papa, non i cardinali, né i vescovi, nemmeno tutto il clero; nel senso primitivo e vero è la comunione di tutti i fedeli. Non é solo un centro che toglie vita alla periferia, ma tutto il circolo vivente dove i raggi portano vita alla periferia.

E tale era la Chiesa primitiva vagheggiata da Manzoni e dagli altri della scuola lombarda. In essa il popolo non é spettatore, partecipa alla vita della Chiesa, esso paga, esso amministra, nomina il parroco e il curato, scegliendo uomini conosciuti nella circoscrizione o diocesi, in cui può avere confidenza; - i vescovi non sono estranei al popolo, al popolo rendono conto delle loro azioni, lo istruiscono personalmente. - Vi sono adunanze ove clero e popolo si affratellano. Spezzate un po' questo circolo ed avete una Chiesa astratta, destinata a morire, non la Chiesa vivente. Togliete il popolo e poi anche il basso clero, concentratela ne' vescovi, ne' cardinali, nel papa, - e l'unità é scissa, distrutta.

Stabilito questo concetto, il Rosmini considera la Chiesa qual' é nel secolo XIX. E dice : guardatela: il popolo, perché non capisce la lingua latina, - ed i riti sono in latino - rimane spettatore inintelligente ; e quando talvolta prende parte alle cerimonie del culto, non comprende neppure il significato della sua partecipazione. Dunque esso é spogliato di diritti e di doveri, rimane estraneo alla Chiesa. Il basso clero é ridotto quasi alle stesse condizioni del popolo, con tutti i doveri, senza diritti, deve ubbidire passivamente a quel che viene dall'alto. I vescovi anticamente si scrivevano fra loro, si visitavano, si univano ne' concili provinciali, si mettevano d'accordo. Ora sono divisi in tante nazioni, perdono il sentimento della comunione gli uni con gli altri, non sono conosciuti nella diocesi: é un'oligarchia artificiale. - Scisso il popolo, scisso il basso clero, scissi i vescovi, che Chiesa é mai questa?

Rosmini ha messo il dito sulla piaga. Egli vuol ricostituire la Chiesa vivente, ristabilire la comunione de' fedeli, fare come si é fatto nelle società civili dove al potere assoluto s'é sostituito il costituzionale, creare un elettorato religioso come l'elettorato politico : su entrambi splenderebbe, quasi stella polare, il papato.
Il concetto é bello, non destinato a perire. E il Rosmini ha piena fede che quelle riforme debbano essere fatte da un papa, il quale consenta a non essere più sovrano assoluto.
Era questo il concetto di quei tempi: tutti i liberali, come avviene quando si ha coscienza della propria debolezza, aspettavano le riforme civili dai prìncipi. Anche la nostra costituzione é octroyée, direbbero i Francesi, dal principe; e Rosmini credeva che la riforma religiosa dovesse esser fatta da un papa. Era anche questa la speranza di Campanella, che ebbe in risposta il carcere e la tortura. Rosmini ebbe in risposta: tu sei la sesta piaga della Chiesa !

ROSMINI SCRITTORE Vediamo come il Rosmini applica la sua idea. Trattandosi di riforma, trovate una distinzione naturale nel libro: da una parte l'esposizione dei mali, dall' altra quella dei rimedi; una parte, diciamo così, negativa, polemica; un'altra affermativa. Voi che ricordate come tuona Dante contro i mali della Chiesa, voi che ricordate come il Sarpi con quel suo stile preciso e tagliente li anatomizza, la magniloquente maniera con cui ne parla il Campanella, il piglio ironico di Pietro Giannone quando oppone la Chiesa primitiva alla presente, vi attendete in Rosmini qualche movimento corrispondente alle tendenze del secolo XIX nell'esposizione, sia dei mali, sia dei rimedi. Se vi attendete questo, disingannatevi, perché, come vi accennai, avete innanzi un libro arido come di uomo che tratti una tesi filosofica, alto sulle passioni umane, che non voglia fare impressione su altro né riceva impressioni egli stesso.
Questo é non solo per la natura dello scrittore, ma per le stesse condizioni in cui concepiva quella riforma. Come scrittore, il Rosmini difetta di fantasia e di calore; é analitico, minuto più che sintetico. Non già che gli manchi rigore di sintesi, all'ultimo sa raccogliere le sparse fila in una conclusione; ma prima di giungere a quel punto, vi trovate in un grande sminuzzamento di casi, di regole, di citazioni e di testi che producono ingombro e stanchezza.


Ma, oltre questo carattere proprio del Rosmini, sono da notare le condizioni stesse nelle quali concepiva la riforma. Era il 1832. Mazzini era già potente, la sommossa contro lo Stato pontificio fu opera principalmente della Giovane Italia, che, fin d'allora, mirava e voleva l'unità italiana e la libertà più nella Chiesa che della Chiesa. Le idee precorrevano il Rosmini, e nondimeno egli intendeva che un papa ed i vescovi fossero gl'iniziatori della riforma.
Ora, si concepisce Lamennais quando sfolgora nella sua eloquenza, perché si volge al popolo su cui vuol fare impressione, e da cui attende l'iniziativa. Ma il Rosmini, volgendosi al papa ed anche ai principi, non solo non sì sforza di essere eloquente od oratorio, ma toglie tutte le punte ai suoi pensieri, alle idee relativamente ardite dà forma moderata e, sopra tutto, molto ortodossa, come uomo che sia su un precipizio, con pericolo di cadere giù e che vada riguardoso, passo passo. Scrive con calma perfetta, accompagnato sempre con testi di santi padri, della Bibbia, di dottori della Chiesa, quasi volendo chiamare a sostegno del suo tentativo, per evitare la taccia di temerario, ciò che la Chiesa ha avuto di più eminente.


Questo vi spiega lo stile didascalico, più che eloquente, del Rosmini; non é un oratore, é un filosofo che fa appello all' intelligenza, mettendosi in guardia contro ogni moto d'immaginazione e di sentimento.
Di più, il Rosmini temeva sopra tutto di essere dichiarato eretico. Il Lamennais, come sapete, fu scomunicato. Il Rosmini, che tentava una riforma, colpito da scomunica, falliva lo scopo. Si volgeva ai prìncipi, al papa, perciò la sua preoccupazione é d'indicare i mali e i rimedi, ma trovando insieme circostanze che possano assolvere se non la Chiesa umana, almeno il Redentore, la Provvidenza che, secondo lui, assiste continuamente la Chiesa.


Per esempio, l' invasione dei barbari cancella la civiltà antica e getta per secoli l' Europa nell' ignoranza. Dopo, la barbarie distrugge finanche il latino, stabilisce la feudalità. Viene un tempo in cui preti e vescovi corrotti si servono della religione, come mezzo per fini temporali. - Cose grosse a dirle ne' limiti in cui si chiude il Rosmini, che si dirige al papa. E bisogna vedere come tormenta se stesso per giustificare la Provvidenza. - Come mai, si potrebbe domandare, la Provvidenza ha potuto permettere il trionfo della barbarie, la distruzione della civiltà antica?
Ed egli trova il fatto conforme al disegno della Provvidenza, perché questa voleva distruggere la società pagana, fondarne una nuova : i barbari, senza saperlo, furono suo strumento. Qualche cosa di più grave é che i chierici corrotti si dettero alle cure temporali, cui fecero servire lo spirituale.

Ma la Provvidenza, permettendo ciò, ebbe un mezzo perché si diffondessero le idee evangeliche anche nei più umili strati della società. Un vescovo che insieme era principe, con tanta potenza sui sudditi, giovava molto a questo scopo.
Tutto ciò vi mostra le preoccupazioni dello scrittore, e come alla freddezza della sua natura si aggiunga una freddezza calcolata. Ma, per non rimanere nel generale, scelgo uno dei più bei brani del suo libro, là dove parla contro i libri pedanteschi che allora si usavano nei seminarti. Ed anche oggi, non solo nei seminari, ma anche nelle scuole laiche, sono libri che, invece d'istruire, demoralizzano i giovani e li disgustano dello studio.
Questo tema fu trattato con molta vivacità da Alfieri nella sua vita, con molta eloquenza dal Sismondi negli ultimi capitoli della sua storia. Rosmini esprime la stessa idea di quei libri, non che istruire ed educare, generano odio mortale contro i libri, contro lo studio, contro i maestri, e contro le verità stesse che quelli possono contenere.
Ecco com'egli scrive:
"Vi sono libri minuti e parziali, opere individuali, dove l'immensa verità non comparisce che minuzzata, e in quella forma, in che una menticina l'ha potuta abbracciare; e dove all'autore, spossato nella fatica del partorirla, non é restato vigore d'imprimere al libro altro sentimento che quello del suo travaglio; altra vita che quella di uno che sviene : libri a che il genere umano uscito dagli anni della minorità fanciullesca volge per sempre le spalle, poiché non vi trova se stesso, né i suoi pensieri, né i suoi affetti, e a cui tuttavia si condanna barbaramente e ostinatamente la gioventù, che pur col senso naturale li ripudia, e che spesso, per un bisogno di cambiarli in migliori, cade nella seduzione dei libri corruttori, o acquista un'avversione decisa agli studi, o da lungo patir violenza nello stringimento delle scuole prende un odio occulto, profondo, che dura quanto la vita, contro i maestri, i superiori tutti, i libri e le verità stesse in quei libri contenute: sì, un odio, dico, non bene spiegato talora, ma che lavora di continuo sotto altre forme da quelle di odio; che si veste di tutti i pretesti; che ove si spieghi, è di meraviglia a colui stesso che lo ha in sé perché non sapeva di averlo e non se ne sa rendere la ragione, e che ha tutto l'aspetto di empietà, o di brutale ingratitudine verso i precettori, per altro buoni, e che hanno profuse tante cure, tante parole, e tanto amore verso i loro discepoli".

E un solo periodo dove precipitano tante idee accessorie di una sola principale che é : simili libri generano odio contro i libri e contro le verità che essi contengono. Certo, tutto questo non può essere scritto che da un ingegno non comune : c'è una fina analisi, degna di un psicologo come il Rosmini, dell'odio contro i libri che non pare odio e quando si manifesta fa meravigliare quello stesso che lo nutre senza saperlo; del modo come quest'odio nasce, piglia forma, si spiega. C'é del talento analitico di Manzoni. Ma, pure, che cosa rende pesante il periodo ? Rosmini aveva innanzi un'idea, se non volgare, comune; ma la concepisce lì, in quel punto che il suo cervello é in moto; e ciò si vede in alcune forme originali venute fuori nel calore della concezione, come « l'autore spossato nella fatica del partorire », - « non altra vita che quella di uno che sviene ».
Ma é faticoso a leggere specialmente per l'ingombro d'idee gettate lì alla rinfusa, le quali, dopo, é assai difficile ritenere così come l'autore le ha distribuite. C'é grande sminuzzamento, soverchia analisi di tutti i fatti che possono accadere, la quale vi allontana dall' idea principale. L'analisi dell'odio, comunque bella, é appiccicata in coda al periodo; e l'importante non é mostrare l'odio, ma porre in rilievo il fenomeno prodotto da quella specie di libri, volgere l'indignazione contro i pedanti, le menticine che pervertono i giovani. Esprimere il fenomeno sminuzzandolo a quel modo, con l'indicazione fredda di tutti i particolari, come di un fenomeno ordinario, toglie ogni movimento di fantasia e di affetto: avete innanzi una pura esposizione di verità che non producono impressione sullo spirito. Eppure vi ho citato uno dei brani più belli.

Inutile dire che, se, nell'esprimere i mali, Rosmini é rispettoso e guardingo, nell'indicare i rimedi é avviluppato, confuso, come uno che stia fra le spine, che non può dir chiaro il suo pensiero, in mezzo a tanti interessi cozzanti.


I PARTICOLARI DELLA RIFORMA ROSMINIANA
Ma lasciamo lo scrittore e guardiamo il riformatore. Cinque piaghe! Perché non otto, non dieci? Bene, mettendo questo da parte, per farvi gustare il Rosmini, voglio indicare la vera piaga della Chiesa, quella che é fondamento e principio di tutte le altre. Non farò che premettere quello che l'autore scrive all'ultimo, come conclusione, per non farvi rimanere in mezzo a mille minuterie di particolari.
Questa piaga, additata sin dai tempi di Dante e di Santa Caterina, che ha avuto eco nei secoli successivi, oggetto di molti provvedimenti dei governi quando essi ne hanno avuto occasione, venuta fino a noi nel verso di Dante:
In cui usa avarizia il suo soverchio,
é la mondanità. La Chiesa é in essenza spirito, il temporale non le appartiene; però fin dal Medioevo essa entrò nel temporale come potere feudale laico, fece servire lo spirito al corpo, lo spirituale a fini materiali. Rosmini analizza questa idea e le dà una forma storica.
C'é una grande idea - egli dice - che appartiene alla Chiesa: l'unità organica, la società considerata come un tutto vivente. E ce n'é un'altra che appartiene alla società laica: l'individualismo, l'uomo libero e padrone di sé. Gli storici affermano che i Germani portarono questa seconda idea nelle società che essi invasero, e gli scrittori tedeschi vantano che la l!oro nazione oppose al cesarismo, al potere collettivo, il principio d'individualismo, secondo cui i barbari si ordinarono, creando il signore con i suoi vassalli intorno, stabilendo !a società feudale. Quest'istituzione penetrò nella Chiesa; preti e vescovi, capi spirituali, divennero signori, i fedeli che dimoravano nelle loro terre furono vassalli. Il feudalesimo, piaga della società civile, fu anche piaga della società religiosa.

Come da questa piaga nascano le altre cinque, è facile vedere. Quando tra i preti e i fedeli si formarono relazioni di signori e vassalli, la Chiesa, che prima era un sol corpo vivente, con relazioni di padre e figli, divenne unione di signori e vassalli: giù il popolo, su l'oligarchia, il papa stesso divenuto re; la Chiesa si disgregò.
Allora il vescovo, dovendo attendere a cure temporali, dovette abbandonare la cura dei fedeli al basso clero, fu questa la seconda piaga. Poi, ciascun vescovo si chiuse nel suo piccolo territorio; le relazioni fra l'uno l'altro vescovo furono rotte; di una Chiesa unica si formarono tante Chiese nazionali. E poiché i vescovi, divenuti feudatari, erano in certo modo soggetti ai prìncipi, la Chiesa cadde in servitù del potere laico, perdette i suoi diritti.
I beni stessi di essa erano feudi, ed i prìncipi finirono col mettervi le mani; quindi servitù di persone e di beni. Così una sola piaga, il feudalismo, produsse tutte le altre.

"Sì - dice il Rosmini - il feudalesimo fu l'unica, o certo la principale fonte di tutti i mali; perocché essendo egli un sistema misto di signoria profana e barbara, e insieme di servitù e vassallaggi ai principi temporali: in quant'é signoria, egli divise il clero dal popolo (piaga 1), e spezzò in due parti, che si chiamarono ingiuriosamente alto e basso clero, sostituendo alla relazione di padre e figlio che l'annodava, quella di signore e suddito che lo disnoda: onde la negletta educazione del chiericato (piaga 2), quindi ancora entrata la divisione nell'alto clero, cioè ne' vescovi fra di loro, dimentichi della fraternità, memori della gelosia signorile sì per proprio conto che pel conto del principe al cui vassallaggio appartenevano, rimanendo così ciascun vescovo e separato dal popolo, e sequestrato dall'intero episcopato (piaga 3): in quant'è poi servitù, il feudalesimo, assoggettati i vescovi personalmente al signore temporale come fedeli e uomini suoi, incatenò ignominiosamente la Chiesa con tutte le cose sue al carro del laicale potere che la trascinò per tutte quelle balze e precipizi, nelle quali esso, in suo corso irregolare e fallace, va sovente rompendosi
inabissandosi, e dopo mille avvilimenti e mille sciagure, spoglia a man salva dei ricevuti dominii, ella trovasi così sfinita di forze da non saper neppure conservare e difendere a se stessa la nomina de' proprii pastori (piaga 4).


Quali sono i rimedi? La risposta é facile: se il male é il potere temporale con i beni annessivi, il rimedio é nel rinunciare a quel potere, a quei beni. - Ed è la risposta che tutti hanno fatta, specialmente il potere laico ogni volta che ha messo mano sui beni ecclesiastici.
Non é uscita dal cervello di Rosmini; ma il suo maggior merito é di aver riferito con la sua voce di filosofo cattolico pio e credente, ciò che da Dante in poi é stato il desiderio di tanti. Ha egli il coraggio di ricordare alla Chiesa il grido sublime di Pasquale III, papa che, infastidito da quei beni temporali i quali lo tenevano legato e sottoposto al potere laico, pronunziò il gran motto: rinunziamo ai feudi, - grido simile a quello della nobiltà francese quando rinunziò ai suoi titoli e alle sue proprietà.
Ma poiché Rosmini vuole che il papa e i vescovi facciano la riforma, può dir loro: lasciate i vostri beni, il potere temporale, e così la Chiesa tornerà grande? Lamennais l'ha detto; ma era un apostolo il quale si volgeva al popolo: Rosmini, che si volge agl'interessati, non può dirlo.


E poi, mettiamoci nella vita pratica e vedremo la ragione che rende Rosmini così discreto. Può il capo della Chiesa, possono i vescovi rinunziare ai beni? Certo, lo potrebbero quando fossero riformati, quando nella Chiesa penetrasse tale nuovo spirito di religione e di carità che potessero senza dolersi fare la loro offerta sull'altare della fede. - Pretendere da essi ciò che farebbero solo dopo la riforma, come principio di essa riforma, é un circolo vizioso, é mettere prima ciò che non può essere se non risultato. Rosmini, dunque, non insinua la rinunzia immediata alle ricchezze e al temporale; cerca un altro mezzo per la riforma presente.
Poiché I' ingerenza de' laici nelle cose spirituali, de' chierici nelle temporali produce tanti danni, ebbene, separazione e quindi conciliazione. A Cesare quel eh' é di Cesare, a Dio qual ch'é di Dio. La guerra é appunto in questa doppia ingerenza; togliamola, separiamo con giusti confini i due campi e si avrà la conciliazione, espressa in una formula diventata ora luogo comune: separazione della Chiesa dallo Stato. Risultato sarà ciò che é espresso in altra formula la quale ha fatto il giro del mondo cattolico : libertà della Chiesa. Il giorno in cui voi separerete i due poteri, da una parte la Chiesa riacquisterà la sua libertà d'azione, dall'altra lo Stato riacquisterà la sua; avrete libera Chiesa e libero Stato, ciò che poi divenne il motto di Montalembert e che fu formulato da Cavour in Parlamento: libera Chiesa in libero Stato
.
Non vi spaventate - dice Rosmini - di quello che perdete; quel che acquisterete sarà molto di più, e vi compenserà a sufficienza.
E qui ha un curioso argomento : - gli Stati antichi erano pagani e quindi assoluti, i moderni sono cristiani e quindi costituzionali. Una volta uscitagli questa parola la ripiglia subito e: non crediate ch'io adoperi il vocabolo costituzionale in senso moderno; intendo che tutti gli Stati moderni hanno per base una costituzione divina, il vangelo, e quando i prìncipi non la rispettano, la Chiesa ha il diritto di deporli, di sciogliere i fedeli dall'obbligo del giuramento. Così il papa diventa arbitro de' prìncipi e si riserba nei casi estremi l'arma di Gregorio VII.
E poi, che è questa Chiesa dirimpetto alla scienza? dirimpetto allo stato della cultura? E Rosmini risponde non c'é verità contro la verità, la verità é nella Chiesa, ogni altra non vale che come parte di questa; la scienza e la cultura devono entrare in quel circolo; vera regina delle scienze, non é la metafisica, ma la teologia.


Ora se la Chiesa é separata da tutto ciò ch'é temporale e può venir tempo in cui riacquisterebbe efficacia sulla società civile, sulla coltura, sulla scienza, - questo deve far paura? No, risponde il Rosmini, perché, avendo rinunziato all'appoggio del braccio temporale, essa non avrà forza materiale, le sue armi saranno le encicliche, le pastorali, la confessione, le prediche, l' istruzione, l'educazione. L'opinione sarà la sua forza. Il giorno in cui, riformando la Chiesa, la si renderà accetta all'opinione, essa riavrà sulle moltitudini l'influenza perduta e la sua forza sarà tutta morale. - Oggi un partito politico ammette queste idee come progresso, vuole lotta di principi fra la Chiesa e la società moderna.

Oggi, continua il Rosmini, la Chiesa ha l'appoggio del potere temporale, ma ha perduto l'opinione pubblica; i vescovi sono strumenti del principe, non più un potere indipendente fra principe e popolo: il popolo considera il vescovo come un magistrato, un generale dipendente dal principe. Togliete siffatta dipendenza, fate che tutti credano alla libertà dei vescovi, dei cardinali, dei legati, e questi acquisteranno ben altra forza sul popolo.
Ma per raggiungere questo potere sull'opinione, è necessario che la Chiesa si riformi, e invece di essere ristretta nel papa, nei cardinali e nei vescovi, si metta in contatto diretto col popolo e diventi tutta la comunione religiosa dei fedeli. -
Ecco come il regime costituzionale e la democrazia entrano nella riforma di Rosmini. - Vuole che mettendosi in contatto con il popolo, dandogli dei diritti e dei doveri, la Chiesa possa essere d'accordo con esso, sì che ne sia rafforzato il papato, e s'imponga non più come forza, ma come opinione.

La democrazia ne' grandi riformatori é fine per se stessa; qui é mezzo per riuscire a quel papato indipendente, di cui fu tipo Gregorio VII. Che concede al popolo Rosmini? Non certi diritti propriamente detti sono delle concessioni graziose del potere oligarchico.
Il governo ecclesiastico nominerà il vescovo; ma é bene il popolo dia la sua approvazione. Né il popolo avrà l'amministrazione dei beni della Chiesa: questi beni, secondo Rosmini, oggi suscitano tanti scandali perché non se ne conosce l'amministrazione: ebbene, supponendo la Chiesa riformata, naturalmente si dovrebbe determinare l'uso dei beni, parte per il culto, parte per l'istruzione, parte per i poveri, e dopo ciò sarebbe bene fare una specie di relazione con cui si facesse conoscere come sono stati amministrati, una specie di bilancio che si presenterebbe in ogni provincia all'approvazione del popolo, senza che questo entrasse direttamente nell'amministrazione.
Troverete scarse queste concessioni. Se guardate ai tempi in cui scriveva il filosofo, sono concessioni enormi. Come sono sorti gli Stati costituzionali moderni ? Da ciò, che i popoli hanno detto: - noi paghiamo le imposte, vogliamo esercitare un controllo sul modo come si adopera il nostro denaro. Così si é aperta la via ai Parlamenti attuali. - Un rosminiano, il Piola, ha detto poiché si sono tolti i beni alla Chiesa, si discentri quest'amministrazione, costituitene una di laici cattolici che abbiano diritto di vedere che uso si fa dei beni ecclesiastici. - E a questo modo naturalmente si va al governo costituzionale. - Tale idea entrò anche nel capo d'un uomo di Stato, fu proposta in Parlamento e respinta come inopportuna, e oggi che nella legge delle guarentigie è promesso riformare l'amministrazione del fondo del culto, torna a galla per opera di alcuni seguaci di Rosmini.

DESTRA E SINISTRA NEL PENSIERO POLITICO DEL ROSMINI
Ha dunque Rosmini una base liberale - il popolo - e un fine oligarchico - l'episcopato e il papato, rinforzati nel potere da quella base. Non é meraviglia che egli si trovi fra una destra e una sinistra. La destra é la Chiesa qual'é al presente, che proclama il sillabo, dichiara il papa infallibile, scomunica chi ha messo la mano sui beni suoi, quelli che han tentato rinnovare la disciplina ed anche la liturgia, cioé quel che Rosmini credette di poter riformare, considerandolo come parte accidentale. Provatevi a domandare, a mo' d'esempio, che nella Chiesa si sopprima il latino, - ciò che pure é sì naturale, dovendosi parlare al popolo che non capisce latino, - a chiedere l'abolizione del celibato, e troverete colonna d'ostacolo la Chiesa presente per cui tutto ciò che esiste in essa é inviolabile. Per questa destra Rosmini è un eretico, un rivoluzionario.

E c'é una sinistra. Queste idee che vengono da Dante, son passate per Campanella e fino ai nostri giorni hanno avuto rappresentanti, sono state fecondate da altri con intenzioni più larghe, in condizioni più libere di quella di Rosmini. La sinistra é Lamennais, e fino a un certo punto Gioberti, quelli che vogliono una Chiesa come la primitiva, la democrazia non come strumento atto a rialzare e riafforzare la oligarchia, anzi a demolire la parte gerarchica superiore, ad avvicinare la Chiesa al popolo: sicché il personaggio più eminente per questa sinistra, non é il papa, non i cardinali o i vescovi ma le bon curé de' francesi, il parroco del villaggio, tanto vicino al popolo. Sostituire il parroco al vescovo desterebbe l'indignazione in Rosmini che chiamerebbe ciò riforma protestante. Una Chiesa così fatta s'è costituita a Ginevra sotto il nome di vecchi cattolici, dov'é anche il padre Giacinto; in Prussia si vagheggia quest'idea pur col rimanere nel cattolicesimo; in Italia alcuni lavorano per questo indirizzo di rendere democratica la parte superiore, di rialzare e rafforzare il popolo nelle istituzioni ecclesiastiche.


Se Rosmini avesse potuto supporre che dal suo libro si sarebbero raccolti simili consigli, si sarebbe fatta la croce. Egli voleva riafforzare l'oligarchia - anche nella società civile.
Nel '48 sorsero statuti da ogni parte, egli volle opporsi alle imitazioni dello statuto francese che avrebbero menato alla demagogia, e scrisse un progetto di costituzione, secondo cui la democrazia dovrebbe servire a meglio costituire l'oligarchia. Col voler diroccare ciò che sta sopra - egli dice - e stabilire una forte democrazia, si tolga ogni freno al movimento andremo di rivoluzione in rivoluzione. Dobbiamo edificare una diga contro la piena. Non si può ricreare la nobiltà e il clero caduti sotto la rivoluzione francese; ma si può trovare qualche altro freno al potere popolare. Innanzi tutto il sovrano sia di diritto divino, non più il primo magistrato d'un popolo: avendo le sue prerogative da Dio, ha diritto di essere rappresentato e di nominare parte de' deputati. -
Esiste una profonda disuguaglianza di fortune nella società. Ciò che sembra difetto da essere corretto, diventa per il nostro filosofo base della costituzione. Divide il corpo elettorale in tre classi : grandi proprietari, piccoli proprietari, nullatenenti, tra i quali ultimi sarebbero compresi anche coloro che avessero cultura ed ingegno, ma non quattrini a sufficienza. I collegi elettorali dovrebbero costituirsi secondo la proprietà. Per esempio, un collegio elettorale dovrebbe rappresentare un milione di capitale e quindi essere costituito da un solo, proprietario d'un milione; un altro da tre o quattro persone e così man mano fino all'unione di molti piccoli proprietari. All'ultimo resterebbero i poveri nullatenenti, senza diritto di entrare nelle faccende politiche, ma che avrebbero la protezione de' tribunali, le agevolazioni del progresso, le concessioni e gli aiuti de' ricchi. È facile capire che con tale costituzione dopo vent'anni avremmo la nobiltà e il clero come nel Medioevo.

Ultimo argomento di cui si occupò il Rosmini, fu l'unità nazionale. Per lui quest'unità d'Italia era un sogno, principalmente perché in Italia é il papa, ed il potere temporale - secondo lui - é necessario alla libertà della Chiesa e del papa. Invece, come molti altri, mossi specialmente dal Gioberti, vuole una lega italica, un grande Stato al nord - cacciato lo straniero dal Lombardo-Veneto - e gli altri prìncipi rimasti illesi la dieta di essi avrebbe avuto a patrono ed arbitro il papa.
Certo, Rosmini ad alcuni più spinti parrà retrivo, ad altri che sono indietro, rivoluzionario. Ma alcune delle sue idee han fatto il loro cammino e devono parerci liberali in confronto, non di quel che siamo e vogliamo divenire, ma di quello che eravamo allora: libertà della Chiesa, separazione della Chiesa dallo Stato, nomina de' vescovi sottomessa al popolo, un principio di governo costituzionale.

Che cosa ha reso questo libro delle Cinque piaghe sì poco efficace? Fu tenuto chiuso dal '32 al '46, comparve al '48, fu sommerso nelle vertiginose vicende della rivoluzione; e in mezzo a tanti avvenimenti non si ebbe l'agio di raccogliersi a studiarlo per cavarne utile frutto. Poca efficacia ebbe sugli animi perché ciò che vuol essere efficace, deve essere eloquente, deve venire dal cuore - ed anche con tutto questo, sarebbe efficacia poco durevole quella di un pensiero solitario, non preparato innanzi nell'opinione e nel carattere d'un popolo. Al Rosmini mancò il popolo in cui applicare le sue idee.

Ma intanto, nell'esilio, un altro forte ingegno lavorava allo stesso scopo e ripigliava quella bandiera con ben altra forza - Vincenzo Gioberti, - di cui ora ci occuperemo.

nella prossima puntata...


Dal "PRIMATO" alle "SPERANZE D'ITALIA" > > > >

Fonti, citazioni, e testi
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia -(5 vol. Nerbini)
VISCADI - Storia Letteratura (i 50 vol.) Nuova Accademia
DE SANCTIS - Storia della Letteratura Italiana, Einaudi
Dizionario Letteratura Italiana, (3 vol) - Einaudi 
CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
+ ALTRI VARI DALLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

< < < RITORNO ALL'INDICE

HOME PAGE STORIOLOGIA