LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1916

ALTRI FRONTI - BILANCIO 2 MESI - EROI E MARTIRI - FILZI, BATTISTI ecc.


Il centro di Asiago abbandonata dagli austriaci

OPERAZIONI SVOLTE SUGLI ALTRI FRONTI NEL GIUGNO E NEL LUGLIO DEL 1916 - LA GUERRA AEREA - EROI E MARTIRI: I GENERALI DI MARIA, GIORDANA, BERARDI E IL COLONNELLO BRIGADIERE CURTI; FRANCESCO RISMONDO, FABIO FILZI, DAMIANO CHIESA, CESARE BATTISTI E NAZARIO SAURO
BENITO MUSSOLINI AL PRIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE, RICORDA CESARE BATTISTI

QUI
le immagini della cattura e quelle impressionanti
dell'impiccagione di Cesare Battisti)

Durante l'offensiva nemica la controffensiva italiana non smise la lotta sugli altri fronti, anzi operazioni in concorso alla controffensiva furono svolte in altri settori del Trentino /giudicarie), e nella Carnia e specie lungo l'Isonzo ci furono azioni di una certa importanza.
Stralciamo da una "relazione del Comando Supremo" e riportiamo il riassunto delle operazioni secondarie svolte negli altri fronti dal 1° giugno agli ultimi di luglio:
"Mentre sul fronte della I Armata si svolgevano le operazioni appena accennate, più a nord-est reparti della IV Armata iniziavano una vigorosa offensiva nell'aspra zona montagnosa compresa tra le alte valli di San Pellegrino e di Travignolo (Avisio) e quello di Cismon (Brenta). L'utilità per noi del possesso di questa zona derivava sia dalla necessità di eliminare la minaccia che il nemico poteva esercitare da quella, per i passi di Valles e di Rolle, contro le conche di Agordo e di Fonzaso; sia dal fatto che, da tale zona più o meno direttamente s'irradiano buone comunicazioni, che conducono ad importanti obiettivi militari nemici: la strada dell'Avisio (l'antica romana Via Augusta) che scende a Lavis in Val d'Adige; quella di San Lugano, che scende ad Egna, sempre in Val d'Adige; la strada del Passo di Costalunga, che scende a Bolzano; quella dei passi del Pordoi e di Campolongo, che conduce in Valle Rienz. Per questo suo cospicuo valore difensivo oltre che base per quello offensivo, la zona era stata potentemente fortificata dall'Austria".

"Le nostre operazioni ebbero per caratteristica principale la sorpresa, conseguenza dell'accuratezza della preparazione e della rapidità nell'esecuzione. Il giorno 21 luglio, nostre colonne provenienti dalle valli del Cismon, Valley e Bois, occuparono i passi di Colbricon e di Rolle, le testate delle valli di Travignolo e di San Pellegrino e l'interposta zona montuosa sino alla Cima di Bocche esclusa. All'inaspettata irruzione l'avversario reagì debolmente; cosi nella giornata del 22 luglio i presidii del Colbricon e della Cavallazza furono accerchiati e si arresero.
Successivamente furono da noi occupati il Monte Colbricon e le pendici della Cima di Ceremana, sino alla valletta omonima; Paneveggio e le pendici di Cima di Bocche,
in Valle Travignolo; le pendici del Monte Allochet, in Valle San Pellegrino. Furono catturati all'avversario più di 500 prigionieri, 2 cannoni da campagna e alcune mitragliatrici. Ricevuti rinforzi il nemico iniziò i consueti violenti contrattacchi diretti a scacciarci dalle posizioni da noi conquistare; ma fu sempre respinto con gravi perdite.

"Nel periodo considerato, ci furono anche in altri scacchieri del nostro teatro di guerra, importanti operazioni di carattere diversivo, tentate per iniziativa dell'avversario o nostra. Fra le prime merita particolare rilievo il violento attacco compiuto dal nemico, con l'aiuto di gas asfissianti, nel settore di San Michele e di San Martino del Carso. Scopo di tale operazione era quello di ricacciare le nostre truppe sino sulle linee dell'Isonzo. L'attacco, preparato da qualche tempo, con grande cura e con la maggiore segretezza fu sferrato la mattina del 29 giugno. Col favore di un lieve vento spirante in direzione del piano, l'avversario lanciava prima contro le nostre posizioni dense nubi di gas che investivano tutte le nostre linee fra il monte San Michele e San Martino.

"In un primo momento, sotto l'influsso dei fulminei effetti letali o di annichilimento dei gas, fu possibile alle colonne nemiche, spinte subito dopo all'attacco, di penetrare in alcuni nostri trinceramenti. Ma accorsi prontamente i rincalzi, le valorose truppe dell'XI Corpo di Armata (21a e 22a divisione) e specialmente le fanterie delle brigate Regina, Pisa e Ferrara, sfidando gli effetti dei gas, con immediato violento contrattacco, sloggiavano ovunque l'avversario ma facendo anche 400 prigionieri. Alcuni di loro furono trovati in possesso di mazze ferrate, munite di numerose punte. Interrogati, confermarono di aver avuto l'incarico di finire a colpi di mazza i nostri soldati trovati tramortiti dai gas. L'ignobile attacco finì con il completo insuccesso delle truppe avversarie.

"Tra le operazioni offensive di nostra iniziativa ebbero maggiore importanza quelle compiute nelle alte valli del Boite e del But e alle ali estreme delle nostre posizioni sul Carso. Nell'alto Boite, una serie di brillanti attacchi, condotti dai nostri alpini nella zona della Tofana, ci diede il possesso del vallone tra la Tofana prima e seconda (9 luglio); del formidabile torrione del Castelletto, ad est di Col di Bois, dal quale il nemico dominava la via delle Dolomiti e che fu fatto saltare con una grandiosa mina (12 luglio); infine della Forcella Bois e della testata del vallone di Travernanzes (29 luglio). Numerosi, violenti contrattacchi tentati dal nemico furono costantemente respinti dai nostri, che presero all'avversario più di 300 prigionieri, 2 cannoni e 6 mitragliatrici.
Nell'alto But, furono presi d'assalto trinceramenti e ridotte dell'avversario nella zona del Freikofel (27 giugno) e conquistata la cima dello Zellonkofel (29 giugno); furono presi al nemico circa 200 prigionieri.

"Sul Carso, le nostre truppe si impadronirono il 28 giugno di alcuni trinceramenti nemici nel settore di San Michele e di San Martino e in quello di Monfalcone. Nella successiva giornata, mentre tra San Michele e San Martino i nostri respingevano l'attacco nemico fatto con i gas asfissianti, nella zona di Monfalcone, una brillante operazione offensiva ci dava il possesso delle alture di quota 70, ad ovest di Monte Cosich, e di quota 104, ad est della Rocca di Monfalcone. Prendemmo al nemico un migliaio di prigionieri. Nelle successive giornate dal 1° al 7 luglio furono respinti violenti contrattacchi dell'avversario che lasciò nelle nostre mani altre migliaia di prigionieri.
Insistente fu in questo periodo il tiro delle artiglierie nemiche dirette contro gli abitati, al solo scopo di distruzione e senza alcuna giustificazione di carattere militare. Furono particolarmente bersagliate Ala e altre località di Valle Adige; gli abitati delle conche di Arsiero e di Asiago; quelli della Val Sugana; Cortina d'Ampezzo, nell'alto Boite; gli abitati delle alte valli Degano, But e Dogna; e alcuni del basso Isonzo. Si ebbero danni agli edifici, alcune vittime nella popolazione e qualche incendio. Di rimando le nostre artiglierie bombardarono magazzini militari a Riva, Arco, Nago e Rovereto; le stazioni di Toblacco, Innichen e Sillian e la linea ferroviaria di Valle Drava; la stazione di Tarvis sulla Pontebbana; accantonamenti militari in Mautehn (Valle del Gail) e nel Carso.

"Attiva fu anche la GUERRA AEREA. Le nostre squadriglie portarono a termine numerose brillanti incursioni sulla linea ferroviaria della Val d'Adige, a nord di Rovereto; sul campo di aviazione nemico a Pergine; su parchi, depositi e accampamenti militari in Val d'Adige, sugli altipiani di Asiago e di Folgaria, in Valle Travignolo, in Valle della Drava e in quella del Gail. Bombardarono anche varie località sul Carso e le stazioni di Gorizia e di Nabresina. In numerosi combattimenti abbatterono 8 velivoli nemici. Noi ne perdemmo 4. Ma l'operazione di guerra aerea più brillante per il numero dei velivoli che vi parteciparono, per la lunghezza della traversata, in gran parte sul mare, e per i formidabili effetti raggiunti, fu l'incursione compiuta dai nostri Caproni il 1° agosto sul golfo di Fiume e che ebbe per obbiettivi il silurificio e la fabbrica di torpedini e dei sottomarini Whitehead, rimasti quasi completamente distrutti.

"A sua volta il nemico eseguì le consuete barbare incursioni su città aperte. Furono colpite Brescia, Ala, Padova, Cittadella, Marostica, Bassano, Primolano, Fonzaso, Fiera di Primiero, Treviso, Udine e località minori della Carnia e della pianura tra basso Isonzo e basso Tagliamento. Si ebbero complessivamente vittime non numerose nella popolazione; la nostra difesa contraerea abbatté in queste occasioni altri 2 velivoli nemici.
"I risultati delle nostre operazioni da metà giugno ai primi di agosto sono da ritenersi assai più importanti di quel che possa apparire da un rapido cenno sui principali avvenimenti militari in tale periodo. L'offensiva austriaca in Trentino, che era già stata precedentemente arrestata, fu definitivamente rotta e ricacciata nelle alte valli onde era discesa. Il loro insuccesso appare tanto più grave se si riflette all'accurata preparazione materiale e morale che l'aveva preceduta, alla grande importanza e divulgazione data dall'avversario ai primi risultati conseguiti a maggio, al demagogico carattere punitivo che il Comando nemico aveva preteso di dare alla spedizione in Trentino. Le condizioni morali dell'esercito e del Paese nemico ne uscirono perciò scosse e depresse, e ciò, insieme alla gravità delle perdite da noi inflitte all'avversario, alla costanza con la quale perseverammo nelle operazioni offensive inchiodando l'esercito nemico sulle proprie posizioni e impedendogli spostamenti di truppe verso altri scacchieri minacciati, doveva poi facilitare l'inizio della nostra riscossa sul basso Isonzo".

EROI E MARTIRI
TRE GENERALI E UN COLONNELLO CADUTI.
impiccati: F. RISMONDO, F. FILZI, D. CHIESA, C. BATTISTI, N. SAURO
Nelle operazioni di guerra sopra descritte, numerosissimi furono gli atti di eroismo compiuti dai soldati italiani. Ma qui non è possibile ricordarli tutti e neppure ricordarne solo alcuni. Dei caduti ricorderemo soltanto alcuni generali e non perché, combattendo, mostrassero maggior valore degli altri, ma per mostrare che la guerra era così aspra da non risparmiare nemmeno i capi e gli ufficiali così impavidi da affrontare, perfino quelli che avevano alti comandi, il pericolo e la morte.
Un prode generale, che sui Monti del Trentino diede la vita per la Patria durante la nostra vittoriosa controffensiva, fu EUGENIO DI MARIA dei baroni di ALLERI, comandante la brigata "Sassari". Aveva appena 54 anni; aveva combattuto in Cina nella campagna del 1900-1901, riportandovi due medaglie e si era distinto nella guerra libica; era decorato con la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia.
Altro generale caduto nel Trentino fu il maggior generale CARLO GIORDANA, di Moncalieri; con il grado di colonnello, aveva combattuto alla testa del 4° Alpini al Mrzli, al Vodil, al Monte Nero e all'Adamello, distinguendosi per il valore, per l'energia e per le mirabili qualità d'organizzatore. Chiamato a comandare una brigata di fanteria, si recò sull'Altipiano d'Asiago e qui per la sua audacia, emulo del generale Cantore, cadde in una ricognizione.

Piemontese anche lui era il generale FRANCESCO LUIGI BERARDI, comandante la brigata "Milano", caduto il 6 luglio in un assalto al Sabotino. "Era - scrisse di lui Luigi Barzini - un generale dal volto fiero, barbaro, oscuro, pieno di volontà, di energie, di decisione, con una luce di bontà negli occhi accigliati. Gli uomini erano conquistati da quell'affetto chiuso che li seguiva nell'azione dal profondo del suo sguardo, come un testimonio silenzioso e appassionato, ed hanno fatto delle cose magnifiche, segnando con il loro sangue e con la loro carne le dure tappe delle avanzate vittoriose. Il generale è morto. Lo ha ucciso una granata lanciata alla cieca dal bosco, mentre la truppa che comandava, impadronitasi di una formidabile ridotta austriaca, mandava per i viottoli oscuri lunghe carovane di prigionieri".

Attendeva la promozione a generale, ma comandava già una brigata di fanteria, quando, il 19 giugno, cadde valorosamente alle falde del Monte Costa Alta, il colonnello FAUSTO CURTI, di Pieve del Cairo, che si era distinto in Libia, come comandante del reparto "Guide", guadagnandosi la croce dell'Ordine militare di Savoia e un anno prima di morire era stato insignito della croce di SS. Maurizio e Lazzaro.
Fra i molti eroi della primavera e dell'estate del 1916 spiccano le nobilissime figure di cinque martiri che con il loro sacrificio legarono maggiormente alla madre Patria la sorti delle terre irredente: FRANCESCO RISMONDO, FABIO FILZI, DAMIANO CHIESA, CESARE BATTISTI E NAZARIO SAURO.
FRANCESCO RISMONDO, di Spalato, ricco, bello, intelligente, giovanissimo, insofferente del giogo austriaco, una settimana prima che scoppiasse la guerra italo-austriaca, aveva lasciato i suoi beni e con la donna che da un anno gli era sposa, sotto falso nome s'era recato a Venezia, arruolandosi nell'esercito italiano. La conoscenza che aveva della lingua lo aveva fatto prescegliere per un ufficio di interprete, ma lui aveva rifiutato ed era partito per il fronte. Il 21 luglio, sul San Michele, combatté valorosamente. Caduto prigioniero e riconosciuto, dopo aver tentato invano di fuggire, pagò con il martirio sulla forca il suo tributo d'amore all'Italia.

FABIO FILZI. Patria di elezione era Rovereto, ma aveva avuto i natali a Pisino in Istria il 20 novembre del 1884. A Trieste frequentò i corsi commerciali, a Graz consegui la laurea in giurisprudenza. Di sentimenti italianissimi, a Rovereto, in un congresso di studenti trentini, pronunziò un violento discorso contro l'Austria e dovette subire un processo militare che terminò con la degradazione del Filzi da ufficiale della riserva. Quel processo pesò molto sulla sua vita: infatti, dovette abbandonare per influenze politico-militari, due lucrosi impieghi, uno presso la procura di finanza di Trieste, l'altro presso la società di navigazione Austro-Americana e accontentarsi di entrare nello studio dell'avvocato Piscel, di Rovereto.

Scoppiata la guerra, nell'agosto del 1914, fu chiamato sotto le armi per essere mandato in Galizia come soldato semplice, ma egli, fintosi ammalato, riuscì a farsi ricoverare in un ospedale militare di Bolzano. Avuta una licenza di convalescenza di sei settimane tornò a Rovereto e il 20 novembre con due amici disertò e, invano inseguito dai gendarmi per il Passo della Borcola, riuscì a raggiungere Posina, dove fu accolto festosamente dalle truppe italiane. Recatosi a Padova, entrò nello studio del dottor Piccinato, mentre i suoi genitori venivano internati. Nel febbraio del 1915 fu assunto dal Comando militare di Verona come interprete ed informatore e come tale rese preziosi servigi. Nel luglio del 1915 fu nominato sottotenente ed assegnato al 6° alpini. Intanto in Austria lo processavano per tradimento e diserzione e nell'aprile del 1916 il tribunale militare di Innsbruch lo condannava in contumacia alla fucilazione.
Il 16 maggio fu mandato in Vallarsa alla compagnia comandata da Cesare Battisti e insieme con lui cadde prigioniero degli Austriaci il 1° luglio e furono impiccati due giorni dopo nel Castello del Buon Consiglio in Trento.

DAMIANO CHIESA era di Rovereto. Allo scoppiar della guerra si trovava a Torino, dove studiava ingegneria. Arruolatosi volontario, presto si guadagnò il grado di sottotenente d'artiglieria e mentre il padre veniva internato a Katzenau Damiano veniva ricercato dall'autorità militare che contro di lui aveva spiccato mandato di cattura per tradimento e diserzione. Fatto prigioniero a Castel Dante il 18 maggio del 1916, quattro giorni dopo che era stata sferrata l'offensiva Strafexpedition, e riconosciuto da alcuni soldati austriaci, fu immediatamente dal tribunale da campo condannato a morte per impiccagione ai sensi dell'art. 334 del codice penale militare, ma la sua giovane età - 23 anni fece sì che la richiesta del Chiesa di aver commutata la pena in quella della fucilazione fosse accettata. La sentenza fu eseguita il 19 maggio nella fortezza di Trento.

CESARE BATTISTI, nato a Trento nel 1875, già deputato socialista alla camera austriaca, coraggiosa ed indefesso assertore dell'italianità del Trentino proclamata in volumi storico-geografici, in discorsi alla dieta di Innsbrusk e al Parlamento a Vienna, in articoli pubblicati sul suo giornale "Il Popolo" e in molte conferenze, era molto noto in Italia, perché, durante. il periodo della nostra neutralità, egli l'aveva corsa da un capo all'altro incitando con vibranti discorsi l'intervento a fianco dell'Intesa. Scoppiata la guerra, Battisti si arruolò nell'esercito nazionale; semplice alpino fu per molti mesi alla difesa dell'Adamello; promosso sottotenente, fu chiamato all'ufficio informazioni del Comando Supremo, ma ritornò presto a combattere e, con il grado di tenente, durante la strafexpedition, al comando di una compagnia di alpini, fece parte di quel manipolo di eroi che difese il Passo Buole (Le Termopili d'Italia).
Ferito, non volle allontanarsi dalla prima linea e continuò a combattere fra i suoi soldati, unendosi poi a quelli del massiccio del Pasubio. Nella notte dal 10 all'11 luglio, sul monte Corno, in uno scontro con forze sormontanti tirolesi, fu fatto prigioniero insieme a Filzi (Battisti fu riconosciuto da un certo Franceschini, sottufficiale alfiere austriaco, deputato come lui), fu trasportato nella sua città, a Trento, dove il tribunale militare lo condannò al capestro. La sentenza fu eseguita nella fossa del Castello del Buon Consiglio e il Battisti affrontò la morte con grande coraggio, gridando per tre volte, in faccia ai soldati, agli ufficiali e alle mogli di costoro che erano accorsi a godersi lo "spettacolo": "Abbasso l'Austria ! Viva l'Italia !".
La scena dello "spettacolo". fu oltremodo macabra; la corda che gli era stata infilata al collo, invece di far penzolare il suo corpo dalla forca, si ruppe; e la scena infame viene ripetuta con un corpo già in preda a spasimi per la rottura delle vertebre cervicali.
( QUI - le immagini impressionanti della cattura e l'impiccagione di Cesare Battisti)


Un anno dopo, Benito Mussolini, che -quando visse a Trento- era stato redattore del giornale di Cesare Battisti, commemorandolo così scriveva:

"Dopo un anno - e questi anni sembrano lunghi come secoli - basta ritornare col pensiero a quell'episodio di gloria imperitura e d'infamia senza nome, per sentire ancora in tutte le fibre più profonde dell'essere un brivido d'angoscia. Nell'illusione cui si abbandona qualche volta lo spirito viene fatto di domandarsi: E' storia o leggenda ? È storia. Di ieri, di oggi e sarà di domani, se l'impero degli Absburgo non sarà fatto saltare come un anacronismo tirannico cui è venuta a mancare ogni giustificazione di vita. Bisogna accostarsi alla guerra con purità di pensieri e di opere. La guerra per tutto lo strazio che impone ai popoli, non deve essere oggetto della bandiera che essi fanno sventolare e non può essere motivo di esibizione letteraria.

Bisogna accostarsi al martirio con devozione raccolta e pensosa, come il credente che si genuflette dinanzi all'altare di un Dio. Commemorare significa entrare in quella comunione di spiriti che lega i morti ai vivi, le generazioni che furono a, quelle che saranno, il dolore aspro di ieri al dovere ancora più aspro di domani. Commemorare significa fare un esame di coscienza, scandagliare fino all'imo l'anima nostra e poi chiedere a noi stessi: "Saremmo noi, che pure lo indichiamo agli altri, capaci di seguire quell'esempio? Saremmo noi pronti ad affrontare liberamente e deliberatamente il sacrificio estremo, pur di contribuire al trionfo di un ideale". Questo esame ci dà tutta la bellezza, l'altezza morale, sovrumana quasi, attinta da Cesare Battisti, il giorno in cui lui decise - conscio di ciò che l'attendeva - di andare incontro, con il passo fermo e pesante dell'Alpino, ai carnefici di Vienna.
E costoro non lo risparmiarono. Non ebbero, per lui, nessuna pietà. Né Egli la sollecitò, né l'avrebbe accettata. Ferito in combattimento poteva salvarsi, e non volle! Prima di cadere prigioniero, poteva sopprimersi, e non volle! Poteva chiedere di essere giustiziato in un altro modo, meno barbaro. Non volle. Ma quale idea lo esaltava, quale forza lo sosteneva? A suggello di quale apostolato lui sorrideva tranquillo al patibolo?

Il Cristianesimo, che ha visto in questa guerra il fallimento del precetto evangelico della fraternità fra tutti gli uomini, non ha dato al mondo nessuno dei suoi adepti che abbia avuto il coraggio di un gesto di negazione e di rivolta. Il socialismo meno ancora. Queste idee non hanno spinto nessuno al sacrificio. Hanno subito la tempesta in stato di rassegnazione e di impotenza. Nessun cristiano, nessun socialista è andato alla morte in nome del cristianesimo e del socialismo. Spettacolosa aridità, morale e storica, del misticismo cattolicizzato e del materialismo storico dogmatizzato.
Un'idea è al tramonto, quando non trova più nessuno capace di difenderla anche a prezzo della vita. Cesare Battisti non è morto nel nome del cristianesimo o in nome del socialismo qual è comunemente inteso e praticato: è morto in nome della Patria.

L'internazionalismo degli ultimi cinquant'anni di storia europea aveva ormai cacciato fra le anticaglie ideologiche la nozione di Patria. Il socialismo tedesco aveva dilatata artificiosamente la classe al disopra delle frontiere e non era che una manovra pangermanista. Ma la patria viveva. Quando nell'agosto del 1914 la Germania iniziò la sua impresa di saccheggio e di crimini le patrie minacciate si raccolsero in se stesse, tesero tutte le loro energie, centuplicarono la loro capacità di lotta; milioni di uomini, che avevano creduto e giurato nella classe, andarono ai confini; la classe fu sommersa nella Nazione, la Patria tornò ad essere una realtà insopprimibile ed eterna.

Non si spiega diversamente il fatto che milioni di uomini siano corsi a combattere e a morire, se non spinti da qualche cosa di superiore, che ha fatto tacere tutte le altre voci, tutti gli altri interessi, tutti gli altri amori, tutti gli altri istinti, compreso quello primordiale della conservazione. Non basta un regolamento di disciplina o un articolo del Codice Militare a determinare un fenomeno così grandioso! E l'idea di Patria che ha avuto i suoi soldati e i suoi martiri, la sua consacrazione di sangue, il suo suggello di gloria.
Guglielmo Oberdan offerse all'Italia la sua giovinezza per dare all'Italia Trieste. Cesare Battisti, dopo venticinque anni, rinuncia con ferreo stoicismo, alla sua forte virilità per dare Trento all'Italia. Ora o non più. Cogliere l'attimo storico, o morire.

Ma dalle Alpi bianche di neve e vermiglie di sangue, dalle rive dell'Isonzo che assiste alla rinascita dell'Italia, dalle pietraie orride del Carso, dal petto dei vivi, dalle fosse innumerevoli dei morti, il grido di Cesare Battisti è stato udito, è stato raccolto, è diventato battaglia.
Ora o non più .... Il tragico dilemma è inciso a caratteri indelebili nel cuore del popolo italiano .... La forca di Battisti come la Croce del Golgota è alta sull'orizzonte, mentre tutto intorno la tempesta infuria. Ma il sereno verrà. Già qualche spiraglio di azzurro s'intravede tra le nuvole. Il meriggio solatìo non è lontano. Presto, le nuove generazioni d'Italia andranno al Colle di San Giusto e al Castello di Trento per compiervi il rito della ricordanza e della purificazione".
Benito Mussolini,

NAZARIO SAURO fu il quinto Martire. Era nato a Capo d'Istria il 20 settembre del 1880, da famiglia di marinai esercitante il piccolo cabotaggio, e fin da fanciullo aveva seguito il padre nei lenti ma non sempre tranquilli viaggi lungo la costa. Mandato quindi a Trieste all'I. R. Accademia di commercio e nautica, vi ottenne nel 1914 il brevetto di capitano di grande cabotaggio e, tornato a Capodistria, cominciò a navigare sui velieri paterni tra un porto e l'altro del litorale austriaco dell'Adriatico. Più tardi, Nazario Sauro fu assunto come capitano a bordo di vaporetti che facevano il tragitto da Capodistria a Pola e a Trieste, poi passò alle dipendenze della società di navigazione Austro-Americana e, come ufficiale in sottordine, su grossi vapori navigò per un anno e mezzo, toccando i porti del Mediterraneo orientale, delle Indie e dell'America del Nord.
Il 2 settembre del 1914 si rifugiò a Venezia; si offrì quale pilota alla spedizione che la compagnia "Mazzini" di volontari italiani doveva, salpando da Marsiglia, effettuare sulla costa dalmata; si occupò dell'organizzazione dei profughi facendo anche, a bordo del piroscafo "Derna", rischiosi viaggi clandestini a Trieste per mantenere il contatto tra i patrioti fuggiti e quelli rimasti, e quando il terremoto desolò la Marsica e l'Abruzzo accorse con drappelli di irredenti nelle terre devastate per portare l'aiuto degli italiani dell'altra sponda.

Scoppiata la guerra si arruolò nella marina italiana con il grado di tenente di vascello, e la sua meravigliosa attività, iniziatasi il 24 maggio del 1915 a Porto Buso, fu ininterrotta durante quindici mesi. In tutte le più difficili imprese, Nazario Sauro fu presente, nel primo anno di guerra, a ben quarantadue azioni e in premio della sua partecipazione, ottenne il 23 maggio del 1916 la medaglia d'argento al valor militare. Ad altre dodici azioni di guerra partecipò nei due mesi successivi, ma dall'ultima non tornò più.
Il sommergibile su cui era partito il 30 luglio per il Quarnaro s'incagliò, la notte del 31, nella secca della Galiola e, riuscito inutile ogni tentativo per liberare il sottomarino, l'equipaggio si diresse al largo sopra un'imbarcazione, la quale però la mattina dopo fu raggiunta e catturata da una torpediniera nemica a poche miglia dal Capo Promontore. Tradotto a Pola, dopo drammatici confronti con la vecchia madre, riconosciuto, Nazario Sauro fu condannato a morte. La sentenza fu eseguita il 18 agosto, nel genetliaco di chi gli aveva firmato la condanna all'impiccagione: Francesco Giuseppe.
Anche Nazario Sauro, come molti profughi, aveva fatto proponimento di sopprimersi anziché cadere nelle mani dell'odiato nemico. L'esempio di Cesare Battisti gli fece mutar proposito. Confidandosi a persona cui aveva consegnato le sue estreme volontà, l'eroe così si esprimeva:
"Per il passato ero fermo ad uccidermi, piuttosto che cadere in mano all'Austria. Essendo l'ultima volta che si può essere utili alla causa della Patria, bisogna esserlo con un supremo sacrificio; quindi niente suicidio, che sarebbe un atto di liberazione e quindi di egoismo e forza e resistenza nel soffrire, ma costringere gli Austriaci ad un delitto: all'impiccagione".
Negli stessi giorni che Filzi e Battisti finivano sulla forca, Cadorna iniziava l'offensiva su Gorizia. La narreremo nel prossimo capitolo, non prima di aver accennato nelle prime pagine, alla crisi ministeriale, alla formazione di un governo di Unità Nazionale e alla dichiarazione di guerra alla Germania.
Un luglio e un agosto denso di avvenimenti.
L' Unità Nazionale - l'Offensiva su Gorizia - Guerra alla Germania

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