LETTERATURA
L'ETA' PAGANA, DEI SECOLI BUI,
DELL'OSCURANTISMO

394 - 1300

PIU' AVANTI....- 1099-1300 - All'Abazia  di San Nicola di Casole, 
il volto greco delle prime Lettere italiane

Il periodo culturale dell'età augustea, salvo poche successive espressioni, all'inizio del medioevo (394) era ormai tramontato, e con l'inizio dei "secoli bui" i mali oscuri che portarono quel tramonto continuarono per quasi mille anni.... ad alimentare il "buio" nelle menti. Dominò l'apatia, la rassegnazione; fu spenta ogni energia vitale individuale e collettiva. Unico conforto: pregare, indi ubbidire. Perdita temporanea delle gioie terrene, ma una tarda sicura ricompensa in cielo.

ALL'INIZIO DEL MEDIOEVO (394) ROMA E' ASSEDIATA ED E' ORMAI UNA TOMBA.
Nella Caputa Mundi, nel grande faro della civiltà del Mediterraneo, ancora discretamente difesa, dalle sue mura aureliane, troviamo uno sparuto gruppo di persone, la maggior parte vecchi decrepiti popolani che difendono a oltranza ancora la loro città ormai diventata un cimitero. 
Strade vuote, palazzi suntuosi vuoti, negozi chiusi, falliti, sempre meno artigiani con i loro prodotti  invenduti, giovani fuggiti per non morire come topi, ricchi scomparsi abbandonando ogni cosa, ville, case, palazzi. Case, quartieri, rioni per un milione di persone danno ora un rifugio e non a una residenza a poco più di 40.000 vecchi, malnutriti, debilitati, malati, spenti nello spirito e con lo sguardo attonito. Doveva essere molto triste percorrere i Fori, vedere nello sfondo il colosseo ancora integro e stupendo con la sua facciata in marmi,  ma vuoto. Le grandi basiliche dai meravigliosi marmi policromi vuote, le grandi strade lastricate vanto di Roma vuote, e ai lati le grandi vestigia, con gli archi di trionfi ricchi di bassorilievi con le gesta leggendarie, le grandi colonne la Traiana e l'Antonina che fanno solo più ombra a qualche gatto randagio, un porto senza barche, senza commerci, senza la variopinta gente di ogni razza, e i grandi mercati Traiani silenziosi, senza folla, perchè non esiste più una popolazione.
Piangeva un poeta: "Giace in mezzo al fango, disprezzata e oppressa dai tributi, la più nobile di tutte le città, costretta alla servitù; ho visto confermato quanto ero solito ripetere, che Roma è abbandonata, afflitta e desolata." 
Il contatto del mondo esterno è completamente perso, nei prati tra una grande basilica e l'altra, nei circhi, all'ippodromo, qualche coppia di buoi sta arando per far crescere qualcosa su quelle piste dove una volta davanti a 100.000 spettatori, correvano le bighe, le quadrighe,  che facevano impazzire con il tifo i vari rioni di Roma.
Nelle strade del centro, nella via sacra, non esiste più quel traffico e l' ostentazione dei ricchi che tanto dava fastidio a Marco Aurelio, che disgustava Diocleziano, che odiava Traiano. 
Dopo il 394, con la sede dell'impero a Costantinopoli (la "Nuova Roma") a Roma vi passeggia  la morte che alle volte corre, altre volte si riposa, ma poi si accanisce più forte che mai con delle pestilenze o con le invasioni dei barbari.
Più nessuno si avventura per le strade, ogni cittadino è diventato un attivo o un potenziale rapinatore, fa concorrenza spietata ai barbari;  alle volte agisce con delle bande, ma alle volta per la disperazione è anche solo, a lottare per la sopravvivenza.
La vita all'interno della città era ormai paralizzata, non più schiavi a disposizione da quando li hanno liberati i barbari (anni 400-500-600) non più servi per i lavori umili, non più contadini nelle campagne, i commerci paralizzati per mancanza di merci, numerose malattie che si portano alla tomba anche gli ultimi sani scampati, ed infine un grande numero di gente povera e vecchia che non potendo emigrare si trascina lurida e stracciata a chiedere elemosine, ad appoggiarsi alle istituzioni benefiche del clero, che però anch'esso può far poco o niente, perchè non riceve più contributi dalla corte bizantina.
Ma il peggio doveva ancora venire! Si sta correndo verso una decadenza totale, che purtroppo continuerà per alcuni secoli. Mancano ormai pochi anni alle grandi invasione e colonizzazione dell'Italia dei barbari. L'Italia stremata dimenticherà non solo le grandi glorie del passato, ma la sua cultura, le sue arti, il suo artigianato, i suoi commerci fino al punto che farà a meno per secoli della stessa moneta; ripiomberà al baratto delle merci; un salto all'indietro di mille anni.
CASSIODORO MAGNO AURELIO - E' passato alla storia come un appassionato quanto sfortunato apostolo della fusione di due civiltà: la romana con la gotica. Ormai 50 enne in quest'anno è forse l'unico a capire cosa sta accadendo in Italia e nella politica bizantina fatta in un modo così improvvisata, ottusa e cieca da Giustiniano. Una politica che costò all'Italia altre sventure.

Cassiodoro era un figlio dell'aristocrazia senatoria romana, egli stesso grande proprietario terriero e magistrato. Era entrato giovanissimo nell'amministrazione sotto Teodorico, era poi diventato questore nel 507 a soli 17 anni, e a 24 anni era già stato promosso alla più alta carica amministrativa, magister officiorum. 

Con questa funzione fu lui ad adoperarsi per l'avvicinamento fra i romani e i goti. Fu lui ad impegnarsi negli ultimi anni, affinché Giustiniano capisse i motivi del malcontento in Italia; un disagio che non era solo causato dagli ostrogoti, ma molto più spesso dai funzionari bizantini inviati in Italia, non per amministrare ma per saccheggiare le poche ultime risorse che erano rimaste a far sopravvivere le popolazioni, già duramente colpite da altre calamità.
Profuse tanto impegno ma non riuscì nel suo intento;  prima del fallimento di Belisario era stato ancora lui a impegnarsi nell'opera di mediazione conducendo delle trattative fra VENICE e GIUSTINIANO.
Come Belisario (che mirava alla definitiva riconquista di tutto il territorio ostrogoto, e c'era quasi riuscito - ma fu grossolanamente e brutalmente esautorato da Giustiniano) anche Cassiodoro ne venne fuori molto amareggiato, vedendo crollare tutta la sua azione iniziata e condotta ancora dai tempi di TEODORICO.
Cassiodoro (forse già intuendo cosa sarebbe accaduto) si ritirò dalla vita politica (dov'era magister officiorum) chiudendosi  in un convento a VIVARIUM (Squillace ) in Calabria.
Qui  vivrà fino a 93 anni scrivendo opere importanti che ebbero poi larga risonanza nella cultura scolastica. 
Fra queste opere, una  importante cronologia storica universale, dove ancora oggi attingono molti storici. Ma di altrettanta grande importanza fu il suo monastero. Qui promosse fra i monaci, guidandoli per 43 anni, varie attività culturali, fra le quali spiccava la trascrizione delle opere classiche pagane o cristiane che fossero: egli creò così il primo esempio di monachesimo dotto e umanistico, che conciliava l'otium classico con la preghiera.
 
Ne venne fuori una enorme biblioteca, la più importante del tempo, che comprendeva testi che provenivano da ogni parte dell'impero; testi  che lui si faceva inviare da ogni contrada. In questo chiostro si realizzò la prima enciclopedia universale delle scienze, della storia della chiesa, del pensiero filosofico in generale. Peccato che fu conservata gelosamente da sguardi indiscreti per 1310 anni, fino ai primi anni dell'Ottocento.
Di lui si sono conservate anche 468 lettere che ci forniscono una importante testimonianza del tempo.
Durante il suo periodo vennero nel 529 le "leggi Giustiniane" a dare il colpo di grazia all'incivilimento delle genti. Prima ci aveva pensato nel 394 già TEODOSIO.
INIZIO DEL MEDIOEVO
Molti storici propongono di iniziare il cosiddetto MEDIOEVO con questa data, il 394 (l'editto è appunto di quest'anno, di fatto il 395), che indicano la fine delle Olimpiadi come la fine della civiltà del mondo antico.
Tutte le manifestazioni, soprattutto quelle collaterali furono considerate da Teodosio e dall'episcopato cristiano tutte pagane e pertanto eliminate dalla vita pubblica.
Muore così lo sport, la cura fisica ed estetica del corpo umano, lo svago salutare e spensierato di una moltitudine di gente negli ippodromi di molte città, negli stadi, nelle palestre, frequentate tutto l'anno con altri piccoli "campionati" locali di "selezione" (come oggi).
Muore anche la musica, che rallegravano le giocose feste campestre dei tanti villaggi (villaggio=pago - cittadini=pagani) considerate spregiativamente pagane, perchè omaggavano i vari dei.
(in seguito, le feste le ripresero, ma in senso religioso con i vari santi. (Sagra di S. Antonio, Festa di S. Rita, di S. Cristoforo, S. Nicola, S.Gennaro, ecc. ecc.)
Pagani erano anche gli strumenti musicale, e fra questi l'organo. (che solo in seguito, e solo nel 1300, paradossalmente divenne uno strumento da chiesa)

Muore lo sport ma muore anche quella che era una palestra dell'intelletto, perché le Olimpiadi comprendevano oltre che gare sportive, ginniche ed equestri, pure concorsi di poesia e di eloquenza. Purtroppo i giochi iniziavano e si chiudevano con ufficiali celebrazioni religiose ed estemporanee ritualità popolari scaramantiche, ma che il cristianesimo bollò indistintamente: tutte "pagane ".

Queste ultime erano delle semplici manifestazioni di carattere popolare che una moltitudine di zelanti tifosi nel corso dei tempi aveva trasformato in veri e propri riti propiziatori per, o avere la fortuna dalla propria parte, o fare una "iettatura" agli avversari.
(Insomma facevano quello che fanno ancora i tifosi di oggi negli stadi di calcio, o a Siena al Palio (quando il prete della contrada va a benedire il cavallo). O come ieri, i riti propiziatori dei belligeranti nelle due guerre mondiali, prima di sganciare le bombe; cioè far aspergere dal cardinale di turno, con l'acqua Santa, le bombe, i cannoni, le baionette e i gagliardetti. Proprio nessuna differenza, "Dio è con noi" era poi il motto di tutti. E Dio ebbe un bel da fare per accontentarli tutti.
Nei confronti della civiltà romana e pagana, non é che il cristianesimo potesse esaltare l'ideale sportivo. Ciò sembra abbastanza naturale considerato che i cristiani ai trionfi corporali preferivano le riunioni di carattere mistico all'ombra e al chiuso delle catacombe. Tutto questo benché nel verbo di Cristo e nelle parole dei suoi apostoli non siano contenute espressioni di condanna per Olimpia e i suoi Giochi. E così tutto il resto...
Il teatro "gratificava basse passioni". L'arena "stimolava istinti bestiali"; e la musica e la danza erano delle  inseparabile "compagne dell'indecenza", perché - predicava Crisostomo - "non dava ristoro alla mente", ma "eccitava le passioni più basse". Indistintamente erano tutte queste cose "focolai di immoralità".
Chi veramente fa sentire la propria voce contraria a simili manifestazioni e spettacoli negli stadi è qualche vescovo, magari scismatico, come quel Novaziano al quale si attribuisce un trattatello il "De spectaculis", ovvero sugli spettacoli, in cui si ritrovano frasi di questo genere:
" ..... sono ripugnanti queste gare in cui un uomo sta sotto un altro, dove ci si avvinghia in maniera svergognata! Uno può vincere in una simile lotta, ma la decenza ne esce sconfitta". E poi, ancora: "Uno salta, nudo; un altro lancia con tutte le proprie forze un disco metallico nell'aria: è forse, questo, un cuore? Io dico che é una pazzia...". E aggiunge, con un tocco di severità: "I cristiani devono allontanare la vista e l'udito da questi spettacoli privi di contenuto, pericolosi e di cattivo gusto".
Con tali censori, che scrivevano e parlavano dai pulpiti, é facile capire il perché della lunga eclissi dell'attività fisico-sportiva in età cristiana antica. Infatti, era il momento in cui si asseriva che migliorare il corpo poteva diventare motivo di peccato.
Questi editti, da Costantino in poi, sembravano atti rivoluzionari. "Rivoluzionari" perchè Impero e Cristianesimo non erano più nemici ma diventarono complementari, si sostennero a vicenda; all'inizio più dominante il primo, poi appena venne la crisi fu il secondo  a riempire i vuoti di potere che si erano venuti a creare dopo la morte di Giustiniano. E con Roma ormai in mano ai vescovi (indi Papi).
I vescovi nella prima fase erano diventati sempre più numerosi funzionari imperiali, e con il loro appoggio gli imperatori citati sopra poterono attuare (proprio a Roma) un programma di governo accentratore e autoritario.
Ma l'alleanza tra la chiesa e la monarchia era gravida di pericoli, perchè gli imperatori volendo unire nelle proprie mani l'autorità politica e religiosa  (il cosiddetto cesaropapismo), tendevano a scavalcare la chiesa anche nelle decisioni teologiche, pur non capendoci nulla. (Costantino non fu mai cristiano fino alla morte. Per motivi politici, prima favorì l'arianesimo poi - utilizzando il cristianesimo - capovolse le sue idee a favore degli ortodossi).

Quando per tante ragioni si verificarono vuoti di potere imperiali, l'organizzazione capillare ecclesiastica  (all'interno progressivamente era nata un'inossidabile gerarchia teocratica al riparo delle successioni parentali) - non solo colmò questi vuoti di potere ma si sostituì ad essi. (anno 603 - Papa Gregorio - Basi del potere temporale).
E' il momento in cui avviene  un grande mutamento nella vita amministrativa dell'impero occidentale. I vescovi sostituendosi ai funzionari delle varie diocesi, entrano prepotentemente  nella vita amministrativa e in quella quotidiana di una  comunità italica che è allo sbando, o a totale servitù dei barbari-longobardi.

Impero e cristianesimo diventano complementari fra di loro, ma l'impero muta radicalmente quando i nuovi arrivati - rozzi e analfabeti come sono -  non sono in grado di gestire proprio nulla (vedi i Longobardi). Il clero ne approfitta gettando le basi autoritarie per creare un altro tipo di impero: quello romano-cristiano. Anche se di romano non ha più nulla e l'impero è ormai completamente allo sfascio, presto in mano agli ultimi barbari, che non solo sono piombati in Italia, ma comportandosi da padroni  ne hanno fatto la loro residenza stabile.

Le città divenute decrepiti villaggi hanno al loro interno una popolazione rassegnata, abulica, ignorante, che si raccoglie attorno all'unica vera autorità esistente: il Vescovo, che diventa l'unico perno dell'organizzazione civile, divenuta interamente religiosa; e lui non é solo un punto di riferimento per l'anima ma anche per  il mantenimento del corpo e della mente.
Che sia il perno di tutta la comunità ce lo conferma anche la nuova urbanistica. Al centro della città o del villaggio ( ex pago ora pieve) c'è ora   la chiesa (poi sorgeranno le monumentali cattedrali) e il suo sagrato. Qui si svolgono tutti i fatti principali della vita comunitaria. Il vescovo E' il governatore, il prefetto, il sindaco, il notaio, l'insegnante, il medico taumaturgo, il moralista, il destinatario dei vari balzelli. E sull'uomo, o debole o potente,  lui domina, vigila, decide, dalla culla alla bara. (iniziano a redigere gli atti di nascita, di matrimonio, di morte, dispensare i sacramenti, ad usare l'autorità in tutti i settori, ecc.ecc.)

La produzione è puramente autarchica, si produce solo lo stretto necessario perchè il villaggio si è chiuso su se stesso, non fa più scambi, non ha più strade, si è chiuso al mercato, con la conseguenza che non potendo più vendere nemmeno può più comprare. Ma il guaio è che nell'isolamento non scambia più informazioni, nè riceve patrimoni di conoscenze. Questa miseria materiale e culturale porta irreversibilmente ad una povertà esistenziale, ad una totale involuzione. Tutte le istintive passioni  per la lotta esistenziale sono messe a tacere, incanalate nel misticismo, "prega e spera nella vita eterna". Una  rassegnazione  che porta a  vivere solo di speranza, che spegne l'energia vitale, quella individuale e quella collettiva.

Purtroppo  "vivere" nella natura umana non é rassegnarsi (sedersi, pregare e aspettare); la rasseganzione é il coraggio ridicolo dello sciocco. Con la rassegnazione non si va da nessuna parte, si resta fermi,  sempre più deboli, e sempre più esposti. E' quello che accadde quando queste città e i loro cittadini furono costretti a vivere nella rassegnazione. Senza lotta.
Chi legge oggi gli autori greci o latini, o ammira le statue del Pergamo o del Museo d'Atene, oppure prende da una biblioteca un libro scritto nel medioevo, oppure osserva una rozza opera d'arte di quell'epoca,  non prova solo costernazione e incredulità, ma avvilimento, afflizione, sgomento, cui segue sempre poi un PERCHE?.
Come è stato possibile ignorare per mille anni così tante opere dell'ingegno umano e così tante bellezze; che tipo di follia, durata quaranta generazioni era quella che si impossessò della mente degli uomini. Che dire poi di alcune scoperte scientifiche quasi a un passo dal loro impiego rivoluzionario, ma che si fermarono lì, e le prime intuizioni per svilupparle vennero subito sepolte nella polvere o condannati al rogo gli autori.
Insomma questa apatia collettiva fa ripiombare secolo dopo secolo nella ignoranza e nell'arcaico, l'uomo che aveva fatto una Venere di Milo, aveva scritto La Repubblica, costruito un Pantheon, dipinto come Eufronio, scolpito come Prassitele, calcolato la circonferenza di una Terra sbagliando di soli pochi chilometri, applicato l'anno solare errando soli di 11" secondi, scoperta la circolazione sanguigna del corpo umano, già fabbricato la carta, inventato una turbina a vapore, andato e ritornato dalla Cina, visto le biblioteche dei Babilonesi o studiato in quella di Alessandria di Egitto, conversato con Cicerone, poetato con Saffo, previsto le eclissi di Sole, usato il petrolio, visitato le già bimillenarie Piramidi, classificato le piante, studiato la zoologia, l'agronomia, l'oceanografia, l'astronomia, risolto equazioni complesse, già immaginato la teoria atomistica, fatto una colata di ghisa, scoperta l'energia idraulica e quella eolica ecc ecc. Era gia' avvenuto tutto questo prima di questo 394 che stiamo raccontando. Poi si fermò tutto.

Dovranno passare 1300 anni in certi casi 1600, prima che altri uomini rimontino sul treno della Storia. Un treno che nel frattempo sui tre continenti aveva continuato a percorrere (con tutto quel bagaglio) il suo viaggio a vuoto, senza che nessuno vi montasse sopra e utilizzasse i 3000 anni di scienza, cultura ed arte che già questo treno trasportava, ed era scritta su carta, su papiro o su tavolette.

Un PERCHE' che nessuno è mai stato capace di spiegare razionalmente dicendo una verità che per alcune istituzione ancora oggi sono tabù.
E' il "mistero" di questo millennio, molto buio; pur tuttavia con tanti sprazzi di luce che però molti non vollero vedere, o forse con tutta la buona volontà - assuefatti all'imposta apatia - non potevano vedere. E' del resto l'interesse che crea l'attenzione e non l'incontrario.
Un esempio classico e banale. Un contadino crociato nel 1200 in Siria scoprì che un suo collega nel tagliare il grano o il fieno, al suo falcetto aveva applicato una lunga asta, che gli permetteva di falciare stando in piedi e non chino. Era la banale falce, che dopo il suo ritorno in un lampo si diffuse in tutta Europa.
Chissà quanti dotti, principi, generali avevano visto quell'attrezzo, ma nessuno ne aveva capito l'importanza. Bastò l'occhio di un contadino, per eliminare il mal di schiena a milioni di suoi colleghi.
Altrettanto quell'altro contadino crociato che scoprì, sempre in Siria, il mulino ad acqua che rivoluzionò fino all'avvento delle turbine elettriche l'energia idraulica. Mentre il suo collega crociato olandese rientrò nella sua patria ventosa e acquitrinosa, con un'altra scoperta, come far girare i mulini con il vento e come bonificare i terreni. Un altro scoprì come si faceva la carta. Il vetro soffiato. I pozzi artesiani.


Da Teodosio in poi la musica, le lettere, l'arte, la scultura furono tutte bandite. Furono abbattute tutte le statue. A Roma fecero altrettanto, i due figli di TEODOSIO fecero eliminare da ogni angolo di Roma tutte le statue esposte, e più nessuno osò farne delle altre. Le "pietre" - ovvero le sculture erano considerate una forma d'espressione della cultura pagana. E così la pittura, la poesia, le lettere. Perfino la passione per i fiori e gli animali domestici furono bandite come espressioni di "paganesimo".
Nel 396 l'impero romano contava 150 milioni di abitanti, nel 1200 si erano ridotti a poco più di 50 milioni. L'Italia una landa desolata, poco più di 5 milioni di abitanti, Roma da 1.000.000 dei primi tre secoli era scesa a 30.000 abitanti. Una città - come abbiamo detto - spettrale, con grandi piazze, grandi anfiteatri, grandi palazzi, monumenti, arene, ma senza abitanti.
Solo con le Crociate quella brutta creatura del Medioevo religioso e di fanatismo, si spense nel fervore di una rivoluzione civile ed economica, facendo fare il primo passo all' Europa del Rinascimento.
Il paradosso fu che l'occidente che si era mobilitato con papi, re, imperatori, per distruggere una civiltà di infedeli il risultato fu invece quello di ricevere proprio dall'oriente la spinta verso la sua salvezza.
Le Crociate (1096 al 1291) dettate da uno scopo di fanatismo religioso, fallendo, paradossalmente non contribuirono alla rovina dell'occidente ma semmai l'incontrario. Quando l'Arabo Saladino il 18 maggio del 1291 cacciò l'ultimo cristiano da S. Giovanni d' Acri, ormai nel corso di quelle spedizioni nell'andare e venire nel corso di duecento anni, l'Occidente aveva non solo scoperto l'Oriente, ma aveva scoperto una nuova civiltà. 
Dopo le crociate, ecco in un lampo, proprio a Venezia apparire nel 1291 le vetrerie del vetro soffiato, a Fabriano la carta, ad Amalfi la Bussola. Cose importanti come mille e mille altre cose.
Ma gli oggetti più importanti furono i libri !!

A Firenze un crociato è tornato con delle casse piene di libri "rubati" o "saccheggiati" in qualche biblioteca araba (mai furto fu così ben fausto, fortunato, fertile nella storia di tutta la nostra Europa). In quelle casse, c'erano le Opere di Aristotele, Platone, Democrito, e poi Eratostene, Epicuro, Pitagora, Archimede; c'erano i testi storici di Polibio, Erodoto, Ippocrate, i testi matematici di Euclide e di tutti i suoi allievi quando era direttore della Biblioteca di Alessandria che aveva negli scaffali 1.000.000 di codici.
Pochi anni prima altrettanto aveva fatto Federico II, migliaia di volumi prelevati dalla Biblioteca di Baghdad. In Sicilia li fece moltiplicare copiandoli e li inviò ai monarchi di tutta Europa e alle scuole, che proprio a modello di Baghdad cominciarono a chiamarsi Università, Policlinici, Scuole di Medicina.

Nell'università di Bologna, nei primi anni del 1000, quando gli studenti assunsero la guida della neonata università, e vollero essere Indipendenti nella gestione della vita scolastica, perchè impegnati nella creazione di un'istituzione assolutamente originale, studenti e maestri incontreranno numerose difficoltà e resistenze. Celebre rimane la strenua lotta di san Bernardo contro le rivoluzionarie idee di Abelardo (1079-1142), mentre non pochi erano i casi in cui anche le autorità civili avevano da lamentarsi per la condotta degli studenti affluiti in città per seguire le lezioni di un maestro. "Percorrono il mondo intero e studiano le arti liberali a Parigi, gli autori classici ad Orléans, la giurisprudenza a Bologna, la medicina a Salerno, la magia a Toledo, e non imparano i buoni costumi in nessun luogo" affermava Elinardo, abate di Froidmont.
Ma dalla stessa università i goliardici studenti pur essendo chierici non risparmiavano il clero:
Il coinvolgimento della Chiesa negli affari terreni corrispondeva non solo alla perdita di quei crismi di santità che i chierici avrebbero dovuto possedere, ma soprattutto pensavano anche all'elevazione dei beni mondani, non disdegnando le nuove pagane divinità. E' soprattutto il denaro ad essere nuovo oggetto di venerazione, vero e proprio signore della Curia romana.
Gli studenti furono inpietosi: "Per Roma la Parca ha filato solo l'avidità: risparmia chi le offre doni, infierisce contro chi non ne vuol dare; il solo dio che adora è quello del denaro, ama i marchi invece di san Marco e venera più il forziere dell'altare. (...)". Se vogliamo ben vedere, il papa è così chiamato perché lui solo vuole papparsi tutti i beni altrui, o anche perché, troncando le sue parole, quando si va a pregarlo di qualcosa risponde sempre: "Pa-ga, pa-ga!"
Eppure non è certo questa l'immagine dei goliardi che ci è più familiare ed infatti alla vena morale e sentenziosa dei canti, che tuonano contro la Curia romana ed invocano la riforma della Chiesa, si affiancano liriche di carattere amoroso e spregiudicate poesie, scritte per essere declamate tra un boccale di vino ed un lancio di dadi. Se da un canto, quindi, anche i goliardi guardano alla vita con disilluso realismo e mettevano (come monacie preti) in guardia contro la caducità dei piaceri terreni, dall'altro non sembrano riuscire a resistere alla tentazione di goderne con la maggiore intensità possibile. Donne, vino e gioco diventano così gli inseparabili compagni degli studenti nel loro continuo peregrinare, nella loro spensierata dissipazione.
Mentre nel Meridione della Francia fioriva la poesia cortese e la donna, ispiratrice delle liriche dei trovatori, assumeva le sembianze di una creatura ultraterrena, i goliardi ne tratteggiavano invece con ammirato compiacimento la bellezza del corpo e la sfrontata disponibilità. Così, infatti, un poeta descriveva la fanciulla amata:
"Sotto il petto delicato si incurvano i fianchi eleganti ed armoniosi, la sua pelle immacolata non rifiuta il tocco tenue delle mie dita che, sotto la vita snella, sfiorano l'ombelico nel ventre lievemente inarcato."
Mentre un altro ancora affermava: "La fanciulla mi aveva concesso di vederla, parlarle, accarezzarla e baciarla; mancava però ancora l'ultima e più dolce meta dell'amore. Se non la varcherò, quanto mi ha già concesso aggiungerà sono nuovo fuoco al mio acceso desiderio."
Il principale mezzo di espressione dello spirito inquieto dei goliardi è stata indubbiamente la poesia. 
I famosi Carmina Burana, costituiscono la più completa antologia di canti medievali di ispirazione goliardica. Il loro nome è dovuto al fatto che il codice ove essi sono riportati fosse conservato presso l'abbazia di Benediktbeuren, l'antica Bura Sancti Benedicti, fondata da san Bonifacio.
Opera di numerose mani, questo testo unisce versi di carattere prettamente morale e religioso a liriche d'amore e canti di taverna. Soprattutto quindi dal punto di vista contenutistico i Carmina Burana rispecchiano la complessità della cultura che ad essi diede vita. Vario comunque è anche il tono, che, come si addice a materie tanto diverse, passa dal sentenzioso al frivolo, dall'invettiva al motto dissacrante.
Il principale oggetto della polemica dei versi dei goliardi è la Chiesa romana, non più depositaria del salvifico messaggio di Cristo, ma ricettacolo di corruzione e vizio. Si stava infatti compiendo tra XI e XIII secolo quella svolta che avrebbe portato il Papato ad assumere i connotati di una monarchia universale, complesso strumento di potere terreno e non più di guida spirituale della Cristianità.

Recita infatti un canto goliardico: "I vescovi portano le corna invece della croce, tendono agguati, pronti a balzare sulla preda, e recano vergogna alla tonsura. Invece del pastorale impugnano la lancia e calcano l'elmo invece della tiara, invece della stola hanno lo scudo - questo scandalo sarà la loro morte - invece della cotta vestono la corazza - questo è quanto c'è di peggio - e invece dell'amitto indossano il farsetto, ben più adatto agli uomini mondani. Avanzano come prodi e si allontanano da Dio, aguzzano i denti come leoni inferociti, come aquile veloci, come cinghiali che ringhiano furiosi, vibrano la lingua come serpenti capaci solo di colpire a tradimento." 
Questi gli studenti della prima univesità italiana!
E nel 1155 così descrissero all'imperatore Federico Barbarossa in persona la loro ideale condizione di studenti a Bologna: "Noi amiamo sopra le altre questa città, ricca di prodotti e adatta all'insegnamento: qui giunge da ogni parte d'Europa una moltitudine di scolari che vogliono apprendere".

Insomma più nessuna barriera umana politica e ideologica poteva sbarrare questa fame di sapere che spesso lasciava sconvolti e smarriti; ma non abbastanza, l'ansia di sapere scatenò la caccia. Ormai si sapeva che quella cultura c'era. Un libro rimandava a un altro, ad altri dieci, ad altri mille, bastava solo cercarli.


Tutti testi sconosciuti all'Europa, scoperti in quel periodo, poi ne ritroveremo altri con le requisizioni di Napoleone, conservati ma seppelliti da oltre 1500 anni, in mille conventi e nei monasteri di tutta Europa; il Louvre ne è pieno. Napoleone fece passare a tappeto ogni convento. (ma ancora oggi si fanno interessanti scoperte e ritrovamenti).


Una curiosità. Quel crociato fiorentino, assieme alle casse di libri, si portò dietro anche un giovane schiavo che nel suo paese ci sapeva fare con lo scalpello sul marmo bianco. Lo mandò nella vicina Carrara, dove fece fare un salto di qualità a tutti; lui era un semplice scalpellino ma a memoria faceva le stesse statue che molti in qualche villa privata teneva nascosti da sguardi indiscreti  dalla notte dei tempi. Scolpiva quel ragazzo lasciando di stucco (in questo caso di marmo) le facce di chi osservava. L'impulso che ebbe la scultura con quel semplice scalpellino anonimo, fu epocale. Un'arte ("della pietra") scomparsa da secoli perché pagana ritornava a fiorire in quella città che diventerà la fucina degli artisti: Firenze.
Si afferma in alcuni testi che quest'arte della scultura nel medioevo passò in disuso perché non c'erano committenti, è ipocrita affermare una motivazione del genere. La ragione è che l'arte statuaria era considerata pagana e proprio in questo periodo - come detto sopra - con l'editto di Teodosio nel 394 si diede l'ordine di distruggere tutte le statue di OLIMPIA, e nello stesso tempo si abolirono i giochi stessi.
Nel 396 l'impero romano contava 150 milioni di abitanti, nel 1200 si erano ridotti a poco più di 50 milioni. L'Italia una landa desolata, poco più di 5 milioni di abitanti, Roma da 1.000.000 dei primi tre secoli era scesa a 30.000 abitanti. Uno città spettrale, con grandi piazze, grandi anfiteatri, grandi palazzi, monumenti, arene, ma senza abitanti.

Qui abbiamo fatto solo un prologo di cosa sta accadendo, e non potevamo non vedere in anticipo cosa invece accadrà. La comparazione era necessaria e doverosa per avere sempre davanti a noi il percorso che sta prendendo la storia, partendo da un unico punto, lontano nel tempo; e questi punti con i vari crocevia che portano al male e al bene, sono tutti concentrati in questi anni, in questo VI secolo quando Giustiniano vive e muore.
L'imperatore GIUSTINIANO con un decreto (del 529) comunicò la chiusura e la fine della più celebre scuola filosofica della Grecia.
E' la famosa ACCADEMIA fondata da Platone nel 387 a.C. ad Atene, ed era dopo di lui, il luogo dove la dottrina platonica veniva conservata e riesaminata alla luce degli sviluppi successivi della filosofia che andrà via via modificandosi in varie correnti. 
Proprio a partire dal Platonismo (elementi di dottrina che sono stati assunti a partire da Aristotele come caratteristica)  esso avrà uno sviluppo attraverso molti anni e in opere differenti l'una dall'altra, ma che comunque è caratterizzato da una complessità di motivi che andranno a influire in gradi e direzioni molto diverse sui pensatori delle diverse epoche della storia. 
Se vogliamo ricapitolarle sono: le dottrine delle idee; svalutazione del mondo sensibile; dottrina della conoscenza; dottrina della preeesistenza dell'anima al corpo; dottrina della dialettica; dottrina della superiorità della saggezza sulla sapienza, cioè del fine politico della filosofia.
Tutta la storia del  platonismo nel mondo classico - fino coincide  in massima parte con la storia dell'Accademia.
Dopo un periodo detto "scettico", la ripresa e una sua sistemazione e integrazione si ebbero col neoplatonismo soprattutto ad opera di Plotino. Dopo di lui i temi influiranno sulla speculazione successiva, sia essa la patristica e la scolastica, sia la filosofia araba (Avicenna) attraverso la tradizione neoplatonica.

GIUSTINIANO pone fine a una scuola che era durata oltre 9 secoli. Chiuso il pensiero filosofico ateniese, vengono anche ritirati da tutte le biblioteche dell'impero i testi di 36 generazioni di filosofi. Più nessuna opera resta in circolazione, conosceremo in tutto il medioevo solo alcuni passi ma anche questi solo indirettamente tramite Agostino, Boezio, Dionigi Areopagista. Da Agostino vennero accolti solo i temi platonici dell'interiorità della verità, della conoscenza come illuminazione. 

La curiosità di questo evento (del editto del 529) che si verifica a Costantinopoli è degno di attenzione ed è un mistero. Eliminato questo platonismo e tutto ciò che veniva dopo il platonismo fino al neoplatonismo accennato sopra, in Bisanzio e di conseguenza anche in occidente, si potrebbe pensare che l'oscurantismo era calato in entrambi i due imperi. 
Eppure non era così! Dopo la scissione dei due imperi, si verifica che la cultura bizantina e in parallelo quella orientale, continua a conoscere le opere di Platone e tutto il pensiero filosofico successivo, mentre in Europa occidentale tale conoscenza viene completamente eliminata, non esiste un solo testo in circolazione (anche se sappiamo oggi dagli antichi elenchi di alcune biblioteche che in quasi tutti i grandi monasteri esistevano opere dei filosofi greci ).
Noi fino al 1200-1400 non sapevamo più nulla, ne potevamo intuire cos'era tutto il pensiero filosofico e scientifico della scuola ateniese di 916 anni. I primi che tornarono dalle crociate --e in particolare più tardi Giorgio Gemisto Pletone che arrivo' a Firenze nel 1438 e che convinse Cosimo dei Medici a fondare la sua "Accademia" con le casse di libri che si era portato dietro - (e che in altra occasione abbiamo gia' citato) -- cominciarono ad entrare nel vivo delle discussioni scoprendo che la concezione del platonismo erano più vicine alle dottrine religiose ellenistiche che a quello dell'autentico pensiero platonico, e in nome di essa si contrapposero alla scolastica cristiana imbevuta solo di alcuni passi di aristotelismo. 

A tali tendenze si ispirarono gli umanisti italiani e più tardi, i filosofi inglesi della scuola di Cambridge che si opposero al materialismo di Hobbes, riprendendo i motivi della tradizione religiosa neoplatonica. Ma non finisce qui, perchè accanto ad essa, a questo tipo di platonismo, nell'età moderna e contemporanea furono sviluppati altri temi di origine platonica, e soprattutto che esisteva una struttura razionale del reale, di tipo logico-matematico, onde ecco l'innatismo di Cartesio, o l'idealismo oggettivo di Liebniz.

Insomma l' Italia e tutto l' occidente capì in un sol colpo cos'era avvenuto con quello scisma religioso che si era verificato nel primo medioevo tra chiesa romana e chiesa greca.
Avevamo chiamato in queste cronache "ortodossia" tutta la religione cristiana per distinguerla da quella Ariana, la continueremo a chiamarla per un po' di tempo ancora "ortodossa" fino a quel 879-880, quando si verificherà la rottura.

Sarà da quel momento e solo da allora che si dovrà poi intendere Chiesa Romana e Chiesa Greca. Perché con ORTODOSSIA viene indicato in maniera globale, anche se impropria, il complesso delle chiese cristiane bizantine che accettarono e mantennero gli insegnamenti del concilio di Calcedonia anche dopo l' 880; insegnamenti che erano ispirati da un fortissimo senso della tradizione, da una tenace fedeltà ai dati iniziali. Non per nulla il termine significa orthos=giusto e doxa=insegnamento.

Da non prendersi però impropriamente per solo chiesa Greca, perche Ortodossa è anche quella Bulgara, Serba, Russa, Romena, Cipriota, Polacca, Finlandese, Estone, e  molte altre autocefale che hanno il diritto di eleggere i propri vescovi, e dove non esiste né un Patriarca né un Papa, cioè nessuna autorità centrale.

Uno degli errori degli esponenti della chiesa greca -errore che verrà fuori dopo alcuni secoli- è di non aver instaurato rapporti stretti con quelle genti che loro consideravano barbare, sentendosi orgogliosi della propria avanzata elaborazione teologica, e il ricchissimo bagaglio culturale della filosofia greca la misero in soffitta (rinchiuso nei conventi). Cosa che non fece invece Roma con i popoli dell' Europa centrale, anche se commise in seguito anch'essa un grave errore, sottovalutando nel 1529 la protesta di Lutero (protestantesimo) che causò  la "riforma" facendo allontanare definitivamente da quella Romana e da quella Greca, l' intera religione nella stessa Europa centro occidentale che a sua volta con la Controriforma spaccò in due la stessa protesta in Chiesa Luterana e Chiesa Protestante.

Agli effetti però di una evoluzione sociale filosofica-scientifica  nel territorio Occidentale, la Chiesa Cattolica distaccandosi da quella Greca nell' 880 non fece un errore (anche se come abbiamo detto ne fece uno grave nel 1529)  perchè sotto gli aspetti economici-sociali-culturali non causò dei danni; questo perchè ormai c'era una unità etnica-culturale con una forza potenziale latente che -non dimentichiamolo- alcuni ambienti della stessa chiesa cattolica aveva nel suo seno o aveva contribuito a formare. Una piccola minoranza, ma che però si fece sentire (ma solo più tardi).
In quella Bizantina invece l'errore nella rottura dell' 880 fu grave, fu enorme se andiamo ad analizzare il suo successivo sviluppo, si sbarrarono le porte all'assorbimento di etnie e culture diverse che causarono la chiusura totale. Scelsero l'isolamento culturale e decisero nel contempo anche il suicidio dello sviluppo economico. E in quello spirituale non ebbe nemmeno la "protesta" perché era una religiosità ormai vuota nelle coscienze, continuamente alla ricerca di una identità che fosse coerente con i tempi. (Una ricerca inutile anche perchè  non sappiamo se si resero conto).
Insomma in questi tempi e in quelli che seguirono era decisamente più stimolante vivere in una piccola città europea; meglio vivere ad esempio a Trento o a Siena che non a Costantinopoli.
E se diventarono bui i secoli in occidente, in oriente iniziarono ad essere cupi. Forse l'anima degli antici filosofi dell'Accademia,  nel vedere così male interpretata la loro filosofia, a Bisanzio si vendicarono. 
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All'Abazia
 di San Nicola di Casole, 
il volto greco delle prime Lettere italiane
di Antonio De Pascali
Presso l'abazia di San Nicola di Casole, tra gli scogli più ad est d'Italia, a pochissimi chilometri a sud di Otranto, nascono alcuni tra i primi componimenti in poesia della letteratura nazionale.

Nel cuore del Medioevo, è noto, nel tredicesimo secolo, si avvertono in Italia i primi segni di quello che fu, pochi decenni dopo, l'Umanesimo delle Lettere: in Puglia ecco i versi composti da alcuni religiosi, tra le fredde pareti di un monastero eretto a pochi metri dal mare Adriatico, di fronte alle coste dei Balcani.

Con una particolarità non da poco: che nella Terra d'Otranto, nell'Età oscura, la lingua greca, quella parlata oltremare, nelle terre di Bisanzio, è la lingua con la quale si esprime la maggior parte della popolazione e con la quale si esprime pure la comunità italo-greca dei monaci basiliani che ha dato vita all'abbazia di Casole. E che pertanto in lingua greca è pure la loro produzione letteraria, quella produzione, appunto, che si può con giusto merito, asseriscono oggi gli studiosi, inserire nel contesto degli albori della letteratura italiana.

Monaci basiliani italo-greci, dunque, di rito greco, di cultura greca e di lingua greca, dettero vita nella Puglia meridionale, apprendiamo da pochissimi - purtroppo - reperti cartacei conservati nelle biblioteche di tutt'Europa, a componimenti poetici, in lingua greca, appunto, che per i contenuti ed il respiro sono invece identici ai primi segnali di quella letteratura volgare che divenne, solo pochi decenni più tardi, con Dante Alighieri, nel suo massimo splendore, la letteratura italiana.

La premessa. 
I primi caratteri della cultura nazionale vengono alla luce nei primi decenni del tredicesimo secolo. Una cultura che diventa confluenza, unità di pensiero e di espressione, di più culture e di più lingue di più popoli e che dà mostra di sé nella lingua, nelle lettere, nelle arti, nell'architettura. Unità culturale, però, figlia ancor giovanissima di tante culture di tante civiltà.

In Puglia, ad esempio, si sente ancora l'eco della civiltà orientale l'Impero di Costantinopoli abbandonò la regione, su spinta normanna, solo nel 1071 che ancora ambisce a tornare alla grande sul suolo della Penisola. Qui i dominatori sono Normanni e governano cittadini che parlano volgare, arabo, albanese, slavo, latino, ebreo. Che parlano soprattutto il greco ed assistono a funzioni religiose celebrate soprattutto con il rito greco da sacerdoti e da monaci, i Basiliani.

Di madre normanna e padre tedesco è l'imperatore Federico II che visse tra gli innumerevoli castelli di Puglia e la reggia di Palermo e si circondò di dotti arabi, greci ed ebrei, nel ricordo della classicità latina e nel fascino di un'unità culturale europea e mediterranea. Era il primo caso di regnante colto ed illuminato dopo un millennio di guerre, flagelli e condottieri sanguinari tra Europa e Mediterraneo. Non è dunque un caso se proprio a Palermo, all'ombra del Puer Apuliae, di Federico, sia nata la Scuola poetica siciliana, corrente di poeti;  è noto, che per la prima volta, come attestano le fonti, si dilettò a poetare in volgare, in un contesto culturale, è altrettanto noto, che presentava solo in Toscana l'altra nota felice della stessa corrente letteraria. 

Non è pure, dunque, un caso, se ad Otranto, sempre all'ombra dell'imperatore Federico, sia nata, tra le prime espressioni della cultura nazionale, la corrente dei monaci poeti di Casole. Qui, in Puglia, però, e i tempi lo raccontano, la cultura italiana si esprimeva ancora con la lingua greca.

Analizziamo la produzione. 
Attorno al cenobio di San Nicola di Casole fiorì dunque un gruppo di poeti in lingua greca abbastanza compatto, una specie di circolo poetico che si riconosceva nella guida di un abate, tale Nettario, proprio nello stesso giro di anni in cui si imponeva a Palermo la Scuola poetica siciliana in volgare. Si tratta di quattro poeti salentini che con i loro scritti, sintesi di produzione sacra e profana, vengono unanimemente indicati oggi come portatori dell'Umanesimo italo-bizantino  in Terra d'Otranto, una nuova corrente letteraria che si inserisce nel contesto culturale nazionale.

C'è da dire, sostengono i ricercatori, che modesto fu il potere creativo di questi poeti e la loro metrica è ridotta all'uso del solo verso dodecasillabo bizantino e che, non solo, i loro motivi ispiratori insistono su un numero ristretto di comparti letterari (mitologia, ricordi di amici, preghiere, meditazioni bibliche, citazioni culturali). Ma, è da enunciare a chiare lettere, enorme è la valenza della loro produzione nel contesto storico e culturale in cui operarono. Perché poetarono in greco, è vero, ma erano partecipi di un'attività, abbiamo appena visto, che pur nelle sue diversità linguistiche, il greco ed il volgare, rappresentava un'unità culturale sì appena nata ma che già spiccava il volo verso lidi successivamente notissimi.

L'analisi dei loro testi ha portato i critici alle seguenti conclusioni: erano sostenitori della potenza imperiale nella lotta contro il Papato (Federico II, del resto, li sosteneva e li incoraggiava nella loro attività) e pertanto non trascuravano gli interessi politici d'ogni evento. Curavano l'aspetto pratico e terreno dei problemi rivelando in questo sentimenti di coraggioso allontanamento dalla letteratura esclusivamente religiosa del Medioevo raccontando perciò l'Uomo e le sue avventure sulla Terra. L'Umanesimo cioè. Una sorta, però, di Umanesimo greco-cristiano.

Dei quattro poeti che formano il sodalizio due sono religiosi e due laici. Tra loro non vi furono rapporti sistematici, veri e propri contatti regolari. Solo reciproco rispetto ed intesa amichevole. Anche perché li divide per alcuni una generazione. Conosciamoli:

Il fondatore di questa sorta di circolo poetico è l'abate NETTARIO, 
nato ad Otranto tra il 1155 ed il 1160.

Quindi GIOVANNI GRASSO, protonotario e maestro imperiale tra il 1219 ed il 1236. Sottoscrisse il testamento di Federico II il 10 dicembre 1250 e probabilmente fu lui a scrivere le lettere in greco di Federico II agli imperatori di Bisanzio.
Figlio di Giovanni Grasso è l'altro poeta, NICOLA d'OTRANTO.
Infine GIORGIO di GALLIPOLI. Giorgio è il rappresentante più importante della scuola poetica greca nel Salento bizantino.
Tutti, abbiamo detto, appartenenti all'entourage culturale di Casole.

L'ABAZIA DI CASOLE  viene fondata nel 1098-1099 per volere del figlio di Roberto il Guiscardo, grande condottiero normanno, il crociato Boemondo I, principe di Taranto e di Antiochia.
 Boemondo donò il casale di Casole ad un gruppo di Basiliani guidati da Giuseppe, primo abate del futuro monastero. Il principe normanno sovvenzionò con propri fondi la costruzione.
Otranto era normanna da 34 anni (dal 1064). La Puglia da appena 27 (dal 1071). La famosissima cattedrale della cittadina era appena stata consacrata.
I Normanni volevano così guadagnarsi il favore dei Greci e di tutto il Salento, Greci che avevano sconfitto militarmente cacciando l'esercito bizantino ed instaurando quel sistema di potere che avrebbe dato vita al Regno del Sud di Ruggiero II, cugino di Boemondo.

Dal 1163 al 1165 il basiliano Pantaleone, monaco di Casole, realizza il famosissimo mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, la più grande e più importante opera musiva medioevale nel Mezzogiorno.
L'abate più importante dell'abbazia è Nettario, lo stesso che fondò la scuola poetica, che di battesimo si chiamava Nicola, e che rivestì il ruolo dal 1219 al 1235. Questi fu protagonista di missioni diplomatiche importantissime: nel 1205 e nel 1214 per conto di Innocenzo III quale interprete ai cardinali che andavano a discutere a Costantinopoli sui rapporti tra Greci e Latini; nel 1223-1224, per conto di Federico II in Oriente, e nel 1232 a Roma, dal papa, per discutere sulla validità del battesimo delle genti battezzate con il rito greco. 
Nettario, gran conoscitore del greco e del latino, creò la biblioteca di Casole con le migliaia di volumi greci e latini che raccolse nei suoi viaggi in Oriente.

Casole, è scritto, era al primo posto nel Mezzogiorno in quanto ad obblighi fiscali. Dunque era un'abbazia ricchissima.
Nel 1480 la biblioteca di Casole viene distrutta con il tristemente famoso assalto dei Turchi alla cittadina. Di essa rimangono oggi poche pietre all'interno di una masseria che porta il suo nome. Fortunatamente almeno una piccolissima parte della sua biblioteca, che contava decine di migliaia di volumi, e della sua produzione editoriale si è salvata. Tal cardinale Bessarione, infatti, metropolita di Nicea, patriarca di Costantinopoli, instancabile viaggiatore, grande amante della letteratura classica, compiva visite continue nei monasteri greco-bizantini e ovunque raccoglieva, o per meglio dire, razziava, manoscritti della civiltà greco-romana. 

Il cardinale passò anche da Casole ed a Casole, prima della distruzione per mano degli Ottomani, pure razziò. Nel 1468 donò alla Biblioteca Marciana 533 volumi greci e 301 volumi latini prelevati dalla biblioteca di Casole. Quella produzione editoriale, proprio perché risultato di un furto, è per ironia del destino l'unica superstite della gloriosa biblioteca casolana. Sè poi dispersa tra le biblioteche del continente ed analizzata nella sua interezza ha portato oggi alle analisi esposte. Dopo la distruzione dell'abbazia finì l'epopea di Casole.

E stato affermato che l'abbazia idruntina, soprattutto nel suo momento magico, il tredicesimo secolo, ha svolto la funzione di officina di istruzione così a lungo da gettare le basi di un discorso nei termini di un vero e proprio Umanesimo greco in Terra d'Otranto, una scuola in cui le lettere greche erano al centro di ogni programma di studio e di insegnamento, in un clima di riconoscimento pieno dei valori universali ed eterni della civiltà greca classica.

Il monastero, dedicato a san Nicola, era un monastero basiliano, retto cioè dai religiosi seguaci della Regola di san Basilio il Grande (Cesarea di Cappadocia 329-379). I monaci offrivano vitto ed alloggio a chiunque volesse conoscere la lingua e la civiltà greca molto prima che venissero fondate le università da parte di principi ed imperatori nel nord-Europa. 
Era un'accademia di lettere greche e latine.

Casole è la prima vera scuola pubblica di Terra d'Otranto, teatro di una nuova formula di convivenza razionale tra discorso teologico e discorso filosofico. Casole, si sostiene, come le contemporanee, famosissime, abbazie di Cluny e York possiede i requisiti di una scuola, cioè d'una cultura omogenea da cui attinse insensibilmente ma non per questo meno proficuamente il pensiero occidentale. 
Qui i monaci si dedicavano alla preghiera ed allo studio, lavoravano ed impartivano lezioni di letteratura greca e latina, di filosofia e logica. Dal Typicon , un rituale, specie di manuale sui compiti del monastero, fortunatamente sopravvissuto, si apprende di pratica ascetica, di vita semplice ed austera, con continui sacrifici e rinunce. Secondo la tradizione del monachesimo bizantino. Qui domina del resto la regola di san Basilio, regola espressa da preghiera, digiuno, povertà, silenzio, solitudine, studio, lavoro, umiltà, esaltazione dell'ascesi contemplativa, frugalità del cibo (si notano così le affinità degli ideali ascetici del monachesimo orientale e quelle del monachesimo occidentale).

Casole possedeva una Biblioteca (che era estroversa, cioè aperta al pubblico), per la diffusione della cultura, ed uno Scriptorium, per la copiatura dei testi classici, strutture tra loro indipendenti. Si può parlare dunque di una Casa Editrice Casolana di manoscritti in greco copiati dai monaci.

Si trattava di: testi liturgici, biblici, patristici, di diritto, classici, sempre ovviamente in greco. Vi era altresì un Didaskaleion, dove si insegnava la cultura greca.

Scrive Gregorovius che Casole era tra le più antiche biblioteche d'Occidente, forse la più antica, precedente addirittura il Cenobio Vivariense di Cassiodoro se, dando credito ad una tradizione piuttosto ricorrente, sembra che l'abbazia sia nata molti secoli prima la venuta dei Normanni, addirittura nel V secolo. Una tradizione che, se corrispondente alla verità, sovvertirebbe la concezione della costruzione della cultura nella Penisola.
Antonio De Pascali
Bibliografia:
C. DAQUINO: Bizantini in Terra d'Otranto
San Nicola di Casole,  Capone Editore, Lecce, 2000
Fonti,  testi e citazioni
FRANCESCO DE SANCTIS - STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA
Prof. PAOLO GIUDICI - STORIA di ROMA e D'ITALIA 
IGNAZIO CAZZANIGA ,  STORIA DELLA LETTERATURA LATINA, 
Nuova Accademia Editrice, Milano 1962).
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

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