LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI


CRISI IN LIBIA E GUERRA AI TURCHI

 

 

RIPIEGAMENTO DEI PRESIDI DALLE OASI SIRTICHE - I RIBELLI BATTUTI A CADURIAN -- GHADAMES. - L'AZIONE DEL GOVERNATORE GENERALE TASSONI. - LE COLONNE MOBILI - LA COLONNA GIANNINAZZI - LA ROTTA DI CASR-BU-HADI - VICENDE DEI PRESIDI DELLE ZONE DI MISURATA, DEGLI ORNELLA, DI TARHUNA DI SIRTE - RIPIEGAMENTO ALLA COSTA, DEI PRESIDII DI GIOSE, DI FASSATO, DI JEFFREN, DI GHARIAN, DI ZINTAN, DI NALUT, DI GHADAMES, DI SLITEN, DI SIRTE, DI MISURATA, DI BENIILID, DI FONDUK-BEN-GASCIR, DI SUANI BEN-ADEN, DI AZIZIA, DI ZUARA - RIPIEGAMENTO DEI PRESIDI IN CIRENAICA - IL GENERALE AMEGLIO GOVERNATORE DELLA LIBIA - INTRIGHI DELLA TURCHIA IN LIBIA - IL TRATTATO DI LOSANNA VIOLATO DAI TURCHI - SOVERCHIERIE DEL GOVERNO TURCO CONTRO GLI ITALIANI RESIDENTI NELL' IMPERO OTTOMANO - L'ULTIMATUM DEL GOVERNO ITALIANO ALLA TURCHIA - LA NOTA ITALIANA ALLE POTENZE E LA DICHIARAZIONE DI GUERRA - L'ABOLIZIONE DEL NAIB ES-SULTAN - PROCLAMA ALLA POPOLAZIONE DELLA LIBIA DEL GENERALE AMEGLIO


Il Generale Tassoni

Mentre l'Italia era impegnata nelle offensive contro l'Austria, l'Intesa si muoveva per coinvolgere Romania e Grecia contro l'Impero Turco e cercava di vincere le resistenze della Bulgaria tramite l'offerta della Macedonia ceduta dalla Bulgaria alla Serbia nel 1913. La Bulgaria però farà un'altra scelta il 21 settembre entrando in guerra a fianco degli imperi centrali.
L'Italia dopo aver visto queste intenzioni dell'Intesa e lo sbarco del 25 aprile (prima della sua entrata in guerra) dei due suoi alleati anglo-francesi nella penisola turca di Gallipoli, non voleva perdere di vista gli interessi italiani nei Balcani e si sentiva pure tradita nelle sue aspirazioni in Croazia e in Dalmazia, anche perchè aveva deciso - sbarcando in Albania- di andare in aiuto, da sud, alle forze serbe quando sarebbero state attaccate da nord dalle forze austro-tedesche.
Ma in ottemperanza al Patto di Londra, l'Italia é costretta a dichiarare guerra alla Turchia, complicando così la sua situazione nei presidi che ha in Libia, dove aveva da qualche tempo ridotta l'occupazione.

Abbiamo già parlato in un altro capitolo di questa storia dello sgombro del Fezzan; narreremo ora gli avvenimenti della Tripolitania durante tutto il 1915, anno in cui impegnata la guerra contro l'Austria non permise all'Italia di occuparsi molto della colonia libica e, in Tripolitania non solo non inviò più uomini, ma ridusse l'occupazione all'oasi di Tripoli e a qualche altro punto della costa.
Questo permise ai Turchi di riprendere l'iniziativa, fino al punto critico che l'Italia fu costretta a dichiarare guerra anche alla Turchia.



RIPIEGAMENTO DEI PRESIDII DALLE OASI SIRTICHE

Già il 15 gennaio del 1915, uno dei figli di Ser-en-Nassen, fiduciario dell'Italia nella Sirtica, unitosi ad altri capi della regione, attaccava il presidio italiano di Raddum, il quale fu colto alla sprovvista, e una buona parte libici, che erano nel presidio con loro, passava nelle file dei ribelli, riparando nei dintorni di Sodna e a Hon. Allora fu stabilito lo sgombro di Socna, che avvenne il 27 gennaio, dopo alcune brillanti ricognizioni offensive eseguite verso i centri di raccolta dei ribelli per intimidirli.

L'8 febbraio, un migliaio di ribelli assalì presso Bungen una colonna italiana di cammelli scortata da 300 armati, ma il nemico fu respinto e messo in fuga. Tre giorni dopo, la colonna Gianninazzi, col presidio di Bangen (35 ufficiali, 114 bianchi, 1400 libici ed eritrei), incendiato il paese e distrutto il materiale che non poteva esser trasportato, si ritirava su Beni Ulid. Quel giorno stesso, un forte nucleo di ribelli, che aveva assalito Taorga, ma n'era stato respinto da due compagnie del 6° fanteria, era attaccato e sconfitto dal maggiore MAUSSIER a CADURIAN.
Iniziavano intanto le operazioni per la rioccupazione di Ghadames, affidata al capitano VOGLINO, il quale vi si diresse con la banda di Fossato, giungendovi il 17 febbraio dopo aver sostenuto aspri combattimenti con forze nemiche superiori alle sue.
Il 18 febbraio giungeva a Ghadames la colonna GIANNINI; partita da Ghat fin dal 2 dicembre per dare aiuto alle colonne Voglino, Giannini muoveva da Nalut col 5° libico il colonnello NIGRA, che entrava a Ghadames il 6 marzo.

Nonostante queste energiche operazioni, la ribellione divampava, e dal Fezzan e dalle oasi sirtiche colonne di ribelli, forti di molte migliaia di fucili, avanzavano verso il sud misuratino, il Gebel e la Sirte, razziando, inducendo alla rivolta le popolazioni rimaste fedeli all'Italia e assalendo, dopo averli isolati i presidi italiani più deboli e lontani.
Per fronteggiare questa situazione il nuovo governatore, generale TASSONI, stabilì di mantenere i presidi ancora occupati, rafforzarli con opere di difesa e far eseguire dalle loro truppe frequenti ed opportune escursioni nelle zone circostanti; stabilì inoltre di costituire colonne mobili che mantenessero aperte e sicure le vie di comunicazione tra i vari presidi e operassero offensivamente contro i ribelli nei loro centri di raccolta.
Furono pertanto, oltre le colonne NIGRA e MAUSSIER che operavano, la prima nel Gebel occidentale, la seconda nella Sirte, costituite la colonna GIANNINAZZI (1° battaglione libico, due sezioni d'artiglieria, e bande, totale 1500 uomini a piedi, 100 montati e 4 pezzi da montagna) che doveva operare nel Gharian; le colonne ROSSO e FINELLI, di 1500 uomini ciascuna, libici la prima, bianchi la seconda, che opererebbero nella regione degli Orfella, e infine la colonna MIANI, con base a Misurata, forte di un battaglione libico, una di bersaglieri, una batterla di volontari italiani, uno squadrone di savari e le bande di Kassabet e Gefara, di Homs, Sliten e Misurata: in totale 4500 uomini.

Nell'aprile del 1915, la colonna GIANNINAZZI, sorpresa da numerose forze ribelli, fu costretta con gravi perdite e col comandante ferito a ripiegare frettolosamente su Misda. In quei giorni il colonnello MIANI coadiuvato dalle colonne mobili ROSSO e FINELLI, effettuava operazioni di polizia nelle zone degli Orfella e del Misuratino. A conoscenza che a Casr-Bu-Hadi si concentravano numerosi ribelli, si mise in marcia verso quella località.

Dal 10 al 23 aprile fece sosta a Tarrah dal 24 al 25 a Bu-Ratma e il 26 giunse a Sirte.
La mattina del 28 il colonnello MIANI uscì da Sirte e, passata la notte ai pozzi di Bu-Hanef, puntò su Casr Bu-Hadi. L'ordine di marcia era il seguente: d'avanguardia, sulla medesima linea, lo squadrone Savari, i meaharisti, e metà dei cavalieri delle bande; quindi il grosso su tre colonne, quella di sinistra formata dalla banda di Sliten, dal 15° eritreo, dalla batteria cammellata e dalla 2a compagnia del 57° fanteria, quella di destra dalle bande di Tarhuna e di Misurata, dal 13° libico, dalla batteria dei volontari italiani e dal battaglione bersaglieri, quella del centro dalle bande di Msellata, Gefara ed Homs, seguita dalla colonna munizioni, dalla colonna viveri, e dalle salmerie dei reparti e delle bande; di retroguardia la 3a compagnia del IV battaglione libico. Il resto dei cavalieri delle bande fiancheggiavano a distanza la colonna.
Questa alle 10 aprì il fuoco dell'artiglieria contro il nemico, costringendo la sinistra avversaria ad indietreggiare ma subito dopo i ribelli effettuarono un vigoroso attacco contro la sinistra italiana minacciandola d'avvolgimento. Contemporaneamente altro forze nemiche attaccavano alla destra il 13° libico, la batteria dei volontari e i bersaglieri contro di cui si volgevano le bande di Tarhuna e di Misurata, mentre le bande della Alsellata, della Gefara e di Homs si gettavano sul convoglio, e lo spingevano nel campo nemico.

Il tradimento delle bande scosse il morale delle truppe italiane, le quali dopo un combattimento confuso, quasi sopraffatte, iniziarono il ripiegamento che avvenne in un così gran disordine causando rilevanti perdite: 18 ufficiali morti e 25 feriti, 252 uomini di truppa metropolitana morti e 141 feriti, 234 indigeni morti e 296 feriti.
Dopo la giornata di Casr Bu-Hadi, la situazione della occupazione italiana in Tripolitania si fece critica e pericolosa. Nella regione degli Orfella gli elementi che gli italiani credevano fedeli si schierarono contro di loro e il presidio di Beni Ulid rimase isolato.
Nel Misuratino il numero e l'audacia dei ribelli aumentarono a dismisura: il 12 maggio una colonna italiana che da Misurata città andava a Misurata marina fu attaccata e costretta a rientrare in città; il 23 il presidio di Taorga fu bloccato; le comunicazioni con Misurata marina furono riattivate solo dopo un aspro combattimento, ma alla colonna Penco non riuscì a sostenere il presidio di Taorga, perché a Fonduk Gamel fu assalita da forze di molto superiori e fu costretta a rientrare a Misurata dopo aver perduto 10 ufficiali e 109 uomini di truppa. Le truppe che presidiavano Taorga agli ordini del tenente colonnello TESI, uscite dal villaggio, fuggirono verso il mare, quindi protette dalle navi, riuscirono a riparare a Misurata marina.

Anche nella zona di Tarhuna ben presto scoppiò la ribellione e furono tagliate le comunicazioni telegrafiche. A stento e dopo accaniti combattimenti riuscì da Azizia il tenente colonnello ROSSOTTI con una colonna forte di 6 compagnie, 1 squadrone, un battaglione eritreo ed una batteria, riuscì ad arrivare a Tarhuna; ma dietro di lui le comunicazioni furono nuovamente chiuse dai ribelli, i quali, il 21 maggio, attaccarono la colonna Monti che tentava di riaprirle e la costrinsero a ritornarsene ad Azizia con 11 ufficiali e 150 uomini di truppa di meno.
A riaprire le comunicazioni con Tarhuna fu allora mandata da Homs, una forte colonna agli ordini del colonnello CASSINIS; ma questa, giunta a Kussabat, vi fu bloccata dai ribelli e si dovette alla colonna del maggiore Balocco se si riuscì a ristabilire le comunicazioni tra Kussubat ed Homs.

Il 17 giugno, il colonnello CASSINIS, appreso che il presidio di Tarhuna avrebbe il giorno dopo ripiegato su Tripoli per Uadi Sart, mosse verso Tarhuna per dargli mano, mentre da Azizia usciva per sostenere il presidio medesimo una colonna agli ordini del tenente colonnello MONTI, il quale giunse combattendo quasi all'Uadi Megenin, donde però dovette ripiegare alla sua base per non essere sopraffatto dai ribelli che lo fronteggiavano sempre più numerosi. Il 18 il Cassinis, avendo udito un forte cannoneggiamento, che s'andava allontanando da Tarhuna verso Tripoli, credendo che il presidio si fosse aperta la strada e non avesse più bisogno d'aiuto, rientrò a Kussabat.
invece il presidio di Tarhuna, composto di 1500 italiani e 700 indigeni, comandato dal tenente colonnello ANTONELLI, iniziato il ripiegamento il 18, non riuscì ad aprirsi la strada, e attaccato a Suk-cl-Ahad da forze superiori alle sue, si sbandò. Nel combattimento fornirono mirabili prove di valore la signora MARIA BRIGHENTI, moglie del maggiore BRIGHENTI, distaccato a Beni-Ulid, che cadde come una condottiera mentre incitava i soldati alla lotta. Quelli che non caddero sul campo, in parte furono fatti prigionieri, in parte riuscirono a raggiungere Azizia.

Il 23 giugno la colonna Cassinis sgombrò Kussabat e combattendo ripiegò su Homs; quindi si riunì al presidio di Sliten. Il 28, parte di questa colonna, agli ordini del tenente colonnello TORRE, mosse su Beni Ulid per soccorrerne il presidio ma ad una diecina di chilometri da Sliten si scontrò con i ribelli e dopo una giornata intera di combattimento, disperando di aprirsi un varco ritornò a Sliten.
Anche da Misda sgombrò il presidio, ripiegando, il 15 giugno, su Gharian; da Sinanen, nel Gebel, il presidio uscì il 10 e, attraverso il territorio Tunisino, riuscì a ripiegare, il 24, su Nalut. Allo stesso modo fu sgombrata Cabao e il presidio si ritirò a Giosc.

Intanto il governatore TASSONI aveva proposto al Ministero delle Colonie di raccogliere tutte le truppe nei presidii di Misurata Marina, Homs, Zuarà e Tripoli, abbandonando tutte le altre località e tenendosi sulla difensiva. Il Ministro delle Colonie avrebbe voluto, che oltre la costa, fossero tenute le località di Gharian e di Jefren, ma, avendo il Tassoni risposto che non era possibile con le scarse forze di cui disponeva, autorizzò il 4 luglio, il governatore a ritirare tutti i presidii dell'altipiano verso la costa.

Il 6 luglio, il presidio di Jeffren insieme con la colonna Nigra, giuntavi il giorno prima, ripiegò ordinatamente su Zuara. Il giorno stesso i presidii di Giosc (380 uomini del 6° Fanteria) e di Fassato (840 uomini del 37° fanteria), oltre a piccoli reparti di carabinieri, fanteria montata, artiglierie genio, sgombrarono le località da loro occupate, dirette a Scek-Sciuk, dove giunsero il 7.
L'8 mattina arrivarono a Bir Ganen, ma, trovati i pozzi asciutti, proseguirono disordinatamente la marcia, privi della guida della maggior parte degli ufficiali, tormentati dalla sete e dal caldo e inseguiti dagli insorti. I superstiti di quella disastrosa ritirata giunsero il 10 luglio a Zuara.
Il presidio di Gharian si ritirò in ordine ad Azizia; quello di Ziutan, bloccato dal 3 luglio, dopo una settimana di dura resistenza, tentò di aprirsi un varco, ma, sopraffatto, fu fatto prigioniero. Il presidio di Nalut, formato di due compagnie di fanteria, una compagnia libica e tre somale, tentò di ripiegare su Dehibat, in territorio tunisino; assalito a poca distanza da Nalut, una parte col comandante fu fatto prigioniero dai ribelli, l'altra parte, combattendo, proseguì per Dehibat, dove giunse il 10 luglio.
Sempre attraverso il territorio tunisino riuscì a ripiegare verso la costa il presidio di Ghadames.

Dei presidii della zona orientale quello di Sliten fu trasportato per mare parte a Homs e parte a Tripoli; quello di Misurata ripiegò su Misurata marina, che più tardi fu anch'essa sgombrata; quello di Beni Ulid, comandato dal maggiore BRIGHENTI, dietro consiglio del comando di Tripoli, il 5 luglio, concluse a buoni patti la resa, che avvenne il 7, dopo un inutile e sanguinoso tentativo degli ascari libici di aprirsi il passo con le armi.
Anche nella zona di Tripoli e di Zuara non tardò ad effettuarsi il ripiegamento dei presidii: quello di Fonduck Ben Gascir riparò a Suani Ben Aden; quello di Azizia il 16 luglio ripiegò su Bir Miami e, raccolte le truppe che occupavano questa località, proseguì per Suani Ben Aden, donde il 17 le truppe qui riunite marciarono verso Gargaresc. Lo stesso giorno 17 il presidio di Zaira si ritirò a Zanzur e quelli del territorio di Zuara ripiegarono su Zuara città che fu sgombrata il 24 luglio.

Così ai primi di Agosto del 1915 di tutta la Tripolitania e del Fezzan non rimanevano all'Italia che le città di Tripoli (compresa l'oasi) e di Homs.
L'ultima fase del ripiegamento dei presidi fu effettuata dal nuovo governatore della Libia il generale GIOVANNI AMEGLIO, giunto a Tripoli il 17 luglio per sostituirvi il generale TASSONI, richiamato in Italia.

L'Ameglio era uomo da risollevare le sorti della colonia se gli fossero state concesse un buon contingente di truppe; ma gli furono perfino negati 10.000 uomini da lui richiesti e poche mitragliatrici, e alle insistenze sue e del Governo, CADORNA si rifiutò di mandare in Libia soldati ed armi, affermando che
"…la guerra si vinceva sulle Alpi e non nei deserti dell'Africa"; cosicché all'Ameglio non rimase altro da fare che affrettare il ripiegamento e provvedere alla difesa dei punti della costa rimasti ancora in possesso dell'Italia.

Anche in Cirenaica ci fu un ripiegamento di presidi, ma in misura infinitamente minore di quella adottata per la Tripolitania. Infatti, eccezione fatta per la zona di Agedabia-Zuetina e per Omm-es-Rzem ed El-Mdamar, gli italiani rimasero in tutti gli altri punti della costa e all'interno sgombrando solo quei presidii che distavano dalla costa 50 o 100 chilometri, come quelli di E-1-Cuba, Slonta, Marana, Bu-Gassal, Tecnis, El-Abiar, Omm-Scicaneh ed Es-Scleidima, più esposti degli altri alle offese dei ribelli e meno degli altri in condizione di esser sostenuti dalle scarse forze del comando di Bengasi.

INTRIGHI DELLA TURCHIA IN LIBIA
IL TRATTATO DI LOSANNA VIOLATO DAI TURCHI
L'ULTIMATUM DEL GOVERNO ITALIANO ALLA TURCHIA
LA NOTA ITALIANA ALLE POTENZE E LA DICHIARAZIONE DI GUERRA
PROCLAMA DEL GENERALE AMEGLIO ALLA POPOLAZIONE LIBICA


Secondo l'opinione pubblica italiana la principale causa della nostra situazione in Libia era da ricercarsi nel contegno sleale della Turchia che non aveva mai eseguiti i patti del trattato di Losanna. I giornali italiani parlavano di frequenti sbarchi clandestini sulla costa libica, di ufficiali agenti ed emissari ottomani, che incitavano le popolazioni alla ribellione e facevano nella colonia attivissima propaganda senussita ed antitaliana; annunziavano che intenso era il contrabbando esercitato sulle coste della Cirenaica, specie tra Solum e Tobruk, da velieri turchi, che sbarcavano armi e munizioni per i ribelli, ufficiali turchi e anche tedeschi, divulgavano notizia di un'adunata a Costantinopoli di Giovani Turchi alla quale aveva partecipato il segretario del Naib Ul Sultan dall'Italia riconosciuto, e si era deciso di lanciare alla popolazione libica un manifesto-lettera del Senusso, incitante alla rivolta; facevano sapere della cattura da parte di una torpediniera francese di un veliero greco che recava una missione turca per il Senusso con regali, decorazioni, armi, manifesti antitaliani e 150.000 franchi di oro; e infine affermavano che la guerra santa proclamata dal Califfo contro la Francia, l'Inghilterra e la Russia e non contro l'Italia, era stata comunicata anche al Senusso e ai capi delle tribù dell'interno della Cirenaica e della Tripolitania.

"La Turchia - scriveva sul Corriere della Sera del 26 luglio l'on. Torre - ha cercato sempre di dissimulare e mentire il suo atteggiamento nemico all'Italia. Ai primi di maggio essa faceva dichiarare dall'ambasciata a Roma che le notizie riferite da alcuni giornali intorno alla presenza di ufficiali turchi in Libia erano assolutamente prive di fondamento .... La verità, viceversa era un'altra. Enver pascià aveva fin dal marzo inviato suo fratello Nury bey in Cirenaica. Era stato sbarcato da un battello greco insieme con un ufficiale portando con sé 8000 lire turche. Lo stesso battello greco ed altri, pure greci, avevano sbarcato farina, riso e olio spediti per ordine di Costantinopoli. Al campo ribelle di Casr Bu-Hadi si trovavano, intanto, ai primi di maggio vari ufficiali arabo-turchi, di cui il governo della Libia conosce i nomi, e 3 ufficiali turchi oltre ad alcuni ascari siriani, adibiti forse quali istruttori dei ribelli. In altre località era stata notata anche la presenza di ufficiali turchi. Verso la fine di maggio il solito battello greco approdava a Mraisa sbarcando altri 2 ufficiali turchi, latori di 7000 lire turche, e casse di cartucce per fucili Gross e Mauser. A Solum, al campo di Sidi Ahured-Scerif, fratello del Senusso, vi erano, alla fine di maggio 3 ufficiali turchi e inoltre fucili, munizioni e uniformi provenienti dalla Turchia. Ai primi di giugno una nostra nave catturava nelle acque di Marsa-Gabes 5 ribelli tra i quali si trovava Hamed ben Omar già ufficiale turco, che col grado di maggiore era al servizio del Senusso. Nel corso del giugno furono sequestrate dal nostro Governo alcune corrispondenze, dalle quali risultò chiaramente che Nuri Bey, il fratello di ENVER pascià, manteneva dalla Libia corrispondenza con Costantinopoli e relazioni con il consolato tedesco di Bengasi; e risultò che, fin dalla fine del 1914, il famoso EL BARUNI, senatore ottomano, insieme con il noto ribelle e agitatore SCEK SOF, incitava i notabili della Tripolitania alla rivolta per incarico del Governo turco. Un veliero greco, che fu catturato alla fine di giugno, trasportava una missione turca composta di 2 ufficiali e 7 soldati inviati da Enver pascià con regali al Senusso. NURI BEY continuava l'opera sua in Libia. La Turchia continuava i suoi aiuti e i suoi incitamenti; inviava cannoni, munizioni e danari. Il Senusso aveva potuto raccogliere nel suo campo 40 ufficiali e 47 sottufficiali turchi, e Nuri Bey aveva assunto il comando in capo dell'accampamento senussita dell'Amscat. Anche nel Gharian vi era il capitano BEN TANTUSCH con altri 7 ufficiali turchi. Le corrispondenze scoperte hanno rivelato che il piano d'azione per la Tripolitania era stato preparato a Costantinopoli: nomi e fatti sono ormai noti. Come è noto che il Senusso ha pagato gran parte dei debiti suoi a Solum con moneta turca. Il Senusso anzi avrebbe dichiarato che Nuri Bey gli portò tanto oro quanto può bastare per sei anni ai bisogni della Tripolitania e della Cirenaica. Non vogliamo insistere nei particolari; quelli che abbiamo citato sono sufficienti a fornire la prova della volontà dell'opera della Turchia a danno dell'Italia .... Il trattato di Losanna è stato lacerato dai Turchi; a loro quindi la responsabilità degli eventi".

"A queste notizie riguardanti l'azione ottomana in Libia altre se ne aggiungevano, le quali mostravano chiaramente il contegno della Turchia ostile all'Italia. Si affermava che le autorità ottomane commettessero infinite sopraffazioni contro gli italiani residenti in territorio turco. All'agente consolare italiano ad Alessandretta, che doveva recarsi in Italia con altri suoi colleghi, era stato impedito d'imbarcarsi. Era stato fatto divieto agli Italiani della colonia di Smirne che volevano rimpatriare d'imbarcarsi in quel porto ed era stato loro concesso di partire da Vurla, porto distante 50 chilometri da Smirne, non unito da strade. Si noti che da Smirne dovevano, fra gli altri, partire 880 riservisti. Anche ai religiosi, numerosissimi specialmente in Palestina, si impediva di far ritorno in patria. A un cittadino italiano residente a Costantinopoli era stato requisito e non pagato il rimorchiatore Tondello, che dalle autorità ottomane era stato adibito ad usi militari con a poppa la bandiera italiana. La stampa turca vomitava quotidianamente ingiurie contro gli Italiani, che, a quanto si diceva, dovevano esser mandati nei campi di concentramento di Orfa in Armenia. Conflitti gravissimi erano avvenuti a Vurla, dove donne e fanciulli italiani erano stati uccisi e feriti in buon numero. Anche da Mersina si era proibito che gl'Italiani partissero".

Tutte queste notizie, divulgate dai giornali italiani, mettevano in agitazione il paese, e il 30 luglio finalmente il Consiglio dei Ministri ritenne necessario di occuparsi dell'atteggiamento della Turchia verso l'Italia. L'ufficioso "Giornale d'Italia", diffondendone la notizia, così concludeva:
"Ciò che avvenne in Tripolitania è in molta parte l'effetto della propaganda turco-tedesca e della sleale condotta del Governo turco, il quale contravvenne agli obblighi del trattato di Losanna. Della stessa slealtà fornisce prova la Turchia quando i suoi funzionari oppongono le più grandi difficoltà alla partenza dei nostri connazionali da porti dell'Asia Minore.
Su quest'argomento e sulle energiche rimostranze fatte a Costantinopoli dal nostro ambasciatore marchese GARRONI ha intrattenuto i colleghi il ministro degli Esteri on. SONNINO. Nulla si sa circa quanto il Consiglio ha deliberato in proposito; ma è opinione generalmente diffusa che i nostri rapporti con la Turchia saranno ben presto chiariti".


L'atteggiamento risoluto del Governo italiano fece sì che la Porta togliesse il divieto d'imbarco. Piroscafi americani ed italiani si recarono a Smirne ed in altri porti asiatici per imbarcare gl'Italiani che in numero di parecchie migliaia aspettavano di poter partire, ma quando pareva che finalmente per i nostri connazionali fosse giunto il momento di lasciare le inospitali contrade, ecco il Governo ottomano mettere nuovamente il divieto, e per giunta, imporre agli Italiani il "temettù", una specie d'imposta sulla ricchezza mobile da cui gli stranieri erano esenti, e proibire per le comunicazioni telegrafiche l'uso della lingua italiana insieme a quello delle lingue francese, inglese e russa.
L'indignazione suscitata in Italia da queste notizie fu grande e la stampa iniziò una vivace campagna per spingere il governo a adottare provvedimenti decisivi. Il 20 agosto il consiglio dei Ministri tenne due sedute e in entrambe si occupò dei rapporti italo-turchi. La sera del 21 agosto fu diramata la seguente comunicazione ufficiale:

"Il Governo ha diretto alle Regio rappresentanze all'estero una circolare nella quale espone tutte le vertenze fra l'Italia e la Turchia e che così conclude: "Di fronte a quest'infrazioni patenti a promesse categoriche fatto dal Governo ottomano in seguito al nostro ultimatum, il Regio Governo ha spedito ordine al Regio ambasciatore a Costantinopoli di presentare dichiarazione di guerra alla Turchia".

Il testo della circolare telegrafica italiana era questo:

"Fin dal primo momento della firma del trattato di pace di Losanna (18 ottobre 1912) il Governo ottomano ebbe a violare il trattato stesso. Tali violazioni hanno continuato senza tregua sino ad ora. Il Governo imperiale non adottò mai seriamente misura alcuna perché si arrivasse in Libia alla cessazione immediatamente delle ostilità secondo gliene facevano obbligo i suoi patti solenni; nulla fece il Governo stesso per la liberazione dei prigionieri di guerra italiani. I militari ottomani rimasti in Tripolitania e Cirenaica furono mantenuti sotto il comando degli stessi ufficiali, continuando ad usare la bandiera ottomana, conservando i loro fucili e i loro cannoni. Enver bey diresse in Libia le ostilità contro l'esercito italiano sino alla fine del novembre 1912. Aziz bey lasciò quella regione con 800 soldati di truppa regolare soltanto nel giugno 1913. Il trattamento che l'uno e l'altro ricevettero rientrando in Turchia prova l'evidenza che i loro atti ebbero il pieno assenso delle autorità imperiali. Dopo la partenza di Aziz bey continuarono ad arrivare in Cirenaica ufficiali dell'esercito turco; ve ne sono ora oltre un centinaio, dei quali il R. Governo conosce i nomi.
Nell'aprile di quest'anno 35 giovani bengasini che Enver pascià aveva condotto nel dicembre del 1929, contro il nostro volere, a Costantinopoli, dove furono ammessi a quella Scuola militare, furono rinviati in Cirenaica a nostra insaputa, nonostante contrarie dichiarazioni. Risulta con certezza che la Guerra Santa del 1914 fu proclamata anche contro gli italiani in Africa. Una missione di ufficiali e di soldati turchi incaricati di portar doni ai capi senussiti in rivolta contro le autorità italiane in Libia, fu recentemente catturata da forze navali francesi. Le relazioni di pace e di amicizia, ché il R. Governo aveva creduto stabilire dopo il trattato di Losanna con il Governo turco, non esistono, per colpa di quest'ultimo, tra i due paesi.
Poiché fu costatato essere perfettamente inutile ogni reclamo diplomatico contro le violazioni del trattato, al R. Governo non restava che provvedere altrimenti alla salvaguardia degli alti interessi dello Stato ed alla difesa delle suo Colonie contro le minacce persistenti e contro gli effettivi atti di ostilità da parte del Governo ottomano. Una decisione in questo senso si è resa tanto più necessaria ed urgente in quanto il Governo ottomano ha commesso in tempi recentissimi patenti violazioni ai diritti, agli interessi ed alla stessa libertà di cittadini italiani nell'impero, senza che siano valsi i richiami più energici presentati a tale proposito dal R. ambasciatore a Costantinopoli. Di fronte alle tergiversazioni del Governo ottomano, per quanto riguardava in specie la libera uscita dei cittadini italiani dell'Asia Minore, questi richiami dovettero assumere negli ultimi giorni la forma di "ultimatum". Il 3 agosto il R. Ambasciatore a Costantinopoli, per ordine del Governo di S. M., diresse al Gran Visir una nota contenente le quattro domando seguenti:
1° che gl'Italiani potessero liberamente partire da Bey rut;
2° che gl'Italiani di Smirne, essendo impraticabile il porto di Vurla, fossero lasciati partire per la via di Sigazig;
3° che il Governo ottomano lasciasse imbarcare liberamente gl'italiani da Mersina, Alessandretta, Caiffa, Giaffa;
4° che le autorità locali dell'interno desistessero dall'opposizione alla partenza dei regi sudditi che si dirigono al litorale e procurassero invece di facilitare loro il viaggio.

Il 5 agosto, prima che scadesse il termine di 48 ore posto dall'ultimatum italiano, il Governo ottomano, con nota a firma del Gran Visir, accoglieva punto per punto le nostre domande. In seguito a tale solenne dichiarazione, il R. Governo provvide a spedire due navi a Rodi con istruzioni di attendere ordini per andare ad imbarcare i cittadini italiani che da tempo erano rimasti in attesa di rimpatrio nei predetti porti dell'Asia Minore. Ora - da notizie pervenuto dalle autorità consolari americane, cui è stata affidata in varie residenze la tutela degli interessi italiani - è risultato invece che a Beirut l'autorità militare revocò il 9 corrente il permesso di partenza accordato poco innanzi; ed eguale revoca avvenne a Mersina. Fu dichiarato altresì che le autorità militari avrebbero fatto impedimento all'imbarco degli altri nostri connazionali nella Siria. Di fronte a queste infrazioni patenti alle promesse categoriche fatte dal Governo ottomano in seguito al nostro "ultimatum", il R. Governo ha spedito ordini al R. ambasciatore a Costantinopoli di presentare la dichiarazione di guerra".

La protezione dei sudditi ottomani in Italia fu assunta dalla Spagna, quella dei cittadini italiani in Turchia dagli Stati Uniti. La sera del 21 furono consegnati i passaporti all'ambasciatore turco a Roma, NABY BEY, che il 22 fece visita di congedo al barone SONNINO e il 23 partì, via Svizzera, alla volta di Berlino. Il giorno dopo della dichiarazione di guerra alla Turchia, il Re firmava un decreto con cui veniva proclamata la libertà religiosa in Libia e abolito il Naib es-Sultan, decreto di cui riferiamo gli articoli:

Art. 1° - All'art. 2° del del R. decreto del 17 ottobre 1912 n. 1088 è sostituito al seguente art.2°: Gli abitanti della Tripolitania e Cirenaica continueranno a godere come per il passato la più completa libertà nelle pratiche del culto ottomano. I diritti delle fondazioni pie (vakuf) saranno rispettati come per il passato e nessun impedimento sarà portato alle relazioni dei mussulmani con i loro capi religiosi.
Art. 2°. - L'art. 3° del R. decreto suddetto è abrogato.
Art. 3° - Il presente decreto entrerà immediatamente in vigore".

Della nuova guerra dell'Italia alla Turchia diede notizia il generale AMEGLIO alle popolazioni della Libia con il seguente proclama:
"Voi sapete della pace che il Governo del nostro Gran Re Vittorio Emanuele III, che Iddio glorifichi sempre più, fece con quell'ottomano a Losanna. Dopo quello si riteneva che ogni buon accordo dovesse ristabilirsi fra l'Italia e la Turchia, rimanendo ognuno fedele ai patti stabiliti. Ma non fu cosi, perché il Governo ottomano ha ripetutamente violato il trattato con tutti i mezzi più sleali e indegni di una nazione che si vanti di essere civile. Ha costantemente ingannato la buona fede del Governo Italiano, inviando clandestinamente ai ribelli armi e munizioni ed ufficiali e graduati del suo esercito, nonché emissari propagandisti di ogni odio contro di noi. Ha tergiversato tutte le volte che il Governo del nostro generoso Sovrano che Iddio protegga, volle fare rimostranze. Ha ostacolato con tutte le male arti possibili la penetrazione in queste terre, con la quale speravamo di portare anche voi in brevi anni a quel progresso della vita civile che in passato vi fu sempre negato".

"Voi tutti avete potuto costatare quanto sia sincero e paterno l'interessamento che il Governo porta al bene dei popoli di Libia con la prova che esso oggi vi dà, non esitando a studiare ed introdurre riforme che, meglio e più di quelle sperimentate in passato rispondano alle vostre tradizioni ed alle vostre tendenze.
Il Governo ottomano, non contento di seminare il male in questo terre, ha creduto di poter perseguitare gli stessi italiani che si trovano nel suo territorio fino ad opporsi al rimpatrio da loro desiderato per le prepotenze e soprusi cui vanno colà soggetti. Un cumulo di menzogne fu la risposta che il Governo ottomano ha dato anche questa volta alle ultime rimostranze di quello italiano.
Stanco di quest'indegna condotta del Governo ottomano, il nostro potentissimo Re, che Iddio illumini sempre come ora, ha dichiarato la guerra alla Turchia. Abitanti, della Libia, agli uomini d'onore, agli uomini di mente e a quanti amano con sincerità questa terra ed il suo popolo, va la mia parola paterna di concordia nel momento in cui l'Italia con fede della vittoria scende nuovamente in campo contro la Turchia per il rispetto ai trattati e alla causa della giustizia".

Purtroppo nel Mediterraneo per l'Italia non c'era solo questo problema, che fu risolto dichiarando guerra alla Turchia, ma ne sorgevano altri più gravi di problemi, perché erano iniziati veri e propri attacchi di sommergibili tedeschi che colpivano diverse navi italiane.
Tuttavia l'entrata in guerra contro la Germania fu rimandata fino all'agosto del 1916.

Lasciamo ora queste vicende in Africa, e torniamo sullo scenario di guerra in Italia
che sta preparandosi ad una…

... nuova offensiva (la 3a e la 4a ) sull'Isonzo

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